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Tramonti, il Melogna 2017 di Monte di Grazia

6 settembre 2018

Che luogo meraviglioso che è Tramonti! Se stai giù in Costiera a fare vacanza non puoi non farci un pensiero nel venirci a passare qualche ora a camminare le vigne, prendere un poco di frescura, magari portare via qualche buon formaggio fresco e bottiglie di vino.

Questo luogo è portatore sano di piacevolissimi ricordi, di storie di amicizia con persone speciali. Alfonso Arpino e la sua famiglia sono un grande esempio di civiltà rurale, rispetto e valorizzazione del territorio, delle varietà autoctone qui coltivate e di tutto quello che è buono, pulito e giusto da scoprire e portare con se.

Lui, medico, uomo di scienza, non smette mai di ripeterlo: ‘’non sono un contadino ma ho sempre avuto una grande passione per l’agricoltura di questi luoghi, un enorme rispetto per questa terra unica, ha permesso ch’io studiassi, era quindi necessario rendergli un pezzetto della mia vita per quanto mi ha donato!’’. Qui¤ e qui¤ raccontiamo tanto e tutto il bello che c’è da sapere su Monte di Grazia¤ e la famiglia Arpino.

Oggi ad occuparsi a tempo pieno dell’Azienda sono i figli Olivia e Fortunato ai quali Alfonso ed Anna hanno trasmesso tutta la loro straordinaria passione nel coltivare la vigna, carezzare i suoi frutti, fare il vino, raccontarlo con tutto l’amore possibile.

Sono davvero autentici i vini di Tramonti, unici e quasi irripetibili. I capricci delle ultime vendemmie hanno per questo consegnato a Fortunato, che oggi si occupa a piè mani della cantina, tante riflessioni, suggerito alcune scelte, obbligandolo a non mostrarsi timido di fronte ai protocolli ma soprattutto a non perdere mai di vista la cosiddetta ”prudenza contadina”; così nasce Melogna, raro esempio di Pop Wine per nulla scontato, una vera chicca per chi è alla ricerca di piacevoli scoperte! E’ un rosso delizioso, vivido nel colore e ammiccante al naso, molto saporito. E’ Composto in larga parte da uve Piedirosso e Tintore, con un saldo di altre varietà tipiche quali Moscio, Olivella e Sciascinoso che contribuiscono a donare al vino estrema freschezza e bevilibità. Da tenere in fresco e portare in tavola alla prima occasione, vino piacevolissimo che regala una beva succosa e leggera.

L’Arcante – riproduzione riservata ©

Furore, Ravello rosso Riserva ’07 Marisa Cuomo

17 aprile 2012

Leggi Marisa Cuomo e pensi subito all’ennesima recensione del suo Fiorduva. Ed invece no. Tra l’altro, almeno per quanto mi riguarda, sono almeno quattro/cinque anni che gli preferisco – di gran lunga – il Furore “base”: si mostra, anche quando con un paio d’anni alle spalle, decisamente più fresco, dinamico, imprevedibile, in particolar modo al palato.


E’ bene però fare un paio di precisazioni. Oggi l’azienda è senza dubbio tra le più conosciute e riconosciute della regione, ormai le bottiglie di Marisa e Andrea Ferraioli svettano meritatamente nell’olimpo dell’enologia italiana. E gran merito è senz’altro del loro Furore bianco Fiorduva che ha contribuito senza dubbio alcuno a spostare definitivamente l’attenzione ai vini bianchi italiani quaggiù alle nostre latitudini: altro che Collio e chardonnay langaroli. A questo va aggiunto poi il contesto che ne alimenta il mito: appare quasi incredibile che su queste rocce si facciano vini di tale suggestione, si è cioè talmente pazzi da coltivare vigna strappandola letteralmente alla montagna e ai dirupi e gli strapiombi sul mare della Costiera. Sì perché le vigne da queste parti vivono praticamente sdraiate sulle rocce a picco sul mare. Bene quindi l’azienda, ma decisamente straordinario il territorio!

Il circondario se vogliamo è anche abbastanza circoscritto, rimane però molto complicato e disagevole spostarsi anche da una sola vigna all’altra proprio per le particolari condizioni ambientali in cui si fa viticoltura. Ecco perché si parla di Vini Estremi. Poi ci sono i varietali, taluni assolutamente unici, altri praticamente rinvigoriti proprio da questo terroir così straordinario. Pensate ad esempio ai bianchi fenile, ginestra e pepella; il primo è un vitigno che dona vini di rara eleganza, ma necessità di cure maniacali a causa della sua particolare sensibilità alle muffe. La ginestra, spesso confusa ed associata alla più conosciuta falanghina per la sua abbondanza colturale trova qui, in Costa d’Amalfi, una particolare integrità olfattiva che sa, appunto, di ginestra. La pepella invece rappresenta la memoria storica del territorio: poche vigne, piuttosto vecchie ma di estrema funzionalità all’assemblaggio finale dei vini.

