Gli esami non finiscono mai ma soprattutto non si finisce mai di imparare abbastanza. Sinceramente non so se da oggi chi ha frequentato questo interessantissimo laboratorio sul riconoscimento sensoriale dei difetti del vino si sentirà più bravo, di certo almeno un paio delle stronzate che ci hanno voluto fortemente propinare negli ultimi anni come sentori “caratteristici”, o peggio ancora, “tipici” di alcuni vini, se ne possono tranquillamente andare a farsi benedire. E dico pure che qualcuno, avendo più o meno compreso quali siano gli errori o mancanze, spesso apparentemente banali, in cui si incorre nella produzione di un vino, correrà pure il rischio di risultare più antipatico di quanto già lo fosse, me compreso.
Ma veniamo alla cronaca, certamente impossibile da condensare in un unico post, per l’elevato numero di “campioni-difetti” analizzati e soprattutto per la fondamentale disquisizione tecnica affrontata in ogni passaggio di modulo dal bravo e coinvolgente Vincenzo Mercurio. Le basi sulle quali è organizzato il seminario prevede la degustazione “cieca” di circa 80 campioni, di due vini base abbastanza neutri, uno bianco ed uno rosso, preparati, a seconda dei moduli affrontati, con molecole che riprendono in tutto e per tutto le caratteristiche del difetto scaturente da questo o quel problema della filiera produttiva. Una fase certamente interessante è stata quella di riuscire di volta in volta a cogliere tra i campioni adulterati, in alcuni casi con soglie di riconoscimento molto basse, il vino testimone, cioè quello tal quale, nonchè in alcuni casi, la plularità dei difetti che uno o più campioni esprimessero. Da manicomio!
La prima parte del seminario è stata dedicata ai difetti derivanti dalle uve e dalla fermentazione alcolica, ecco quindi scendere in campo, tra gli altri, l’ortocresolo, l’isobutilmetossipirazine (IBMP), la geosmina e l’octenoloctenone: il primo spesso è causa dell’oidio e si manifesta con sentori medicinali, canforati, fenici, l’IBMP è la sintesi del classico sentore di peperone verde, cioè uve acerbe o comunque non giustamente mature; la geosmina provoca note ammuffite, humus, barbabietola cotta mentre l’octenoloctenone è causa della forte e spesso sgradevole sensazione di fungo. E cosa dire poi dell’acido acetico, dell’acetato di etile e dell’etanale? Se i primi sono più o meno due dei difetti capisaldi della buona formazione di ogni degustatore, l’etanale come l’acetaldeide rischiano di passare inosservati, spesso siamo portati a bollare dei vini come poco espressivi quando magari sono praticamente svaniti e basta.
Si passa ai difetti legati all’affinamento dei vini in bottiglia, scopriamo così dell’aminoacetofenone (AAP), del timetildriinaftale e del sotolone. Scorrono i vini nei bicchieri, vengono fuori le note cerose, mielose e di panno umido dell’AAP, la pungenza marcata del kerosene, che pur caratterizza in maniera assai affascinante molti vini bianchi di pregio, certi Riesling su tutti, ma che a concentrazioni elevate così come provato, diventa davvero sgradevole. Il sotolone invece non è parente del “fragolone” [:-)] seppur faccia rima sfacciata, ma bensì causa dell’eccessiva concentrazione di note caramellose e smaltate in alcuni vini stramaturi o passiti. Qualche tempo fa, ricordo di aver bevuto un pessimo Sauternes, non riuscivo a capire come potesse essere così cattivo: l’evoluzione gli aveva giocato un brutto scherzo, tutta colpa del sotolone.
Dopo l’interessante passaggio tra i “sentori di tappo”, in effetti non sempre imputabili esclusivamente ai tappi di sughero ma bensì anche a cattive condizioni ambientali dove il vino viene lavorato o riposa, abbiamo colto l’importanza di discernere il Tricloroanisolo (TCA) dal Tetracloroanisolo (TeCA), entrambi espressione di cattive partite di sughero dal Tetrabromoanisolo causato proprio da spore libere nell’aria in quegli ambienti di vinificazione o stoccaggio dei vini poco igienici.
