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Il vino del mese, Falanghina dei Campi Flegrei

19 settembre 2019

© L’Arcante – riproduzione riservata

Pozzuoli, di Raffaele Moccia, i suoi Campi Flegrei e la Falanghina ‘A ren’ ‘e lav 2018

2 settembre 2019

Mancavamo di camminare le vigne con Raffaele Moccia da un paio di anni, ci ritorniamo con grande piacere proprio nel (suo) primo giorno di vendemmia 2019, una sorta di anteprima, necessaria per portare in cantina i primissimi grappoli già maturi di Mosciarella.

Raffaele Moccia - foto A. Di Costanzo

Passare da qui ci dona tranquillità d’animo, arrampicarci sin lassù le mura del parco degli Astroni, dove le volpi, di notte, quatte quatte, saltano nel bosco dopo aver pizzicato dai grappoli di Falanghina e Piedirosso ci emoziona, non è fatica, è più semplicemente attraversare il tempo e la storia di questa meravigliosa terra flegrea. Venire qui, fermarsi in vigna e poi in cantina con Raffaele ci da inoltre la possibilità di ”sentire” il polso della vigna flegrea, di quanto è stato fatto e ”l’umore” dell’annata che si appresta a finire in bottiglia.

C’è infatti un lavoro enorme che ogni giorno viene fatto su per queste colline di sabbia vulcanica, con questo tipo di terreni infatti si fa una fatica enorme a tenere su i terrazzamenti che rischiano di sprofondare giù dalla collina ad ogni temporale, qui tutto si fa solo a mano, con la zappa, è praticamente impossibile pensare di condurre quassù trattori o ingegni di qualsivoglia genere.

Il valore di questa enorme fatica lo ritrovi tutto nei bicchieri, Raffaele fa vini di grande personalità e spessore, i suoi due ”base” Falanghina e Per’ ‘e Palumm¤ Agnanum e ancor più i due Cru Vigna delle Volpi e Vigna del Pino¤ sono capaci di attraversare il tempo con discreta disinvoltura, ma ci sono tracce degne di nota anche in etichette estremamente godibili sull’immediato come questo bianco duemiladiciotto, ‘A ren’ ‘e lav (sabbia vulcanica, ndr).

Falanghina Campania igt Agnanum 'A ren' 'e lav 2018 Raffaele Moccia - foto L'Arcante

Viene fuori dall’assemblaggio di quei vini d’annata prodotti con le uve provenienti dai nuovi impianti di Falanghina con quelli venuti fuori dalla vinificazione delle uve di vecchie vigne di Mosciarella*, Biancolella, Gesummina**, Catalanesca presenti qua e là tra i fliari del vigneto storico di Falanghina e Piedirosso sul cratere degli Astroni.

Un bianco dal colore paglierino luminoso, il naso è particolarmente accativante, alle prime note dolci ed esotiche di frutta a polpa gialla vi si sovrappongono sottili sentori agrumati e di erbe mediterranee; il sorso è preciso ed equilibrato, leggiadro e scorrevole, secco, con un finale di bocca sapido e caloroso. Uno di quei vini da tenere sempre a portata di mano in casa, quanto più da ricercare in quei posti sul mare che offrono una cucina essenziale e territoriale, si dice della tradizione, perché danno priorità a menu semplici, che propongono ad esempio antipasti classici come Insalate di mare, Primi piatti ai frutti di mare e Zuppe o Souté di molluschi saporiti e senza troppi fronzoli. Ecco, proprio qui farebbe comodo un vino così, caratteristico, territoriale e immediato.

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Nota Bene: *Mosciarella è l’uva Moscato giallo. ** Gesummina, qui detta anche Uva Cupella per la sua alta capacità produttiva, in grado quindi di donare raccolte sempre molto generose, tali da riempire sempre le Cupelle, le ceste usate per la raccolta dell’uva.

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Quarto, della Falanghina dei Campi Flegrei Collina Viticella 2017 Carputo e non solo

6 ottobre 2018

Siamo a Quarto, territorio che a torto non ha mai goduto di una particolare considerazione in ambito vitivinicolo, ma nei pressi della ‘’Montagna Spaccata’’ sull’Antica via Consolare Campana costruita dagli antichi Romani per collegare il porto di Puteoli a Capua, proprio sul confine naturale che la divide da Pozzuoli da un lato e da Napoli (Pianura) dall’altro, c’è una collinetta particolarmente vocata che domina tutta la piana quartese. Da qui, in lontananza, si colgono chiaramente Capo Miseno e buona parte del golfo di Pozzuoli.

Pèr 'e Palummo dei Campi Flegrei 2017 Carputo Vini

Pèr ‘e Palummo dei Campi Flegrei 2017 Carputo Vini

La Collina di Viticella passa dai 50m s.l.m della via omonima ai poco più di 150m s.l.m., niente di particolare si direbbe eppure nella sostanza questo lembo di terra tufacea dà uve particolarmente caratteristiche e segnate da profonda pienezza e fragranza gusto-olfattiva.

Il vigneto conta all’incirca 10 ettari tra vigne vecchie di 25/30 anni piantate con sistemi tradizionali e alcuni nuovi impianti più recenti, vi è perlopiù falanghina ed in parte pèr ‘e palummo¤ – così come si preferisce ancora raccontare quest’ultimo -, coltivato quasi esclusivamente nella parte alta della collina e che generalmente viene vinificato con le altre uve piedirosso provenienti da altre parcelle del circondario che assieme danno vita all’unico rosso flegreo prodotto dall’azienda. Piedirosso 2017 che conserva tutta la sua piacevole verve fruttata e floreale al naso e paga forse un po’ di ritardo di maturazione al palato, il sorso rimane affabile e gradito ma un tantino acerbo, contrapposizione che nulla toglie alla qualità del vino ma che forse dà troppa vivacità alla degustazione.

