Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso #1

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Premessa: il vino è storia e cultura, è arte e poesia, ma soprattutto è natura; è però – indiscutibilmente – anche scienza.Il naso. Fiori freschi bianchi, colorati, fiori appassiti e secchi, frutta fresca, matura, cotta e secca; profumi erbacei, vegetali, aromatici, speziati, pungenti o meno, ma anche minerali, tostati, animali; terragni, eterei.

Quando si parla di vino non si può non parlare anche di naso. Questi è uno strumento di precisione infallibile, o quasi; un software collegato ad un hardware ancora più complesso e potente qual è il cervello. Mille e più recettori differenti di cui ognuno di noi è capace al massimo di attivarne appena un centinaio, e a livello assai differente tra loro in quanto è scientificamente provato che esiste una predisposizione genetica all’olfazione, e che in ognuno matura e migliora solo attraverso un continuo allenamento e non di certo dall’oggi al domani. Le cellule nervose olfattive hanno inoltre la capacità di rigenerarsi con una certa frequenza tant’è che si può dire che in media ogni tre mesi abbiamo un naso del tutto “nuovo”; può capitare infatti che dopo uno shock, come ad esempio un forte raffreddore, per riacquistare una completa funzionalità dei recettori olfattivi dobbiamo attendere almeno 2-3 mesi.

Ma cosa sentiamo quando avviciniamo le narici al calice? Come anticipato, non tutti hanno la capacità di cogliere tutte le sfumature, il 50% degli individui per esempio non percepisce nemmeno il più semplice dei sentori, quello di violetta per esempio, o il succoso lampone (β-ionone); senza dire poi della fatica a ricordare il tabacco, l’amarena matura, figli di quel β-damascenone caratteristico dei vari Syrah, Gamay e non ultimo Pinot Nero? Una gran faticaccia! Tali composti varietali, tra l’altro presenti in tutte le varietà a bacca rossa, sono derivanti dalla degradazione dei carotenoidi ad opera della radiazione luminosa; ai fini strutturali non sono molto importanti per la loro espressione aromatica diretta, dato che difficilmente raggiungono concentrazioni superiori alla soglia di percezione, ma, anche a basse concentrazioni, sono in grado di funzionare come esaltatori di aromi primari fruttati. La loro concentrazione aumenta con l’aumento dell’esposizione dei grappoli alla luce, per questo motivo, non è blasfemico, ma scientificamente provato, poter ritrovare in dei vini bianchi prodotti da uve sovraesposte dei sentori che ci rimandano ai frutti rossi.

Altra molecola aromatica interessante è il 4-metilmercaptopentanone (4MMP), che appartiene alla famiglia dei tioli – il Sauvignon Blanc ad esempio -; questi, a basse concentrazioni corrisponde alla nota fruttata di frutto della passione, o all’erbaceo del bosso, mentre ad alte concentrazioni è spesso associato alla nota pungente della pipì di gatto – nota non sempre apprezzata – caratterizzante certi particolari sauvignon blanc della Loira, di Sancerre in particolare, dove sono state identificate per la prima volta, seppur presenti, in minor concentrazioni in molti altri vini europei. Le molecole aromatiche variano in base alla soglia di percezione che corrisponde alla quantità minima di una singola molecola che viene percepita da almeno il 50% di un campione in condizioni standard, la soglia può variare da qualche nanogrammo/litro fino ad alcuni milligrammi/litro per le molecole più pesanti.

Un altro fattore interessante da non sottovalutare, che incide talvolta non poco, è la pre-percezione che sovviene ad opera di altri sensi che partecipano all’analisi organolettica di un vino, come nel caso della vista; si, perché già il solo colore tende ad influenzare notevolmente la verbalizzazione; in un recente esercizio di degustazione, un bianco tra i più classici, colorato di rosso per l’occasione, ha condotto immediatamente tutti a riconoscere in quel vino aromi tipici di frutti e fiori rossi; altro esempio calzante è quello dell’idea che va maturando l’opinione pubblica della piccola cantina a confronto di una più grande, e non solo in relazione a termini numerici: una chiara pre-percezione di piccolo è bello e grande industriale; decisamente negativo per la seconda. Lo stesso vino inoltre – è noto – degustato in un posto evocativo, magari con il produttore presente, ha un sapore diverso da quello bevuto magari in altre occasioni meno suggestive: risulta decisamente più buono!

Ritornando alle molecole, altro elemento davvero interessante è 2-metossi-3-isobutilpirazina (IMBP) che è di sovente responsabile del carattere vegetale avvertito nei vini; il vegetale va distinto dall‘erbaceo che è generato invece da altre molecole aldeidi ed alcoli a 6 atomi di carbonio (esanale – esenale), che si formano con l’eccessivo maltrattamento dell’uva in fase di lavorazione (cattiva vendemmiatrice, cattiva pigiadiraspatrice, eccessiva pressatura). Fortunatamente la concentrazione di tali molecole è spesso inferiore alla loro soglia di percezione pertanto hanno un’influenza limitata. Il carattere vegetale è dunque da associare nella maggior parte dei casi alle pirazine piuttosto che agli esenoli. Il carattere vegetale, spesso riscontrato nel cabernet sauvignon, franc, merlot e sauvignon blanc, corrisponde al peperone verde, all’ortica, alle fave crude, ha una soglia di percezione di 15 nanogrammi/litro e la sua concentrazione diminuisce con l’avanzare della maturità dell’uva. Quindi in generale tutte le uve a bacca rossa se non ben mature generano vini vegetali. Il vegetale come già anticipato, si degrada con l’esposizione diretta alla luce, ma è anche presente nei vini prodotti da uve provenienti da zone calde dove la vigna non è stata opportunamente gestita (parete fogliare troppo espansa, eccessivo ombreggiamento dei grappoli) o l’annata è stata eccessivamente fredda e piovosa. In alcune zone viticole impossibilitate ad eliminare “il carattere vegetale” a causa delle avverse condizioni climatiche in cui si opera, si è addirittura arrivati a sbandierare questo “difetto” quale tipicità del territorio quando non peculiarità di quel determinato prodotto.

