Cormòns, C.O.F. rosso 2005 Livio Felluga

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Merlot, o lo ami o lo odi. Io sto giusto nel mezzo, perché ci sono vini, a base merlot, capaci di impalarti di fronte al bicchiere, altri – forse proprio quelli che hanno fatto degenerare la fama di questo nobile vitigno bordolese – capaci solo di scivolare anonimamente giù per il lavandino. Alla fine, come in tutte le cose della vita, ognuno è artefice del proprio destino, e chi ha creduto di trovare nel merlot una facile fonte di reddito anziché un confronto ambizioso ed impegnativo con i cugini d’oltralpe, ha dovuto ben presto, in maniera meschina, dall’Alto Adige alla Sicilia, alzare le mani se non in qualche caso abbassarsi le braghe di fronte ad una sconfitta sonante senza se e senza ma.

In Friuli, dicono gli annali, c’è arrivato intorno al 1880 per opera del senatore Pecile e dal conte Di Brazzà, per diffondersi poi anche in Veneto e via via in tutta la pianura padana. In Friuli Venezia Giulia ha trovato sicuramente una terra particolarmente vocata a tal punto dal divenire in pochissimo tempo un fermo dell’enologia friulana, non a caso il merlot è oggi il vitigno a bacca nera più diffuso in regione assieme al cabernet sauvignon ed al cabernet franc, ormai riferimenti assoluti per molte delle denominazione di origine di vini rossi. Personalmente però, parlando di vini rossi, continuo a ritenere di gran fascino molti vitigni autoctoni locali, il Refosco su tutti ma anche altri come il tazzelenghe, in forte rilancio sulle colline di Buttrio, Manzano e Rosazzo, e che assieme al pignolo e allo schioppettino sono stati letteralmente salvati dall’estinzione certa.

Ma oltre a questi vini, austeri, se vogliamo rustici, seppur in alcuni casi decisamente autentici – il nome tazzelenghe per esempio deriva dal dialetto friulano tacelenghe (taglia lingua) – è innegabile che vi è stato per lungo tempo (e lo è per certi versi tutt’oggi, ndr) una profonda necessità di proporsi sul mercato con vini che offrissero caratteristiche peculiari tendenti più alla morbidezza invece che all’elevata acidità e tannicità dei vitigni appena citati, sicuramente indiscutibili per le qualità patrimoniali, ma avendo necessità di lunghi affinamenti prima di essere pronti da bere causavano non pochi problemi gestionali ad un sistema economico spesso in affanno, soprattutto quando, nel periodo subito dopo l’estate, calavano drasticamente le vendite dei ben più apprezzati vini bianchi mentre quelli rossi erano ben lungi dall’essere pronti da bere. Ecco, bevendo questo delizioso C.O.F. rosso 2005 di Felluga, base merlot con un saldo di refosco, è proprio questa l’idea che subito mi son fatto del perché di un successo tanto scontato del varietale internazionale in terra friulana, e di un vino – questo in particolare – tanto rotondo e ruffiano, a dispetto di una terra che partendo proprio dai suoi vini bianchi, partorisce da sempre prodotti con una grandissima capacità di attraversare il tempo, in maniera quasi disarmante, esaltandosi addirittura con l’evoluzione in bottiglia.

Livio Felluga vine oggi considerato come il patriarca della vitienologia friulana, primogenito della quarta generazione che da Isola d’Istria si trasferì in Friuli e tra i primi ebbe l’intuizione di puntare su Rosazzo e sui Colli Orientali del Friuli per fare del suo ideale un presente in grande spolvero che oggi vanta un’estensione collinare nel Collio e nei Colli Orientali del Friuli di oltre 160 ettari di proprietà, di cui oltre 135 a vigneto. Sul vino invece rimane ben poco da scrivere, ritengo di averlo trovato di gran compagnia, francamente un bel rosso da bere senza troppo chiedere né al palato né alle proprie attitudini degustative; Offre un bel colpo d’occhio, rosso rubino perfettamente integro nonostante i cinque anni, di buona consistenza. Il naso è piuttosto gradevole, suadente, delicato ma ampio, richiama anzitutto note di amarena, lampone e mirtillo, alla beva, sul finale, in retrogusto, si apprezzano anche discrete note speziate. Più in generale offre una bevibilità particolarmente avvolgente, è un vino quasi robusto – i 14 gradi non hanno dove nascondersi – ma lineare e di ottima consistenza. Un rosso che non offre certo spunti di riflessioni articolate, ma che non delude certamente una sana e piacevole bevuta tra amici.

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