Non bevevo il Casalferro di Barone Ricasoli da alcuni anni; l’ho sempre amato questo vino, pur nella sua dichiarata veste internazional-chiantigiana non proprio irresistibile ai più. E dal ’94, praticamente al suo debutto, ad oggi – memorabile il ‘99, ma anche il 2000 – non me ne son persi poi così tanti; però mi duole ammetterlo che era da un bel po’ che mancava ai miei taccuini.
Così quando l’ho colto sulla carta di Palazzo Petrucci, l’altra sera a cena a Napoli, non ho avuto dubbi su cosa proporre ai mie commensali. Ero tuttavia indeciso fra il 2006 e il 2007, e il fatto che quest’ultimo fosse addirittura diventato nel frattempo 100% merlot ci ha incuriosito ancor di più: “eh si, il 2007 è giusto la prima annata tutta merlot”, ci confermava il bravo Ciro Potenza, sommelier del bel locale napoletano di Piazza S. Domenico Maggiore. Si sarà completato il percorso, mi sono detto. Proviamolo!
Si perché il Casalferro, nato che era sangiovese in purezza, è stato poi sempre “giocato” sul binomio sangiovese/merlot, con il primo varietale a farla da padrone per almeno ¾ dell’uvaggio. E proporlo come un merlot in purezza mi sa tanto di un segnale volto a grandi ambizioni, puntate decisamente in alto, all’inseguimento magari di certi miti consolidatissimi, come il Masseto de l’Ornellaia o il Redigaffi di Tua Rita (di quest’ultimo leggetene qui, se vi pare), tanto per citarne un paio. Leggo che le uve provengono sempre da quell’unica parcella di terreno caratterizzato per lo più da arenarie calcarifere ed alberese, situata intorno ai 400 metri sul livello del mare proprio a ridosso di Gaiole in Chianti.
Bello il colore, di un rubino porpora assai fitto, mentre il naso è subito un fiume in piena di sensazioni balsamiche che rincorrono aromi di frutta rossa polposa, sottobosco e spezie finissime; molto particolari – e caratterizzanti ovviamente, poteva essere altrimenti? – certe note “animali” e spunti iodati, quasi ferrosi. E se il ventaglio olfattivo è prorompente, ancor più lo è il palato: l’annata calda pare incidere più sulla complessità olfattiva che sulla risolutezza del sorso, per niente “rotondo” come ci si possa immaginare sulla carta; anzi, siamo dinanzi a un vino con un nerbo acido-tannnico impressionante, di gran spessore, con un frutto croccante e chiaramente disadorno di ammiccamenti inutili, sgraziato e pieno, e con un finale di bocca assai lungo e gratificante. E’ giovane sì, sicuramente, ma offre comunque un gran bel bere. Mi verrebbe da aggiungere “da non perdere di vista”, ma questo assaggio è una sberla di quelle che non si dimenticano certo facilmente!
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