Credo avesse dalla sua una possibilità forse unica, concessa solo a pochi eletti, anche se non sempre di immediata comprensione. Poteva, con Laura, decidere di produrre a Mirabella Eclano questo e tutti gli altri vini senza una specifica denominazione territoriale, quel riferimento tanto ricercato da molti, evocativo, talvolta necessario secondo alcuni come fosse dovuto, eppure quante volte l’abbiamo visto depredato per soli fini commerciali.
Ha sbagliato quindi Luigi Moio¤? E chissà che non ci stia ripensando…*
Da un lato ci sono terre e vigne straordinariamente suggestive, e varietali che la dicono lunga. Dall’altro, la mano e il tempo, che consegnano ai bicchieri ogni anno vini finissimi; poi ci sono gli addetti ai lavori, molti non hanno perso tempo nel coglierli, interpretarli, descriverli ognuno a loro piacere. Pro o contro non fa alcuna differenza, certuni han voluto addirittura aggiungere qualcosa, una sfida personale al professore, talvolta nel bene, altre nel male. Però tutti si sono comunque guadagnati il loro quarto d’ora di notorietà (cit.), grazie ai vini di Luigi e Laura.
Eppure qualcosa non mi torna: “fare vini senza avere lacci”, si dice. “La denominazione ci sta spesso stretta”, c’è chi ribadisce. E invece… ma com’è, non dovrebbe essere così anche a Quintodecimo¤? Sappiamo o no tutti di quella precisa timbrica personale, addirittura firmata in calce? Eppure, bicchiere alla mano, bevi sto vino e pensi subito a quelle meravigliose vigne a Santa Paolina baciate dal sole. Massì, è semplicemente un paradosso, uno dei tanti, come spiegarlo altrimenti. Un territorio, un microcosmo, fuori dal mondo!
E se invece oltre il greco di Tufo che conosciamo conoscevamo c’è dell’altro? Il fatto è che con le prime bottiglie del 2006 c’era da scegliere e anziché giocare d’azzardo si preferì lasciarsi individuare, scegliere tra i tanti fiano di Avellino, greco di Tufo, aglianico e Taurasi invece di rimanere più semplicemente unici artefici di un bianco Exultet o Giallo d’Arles piuttosto che un rosso Terra d’Eclano o Vigna Quintodecimo¤: il territorio, abbracciare l’idea dell’insieme, della valorizzazione di un areale, delle denominazioni piuttosto che se stessi, solo se stessi. Quanto è valsa questa scelta?
Per quanto mi riguarda tanto, il sistema ha sempre bisogno di nuovi interpreti capaci di aggiungere qualcosa di nuovo o innovativo, ma anche semplicemente di diverso. E frattanto io non ricordo un greco di Tufo così profondo e pienamente espressivo come questo, che salta al naso e ti riempie la bocca dal primo all’ultimo sorso. Ha una maturità impressionate, stilisticamente inequivocabile eppure di forte, fortissima personalità e persistenza varietale. Una visione territoriale dunque, ma a suo modo unica.
Quello di Van Gogh – dice un recente studio europeo su alcune sue opere – sta progressivamente perdendo brillantezza, si sta spegnendo. Questo invece è un Giallo d’Arles luminoso e cristallino. Il naso, sin da subito comincia a tirare fuori una miriade di sfumature sottili e insistenti, di fiori e frutta gialli ma anche note speziate piacevoli. Ginestra e glicine, poi prugna, pesca ed albicocca mature, cedro, ma anche un soffio di camomilla e zenzero candito. Il sorso è asciutto e avvolgente, largo, fresco e minerale, lungo e persistente, di infinita piacevolezza.
Giuro che vorrei averne ancora, ahimè però non si riesce per davvero a metterne via una che dico una. Anche questo è un paradosso tutto da disvelare: non è certamente a buon mercato, come del resto tutti i vini dell’azienda; dicono addirittura che siano cari, eppure, credetemi, non si riesce a stargli dietro tanto se ne vendono.
*Ci pensavo con in mano le nuove etichette 2010, con la scritta dei nomi dei vini ancora più grande e quella delle denominazioni ancora più piccola.
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21 Maggio 2012 alle 10:04 |
E’ finita l’era dei distinguo.Antinori rientra nel consorzio Chianti,Gaia parla di sinergie tra piccoli viticoltori e grande produzione per fare sistema nel mercato globale.Luigi e’ stato in tempi non sospetti piu’ saggio di tanti altri.
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21 Maggio 2012 alle 10:35 |
Non so quanto vale a certi livelli scrivere una doc o docg sull’etichetta, il successo di certi vini come ce ne sono molti in italia (Vintage Tunina, Batàr per citarne giusto un paio bianchi) dipende molto dalla qualità nella bottiglia.
Del professor Moio ho apprezzato tanti vini firmati da lui, mi piacciono da morire per esempio i due cru di Cantina del Taburno e, molto di più, le prime uscite del Fiorduva. Dei suoi nuovi ho bevuto al momento la Falanghina (giudizio sospeso) e il Taurasi 2004, semplicemente magnifico nonostante il prezzo devo dire molto sopra le possibilità umane… Proverò anche il Giallo d’Arles.
