Capri, di agricoltura sostenibile e Scala Fenicia

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Questo giovanotto si chiama Andrea Koch, è romano, laureato in filosofia e musicista per vocazione: “faccio una musica particolare, decisamente introspettiva, fatta di chitarra e voce, la mia sola voce (talvolta distorta); effetti naturalmente che pochi comprendono in pieno”. Sua l’azienda Scala Fenicia, intenta a rilanciare la doc Capri bianco.

Qualcuno avrà già letto di questa piacevole novità qui, in un pezzo della collega sommelier Marina Alaimo che l’anno scorso, proprio di questi tempi, prese parte alla prima vendemmia della famiglia Koch in questo splendido e suggestivo luogo a due passi dal porto di Marina Grande a Capri.

Per chi non lo sapesse, l’antica scala fenicia, da cui prende il nome l’azienda, collega la piana a monte di Marina Grande con il ciglio della rupe dove oggi sorge Villa San Michele ad Anacapri. Le scale vere e proprie – fatte una sola volta e solo per metà, circa 800 gli scalini!! -, cominciano dolcemente a salire a partire dal bivio di Torra (73 mt s.l.m.) e poi continuano a salire rettilinee e sempre più ripide attraverso un boschetto fino a quota 150 mt. Qui inizia il tratto tortuoso che in breve conduce fin sulla strada rotabile (siamo a 250 mt) subito dopo aver superato l’antica cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova. Un ultimo breve tratto quasi rettilineo conduce fino alla porta d’ingresso ad Anacapri a due passi proprio da Villa San Michele (quota 290 mt).

Poco più di quattromila metri, meno di mezzo ettaro di cui appena un moggio piantato a vigneto. In tutto quattro pezze (così vengono chiamate localmente le terrazze con muretti a secco) con piante allevate perlopiù a pergola; in alcuni punti invece è ancora possibile scorgere vecchi ceppi allevati con il tradizionale spalatrone puteolano, dove si arrampicano qua e là un po’ di biancolella, qui detta san nicola, piedirosso, falanghina e ciunchese, quest’ultimo ritenuto da alcuni contadini vitigno autoctono caprese quando in realtà si tratta praticamente del ben noto greco.

Sistema di “coltura integrata”, nel senso che il regime di gestione del vigneto guarda al biologico, tra l’altro certificato, pur dovendo fare i conti con andamenti climatici piuttosto bizzosi. L’Isola Azzurra in effetti non è proprio luogo ideale per fare una sana e florida viticoltura, però con il giusto piglio e “l’aiuto del Signore” – come ci dice Giggino, il mezzadro ultra settantenne che qui cura la vigna da oltre 50 anni -, si riesce a portare a casa quasi sempre un risultato più che discreto.  

In cantina, piccolissima e davvero suggestiva, si lavorano le uve raccolte e cernite esclusivamente a mano con una piccola pressa e diversi piccoli tini in acciaio costruiti su misura su indicazioni dell’enologo che segue Andrea in quest’avventura, Giuseppe Pizzolante Leuzzi. Il vino che ne viene fuori, la prima annata 2010 è composta da ciunchese al 50%, san nicola 30% e per il restante 20% falanghina, matura poi come da protocollo esclusivamente negli stessi tini d’acciaio e quindi in bottiglia sino a maggio dell’anno successivo la vendemmia. Salvo nuove intuizioni.

Il vino di Scala Fenicia, come già anticipato qui da Luciano Pignataro, ha anzitutto un grande valore storico prima che culturale, poiché strappa dall’oblìo una denominazione a rischio di sparizione dal mercato, e rilancia – aggiungo, certo che ce n’è gran bisogno -, l’idea di una nuova e rinnovata visione della vita economica isolana laddove non è più possibile pensare che la vocazione di Capri possa essere legata esclusivamente a quel turismo d’elite che continua sì a far battere cassa ma comincia anche a richiedere sforzi imprenditoriali che né gli amministratori locali né i capresi stessi appaiono disposti – il più delle volte nemmeno capaci -, a pianificare, sostenere, far maturare. Non a caso questa splendida vigna, ma come del resto molte altre sparse qua e là sull’isola, prima dell’intuizione della famiglia Koch, è rimasta, nonostante fosse da sempre tra le più ambite dell’isola, lungamente dimenticata.

Un bianco, il Capri 2010 di Andrea, fragrante, fresco e asciutto, perfettamente calato nel ruolo di sommesso compagno di beva richiestogli. Offre un colore paglierino nitido e cristallino, piuttosto invitante; di primo acchito non esprime un naso particolarmente intenso, perlomeno non in questo preciso momento, articolato com’è essenzialmente su note erbacee e lievi sentori agrumati. E’ in bocca però che offre un bello spunto emozionale, uno schiaffo minerale davvero prezioso.

Capri Bianco 2010 Scala Fenicia - foto A. Di Costanzo

Il sorso è intenso, asciutto come detto, persistente e intriso di fresca sapidità; svela quindi buona materia prima su cui costruire quantomeno un paio d’anni di fine evoluzione. Un tempo utile, necessario, per ritornarci entusiasti col naso nel bicchiere e per saggiare che scenari possa nuovamente offrire al palato. Anche perchè, pur giustificato da un impegno produttivo importante, più unico che raro, non è di poco conto, almeno per il consumatore medio, l’investimento necessario per portarsi a casa questo vino: più o meno 18 euro in enoteca.

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4 Risposte to “Capri, di agricoltura sostenibile e Scala Fenicia”

  1. Maria Says:

    In bocca al lupo!

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  2. Anacapri, il Caposcuro bianco di Alessandra Gallo | L’ A r c a n t e Says:

    […] però rimane impagabile, ecco perché Caposcuro, come Joaquin¤ dall’Isola prima e Scala Fenicia¤ poi vanno spronati e […]

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  3. Amici di Bevute® Professional|Viticoltura a Capri, visita all’azienda agricola Scala Fenicia | L’ A r c a n t e Says:

    […] Lunedì 22 settembre, nel primo pomeriggio saremo lì da lui per fare un giro in vigna, ascoltare la sua storia e bere un bicchiere di Capri bianco nella sua minuscola ma deliziosa cantina ai piedi della Scala Fenicia¤. […]

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  4. Capri, di Andrea Koch, Scala Fenicia e la prima storica verticale del suo Capri bianco | L’ A r c a n t e Says:

    […] volentieri a Scala Fenicia¤ tre anni dopo, ad una settimana dalla vendemmia 2014, la quinta per quella che rimane […]

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