Falanghina dei Campi Flegrei Collina Viticella 2017 Carputo Vini

Falanghina dei Campi Flegrei Collina Viticella 2017 Carputo Vini

Eccolo nel bicchiere il Collina Viticella 2017 dei Carputo¤, ad un anno dalla vendemmia, in tutta la sua freschezza e pienezza gustativa. In questa bottiglia vi finisce solo una parte del raccolto in collina che viene vinificato separatamente e tenuto in serbatoi diversi prima dell’assemblaggio finale. Siamo fortunati a provare una delle ultime bottiglie in circolazione dell’annata duemiladiciassette, millesimo complicato che ha dato vita ad un bianco un po’ sopra le righe già conosciute in precedenza ma pur sempre caratterizzato da un quadro di degustazione pieno di fascino e sostanza.

Se sono infatti da annoverare come una rarità assoluta i tredici gradi e mezzo in etichetta, esempio di come questa vigna sappia distinguersi nettamente in un territorio così frammentato ed eterogeneo, non siamo lontani dai canoni di pulizia e nettezza olfattiva, dalla sua solita complessità dei profumi floreali e fruttati e dalla puntuta freschezza che ne accompagna costantemente ogni sorso, tutto a favore della grande bevibilità del vino!

Falanghina dei Campi Flegrei 2017 Carputo Vini

Falanghina dei Campi Flegrei 2017 Carputo Vini

Del resto non bisogna mai dimenticare quale sia il ruolo principale del vino a tavola, il suo essere funzionale a tutto un pasto completo e non (solo) ad una singola portata: l’abbinamento cibo-vino infatti è una voluttà, pur nobile, che poco appartiene alla nostra cultura enogastronomica che vuole spesso – addirittura lo impone talvolta -, vini mediamente leggeri e poco impegnativi che vadano ad accompagnare certi piatti più che a sostenerli.

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Campi Flegrei Falanghina 2017 Cantine del Mare

10 settembre 2018

Seguiamo con attenzione il lavoro di Gennaro Schiano sin dai suoi primi passi mossi nei primi anni duemila. Esce per la prima volta con la 2003, non proprio l’annata migliore per esordire eppure ancora oggi, a distanza di 15 anni, quelle bottiglie di Falanghina¤ e Piedirosso restano ”vivissime” e continuano a raccontare tanto del territorio e dei vitigni autoctoni flegrei!

Gennaro continua a sporcarsi le mani in prima persona, la vigna viene prima di tutto! Il suo lungo pellegrinare sul territorio gli consente oggi di lavorare su più fronti flegrei, da Pozzuoli a Bacoli sino a Monte di Procida con la stessa fiducia. Il vigneto di Cantine del Mare ha mediamente 20/30 anni e le parcelle sono collocate su terreni spesso diversi tra loro, si va dalle grigie sabbie vulcaniche della collina di Cigliano alla Breccia Museo che caratterizza la Falesia che ricama lo strapiombo da Acquamorta a lungo via Panoramica a Monte di Procida, che affaccia direttamente sul Canale dell’Isola di Procida. Qui, in uno scenario davvero suggestivo c’è la splendida vigna Stadio – in foto -, piantata perlopiù con Falanghina che entra in questo vino in larga parte. 

L’annata duemiladiciassette è stata per molti particolarmente stressante, non solo qui nei Campi Flegrei; in effetti l’assenza prolungata di piogge unita al caldo torrido estivo ha rischiato di presentare in vendemmia un conto salatissimo, ma qui pare abbia creato meno problemi che altrove. Questo pezzo di terra sembra baciato da Dio, beneficia di un microclima straordinario: il mare è lì, a due passi oltre la scarpata, la vigna gode dei venti che spazzano costanti il Canale di Procida che contribuiscono ad arieggiare il catino naturale intorno al quale insistono i terrazzamenti. Qui, durante la notte, si registrano tra l’altro escursioni termiche importanti.

Così si spiega il buonissimo risultato con questo 2017, bianco che ha vivacità da vendere, invitante, fine e spiccatamente minerale, tra i più buoni e quadrati di sempre. Il naso è sottile e varietale, regala inoltre tratti balsamici molto gradevoli. Il sorso è fresco, giustamente puntuto, sapido, appagante. A distanza di qualche mese, oggi, è più espressivo ancora, perfettamente in equilibrio e godibilissimo, sa pienamente di questa terra di mare.

Restiamo invece fiduciosi di assaggiare nuovamente tra qualche mese il Piedirosso 2017: l’assaggio da vasca di alcuni mesi fa e quello provato in questi giorni appena in bottiglia fa molto ben sperare in un nuovo vero fuoriclasse! 

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L’Arcante – riproduzione riservata ©

Ci mancava solo lo Strione 2009 di Cantine Astroni

30 luglio 2013

A conferma di quanto appena scritto qui¤ merita due righe a parte lo Strione¤ 2009 di Gerardo Vernazzaro, bianco che nasce dalle vigne di falanghina a due passi dal cratere degli Astroni.