Poi ci sono i rossi, c’è anzitutto il piedirosso o per’ e palummo, così chiamato dal rosso dei pedicelli degli acini che richiama il colore vivo delle zampette dei colombi. Sappiamo bene come va col vitigno (leggi qui), eppure certi vini qui in costiera montano caratteristiche davvero incredibili. Vale la pena poi ricordare lo sciascinoso, o il tintore di cui spesso ho già raccontato su queste pagine (ad esempio qui) e del tronto, altra varietà locale spesso però sovrapposta al più tradizionale aglianico.

Ma veniamo a questo bel rosso, insolito da trovare sulle carte ma senza dubbio fortunato e raccomandato con gran piacere. L’idea è quella di valorizzare l’intero territorio delle sottozone della Costa d’Amalfi, così dalle uve raccolte nei comuni di Ravello e Scala, dai migliori grappoli e quando l’annata lo consente, nasce questa questa Riserva. Da un punto di vista strettamente colturale cambia ben poco, le uve rimangono il piedirosso e l’aglianico per il 70% e 30%, la differenza sostanziale con il Furore rosso Riserva sta nell’affinamento, laddove per questo Ravello rosso Riserva infatti vengono, per scelta, utilizzate solo barrique nuove di media tostatura. Pur pagandone sull’immediato una qualche insistenza boisé di troppo, debbo dire che alla lunga – l’ho riassaggio oggi dopo un anno e mezzo dalla sua commercializzazione, ndr – viene fuori un varietale abbastanza ben definito e di gran piacere degustativo.

Il colore conserva una splendida veste rubino-granata con ancora qualche sfumatura porpora. Il naso è intenso, piuttosto ampio ed intriso di note floreali e confettura di prugna e piccoli frutti neri; l’accompagnano poi note di caffé appena macinato e brevi sussulti un po’ salmastri e un po’ terragni. In bocca è asciutto, forse brevilineo ma decisamente appagante. Non punta certo a scolpire il palato, è evidente, ma la beva, al secondo e poi al terzo passaggio regala ogni volta un sorso invitante e ben risoluto, di finissima fattura e lauta piacevolezza gustativa. Io lo riberrei, anche subito.

Tramonti, Monte di Grazia bianco 2009

24 marzo 2011

E’ decisamente complicato scrivere serenamente di vino quando praticamente a due passi da casa tua imperversa la guerra; eppure, nonostante l’aria appaia così pesante, è indubbio pensarlo, più difficile forse è renderne l’idea, butto giù qualche riga per rasserenarmi.

L’occasione è rappresentata “da due dita di bianco” lasciate in frigo in bottiglia aperta, più o meno per una settimana; un assaggio folgorante, ne rimango rapito. Vado così ricercando tra le righe di qualche vecchio scritto passato su questo blog conferma di quanto i vini di Alfonso Arpino¤ riescano, come e più di altri, costantemente a lasciarmi un segno profondo ad ogni bevuta, continuando inesorabilmente a sorprendermi per l’incredibile personalità che esprimono; Tramonti poi, con i suoi scenari, e il nuovo che avanza, fa indubbiamente la sua parte.

Il caso, ma non tanto per caso aggiungo, ha voluto oltretutto rimettermi dinanzi ad un assunto lasciato quasi volontariamente decantare per circa un anno, nonché ad una riflessione; in Campania ci sono luoghi del vino ancora troppo poco esplorati, che hanno sì necessità di essere portati alla ribalta della cronaca enologica, ma con attenta parsimonia; da un lato un patrimonio da salvaguardare, spesso non solo vitivinicolo, che subisce quasi, quell’impellente necessità di essere sempre più riconosciuto, valorizzato, per sfuggire alla confusione di un mercato dove continua a regnare sovrano l’aspetto economico a discapito di quello emozionale, e faccenda quasi tutta nostra, il profilo identitario del varietale piuttosto che quello territoriale. Poi l’incomprensibile, per i forestieri in particolar modo, frammentazione produttiva campana; certamente un valore assoluto, una biodiversità incredibile, come si potrebbe non pensarlo, eppure profondamente misconosciuta; e quando trattata, considerata in maniera troppo superficiale.

Il Monte di Grazia bianco 2009, nasce da uve biancatenera, ginestra e pepella, varietà autoctone allevate perlopiù in tutto il circondario della costa d’Amalfi ma che trovano qui a Tramonti una caratterizzazione davvero particolare, un areale avvicinabile per certi versi forse solo a poche altre regioni vitivinicole del mondo, capace di esprimere vini che coniugano una forza caratteriale incredibile, tipica per esempio di certi Chablis, e l’eleganza, magistrale, pari solo ad alcuni finissimi riesling d’Alsazia.

