È una partita a scacchi quella di Luigi Moio, giocata senza la ricerca di avversari e con obiettivi ben precisi; l’accompagnano il tempo, questi primi 20 anni di Quintodecimo e un territorio straordinario caratterizzato da panorami e vigne rigogliose coltivate lungo crinali e colline circondati da boschi e ulivi secolari nelle aree di maggiore vocazione del territorio irpino.
É infatti una partita a scacchi anzitutto tra l’uomo Luigi e l’accademico Moio, giocata colpo su colpo con le visioni e le esperienze del primo e gli strumenti e le certezze del secondo, l’intuito e il pragmatismo dello scugnizzo volato in Francia a farsi le ossa e il Professore irreprensibile che gira in lungo e in largo vivendo però intensamente il suo centro di gravità permanente tra le vigne di Aglianico e Falanghina, Fiano e Greco distribuite tra Mirabella Eclano, Lapio e Tufo.
Quella del drammaturgo Giuseppe Giacosa si giocava invece in un castello del XIV secolo tra il bel paggio Fernando e Iolanda, figlia del nobile Renato e abilissima nel gioco degli scacchi, ignara della scommessa stretta tra il proprio padre e il giovane Fernando: se vincesse questi, lei gli andrà in sposa, mentre se vincesse la giovane, lui dovrà morire. Durante la partita però Iolanda s’innamora del paggio tanto da lasciarlo vincere, ottenendolo così per marito, per la gioia del proprio padre pentitosi nel frattempo dell’eccessiva posta in gioco nel caso fosse stato Fernando a perdere.
Il simbolo più evidente (sui bianchi) di questa partita è questa Grande Cuvée Luigi Moio duemiladiciotto, si compie infatti con questo vino un viaggio nella memoria del tempo, attraverso il bellissimo Dominio di Quintodecimo oggi costituito da trenta ettari distribuiti nei tre nuclei di Mirabella Eclano, Tufo e Lapio. Territori e terreni diversi tra loro, interamente coltivati in biologico che qui Moio prova a raccogliere e raccontare a suo modo, dopo questi primi 20 anni, con la stessa gioia ed ambizione di chi ci ha creduto sin dal primo momento, da questa o da quella parte del palcoscenico.
Il vino esce come Irpinia bianco doc, è composto per il 40% da Greco di Tufo che vi partecipa con la sua impronta tannica e la sua elevata acidità, ma anche corpo e struttura capaci di donare longevità al vino. La Falanghina, per il 20%, partecipa con vivacità e leggerezza, tensione e bevibilità, mentre il restante 40% è Fiano di Avellino, il varietale dell’eleganza, dell’intensità e complessità olfattiva, quota che infonde finezza e giusta progressione gustativa. La Grande Cuvée Luigi Moio viene lasciata fermentare per il 60% in barriques nuove di rovere francese e per la restante parte in acciaio, successivamente alla lunga sosta sui lieviti, almeno 8 mesi (di cui 6 già assemblata) è messa in bottiglia dove matura per almeno due anni prima dell’uscita in commercio.
E’ un bianco sontuoso, dal colore paglierino oro luminoso, il primo naso è finissimo, avvenente e persuasivo, manifesto di fiori gialli e frutta polposa dolcissima, vieppiù sentori di macchia mediterranea, anche melliflui, con note balsamiche a tratteggiare complessità e persistenza olfattiva; il sorso è secco, pieno e sapido, lungo e gratificante, intessuto di quella opulenza mai ostentata che solo i grandi vini sanno regalare. E’ questo il vino bianco campano che prova a dare Scacco matto al Re!, sfidare cioè senza più remore ne timori reverenziali i grandi bianchi francesi!
Poscritto: ricordo come fosse ieri quella prima bottiglia di bianco uscita dal cilindro di Mirabella Eclano di Laura e Luigi, quell’Exultet duemilasei anticipava i tempi, forse anche troppo repentinamente, molti infatti si ritennero spiazzati, taluni nemmeno vollero metterci il naso, pur mettendoci volentieri bocca, a sproposito. Quel vino però consegnava già tanto agli occhi e al palato (dei più attenti) di cosa sarebbe diventata di lì a poco quest’azienda, per il panorama campano e per il vino italiano e cosa ci avrebbe regalato Moio negli anni a seguire con le sue letture, certe esecuzioni magistrali sino al compimento, con questa Grande Cuvée – non a caso reca in etichetta il suo nome -, della comunione tra Greco di Tufo, Falanghina e Fiano di Avellino.
P.S.: Una partita a scacchi, opera teatrale del narratore e drammaturgo G. Giacosa (1847-1906) di un atto, composta nel 1871 e rappresentata a Napoli il 30 aprile 1873, è tratta da un episodio “grivois” del cantare cavalleresco Huon de Bordeaux (sec. XIII), scambiato dal Giacosa per una romanza provenzale.
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