Strione Cantine Astroni - foto L'Arcante

Alleggerito e ridefinito concettualmente conserva la spinta emozionale per cui è nato ma soprattutto quella lunghezza che tiene attaccati naso e bocca al bicchiere continuativamente. Il naso è concentrico ma franco, pulito, chiaro e immediatamente leggibile. Ci senti la macchia mediterranea ed ha continui rimandi di buccia d’agrumi e citronella. Il sorso è pieno, bello fresco e chiude sapido, deliziosamente sapido. Falanghina work in progress…

Bacoli, Falanghina Domus Giulii 2009 La Sibilla

4 ottobre 2012

Un bianco? Certo. Territoriale? Nì, ma anche no (secco) o non necessariamente. Ciononostante, malgrado la mia riluttanza, si continua a tirare fuori dalle vigne flegree cose “diversamente” nuove ed interessanti…

Del Domus Giulii, al suo esordio, ne parlai già qui qualche tempo fa. Lo fa una delle più promettenti realtà della denominazione, con il cento per cento di falanghina dei Campi Flegrei, vitigno diffusissimo in Campania ma che sembra avere proprio nei comuni a ridosso della provincia di Napoli il suo terroir migliore – suoli vulcanici, basse rese, sole a mezzogiorno, il mare dentro –, che ne esalta al contempo la spiccata vivacità e l’antica sgraziata tipicità.

Viene da vigne più o meno vecchie coltivate tra i comuni di Bacoli e Pozzuoli dalla famiglia Di Meo. Vincenzo, enologo giovanissimo, ha voluto “sperimentare” un bianco lungamente macerato ed affinato sulle fecce fini. Luigi, il papà vignaiolo che sta invece in campagna, l’ha lasciato fare, così, tanto per capire. Ci regalano un bianco unico – poco più di 600 le bottiglie del 2009, che è solo il secondo passaggio ufficiale -, tanto raro e prezioso quanto imprevedibile.

Ha un bel colore oro, maturo, ricorda agli appassionati certi vini elevati in anfora, però è limpido, infatti la luce l’attraversa luminosa, calda. Il primo naso è subito buccioso, poi si fa speziato, un poco dolce, sa di scorzette d’arancia e pompelmo appena candite e un po’ salmastro, eppure pulito e franco. Il sorso è quasi materico, sulle prime spiazzante ma di buon carattere e discreta acidità e persistenza. Intriga il palato e lascia la bocca quasi ammantata, d’uva e di sale. Inutile negarglielo un passo avanti rispetto al debutto col duemilaotto, ancora uno solo però. Perché? Perché buono è buono ma il modello da seguire rimane per me il Cruna DeLago.

Chiacchiere di fine agosto, o di quanto sia utile e salutare sapere di avere l’acqua calda in casa…

24 agosto 2012

C’è un dato oggettivo che non si può più assolutamente trascurare, molti vini bianchi della Campania vanno acquisendo sempre maggiore rispetto da parte dei consumatori, soprattutto quelli più attenti e coloro i quali possono vantare palati abituati assai bene. Ergo, scopro l’acqua calda o ché..?

Mi riferisco per esempio a chi, in maniera continuativa, in carta al ristorante punta vini di una certa levatura: parliamo di bianchi di spessore, non necessariamente nerboruti o grassi ma vini che hanno comunque gran materia, una certa impronta territoriale e una propria storia come certificato di garanzia. Così, pare, che da Puligny, Vouvray e Kaysersberg a Montefredane e Lapìo via Campi Flegrei la strada divenga sempre più breve mentre il viaggio sopra ogni cosa molto piacevole oltreché avvincente.

Adesso, più di ieri però conta dire la verità, starci naturalmente dentro e mantenere la calma. I prossimi dieci anni ci diranno se la generazione di vignaioli campani che si sono fatti “un mazzo tanto così” negli ultimi dieci/quindici avranno definitivamente un futuro da star o meno. Le loro bottiglie, frattanto, ne stanno scrivendo un bel pezzo e tra i tanti attori sul palco molti ci stanno mettendo tutta l’anima per disegnarle ed interpretarle al meglio, qualcuno devo dire è davvero fenomenale! Non sarà quindi un romanzo breve, piuttosto speriamo in una scrittura epica.

In poscritto, per maggiori informazioni a riguardo, farsene un’idea più precisa intendo, consiglio vivamente di stappare e poi aspettare i duemiladieci del Cupo di Pietracupa di Sabino Loffredo, del Fiano di Clelia Romano e, non ultimo, il Cruna DeLago di Vincenzino Di Meo.

Quarto, Campi Flegrei. Falanghina 2010 e Falanghina Macchia bianco 2007 de Il IV Miglio

18 gennaio 2012

Il nome dell’azienda deriva dalla pietra miliare che indicando la dicitura “ad quartum” ricorda il quarto miglio Romano tra la città di Pozzuoli e l’attuale Quarto, lungo quella che era l’antica via Consolare Campana che collegava Pozzuoli a Capua.

Ho conosciuto Ciro Verde lo scorso dicembre in occasione della degustazione che avevo pensato e organizzato in collaborazione con alcuni amici sommelier, anche se l’azienda l’avevo già intercettata da tempo in numerose altre degustazioni; ebbene, chiacchierandoci su però mi sono accorto che aveva proprio ragione lui: è vero, non ne avevo ancora mai scritto.

L’occasione è questa deliziosa falanghina, devo dire molto ben riuscita, che oltre a regalare piacevoli sensazioni degustative, un po’ mi rassicura sull’impegno in atto di riportare il territorio a quell’antica vocazione agricola, e vitivinicola, per troppo tempo scordata e, ahimè, sfuggita letteralmente di mano a molti da questi parti, a favore di una delle più forti ed invasive speculazioni edilizie in atto. Il vino di Ciro è davvero un bel bianco, dal colore paglierino carico, con un naso subito maturo, che offre sentori di frutta a polpa gialla, pesca e albicocca. Molto gradevole anche il lieve ritorno dolce di miele di millefiori. Al palato è asciutto, infonde buona tensione gustativa per tutta la bevuta. Solo sul finale di bocca ritorna appena troppo “caldo”, che se vogliamo confonde, ma in realtà non fa altro che confermare la discreta acidità della falanghina di queste terre sovrastata qui dall’ottimo frutto ben maturo.

