L’anno scorso ne avevo comprato qualche bottiglia – duemilasette e duemilaotto -, lasciandole però in cantina a riposare, “en vieillissement” (o élevage) come dicono i francesi. Le avevo messe lì con la promessa di metterle in carta quest’altro anno; così è stato. Che bella rivelazione.
Poco più di due ettari di vigna sotto il Castello di Montevetrano, tutti ad aglianico. Sì, avete letto bene, siamo proprio lì a due passi da quella splendida azienda che tutto il mondo già conosce e ci invidia da tempo, Montevetrano di Silvia Imparato. E tutto cominciò un po’ così, seguendo proprio le tracce della “Silvia nazionale”, con l’idea però di rinunciare all’ormai noto blend internazional-regionale perseguendo invece la valorizzazione del solo autoctono aglianico.
Così le vigne sono state lentamente convertite: via la barbera, via il montepulciano, mentre la conduzione è rimasta sempre la stessa, fedele all’idea di una agricoltura sana e naturale già patrimonio della famiglia Marino da almeno un paio di generazioni. In cantina arriva Fortunato Sebastiano, l’enologo paladino della vigna viva che dopo la prima vinificazione del 2006 ha sin da subito la sensazione di trovarsi tra le mani qualcosa di veramente interessante; difficile che sia un caso con tanta cernita in pianta, vinificazione accorta, fermentazioni lunghe e legni grandi di 7 e 5 ettolitri. Niente filtrazioni e bassissimo contenuto di solfiti. Questo è Turandea 2007, il nuovo grande rosso campano da non perdere.
Bellissimo vino, già il colore ti conquista per vivacità e luminosità. Poi il naso: intenso, sferzante con quei sentori di visciola, mora di rovo e arancia rossa che si rafforzano con la sinuosità di sottili note balsamiche, pepe nero e nuances dolci di tostatura e legno di sandalo. Un tutt’uno di una freschezza e di una eleganza davvero ammirevoli. Il sorso è di rara piacevolezza, succoso, teso, deliziosamente fresco e gratificante, con un continuo ritorno di frutto che sospinge freneticamente a riprenderne il calice tra le dita. Un rosso, quello di Tiziana, appena sbocciato ma con ancora parecchio tempo davanti, che rifugge sovrastrutture e cose incomprensibili del genere e conferma l’enorme potenzialità di questo pezzo di terra continuamente da scoprire e raccontare.
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10 aprile 2012 alle 14:41 |
pensi che la bontà di questi vini, così vicini anche geograficamente (:-)) sia dovuta in larga parte al terroir o alla mano di chi li “costruisce?
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10 aprile 2012 alle 14:42 |
L’uva anzitutto. Qui c’è solo aglianico. E poi sono nati in due epoche molto diverse. Montevetrano aveva altri obiettivi e nasceva da un gusto molto preciso di chi l’ha voluto, cioè Silvia. Così come è molto precisa l’idea dei fratelli Marino, fare solo aglianico a Montevetrano. Il terroir? Beh, il fatto è che qui è stato letteralmente inventato, di uva c’era poca e comunque nulla di buono prima della Imparato; agricoltura sana si, tanta; quindi terroir si, ma con tutti i pro e contro che significa inventarsene uno…
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10 aprile 2012 alle 14:43 |
Penso di essere stato uno dei primi a provare il Turan Dea ed a promuorvelo. Grande espressione di aglianico.
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10 aprile 2012 alle 19:57 |
Quindi Angelo, vedi nel Montevetrano di Silvia l’avvicinarsi al gusto che richiedeva il mercato in quel momento, oltre quello personale della Imparato, mentre il TuranDea l’elezione del vitigno principe delle nostre terre, senza lasciarsi soggiogare dal mercato?
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10 aprile 2012 alle 19:58 |
Arturo, il vino di Silvia è come lo voleva lei e mercato o non mercato è rimasto ad una idea precisa di vino; che poi abbia cavalcato quell’onda fortunata di mercato, beh, brava la Imparato. Montevetrano rimane un grande vino! Turandea a mio parere segue uno stilema nuovo, punta molto sulla freschezza del frutto piuttosto che sull’opulenza; e poi ha dalla sua di non aver quella posizione di mercato oggi fortemente in crisi, senza un marchio forte assolutamente invendibile! Può solo crescere.
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