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24 Maggio 2012 alle 00:35 |
De gustibus.
Più che una interpretazione territoriale io vedo una espressione personale dei diversi vitigni allignati in azienda e tutti ancora troppo giovani per esprimersi con un imprinting da areale ben definito.
Beh, siamo nella società dove il consumo è spesso dettato più dal packaging e dalla firma che dall’eleganza gusto-olfattiva e dove chi compra maggiormente ha spesso più disponibilità economiche e si fa meno seghe mentali rispetto agli eno-fighetti del gusto sempre pronti a cercare il pelo nell’uovo.
Io trovo i vini del Prof. stilisticamente perfetti ma poco emozionanti soprattutto se bevuti giovani, i bianchi come i rossi, ma forse tra 10 anni provando i nuovi imbottigliamenti cambierò idea, fortunatamente il gusto cambia nel bene o nel male!!!
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24 Maggio 2012 alle 09:26 |
“Più che una interpretazione territoriale io vedo una espressione personale dei diversi vitigni allignati in azienda e tutti ancora troppo giovani per esprimersi con un imprinting da areale ben definito”.
Claudio, giusto per capire meglio il tuo pensiero di partenza:
– quanti anni deve avere una vite per esprimere a pieno il territorio di origine?
– Quali sono quei vini espressione “non personale” nell’areale di cui ci stiamo occupando? Benito Ferrara? Di Marzo? O tutte quelle piccole venute fuori come Quintodecimo negli ultimi dieci anni e che fino a 5/6 anni fa conferivano uve e che tra l’altro non sapevano una mazza di vino poiché facevano tutt’altro nella vita e si sono affidati (anche loro) ai winemaker di turno per cominciare?
“Io trovo i vini del Prof. stilisticamente perfetti ma poco emozionanti soprattutto se bevuti giovani…”
Ok, quante volte l’ho già sentita questa… argomentiamola per favore. 🙂
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24 Maggio 2012 alle 15:17 |
Dai 10 ai 15 anni una vigna deve avere per poter esprimere il territorio o il vino deve essere il mix di uve da nuovi reimpianti e impianti vecchi oltre i 20 anni.
Ferrara, Di Marzo, Mastro sono sicuramente produttori che ritengo di riferimento per la tipologia Greco di Tufo.
Hai ragione la frase è trita e ritrita, ma ritengo che calzi.
Io quando bevo un Greco di Tufo mi aspetto: acidità sparata, che nei primi anni dall’imbottigliamento (salvo annate più calde!) è scomposta, sensazioni gusto-olfattive iodate, sulfuree e minerali e poi floreali in secondo luogo e un corpo relativamente esile che in annate particolari mostri anche una certa alcolicità, non voglio bere un Mensault o come quando bevo un Taurasi di 6 anni non mi aspetto di provare un vino che da giovane assomiglia ad un bordeaux di Pomerol.
Ma è ovvio è solo il mio punto di vista!
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25 Maggio 2012 alle 23:39 |
Claudio,
non resta che bere Mastroberardino Vintage e, quando si trovano, vecchie bottiglie di Terredora. Per tutti gli altri allora annulliamo il giudizio e aspettiamo ancora un lustro… (e quando la trovi una bottiglia di Benito Ferrara anche di solo 7/8 anni fammi un fischio!! 🙂
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26 Maggio 2012 alle 10:40 |
😉
No questo mai, provare e riprovare e riprovare, tutto e senza pregiudizi e valutare cosa è di proprio gradimento.
Su annate vecchie non posso che darti super ragione…il nostri produttori locali, salvo eccezioni, hanno sempre avuto uno sguardo miope, da qualche anno però le cose sono cambiate e qualche bottiglia la conservano per capirne l’evoluzione!
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26 Maggio 2012 alle 13:22 |
Le conservano solo perché non le vendono… 🙂
Ci aggiorniamo, un abbraccio!
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5 febbraio 2013 alle 11:01 |
[…] armonia espressiva, basterebbe puntare questo Fiano di Avellino Exultet 2009 di Quintodecimo¤. Ha un colore di gran fascino, di un paglierino appena maturo ma parecchio luminoso, col naso che […]
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23 febbraio 2013 alle 16:33 |
[…] di Tufo, l’anima più antica forse della denominazione che sarà la vigna del Giallo d’Arles¤, quel campione di cui da un paio d’anni faccio davvero fatica a stare senza. Cru era, da una sola […]
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6 marzo 2014 alle 19:32 |
[…] fondo Luigi Moio col Giallo d’Arles¤ oltre alla fissa della ‘Casina Gialla’ che finalmente potrà realizzare nella sua vigna a Tufo, […]
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21 ottobre 2016 alle 12:37 |
[…] Greco di Tufo Giallo d’Arles 2009¤. […]
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21 ottobre 2016 alle 12:39 |
[…] Greco di Tufo Giallo d’Arles 2009¤. […]
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