Le piaceva tanto il tavolo 2, quello che dalla veranda dà direttamente sull’ingresso; non credo lo scegliesse per farsi vedere, mettersi in vetrina, mostrarsi. Anzi. Ricordo però che le piaceva tanto la particolare luce che poco dopo mezzogiorno s’incrociava proprio in quel punto della sala esterna, riflessa dalle grandi vetrate e filtrata, resa tiepida, dai vetri spessi della porta-finestra scorrevole.
Arrivava quasi sempre un quarto dopo le 12. Sapeva di essere in anticipo ma quella mezz’ora prima di pranzo le serviva per mettere a suo agio chi l’accompagnava. Uomini d’affari principalmente, quasi mai amici, come pochi i personaggi dello spettacolo, e comunque di quelli poco conosciuti. Ricordo una volta un tizio assai infastidito dai miei sorrisi rivolti al tavolo durante la presa della comanda; non ebbe a farmi la scortesia di dirmelo chiaramente, ma era evidente che gli dava un poco di prurito la confidenza con la quale lei si rivolgeva a me raccomandandosi di portare in tavola il meglio che potessi. Seppi qualche mese più tardi chi fosse quel tizio, fu lei a rivelarmelo: un grande attore di prosa, poco conosciuto ai più ma che vantava illustri partecipazioni ad opere piuttosto importanti nonché collaborazioni con registi di fama internazionale. S’irritò perché non riconosciuto, mica per altro.
Vestiva sempre in maniera sobria. In effetti non ricordo di averla mai vista scollata o con una gonna sopra le ginocchia; o forse sì, magari una volta o due ma sempre senza dare troppo nell’occhio. Blu il suo colore preferito, almeno credo. E blu erano anche i suoi occhi, luminosissimi, profondi, perfettamente centrati su quel viso dalle linee nordiche con qualche lentiggini sottopelle qua e là. Bruni i capelli, lunghi e sciolti, non un filo di trucco se non un po’ di matita chiara qualche volta, poco rossetto. E un neo, poco distante dalle labbra e leggermente spostato verso la guancia sinistra. Insomma, chi l’accompagnava non aveva nessun motivo per distogliere l’attenzione dal tête-à-tête, nessuna distrazione se non quando gli presentavamo i piatti in tavola.
E sobrio era di sovente il pranzo. Le piaceva poter scegliere tanti piccoli assaggi, piatti fatti con pochi ingredienti ma di sapore, caratteristici. Non poneva divieti, ricordo solo che non amasse particolarmente il riso ed il prezzemolo, soprattutto cotto, anche se tritato finemente e saltato con la pasta. Le si impicciava tra i denti, diceva: “è odioso!”. Invero una volta se ne uscì col riso come contorno al petto di pollo scottato alla brace. Rimasi perplesso, convinto di conoscere le sue preferenze; ma era solo una cortesia verso chi l’accompagnava, un grosso imprenditore del vercellese. Avesse potuto avrebbe mangiato carciofi e pane e melanzane sott’olio a tutte le ore. Adorava qualsiasi zuppa, in stagione sceglieva volentieri delle vellutate di verdure. Impazziva per la pasta e patate, ogni tanto una mezza porzione di paccheri alla genovese, un assaggio di calamaretti spillo fritti, il sarago arrostito, il pollo; e tante insalate, con tutto un po’. Nessuna concessione al dolce, sì al gelato, vaniglia tutta la vita.
Il vino, nonostante ne capisse abbastanza, preferiva lasciarlo scegliere agli altri. Poche volte l’ho vista bere con sufficienza pur se talvolta sapevo coglierne l’insoddisfazione. Diceva ad esempio che lo Champagne non andava bevuto a tavola: “un piacere così sottile meritava un ambiente ed atmosfere più intime – sottolineava -, candele dappertutto ed un lento lasciarsi andare”. Ci teneva a far assaggiare i nostri vini, così talvolta lasciava fare a me; chiedeva solo, quando mi lasciava consigliare un vino al tavolo, di tenermi su bottiglie poco complicate, con poco legno e prodotte da persone sincere, che facessero quel che facevano con amore e passione, non solo per campare, o per fuggire da qualcosa o qualcuno.
Una volta, rimasta sola al tavolo per qualche minuto perché lui fuori al telefono, l’ho vista stringere con forza il calice e fissare il vuoto con malinconia; ebbi l’impressione che stesse per piangere. Mi avvicinai facendo finta di niente, con la scusa di tirare via il cestino del pane: le chiesi se andava tutto bene, mi rispose che sì, che era tutto a posto. E regalandomi un sorriso grosso così aggiunse che quel rosso era il più buono che avesse mai saggiato prima.
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8 gennaio 2013 alle 16:44 |
Interessante,ma lo sarebbe ancora di più se ci fosse un serial sul tavolo numero due all’ora di colazione.FM.
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8 gennaio 2013 alle 18:13 |
E’, per certi versi, un serial; il tavolo 2 non è che uno dei pezzi del magnifico puzzle della vita al ristorante.
Come detto con oggi comincia un nuovo percorso. I Racconti del vino continuano con mille altre storie, tutte vissute o ispirate a vicende vissute.
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