C’è un dato oggettivo che non si può più assolutamente trascurare, molti vini bianchi della Campania vanno acquisendo sempre maggiore rispetto da parte dei consumatori, soprattutto quelli più attenti e coloro i quali possono vantare palati abituati assai bene. Ergo, scopro l’acqua calda o ché..?
Mi riferisco per esempio a chi, in maniera continuativa, in carta al ristorante punta vini di una certa levatura: parliamo di bianchi di spessore, non necessariamente nerboruti o grassi ma vini che hanno comunque gran materia, una certa impronta territoriale e una propria storia come certificato di garanzia. Così, pare, che da Puligny, Vouvray e Kaysersberg a Montefredane e Lapìo via Campi Flegrei la strada divenga sempre più breve mentre il viaggio sopra ogni cosa molto piacevole oltreché avvincente.
Adesso, più di ieri però conta dire la verità, starci naturalmente dentro e mantenere la calma. I prossimi dieci anni ci diranno se la generazione di vignaioli campani che si sono fatti “un mazzo tanto così” negli ultimi dieci/quindici avranno definitivamente un futuro da star o meno. Le loro bottiglie, frattanto, ne stanno scrivendo un bel pezzo e tra i tanti attori sul palco molti ci stanno mettendo tutta l’anima per disegnarle ed interpretarle al meglio, qualcuno devo dire è davvero fenomenale! Non sarà quindi un romanzo breve, piuttosto speriamo in una scrittura epica.
In poscritto, per maggiori informazioni a riguardo, farsene un’idea più precisa intendo, consiglio vivamente di stappare e poi aspettare i duemiladieci del Cupo di Pietracupa di Sabino Loffredo, del Fiano di Clelia Romano e, non ultimo, il Cruna DeLago di Vincenzino Di Meo.
Tag: chablis, colli di lapio, cruna de lago, cupo, falanghina dei campi flegrei, fiano di avellino, montefredane, pietracupa, riesling, sabino loffredo, vouvray
26 agosto 2012 alle 22:18 |
Condivido appieno le scelte.Stappiamole pure e godiamocele adesso,ma assicuriamoci di conservarne una certa scorta per un’eventuale visita tra qualche anno di un famoso giornalista per non incorrere nelle sue giuste ire perche’ i produttori per primi si convincano che i loro bianchi come quelli francesi possono dare grandi soddisfazioni anche dopo anni di affinamento in bottiglia.
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27 agosto 2012 alle 10:02 |
Assolutamente indispensabile, ma anche no.
La fortuna che auguro a molti è di cogliere questi vini (ma molti altri se ne dovrebbero citare) nel loro momento migliore.
Così il ricordo sarà indimenticato.
Personalmente poi non ho mai amato particolarmente quegli artisti che tirano via dal cilindro una canzone e poi ci campano per quarant’anni.
Difficile è ripetersi…
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