E’ la questione del secolo l’incidenza della barrique. E perché la barrique? Ma è così necessaria la barrique? Ma non c’è null’altro che la barrique? Non vi dico quando si cominciano a dare consigli, suggerire soluzioni, dipanare millimetriche dispute tecnico-pratiche, o rilanciare l’anamnesi storico-culturale della lotta al feticcio simbolo del berlusconismo.
Premesso che non è di mia competenza aprire una disquisizione tecnica sul mezzo, ne sull’opportunità o meno del suo utilizzo, mi sembra però che in molti, anche tra i cronisti più attenti – in buona fede s’intende -, preferiscono riferirsi occasionalmente ad una opinabile e/o (im)precisa idea di vino trascurando invece un elemento inconfutabile per quanto banale: l’inesperienza.
E’ bene ricordare infatti che buona parte di chi si è lanciato nel fare vino negli ultimi dieci/quindici anni non sapeva affatto bene da dove cominciare, mettere le mani; “talvolta ahimè non conosce nemmeno dove sta il pulsantino per accendere la luce in cantina” [cit.]. E da buon imprenditore, quando scaltro, il vino se lo compra pure già bello e fatto. Laddove invece il ‘dopolavoro’ nel frattempo si è fatta primaria attività, la faccenda assume via via connotazioni un po’ più verosimili, con buoni auspici all’orizzonte ma sempre sul lungo termine. A pensarci su è un’amara constatazione, ma val bene tenerne conto.
Ché lo spauracchio del burro e marmellata degli anni novanta è già dimenticato? Che dire quindi di fronte a tanta perplessità su certi vini? Forse che l’utilizzo dei legni in cantina necessita di una certa abilità, conoscenze specifiche, studio, sperimentazioni, verifiche, attenzioni almeno decennali? Sì. Punto. Giacché basterebbe un po’ di buon senso, o magari provare ‘che si dice’ in giro, cosa o come fanno i migliori, anche solo assaggiandone i vini. Ma niente¤.
Va da se che una tale complessa esperienza è molto difficile trovarla in un panorama produttivo come quello italico che, da un certo punto di vista, fatte le dovute eccezioni, rimane estremamente giovane. Una mancanza talvolta compensata con consulenze di valore ma che pure hanno il grande limite di proporre spesso protocolli standard per tutte le salse, incapaci di tenere conto di realtà a volte difformi tra loro in uno stesso comprensorio vitivinicolo, se non nell’azienda stessa. E in Campania, con l’aglianico in particolar modo, tanto per restare in tema, diciamocelo chiaramente, siam messi un po’ ovunque così. Non è la barrique il problema, ma chi e come la usa.
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15 marzo 2013 alle 08:34 |
ma non ci piove Angelo! è ovvio che la barrique è un contenitore come un altro, tanto più se pensiamo che anche le botti grandi, anzi direi addirittura di più, quando sono nuove cedono decisamente parecchio ai vini. Io però aggiungerei un altro elemento, ovvero il benedetto-maledetto mercato. Quello che ti impone di presentare i vini quando sono del tutto in divenire, quello che ti chiede i vini di un certo tipo mentre altri li snobba. Quanti hanno un’economia così solida da potersi permettere di ingorarlo e perseguire la propria idea di vino? Certamente pochi, e probabilmente qualche chance in più ce l’hanno le piccole realtà, che non devono piazzare centinaia di migliaia di bottiglie. E di questi, infatti, ne abbiamo numerosi esempi in tutto lo Stivale. L’aglianico… si hai ragione, tu poi lo conosci meglio di me, ma traspare in modo evidente che, soffermandoci anche solo sull’area del Taurasi, che c’è voglia di capire ma ancora grande difficoltà a inquadrare la propria strada. Aggiungiamo le difficoltà oggettive di questo periodo, le mode con cui volenti o nolenti si devono fare sempre i conti (prima evviva la barrique, ora evvia il vino naturale), non è facile per chi non ha una solida esperienza alle spalle e una idea già chiara di quello che vuole, trovare la retta via per valorizzare un grande vitigno come l’aglianico. Tant’è che c’è chi ritiene che il vero grande vitigno sia il Fiano (non io, ma c’è chi lo pensa, sulla base ovviamente degli attuali risultati).
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15 marzo 2013 alle 16:16 |
Perfetto, avete detto tutto o quasi.
Non e’ la barrique ma come si usa (ed anche la qualita’ della stessa), il livello di tostatura in base alle uve che si hanno e che poi non sono uguali anno per anno.Ed anche i legni grandi se usati male o sporchi come in passato…
Bisogna solo apettare, solo un po di tempo spero.
In molte zone italiane non solo in Campania, per fortuna ci sono i nuovi ,giovanissimi,curiosi,leggono si informano e si confronatano,si scambiano mail e cell. per fare esperienza assaggiare in giro e maturare una propria idea di vino.
Io resto stupito di quanto molti produttori conoscano giusto “bene” il proprio vino e l’eventuale enologo, e poco altro,
A volte neanche assaggiano alle stesse manifestazioni,i vini che non conoscono,non gli interessa o e’ pura presunzione?
Basta pure con la storia dlle barrique si o no.Non esiste una sola idea di vino ed i consumatori non hanno tutti lo stesso gusto,che potrebbe variare molto poi a seconda del paese di destinazione e cucina di abbinamento.
In Francia la barrique si e’ sempre usata, e moi sembra con buoni risultati.
Iniziamo a lavorare bene in vigna e cantine senza fare i furbi e sperare che l’enologo-chimico aggiusti tutte le uve e le trasformi.
Grazie a Dio ci sono e sempre di piu’ anche persone serie che non cercano scorciatoie e si fanno un cu..cosi.
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15 marzo 2013 alle 16:16 |
Un fermento nel quale è bello lasciarsi andare, lanciarsi alla scoperta delle sorprese che ogni anno si possono fare; dove però servirebbe pure maggiore abnegazione, quasi un ritorno (o andarci, che sarebbe la stessa cosa) a scuola per capire come si fa. Arriva prima o poi il momento di consolidarsi, riuscire a gestire vendemmie non proprio felicissime ma nemmeno disastrose.
E l’uso dei legni è solo il primo degli argomenti!
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16 marzo 2013 alle 06:46 |
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8 aprile 2019 alle 15:53 |
[…] voler riaprire una disquisizione tecnica sul mezzo¤, ne ritornare sull’opportunità o meno del suo utilizzo, ci sembra però che in molti, anche tra […]
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