Ristoranti sempre aperti per le feste, una reale opportunità o l’ennesimo fardello della crisi?

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Un fenomeno evidente seppur dibattuto poco o niente vede la ristorazione attraversare un periodo di enorme frenesia soprattutto sotto Natale e durante le festività.

In tempo di crisi in molti hanno deciso da tempo di prendere la situazione di petto, come un’opportunità. Fanno bene? Chissà, tant’è che non ricordo, da che ho memoria, una proposta così vasta (sul mio territorio sicuramente non c’è mai stata) per le cene della Vigilia, il pranzo di Natale e il brindisi dell’ultimo dell’anno. Tra l’altro veramente per tutte le tasche.

In passato, molte attività – dalle mie parti, a rischio di ripetermi, quasi tutte -, chiudevano il 22/23 dicembre per almeno 10/12 giorni. Qualcuno riprendeva subito dopo Capodanno, il 2, il 3 Gennaio, molti altri tiravano sino all’Epifania. Il Cenone, i pranzi delle feste, erano quasi esclusivamente affare delle grandi strutture per ricevimenti che, da ‘tradizione’, legavano mangiate infinite a ‘ricchi premi e cotillons‘ a prezzi (per la verità) abbastanza centrati. La differenza naturalmente la facevano le attrazioni, le locations eccetera ma da qui non ci si scappava. Fatti salvi i postumi.

Per quanto visto in giro quest’anno invece quasi nessuno ha chiuso per le feste, tutti al lavoro e alle prese con cene e pranzi d’autore. D’autore sì, perché tantissimi di questi sono ristoranti di un certo spessore (qualcuno per la verità già da qualche anno in linea con la nuova tendenza) che hanno preferito restare aperti anche per le festività natalizie. Una scelta condivisibile dove però pro e contro non mancano mai, come qualche critica a chi non consente di mangiare alcuni piatti dalla carta o a menu tradizional-popolari preconfezionati per qualcheduno triti e ritriti. Per non parlare del rischio no-show che in alcuni casi, specie per i piccoli locali, sono un vero e proprio cazzotto nello stomaco. 

Non entro nel merito della convenienza economica, e nemmeno di come si faccia a tenere in equilibrio e ben motivata la brigata di sala e cucina perché me l’immagino da me. Il conto da pagare alla crisi, allo stato, a quei soci più o meno ‘occulti’ che si presentano puntualmente con gabelle esose e raccomandate incomprensibili è diventato sempre più alto e, ahimè, salato e diciamo pure insostenibile; ciò detto, la situazione va analizzata con attenzione soprattutto dal punto di vista sociale dove l’idea di stare aperti per spirito di servizio si scontra col fardello che si sta in piedi solo così. Senza scampo e zero spazio a ripensamenti.

Ancora una volta una sonora palla al piede alla nostra generazione che lentamente va coinvolgendo addirittura anche chi potrebbe permettersi di stare fermo qualche giro ma che, timorato dal perdere chissà che giro di affari preferisce restare pure lui aperto. Pazzesco!

Non ne scrivo tanto per farlo, ci pensavo proprio durante queste feste: io ci sono stato dentro fino al collo, quando da dipendente mi godevo le mie agognate ferie di Natale e in Agosto che mi aiutavano a riprendere le redini della mia vita sempre costantemente tesa al lavoro e quando, da piccolo imprenditore quale sono stato per dieci lunghissimi anni tenevo davanti agli occhi sempre e soltanto le serrande della mia attività, con appena 6/7 giorni l’anno di riposo tra l’altro il più delle volte spesi a letto per curare malanni di stagione.

Insomma, è vero che chi fa il nostro lavoro fa del sacrificio virtù e del riposo un vizio da spendere con parsimonia, mi piacerebbe però sapere come stanno veramente le cose, augurandomi che serva, soprattutto mi chiedo se è questo il modello di ristorazione di qualità che consegneremo a chi viene dopo di noi.

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