E già che ci sono, mi prendo la libertà di segnalarvi anche un’altro vino, diciamo diversamente interessante, quale mi è parso Il Macchia bianco 2007; prodotto anch’esso con sole uve falanghina dei Campi Flegrei, è però figlio di un progetto particolare che, come abbiamo già avuto modo di raccontare su questo blog scrivendo di altri, volge a verificare tutto il potenziale espressivo di questo straordinario vitigno.

Nasce infatti anzitutto da una maniacale selezione addirittura di acini, poi subito dopo la tradizionale cernita e vinificazione, il vino base viene lasciato lungamente macerare con le bucce, quindi affinato tra acciaio e bottiglia per diversi mesi prima di essere commercializzato. Qui almeno tre anni. Ha un colore praticamente oro, con un naso buccioso e intriso di note balsamiche e speziate, di zenzero in particolar modo. Il sorso, nonostante l’evidente risolutezza, è ancora integro ed espressivo. Se vi va, fateci un salto in cantina, non è difficile da trovare, e Ciro Verde, ormai dedito completamente all’azienda di famiglia, sarà davvero felice di raccontarvi dal vivo quest’altro bel pezzo di viticoltura dei Campi Flegrei.

Questa recensione esce anche su www.lucianopignataro.it.

Campi Flegrei, tutte le novità della doc dal 2011

11 dicembre 2011

Lo scorso 26 ottobre 2011 è stato approvato con decreto ministeriale l’aggiornamento del disciplinare di produzione della d.o.c. Campi Flegrei, da tempo ferma ai dettami del ‘94, anno in cui era stata costituita.

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Modifiche importanti, che diverranno pane quotidiano già col millesimo 2011 in cantina, in uscita nei prossimi mesi del 2012; uno scatto in avanti a parer mio, intelligente e lungimirante, per una denominazione in forte ascesa che così facendo va confermando tutti i buoni auspici di affrontare questo particolare momento del mercato del vino con impegno e serietà produttiva, nella costruzione di una prospettiva per il territorio sempre più alettante, come ho imparato a leggere camminandoci le vigne e come vi stiamo cercando di proporre con sempre maggiore vigore; un territorio quello flegreo, capace di proporre ormai un ventaglio di assaggi ogni anno di qualità superiore e sempre più eterogenei, corrispondenti alle particolari caratteristiche di un areale storicamente vocato e sempre meglio interpretato di zona in zona.

Senza stare ad elencarvi tutte le novità, tra le quali anche accorgimenti tecnico-colturali-analitici, che comunque potete consultare con calma qui sul sito della Regione Campania, dove trovate tra l’altro tutte le modifiche ben evidenziate, queste sono quelle salienti più attese: anzitutto la modifica della doc Campi Flegrei bianco e rosso, con l’aumento della base ampelografica ammessa alla produzione: si spera così di dare maggiore vigore ad una etichetta praticamente mai utilizzata dai produttori. L’introduzione poi nella doc Campi Flegrei Falanghina, della versione passito (insisteva solo col piedirosso) e, nella stessa, l’opportunità di uscire con uno spumante dry o extra dry; infine, forse la più gradita delle novità, almeno per me, l’introduzione della doc Campi Flegrei Piedirosso o Pér e palummo rosato.

Altra novità, con un iter già ben avviato ma in via di definizione legislativa, sarà la possibilità di iscrivere sulle etichette delle bottiglie il nome della “vigna” o i suoi sinonimi, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale che potrà essere utilizzata nella presentazione e designazione dei vini DOP (ex doc e docg) ottenuti dalla superficie vitata che corrisponde al toponimo o nome tradizionale, purché rivendicata nella denuncia annuale di produzione delle uve prevista dall’articolo 14 del disciplinare ed a condizione che la vinificazione delle uve corrispondenti avvenga separatamente e che sia previsto un apposito elenco positivo a livello regionale. Elenco, come detto, di cui presto ne sapremo di più.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Pozzuoli, good news: Le Cantine dell’Averno, cominciamo dal Piedirosso dei Campi Flegrei ’10

7 dicembre 2011

Giusto per farvi capire subito dove vi trovate: siete a Pozzuoli, affacciati sul lago d’Averno, uno specchio d’acqua dalla forma ellittica che occupa l’antico cratere dove i romani posero l’ingresso agli inferi.

Cento metri sotto di voi, subito sulla sinistra, giacciono le rovine del Tempio di Apollo. In lontananza, a ore 12, il costone dello Scalandrone; dall’altra parte c’è il lago Fusaro. Nel mezzo, il cratere vulcanico spento, nato più o meno 4.000 anni fa, coperto da acque immote e scure; le ripide pareti che lo circondano sono coperte da boschi mentre quelle a pendenza dolce, proprio sotto di voi, sono occupate da vigneti, in parte terrazzati. Vigne straordinarie, quando in fioritura, nel loro pieno splendore, offrono un colpo d’occhio impagabile. Eppure è curioso come in questo luogo dove il verde e la natura splendono si racconti che in passato le acque esalassero tanto acido carbonico e gas da non permettere la vita agli uccelli: così il nome Avernus, dal greco Aornon, luogo senza uccelli.