Stessa cosa è avvenuta ed avviene ancora in parte in alcune zone viticole per un’altra categoria di molecole odorose: i fenoli volatili (divisi in vinil-fenoli ed etilefenoli) di origine microbica prodotti dal lievito Brettanomyces. I vinil-fenoli che corrispondono a note farmaceutiche, di medicinali, di cerotto sono più presenti nei vini bianchi; mentre gli etilfenoli associati all’odore di sudore di cavallo, alla stalla, sono più presenti nei vini rossi. I fenoli sono sempre negativi, perché coprono l’aroma del varietale! In un viaggio di alcuni anni fa fatto in Spagna nella zona della Rioja buona parte delle cantine visitate presentavano vini con altissime concentrazioni di etilfenoli, questi per loro erano “vini tipici”, quegli aromi di stallatico ci venivano enunciati come markers del territorio, ma in realtà erano solo frutto dell’inquinamento delle botti da loro utilizzate ad opera del Brettanomyces. C’è da aggiungere che le molecole fenoliche purtroppo creano assuefazione, e dopo un certo tempo se si ha un inquinamento ambientale sarà difficile identificarle soprattutto per chi lavora da anni in quella stessa cantina.

Qui “Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso” – parte seconda.

Qui l’articolo in versione integrale  su www.lucianopignataro.it.

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14 Risposte to “Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso #1”

  1. Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso #2 « L’ A r c a n t e Says:

    […] enogastronomico di un sommelier – « Paestum Fiano Pian di Stio 2010 San Salvatore Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso #1 […]

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  2. Alberto Says:

    Interessante la chiarezza,non sempre scontata quando si parla di molecole aromatiche.Spesso ho letto cose simili,ma raramente cosi’ ben esposte ai piu’.
    Mi passi un po’ di bibliografia tempo di leggerla permettendo?
    Bravo.

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  3. gerardo vernazzaro Says:

    come commentato sul sito di Luciano hai saputo unire con eleganza e finezza i tre blocchi naso ,piedirosso e napoletani proprio un bel lavoro di coppia 😉
    a presto ngiole’

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    • L'Arcante Says:

      Tutta farina del tuo sacco, ma cosa ci farai mai con tutto sto’ talento..? Comunque al di là della compiacenza, certi pezzi segnano il passo, ecco pechè ti (vi) rompo sempre per ospitare punti di vista di un tecnico su queste pagine; i lettori, se ben indirizzati, hanno sempre piacere di leggere certi articoli… 😉
      A presto (ma non so quando).

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  4. Massimo Says:

    Gerardo sei sempre grande. Bella riflessione che sottolinea sempre più che per fare vino ci vuole passione e tanta competenza.

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  5. alessandro zingoni Says:

    Letto con grande piacere; profuma bene questo tuo articolo Angelo; grazie e complimenti!

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  6. Pozzuoli, Piedirosso dei Campi Flegrei Pro-Polis 2011 Contrada Salandra | L’ A r c a n t e Says:

    […] Il naso, i napoletani e l’apologia del Piedirosso #1¤. […]

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  7. Pozzuoli, domenica 4 settembre lo stato dell’arte nei Campi Flegrei | L’ A r c a n t e Says:

    […] naso, i napoletani e l’apologia del Piedirosso #1 e […]

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  8. Quarto, Falanghina dei Campi Flegrei Collina Viticella 2017 Carputo | L’ A r c a n t e Says:

    […] e alcuni nuovi impianti più recenti, vi è perlopiù falanghina ed in parte pèr ‘e palummo¤ – così come si preferisce ancora raccontare quest’ultimo -, coltivato quasi esclusivamente […]

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  9. La grande bellezza del Piedirosso dei Campi Flegrei 2017 di La Sibilla | L’ A r c a n t e Says:

    […] Leggi anche il Naso, i Napoletani e l’apologia del Piedirosso #1 Qui. […]

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  10. Piedirosso on stage, a light from London | L’ A r c a n t e Says:

    […] – e soprattutto la facilità di beva coinvolgente e disimpegnata. Diciamo che terroir¤, vigne a piede franco e recupero delle ruralità metropolitane non è che siano argomenti proprio […]

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  11. Il successo del Piedirosso dei Campi Flegrei spiegato facile con tre ottime bottiglie | L’ A r c a n t e Says:

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  12. E venne il giorno della prima verticale storica del Piedirosso Campi Flegrei Colle Rotondella di Cantine Astroni | L’ A r c a n t e Says:

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