Ho conosciuto Alfonso Arpino un paio di anni fa, lo accompagnava la moglie Anna, eravamo tutti ospiti della famiglia Varchetta di Cantina Astroni nella loro deliziosa taverna, lì in azienda proprio ad un tiro di schioppo dal cratere dell’oasi naturale degli Astroni, a Napoli. Complici, il giornalista amico comune Luciano Pignataro, l’enologo di casa Gerardo Vernazzaro e tra gli altri, alcuni altri amici, non senza ciccio formaggio e svariate bottiglie di vino, più o meno all’altezza della situazione conviviale.
Parlammo francamente, la semplicità disarmante delle sue parole nel raccontarmi della sua azienda era pari solo alla sfrontatezza con la quale Gerardo aveva deciso di seguirlo, nonostante, così mi disse, fosse comletamente all’oscuro di conoscenze specifiche sul varietale. Il tintore di Tramonti, sino ad allora era praticamente sconosciuta ai più, e sino a pochissimo tempo prima, praticamente sconsiderata anche da enologi ed enotecnici, tanto che i vignaioli locali più acerrimi rischiavano di passare per matti a non volerla espiantare per far posto a varietà bianche o rosse più malleabili o certamente più redditizie. Per il Tintore (come per l’ aglianicone, la catalanesca bianca, sanginella bianca, castagnara, suppezza, e sabato) sono ancora in corso gli studi ampeolografici di rito da parte della regione campania per accertarne definitivamente le caratteristiche qualitative, ma la storia di questo pezzo di Costiera ci consegna tra le viti coltivate a raggiera di Monte di Grazia alcuni ceppi addirittura ultracentenari, di cui Alfonso va fiero e ne è strenuo difensore.
L’azienda nasce nel 1993, praticamente per non lasciare abbandonati a se stessi i vigneti di famiglia, Alfonso è medico condotto del paese di Tramonti, pertanto le origini sono forti ed inattaccabili, come la passione che lo lancia in questa avventura. Dal 1997 l’intera filiera è votata al biologico, una scelta resasi necessaria, per salvaguardare il patrimonio vitivinicolo e dare, semmai ce ne fosse stato bisogno, ancora più risalto al grande lavoro di valorizzazione messo in campo: solo alcuni gli accorgimenti utilizzati per la coltivazione tra i quali l’antica pratica del sovescio e l’utilizzo di letame della stalla come concime, il rame e lo zolfo a difesa della vite dalla peronospora e dall’oidio. Nel 2003 avviene l’incontro con Gerardo che si vede praticamente piombare in Cantina proprio Alfonso Arpino, con due bottiglie in mano: “questo è il vino della mia terra, dimmi cosa ne pensi, ma prima devi venire con me a Tramonti, devi vedere dove nascono”. Lui, Gerardo, prima di allora, come detto, era praticamente a digiuno di questo pezzo della Costa d’Amalfi, in maniera assoluta di tintore, eppure accetta da subito la sfida: “è una varietà incredibile, tira fuori vini incredibili, con un estratto in zuccheri sui 20-22 gr (!), quindi con un potenziale alcolico conseguente superiore almeno ai 14 gradi conservando però acidità elevatissima, nonostante l’alta percentuale di zuccheri; Era qualcosa che meritava di essere studiata, capita, valorizzata”.
Di qui il percorso intrapreso non ha avuto passi falsi, certo gli inizi non sono stati semplici, e presto ne racconterò la verticale storica, che di questo piacevolissimo rosso riesce a tracciarne, inesorabilmente, il profilo eccelso della crescita qualitativa ed interpretativa sino ad oggi espresso, non prima però di lasciare il giusto spazio a questo delizioso rosso bevuto, dal bellissimo colore vivace, limpido ed invitante. L’imprinting olfattivo è superbo, intenso e complesso come pochissimi rossi campani sanno essere così in “giovane” età, reso estremamente elegante dal tempo trascorso in bottiglia ma assolutamente in divenire: pare un tratto distintivo varietale l’incipit di pepe nero ed erbe aromatiche, poi vengono fuori sottili e pregiati sbuffi floreali e fruttati maturi, viola, ciliegia nera, piccoli frutti di sottobosco. In bocca entra come un vinone, acidità in primo piano, tannino a confermare la regola che non c’è, a fargli da spalla, più sottile, ma c’è. Un sorso dopo il palato si tranquillizza, non troppo, ma si distende in una beva ricca e vivace, carica di frutto, di mineralità e piacevolezza da strappare baci ed abbracci. Forse un vino da portarsi dietro per tanti anni ancora, da sfoggiare magari su quelle belle salsicce al ragù di una volta, o magari sulla lasagna del martedì grasso; Oggi è un vino senza compromessi, ma con poco meno di duemila bottiglie l’anno c’è ben poco da accondiscendere: o lo ami, oppure?
Tag: alfonso arpino, cantina astroni, costa d'amalfi, gerardo vernazzaro, monte di grazia, tintore
4 marzo 2010 alle 11:19 |
[…] Gaetano Bove dell’azienda agricola San Francesco, Alfonso Arpino dell’azienda agricola Monte di Grazia e Luigi Reale dell’azienda omonima situata nel fascinoso Borgo di Gete, di aprirci le […]
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10 marzo 2010 alle 15:05 |
[…] ci lasciamo Gete alle nostre spalle e ritorniamo giù per andare a dare una occhiata alla cantina Monte di Grazia di Alfonso Arpino, lungo la strada una sosta, doverosa, al vigneto “Madonna del […]
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22 marzo 2010 alle 12:10 |
[…] beva da vendere, sapido. Da ricordare e rivangare ogni qual volta si è in cerca di un confronto (qui una […]
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24 marzo 2011 alle 11:28 |
[…] Qui e Qui altre suggestioni sui vini di Monte di Grazia e su […]
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