In questo scenario nasce il sogno di Emilio e Nicola Mirabella, due fratelli, per quanto mi riguarda due amici di lunga data, soprattutto Nicola con il quale abbiamo condiviso tante bevute sin dai tempi del corso sommelier Ais. Era il 2000, con Franco Continisio come Maestro. Sì, s’è fatto anche quello Nicola, un corso per imparare a stare dinanzi a un bicchiere, ma non per sciorinare prosopopea a tavola, magari al ristorante, ma più semplicemente per imparare a leggere il vino, soprattutto il suo, “suo” anche se prodotto per tanti anni da altri a cui conferiva le uve.

Frattanto, un po’ alla volta, con il fratello hanno rimesso a nuovo il vecchio cellaio di famiglia, comprato i ferri del mestiere – tutti quelli utili e indispensabili -, chiamato in aiuto in cantina uno bravo, Carmine Valentino. Tutto questo senza nel tempo perdere mai di vista il vigneto: poco più di un ettaro e mezzo, a piede franco, tutto a per ‘e palummo con viti tra i 40 a i 60 anni d’età; poi altri 40 quintali circa di falanghina conferitegli dalle vigne confinanti di alcuni parenti. Tutto lì intorno al lago insomma. Appena 4.000 bottiglie in tutto, una per ognuno degli anni del lago, verrebbe da dire.

Il 2010 è il debutto: vendemmia svolta tutta a mano, con passaggi ripetuti in vigna; alcune particelle infatti sono giù, sul lungolago, in contrada Canneto, altre invece sulle terrazze che arrivano fin su via Strigari. Le uve pigiate col torchio, come si faceva un tempo, e lasciate fermentare in solo acciaio. Col 2011 appena in cantina invece si sta già lavorando a qualcosa di maggiore slancio: una falanghina, solo quella, che fa anche un breve passaggio in legno (di quelli piccoli e vecchi, ndr). Ma questa è un’altra storia che poi vi racconto. Promesso.

E’ molto severo Nicola, e pignolo. Raccontandomi dei suoi vini si dice abbastanza soddisfatto della falanghina, ancora poco convinto di questo per ‘e palummo: “l’idea è certamente un’altra, il piedirosso è una brutta bestia, ci stiamo lavorando su duramente, ma abbiamo una sola possibilità l’anno di metterla in pratica, per cui non vogliamo aver fretta, dobbiamo saper attendere”.

Invero non mi è dispiaciuto affatto questo vino. E’ vero, manca di lunghezza, al naso come in bocca, ma ha tanta piacevolezza, un ventaglio olfattivo di tutto rispetto ed un tessuto gustativo di estrema godibilità; mi ricorda, ad ogni sorso, quanto questo varietale sia sempre da tenere in considerazione quando si parla di vino oggi, di quei vini, intendo, capaci di conquistare il consumatore immediatamente, al primo sorso, per piacevolezza e bevibilità (oltre che per il prezzo, qui davvero encomiabile). Duemila bottiglie. Quattro euro franco cantina. Dovreste fare a cazzotti! Per quanto mi riguarda, buona la prima Nicò!

Questa recensione esce anche su www.lucianopignataro.it.

Intervallo. Qui Campi Flegrei

5 dicembre 2011

Pozzuoli, Campi Flegrei Falanghina Sintema ’10

23 ottobre 2011

Uno dei luoghi più suggestivi e vocati alla viticoltura nei Campi Flegrei è senza dubbio quello che in molti chiamano “O’ Scalandrone” (via Scalandrone), ovvero quel bellissimo costone che si erge dalla piana del lago d’Averno e si apre sul Lago Fusaro e quindi sul mare della vicinissima costa cumana.

Qui, in un ambiente pedoclimatico davvero unico e favorevole, da una quindicina d’anni cresce e matura l’azienda Cantine Babbo. Tommaso, la sua famiglia, hanno radici forti sul territorio, tra l’altro i Babbo sono anche apprezzati ristoratori di lungo corso, e proprio grazie a questa attività ultradecennale non hanno mai smesso di coltivare la terra, l’orto, per garantirsi e garantire ai propri avventori sempre materie prime di pregiata qualità. Così anche la vigna ha avuto il suo ruolo decisivo nella storia famigliare; pochi ettari, piantati perlopiù con falanghina e piedirosso, ma abbastanza da spingerli nel 1996 a strutturarsi in maniera tale da poter anche vinificare e commercializzare i loro vini. La cosiddetta filiera corta.

Oggi l’azienda è nelle mani di Tommaso, che cosciente della necessità di proporre un salto di qualità ai suoi vini, oltre che convertire lentamente le vigne vecchie con impianti nuovi e moderni, ha chiamato in cantina uno dei più validi tecnici campani sulla scena, quel Vincenzo Mercurio già apprezzato alla Mastroberardino di Atripalda, e oggi protagonista di una ascesa inarrestabile sulla scena enologica tanto da portarlo frequentemente in giro per il mondo come consulente di diverse e prestigiose aziende vitivinicole e al fianco di veri e propri luminari della materia.

Il risultato, in appena una manciata di anni è già palese e incoraggiante; questo vino infatti ne esce con un profilo del tutto soddisfacente, anzitutto sul piano della franchezza e della compostezza gustativa che in quanto a falanghina dei Campi Flegrei continuano ad essere elementi di riferimento assoluti per la tipologia e come non mai apprezzati ultimamente da larga parte dei consumatori quotidiani di vini bianchi. Il naso non è certamente ridondante, ma finemente agrumato ed erbaceo, il sorso è franco, secco, di buon corpo pur rimanendo lineare e gradevolmente vivace. Convince in particolar modo per la sostenuta sapidità che fa di questo vino un ottimo compagno di bevute in leggerezza.