A questo punto, dopo una necessaria pausa di ristorazione, scendono in campo i difetti legati alla fermentazione malolattica e alla maturazione in cantina, e qui è tutto un divertirsi; Si comincia con i vini bianchi con particolare inoculo di sostanze del tipo Idrogeno Solforato, Etantiolo e Metionolo ovvero uova marce (IS), cipolla, aglio, gas (ET) e per ultimo ma sicuramente primo per sgradevolezza e pesantezza, cavolfiore marcio e salinità concentratissima sino ad una netta sensazione della più pessima delle colature di alici! Poi ancora Benzaldeide, Diacetile ed Etantiolo, nell’ordine mandorla amara, colla (coccoina, ricordate?) e amaretto per le molecole del primo elemento, poi burro, cioccolato bianco e nocciola per il Diacetile, che in effetti hanno soglie di piacevolezza molto alte prima di divenire sgradevoli e pesanti. Infine le note grasse, stucchevoli sino all’acre della peggio cipolla o del latte acido, imputabili alla presenza proprio di Etantiolo o del Lattato di Etile. Si passa quindi ai campioni di vini rossi, ecco manifeste, espressive, forse le note più pesanti e sgradevoli sino a qui percepite: stallatico, animale, sterco, il famosissimo “merde de poule”, in poche parole, anzi in una parola, 4Etilfenolo, meglio conosciuto come “Brett“, accorciativo di Brettanomyces. E’ un sentore davvero sgradevole, spesso lo percepiamo in alcuni vini rossi lungamente evoluti o prodotti con lunghissime macerazioni tanto dall’essere attaccati da questo microrganismo. Qualcuno ne difende l’autenticità, che a dire il vero con una densità minima potrà anche apparire come tale, ma a patto che il vino abbia spina dorsale e frutto da lasciarlo intendere come aspetto olfattivo assolutamente secondario se non “terziario”; altro che sudore di cavallo, bleah!
Il modulo conclusivo del seminario, a questo punto, prevede due ore di intense esercitazioni: bicchieri alla mano, campioni a scorrere uno dietro l’altro a cercar di capire se il percorso intrapreso sino a qui abbia già apportato alla nostra esperienza sensoriale il giusto esercizio olfattivo. Ci vengono versati, sempre alla cieca, ventiquattro campioni tra bianchi e rossi, non tutti inoculati, e quelli adulterati possono contenere la stessa molecola ma in quantità lievemente differenti: è un gioco entusiasmante, coinvolgente, formativo. Si levano dalla sala risposte mirate, odi alla franchezza della Benzaldeide ed anatemi al Brett e parenti tali (oh mamma, li mostri!), osservazioni più che giuste, analisi critiche a tirare, alla fine, un bilancio emozionale entusiasta dell’esperienza vissuta.
Davvero bravi quelli di Vinidea a creare questo format, e molto bravo Mercurio a gestirlo; credo sia opportuno, senza falsa pubblicità, poterlo replicare all’infinito, renderlo perchè no, a disposizione dei molti appassionati e professionisti che passano attraverso i percorsi di avvicinamento o formazione professionale tra le varie fila associative (e non) del settore che se ne occupano: aiuterà senz’altro ad alzare l’asticella della qualità dei corsi.
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Tag: big picture, brett, difetti del vino, laboratorio, odori del vino, peperone verde, solventi, vincenzo mercurio, vinidea, vino
20 febbraio 2010 alle 14:30 |
Una giornata spesa bene,anzi nel migliore dei modi !!! Unico peccato:il testimone,confondeva i migliori nasi!!!!
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20 febbraio 2010 alle 15:28 |
hi hi hi, però dai, ne è uscito fuori alla grande. Abbiam rivalutato il Tavernello!
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22 febbraio 2010 alle 10:56 |
Angelo,
grazie mille per le belle parole di apprezzamento.
Sono contento che il corso sia piaciuto e risultato interessante, ci abbiamo lavorato tanto proprio per dare un taglio il più possibile applicativo.
Siccome non di sole “puzze” vive il vino, ne approfitto per informarti che stiamo mettendo a punto, sempre in collaborazione coi colleghi francesi di Intelli’Oeno, un corso analogo, ma incentrato sugli aromi positivi dei vini, tratto dai lavori del prof. Ferreira dell’Università di Saragozza.
a presto
giuliano boni
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22 febbraio 2010 alle 13:25 |
@Giuliano: grandioso, un’altro tassello fondamentale per essere all’altezza della situazione. Aspetto aggoirnamenti.
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9 agosto 2010 alle 07:31 |
[…] C’è davvero ben poco da aggiungere a questo post, da rileggere più e più volte per chi volesse capirne di più su questo particolare vitigno d’oltralpe, se non un paio di considerazioni personali. Da un punto di vista strettamente ”commerciale” il sauvignon non gode certo dello stesso successo che ha fatto dello chardonnay una icona dell’internazionalizzazione omologazione del gusto mondiale, e questo è dovuto più che al suo gusto “eccentrico” alla sua limitata capacità di acclimatarsi in vigna; Non manca però di un certo appeal soprattutto se considerato alla giusta maniera ed abbinato, a tavola, ai piatti giusti: pesci mediamente grassi, primi piatti iodati, carni succose, formaggi giovani a pasta molle, anche erborinati. La seconda considerazione è quasi una soffiata: molti, qua e la nel mondo, sono soliti usare piccole quantità di sauvignon come “saldo” negli uvaggi di vini bianchi generalmente poco espressivi, spesso non menzionandolo nemmeno, proprio per la sua capacità di “sostenere” una certa carica aromatica senza stravolgere oltremodo, a piccole dosi, l’equilibrio gustativo. Consiglio, a chi volesse masticare di riconoscimenti di molecole presenti nel vino, di riprendere questa lettura sui “difetti del vino”. (A.D.) […]
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