Newberg, Estate Pinot Noir ’05 Patricia Green

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Generalmente riesco a farlo con una certa convinzione, non che mi metta a definire un calendario, sia chiaro, sarei un tantino esagerato se lo facessi. Però aspettare, saper aspettare un vino, rimane una di quelle belle cose che donano senz’altro al vino e al suo mondo quell’irresistibile fascino per cui merita d’essere raccontato.

Avevo questa bottiglia da più o meno cinque anni, conservata là, nella cantinetta dei miei coups de coeur; un regalo prezioso ed apprezzato da parte dei miei amici Steve e Tammy, prima della loro partenza definitiva per gli states. Se ne tornavano a casa, o su di lì. E ci tenevano ch’io saggiassi, prima o poi, questa etichetta, che ritenevano tra le più “vere” espressioni del pinot nero in Oregon.“Patty Green fa vini con uno stile ben definito, non è difficile che ad alcune persone non piacciano, ma vale la pena provarli”, mi dissero. Così decisi di tenerla lì per un po’, non senza, lo ammetto, una sana curiosità che già altre volte mi avrebbe tentato nell’aprirla.

Sapevo che Ribbon Ridge è letteralmente un “nastro” collinare lungo il quale si sono insediate negli anni alcune delle migliori aziende produttrici dell’Oregon, fuori dalla Borgogna uno dei luoghi per elezione per il pinot noir; pensate, per dirne una,  che qui viene coltivato con ben oltre 42 selezioni clonali differenti. Un posto dove le particolari condizioni dei suoli, di chiara origine sedimentaria marina, e l’unicità dell’ambiente pedoclimatico con le montagne Chehalem sullo sfondo, conferiscono ai vini qui prodotti molto altro che quel frutto tanto ricercato nei pinots del cosiddetto “nuovo mondo”, che sanno solitamente di rosa, lampone e ciliegia giusto tal quale un succo o una caramella alla frutta.

Questo vino ha poco o nulla per apparire piacione o alla mano, tutt’altro. Il timbro degustativo è senz’altro borgognone, ma di quelli veramente autentici, che non fanno sconti nemmeno a favore dell’eleganza. Il colore infatti è bruno, con già nuances aranciate sull’unghia del vino nel bicchiere, ma vivo e limpido. Il naso è composito, i sentori fruttati sono solo una reminescenza, ciò che lo contraddistingue, profondamente, è il profilo quasi terroso, di sottobosco, macchia mediterranea, china che ne disegna il carattere austero, forse anche monolitico, ma sicuramente inconfondibile. E il sorso ne da subito conferma: ha tessitura fibrosa e minerale, sollazza il palato con insistenza e finisce chiaramente sapido. Per darvi idea della maniacalità con la quale si continua a fare ricerca da queste parti, Patricia Green produce addirittura 12 etichette diverse solo dei suoi pinot nero, talvolta una per ogni singola botte di vino in cantina, una sorta di single vineyard che più espressivo non può essere.

© L’Arcante – riproduzione riservata

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