Questa recensione è stata pubblicata questa settimana su Pozzuolidice, il quindicinale di informazione libera dei Campi Flegrei. Oltre a questo vino, abbiamo dato spazio, come è nostra abitudine, anche ad una ricetta d’autore (vedi qui) firmata dall’amico Andrea Migliaccio, chef del Ristorante L’Olivo del Capri Palace Hotel&Spa di Anacapri.

La Falanghina dei Campi Flegrei e i dieci vini da non perdere… refresh your mind, right now!

2 agosto 2011

Il vino dell’estate? Forse. Di certo c’è tutto un mondo da scoprire dietro ognuna di queste etichette; storie di una terra straordinaria, di persone che credono in quello che fanno ma soprattutto in quello che hanno da raccontare attraverso i loro vini. Ringrazio Luciano Pignataro per avermi chiesto di scrivere queste righe, da prendere essenzialmente come sintesi delle bevute più significanti di questa stagione di lavoro.

Nessuna classifica – come del resto son certo vi sia qualcuno dimenticato tra gli appunti -, ma solo un modo come un altro per ribadire quanto la mia terra, i Campi Flegrei, continui ad esprimere vini che meritano sempre più di essere bevuti più che raccontati. Infine un invito ai produttori, soprattutto ai “piccoli”, naturalmente senza la pretesa di essere ascoltato: specializzatevi, e puntate il mercato in senso verticale, non in orizzontale…

Nel pezzo, on line qui sul sito di Pignataro, si parla della Falanghina dei Campi Flegrei Agnanum ’10 di Raffaele Moccia, del Coste di Cuma 2009 di Grotta del Sole, della Falanghina Grande Farnia ’10 di Antonio Iovino; poi di Colle Spadaro, Cantine Astroni e di Cantine Di Criscio,  CarputoCantine del Mare, Michele Farro, senza dimenticare, dulcis in fundo, lo strepitoso Passio 2007 di La Sibilla.

Pozzuoli, Falanghina Grande Farnia ’10 Iovino

30 luglio 2011

Pozzuoli è un porto di mare, con la terra, tanta, lì a due passi tutto intorno; il mare lo senti ovunque, il suo ascendente, l’odore, talvolta il rumore: ti rapisce l’anima; e il cuore antico della città ne riporta segni indelebili. Così la terra su per le colline della città, o nel popoloso hinterland, generosa e procace: ma anche qui se ne sono fatti tanti di scempi, è ora di finirla!

Ed è proprio lì il segreto del successo di domani, il perno attorno al quale costruire un futuro plausibile, concreto, realizzabile; certo, appare lontano immaginare una realtà non più grumosa come quella attuale, impicciata in fatti e misfatti che non lasciano trapelare speranza, eppure bisogna consegnare alle generazioni future almeno un briciolo di radici solide, da cui rinascere, ripartire, sognare, lasciandosi alle spalle un presente confuso e per niente felice. Radici che ci sono, forti; basterebbe tornare e pensarle tali, a dare magari voce allo sguardo di uno qualunque tra i vecchi pescatori del Valjone, o un briciolo di dignità a chi ancora preferisce zappare e coltivare la terra invece di offrire il fianco a quelle mezze calzette che non sanno far altro che tirare la giacca al politicante di turno.

Antonio Iovino, dalle terrazze della sua piccola azienda agricola, in località Monte Spina, l’aria di mare la respira tutti i giorni, ed ha imparato a leggerlo il mare, con occhi colmi di rispetto; così come ha saputo dare valore alla sua terra, quella che sin da bambino amava camminare a piedi scalzi, quando aiutava i fattori a potare e legare le viti di falanghina e per ‘e palummo maritate ai pali; viti che avrebbero dato buon vino fresco e leggero da rivendere ai sempre affollati ristoranti lì sul porto. Quella di Antonio in fondo, è una storia semplice: un giovane – oggi poco più che quarantenne -, che più o meno una dozzina d’anni fa ha scelto di continuare l’antica vocazione agricola di famiglia piuttosto che piantare, tra i suoi filari coltivati a spalatrone, assi d’acciaio e colate di cemento. “Qui la terra è argillosa e ricca di sostanze indispensabili per la vite, come fosforo, ferro, magnesio, tutti elementi che concorrono ad ottenere vini di buona sostanza e qualità ineccepibile, sarei stato un matto a pensarla diversamente”.

Ecco allora di cosa avremmo veramente bisogno nei Campi Flegrei, di tanti matti capaci di saper scegliere tra la terra ed il cemento! Quanto valore ha una pazzia del genere? Eppure, ma forse non a caso, l’azienda di Antonio, rimane una delle poche vigne di città strappate all’abominevole speculazione edilizia esplosa dopo il rientro dell’emergenza bradisismo, oggi, con vanto, un piccolo fiore all’occhiello della viticoltura flegrea. 

Così, per questo vino, l’ispirazione per il nome Grande Farnia, perché come una quercia, qui sulle colline intorno al vulcano Solfatara, la vigna è stata capace di resistere al tempo ma soprattutto agli uomini; una vigna generosa, baciata dalla brezza marina e benedetta da importanti escursioni termiche. Il vino si offre di un colore paglierino tenue ma cristallino, il naso è subito vivace ed immediato, su sentori erbacei e frutti a polpa bianca, nonché accompagnato da una intrigante nota salmastra che ne rivela tutta l’essenza territoriale; la beva è asciutta, fresca, snella e sapida, difficile non ritornarvi ancora, ancora e ancora.

