Ogni grande appassionato, sommelier o aspirante tale matura nel tempo una certa frenesia per il pinot nero; le ragioni sono tante, difficile sintetizzarle in breve e qualcuno per farla facile dirà che in fondo capirne qualcosina di pinot fa figo agli occhi degli altri per cui tanto vale poter dire di sapere pur non conoscendo bene la materia, buttare giù due-tre nomi che facciano magari rumore…
Bene. Chiariamo subito che non è proprio così. Anzi, diciamolo in maniera sostenuta che parole come ‘fine, fruttato, speziato, secco e abbastanza fresco’ saranno pure piene di fascino ma non rendono mai pienamente l’idea di cosa si sta bevendo o raccontando quando nel bicchiere si ha un pinot nero come Dio comanda. E’ necessario andare un po’ più in là, ma soprattutto conoscere certe storie e certi territori.
Perché? Perché quest’uva e il vino hanno una capacità straordinaria di tradurre più o meno letteralmente il territorio da cui provengono: talvolta maluccio, certe volte bene-benone, più raramente in maniera straordinaria se non unica.
Come mai? Perché la Borgogna¤ è una sola e di altra terra di quella buona buona per il pinot nero¤ c’è n’è meno di quanto si pensa; e provare a ripetere certi vini¤ in altre aree viticole del mondo è vicenda assai complicata tant’è che figuracce sul tema non ne sono mancate anche per i più avveduti qui in Italia e gli annali ne sono pieni.
Rimanendo nei confini italiani ci sono invece alcune rare eccezioni che fanno storia ed una di queste sta in Alto Adige, per la verità Sudtirol, ed ha un nome preciso, l’altipiano di Mazzon. Da queste parti se ne sono viste tante e tra i nomi che hanno in qualche maniera contribuito al successo del pinot nero italiano vi è senza dubbio anche quello del compianto Bruno Gottardi¤, commerciante di vini con bottega ad Innsbruck¤, in Austria, e vigne e cantina da una trentina d’anni ad Egna/Neumarkt¤ vicino Bolzano, oggi nelle mani del figlio Alexander.
Bruno Gottardi ha dedicato tutta una vita al grande pinot nero, persona schiva e di grande signorilità, i suoi vini, in particolare alcune sue Riserve, alla cieca, riconducono tranquillamente direttamente là in terra di Francia. E pochi come lui sono stati capaci di ripetersi vendemmia dopo vendemmia con una certa continuità, altro particolare sul quale quest’uva non ammette sviste.
Il 2012 è un vino assolutamente didattico, da tenere ben fisso in mente: ha un naso dapprima scontroso, avvitato su se stesso, ma chiaramente intriso di sentori finissimi e dolci, di misurata, rara bellezza. Con un po’ di tempo nel bicchiere si apre su note schiette di rosa e di piccoli frutti rossi e neri, più lentamente cede sentori di pepe verde, rabarbaro e ancora sottobosco. Il sorso appare brevilineo ma alla distanza viene fuori invece carnoso e sostenuto, con un tannino ben affilato e dal finale di bocca asciutto con ancora una precisa e succosa impronta di frutti rossi. Che Dio l’abbia in gloria il nostro Bruno Gottardi.
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Tag: borgogna, bruno gottardi, egna, mazzon, neumarkt, pinot nero, wiengut gottardi
14 novembre 2019 alle 10:19 |
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