Ancora una vigna di città protagonista assoluta questa settimana sulle pagine del quindicinale di informazione libera Pozzuolidice. Tocca ad Antonio Iovino e la sua minuscola azienda in località Monte Spina salvaguardare la tradizione agricola puteolana. La ricetta invece è come sempre affidata all’estro della nostra Ledichef.

Quarto, Falanghina dei Campi Flegrei ’10 Carputo

16 luglio 2011

Di Carputo, più che la storia, ho bene in mente quante ne ho stappate di bottiglie; a metterli in fila, i tappi, si sarebbero coperti, senza esagerazione, chilometri. Erano, c’è da aggiungere, altri tempi, sto parlando di almeno una quindicina d’anni fa; ricordo che il per’ e palummo scorreva a fiumi mentre la falanghina non faceva in tempo a varcare la soglia del frigo che subito usciva in tavola.

Un successone insomma, sia per i numeri tra le mani del buon Antonio Palma, che ne curava le sorti commerciali su Pozzuoli e dintorni, che per il gradimento, indubbiamente alto, da parte di tutti gli avventori del ristorante dove mi dimenavo da ragazzino, la Fattoria del Campiglione; il perché era piuttosto semplice da individuare: vini fini, sottili, lineari come l’areale meglio non riusciva a fare, e a prezzi decisamente alla portata, allora come del resto oggi.

C’è da premettere che Quarto non ha mai goduto di una particolare vocazione vitivinicola, e segni distintivi che ne elevino le vigne a cru imperdibili ve ne sono oltretutto ben pochi; il clima qui è bizzoso e tremendamente umido, in certe estati poi rimane costantemente caratterizzato da una canicola a dir poco sfiancante.

Le condizioni cambiano invece proprio sulla collinetta di Viticella, dove la vigna – coltivata ancora con sistemi tradizionali – riesce, grazie alla sua collocazione che domina la piana quartese, a godere di maggior respiro e – data anche la particolare conformazione dei terreni di natura tufacea – di una migliore condizione pedoclimatica complessiva, facendone così un luogo d’elezione sia per il piedirosso ma anche e soprattutto per la falanghina; qui, come dimostra questo vino, il vitigno pare ravvivarsi notevolmente, e soprattutto, grazie anche alle repentine escursioni termiche che si succedono tra giorno e notte, maturare frutti sani, integri, che esprimono vini sì di bassa gradazione alcolica ma connotati di una rinfrancante freschezza gustativa; elementi questi che contribuiscono in maniera decisiva a farne vini assai apprezzati in accompagnamento alla cucina tradizionale napoletana, sia essa quella marinaresca e schietta dei piccoli e grandi ristoranti di Napoli e provincia, sia quella lenta e godereccia della tavola della domenica partenopea.

Del resto spesso ci si dimentica quale sia il ruolo principale del vino, almeno per quanto riguarda il nostro modo di vivere l’argomento a tavola, e cioè funzionale a tutto un pasto completo e non ad una singola portata: l’abbinamento cibo-vino infatti è una voluttà, pur nobile, che poco appartiene alla nostra cultura enogastronomica, che vuole invece, e spesso addirittura lo impone, vini leggeri e poco impegnativi che vadano ad accompagnare i piatti più che a sostenerli. E quando si hanno tra le mani bottiglie come il nostro per’ e palummo o la nostra falanghina non si va certo alla ricerca, escludendo quelle poche e rare interpretazioni, dell’opulenza o della grassezza, elementi questi, a primo acchito, sempre poco avvicinabili sia all’una che all’altra faccia della nobile tradizione vitivinicola flegrea; la semplicità prima di tutto, primaria espressione della nostra cultura enoica, poi tutto il resto.

Continua l’appassionato racconto della splendida vigna flegrea sulle pagine del quindicinale di informazione libera Pozzuolidice. Questa settimana  nella nostra rubrica di enogastronomia vi raccontiamo anche di una gustosa ricetta, da non perdere, per preparare in maniera diversa il pesce bandiera.

Falanghina dei Campi Flegrei ’10 Colle Spadaro

3 luglio 2011

Camminare i Campi Flegrei, la nostra terra, è un esercizio che pare mancare a molti, diciamocelo francamente; badate bene però, dico camminare, con i piedi ben saldi per terra, e non girare magari in auto come qualcuno spesso preferisce fare. Ma se proprio ne siete schiavi, dell’auto intendo, vi do una dritta da non mancare, nemmeno difficile da verificarne la giustezza.

La strada provinciale che da Pozzuoli conduce a Pianura, oltre a rappresentare un annoso problema di viabilità intercomunale – per le buche, la scarsa illuminazione, l’immane scarico selvaggio dei rifiuti – pare meritare comunque una “curva stretta a sinistra” proprio poco prima di entrare sul lungo vialone che taglia in due il popoloso quartiere napoletano: da un lato c’è via Sartania, che lentamente, costeggiando il parco monumentale degli Astroni, discende verso Agnano, dall’altro invece gli edifici ammassati gli uni sopra gli altri che anticipano la collina dei Camaldoli.

Poco prima, dicevo, basta voltare per la collina degli Spadari, un luogo ameno, così chiamato dai romani perché qui venivano forgiate le loro spade, un lembo di terra dove lentamente la campagna cerca di rifarsi sugli abusi edilizi subiti.

Qui Ciro Riccio, detto Giro e’ schiass per le genuine guance rosse in viso, iniziò nel 1952 a piantare, tra un seminato e l’altro, viti di falanghina e di per’ e palummo; oggi a condurre l’azienda c’è il genero Luca, che con sua figlia Maria si occupano a tempo pieno sia della cantina che dell’azienda agricola; qui, infatti, insiste anche un piccolo allevamento di maiali e di animali da cortile, oltre che una sana coltivazione di verdure e pomodori che finiscono puntualmente in conserve dal sapore antico. Elementi questi che contribuiscono certamente a stuzzicare ancor più la curiosità dell’avventore.

Bene. Tornando al vino, le bottiglie prodotte dalle sole vigne di proprietà sono poco più di 15.000, ognuna testimonianza di una promessa di continuità fatta a suo tempo a papà Ciro, nonché di un legame indissolubile con la propria terra anche per le nuove generazioni. Dei vini di Colle Spadaro mi piace anche il piedirosso, sbarazzino, pulito, franco, proprio come questa falanghina: un bianco sincero, devo ammettere continuamente una sorpresa con i suoi 12 gradi e mezzo in perfetta armonia con una giusta acidità e maturazione del frutto.

Una falanghina proprio deliziosa, vestita col suo colore più classico, giallo paglierino con chiare nuances verdoline, cristallino e pieno di fascino; il primo naso non è ampissimo – ma quale falanghina flegrea ne è capace? -, è però efficace e di sostanza; vi si riconoscono, nitidi, sentori di fiori bianchi e di frutta a polpa bianca, mela verde e pera, poi uno sbuffo che tende all’agrumato. Palato asciutto, freschissimo e di ottima sapidità, forgiato da quella mineralità classica e ad ogni assaggio nuova che caratterizza quasi tutti i vini flegrei. Il classico bianco da spendere all’aperitivo o magari durante quelle cenette informali, tra amici, quando il vino pare non bastare mai.

Questo articolo è appena uscito sul quindicinale di informazione libera Pozzuolidice nella nostra rubrica di enogastronomia dove troverete, tra l’altro, anche una nuova gustosa ricetta della nostra Ledichef Lilly Avallone. Questa settimana ritorniamo inoltre a rendervi conto del significato della nostra valutazione in “stelle” dei vini proposti.

Campi Flegrei Falanghina 2009 Cantine del Mare

9 aprile 2011

Cantine del Mare, Monte di Procida (NA)

Monte di Procida nell’immaginario collettivo di noi flegrei è sempre stata terra di partenza; a buttare uno sguardo agli albi comunali si leggono tracce che raccontano anni di migrazioni di massa; spesso intere famiglie, a volte più generazioni che hanno lasciato questo piccolo comune dei Campi Flegrei per raggiungere mete lontane talvolta migliaia di chilometri: Stati Uniti, Canada, sud America le destinazioni più ambìte; più di una volta senza fare ritorno, se non per la vecchiaia. Monte di Procida annovera anche una marineria tra le più esperte in forza alle numerose compagnie multinazionali di shipping che solcano i mari di tutto il mondo; gente esperta ed impavida, che porta nel proprio dna un legame fortissimo con il mare.

Gennaro Schiano aveva un’idea che gli frullava nella testa da anni; no, non quella di lasciare la sua terra natìa, sentiva anzi sempre più forte l’esigenza, l’impellenza, di piantarvi radici ancora più profonde; così la passione per il vino ha preso il sopravvento, l’idea di una terra in movimento è divenuto un progetto solido e duraturo; si gode così, dalle sue vigne, lo splendore del mare d’inverno, e gli straordinari tramonti all’orizzonte: oggi a girare il mondo preferisce mandare le sue bottiglie di vino, falanghina e per e’palummo.

Così nel duemilatre nasce Cantine del Mare, con la collaborazione dell’amico Pasquale Massa, a cui tocca fare divulgazione, e del giovane Gianluca Tommaselli a cui sono state affidate le redini della piccola e suggestiva cantina in tufo di via Cappella. Le uve predilette, come detto, sono quelle tradizionali flegree; con la falanghina, oltre al delizioso bianco di cui vi parlo oggi, viene prodotto anche un interessante vino spumante, il Brezza Flegrea.

Con questo vino di Cantine del Mare inauguriamo il nuovo corso bianchista della nostra rubrica, che nelle scorse settimane aveva volutamente dato ampio spazio soprattutto al piedirosso, vitigno decisamente meno diffuso della falanghina nei Campi Flegrei, ma non per questo meno ricercato. Nelle prossime uscite quindi vi racconteremo approfonditamente dei nuovi bianchi 2010, anche in virtù di una primavera che, a dispetto del calendario, tarda sì ad arrivare ma, che non possiamo non sentire già nell’aria. Iniziamo però da un duemilanove, dal vecchio millesimo per intenderci, dove eravamo rimasti. Un bianco, questo di Gennaro, essenziale ed immediato, lieve, minerale, franco, proprio come penso debba essere una falanghina della nostra terra; in questo momento, dopo un anno e più di bottiglia, nel suo momento migliore, è al suo apice espressivo. Qui la marcia in più è la sapidità, quella gradevole sensazione di compiuta bevilibilità che solo certi bianchi sanno offrire, e la “nostra” in questo caso ne è regina; un bianco leggiadro, fine ed elegante, che solletica il palato ma non affonda le unghie, che infonde calore ma non appesantisce il palato. Un bel biglietto da visita per i Campi Flegrei!

Questo articolo è stato pubblicato questa settimana su Pozzuolidice nella nostra rubrica di enogastronomia dove abbiamo offerto ai nostri lettori anche una fresca e saporita ricetta di mare consigliataci qualche tempo fa dall’amico Carmine Mazza de Il Poeta Vesuviano di Torre del Greco; piatto perfettamente abbinabile a questa sottile e finissima falanghina flegrea. Ne “il Dizionario del vino” inoltre,  anche un nuovo termine per imparare “a leggere” il vino.


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