Poco più di milleduecento bottiglie – sia chiaro, da tempo esaurite, ma il duemiladieci che verrà presentato tra poche settimane non è certo da meno – per un vino simbolo del suo territorio; in cantina tutto il lavoro di vinificazione avviene in acciaio così da preservare tutto il carattere esuberante di uve che sembrano conservare nel proprio dna un animo rupestre difficilmente confondibile, tant’è che proprio con l’annata duemilanove si è deciso di utilizzare in fermentazione solo lieviti indigeni per non dissiparne il prezioso valore. Il vino esprime un bellissimo colore paglierino, decisamente cristallino. Il primo naso è esuberante, l’imprinting è indubbiamente agrumato con evidenti variazioni sul tema, dalla foglia di limone alla scorza di mandarino, con continui richiami di macchia mediterranea e nuances balsamiche; poi ci si rende conto di quanto possa fare solo del bene lasciare aprire questo vino, un ventaglio olfattivo marcatamente minerale prende il sopravvento segnandone una eleganza a dir poco stupefacente, una verticalità da brividi per un vino che, tra l’altro, garantisce con i suoi 12 gradi alcolici (il 2010 sarà 11,20!) una bevibilità incredibilmente esaustiva! Avete ancora qualche dubbio su quale bianco puntare per l’estate prossima?

Qui¤, qui¤ e qui¤ altre suggestioni su Monte di Grazia e Tramonti.

Tramonti, verticale storica Monte di Grazia rosso

22 marzo 2010

Comunicare il vino, con tutto l’amore possibile! E’ una promessa che ho fatto a me stesso, che ho maturato negli anni, che ho consegnato, spero nella maniera più chiara possibile, attraverso i miei scritti: un approccio al vino, sano, condiviso, meticoloso, fruibile, che continuerò a sviluppare in tutti gli anni a venire.

Credo nelle belle persone che ho incontrato sulla mia strada, camminando vigne e girando cantine, stappando e assaggiando (tantissime) bottiglie, correndo (tanto di più) tra i tavoli dei ristoranti dove ho avuto la fortuna di lavorare rincorrendo clienti dei più diversi e, grazie a questi e ai loro buoni consigli, tante belle esperienze raccolte in giro, utili ad insegnarmi come stare al mondo, in questo mondo del vino che mi appassiona sempre più e che rispetto sempre di più.

Credo nei cronisti del vino, non nei guru, guardo con attenzione, talvolta con ammirazione e rispetto agli “industriali del vino”, quando per industriali s’intendono due, tre, a volte cinque/sei generazioni di viticoltori; e credo nei loro vini, sani, puliti, acquistabili e che sono stati, indiscutibilmente, da esempio e modello, anche di contrasto, per tanti produttori nati successivamente: ci pensate ad una Irpinia senza Mastroberardino o ai Campi Flegrei senza Grotta del Sole, alla Toscana senza gli Antinori o i Frescobaldi, la Sicilia senza i Planeta? Credo infine nella biodiversità, ma non quella che ci hanno voluto propinare, strumentalizzandone il senso, con tutte le sigle del mondo e le fisime del momento, biodinamico e controculturale compresi, bensì quella che rispetta l’originalità e ne preserva l’autenticità riconoscendo tutti i limiti ad essi legati, piccole produzioni comprese. Stiamo sempre parlando di vino, o no?

Il Monte di Grazia rosso di Alfonso Arpino è un esempio lampante di ciò che può essere, in maniera disarmante, il prodotto di un terroir specifico, di un uva, ai più misconosciuta, eppure non viene prodotto su Marte, o grazie alla luna, e nemmeno usando corni e bicorni, solo amore per la propria terra, intraprendenza tecnica indispensabile e tanta tanta passione.

Monte di Grazia rosso Campania igt 2003 L’inizio di tutto. Si potrebbe presentarlo come un gioco, un hobby da puro “garagiste”, o più semplicemente come un (in)cosciente tentativo di dare libero sfogo ad una propria idea di coniugazione dell’amor per la propria terra, fattostà che dalle vigne secolari di Madonna del Carmine parte con il raccolto 2003 l’avventura di Alfonso Arpino-vigneros: appena 3 dame da 54 litri, per allietare le domeniche del sempre austero inverno o come spesso è accaduto, da offrire agli amici più stretti. L’annata la si ricorda in generale per l’andamento piuttosto siccitoso nonchè per il tremendo caldo agostano, ma qui a Tramonti, per il tintore in particolare, è stata un’ottima annata: uve sane, ricche di frutto, giunte a piena maturazione senza particolari problemi. Il colore è affascinante, pare di un Taurasi della prima ora, decisamente virato su note granato-aranciate e limpido. Il vino possiede ancora una decisa consistenza, ne è testimone la poca trasparenza. Il naso appare inizialmente esile, e non ha, per tutta la sessione di degustazione, espresso particolare complessità, ma il varietale è pienamente riconoscibile, il timbro speziato è nitido, sottile ma continuo come i sentori di frutta secca e terra che si presentano man mano che il vino è rimasto nel bicchiere. In bocca è secco, l’ingresso è caldo e piuttosto compatto sino alla deglutizione, ha conservato un buon equilibrio gustativo e solo sul finale viene fuori una nota lievemente amarognola. Un vino sicuramente evocativo.

Monte di Grazia rosso Campania igt 2004 Annata difficile, particolarmente fredda, disarmonica come poche prima e nessuna dopo, uve con acidità senza freni e poco e nulla da contraltare. Colore tendente al granato, trasparente, quasi nebbioleggiante. Naso subito terziario, etereo, note smaltate, resinose, alla lunga anche note di cuoio ed il sempre presente speziato di pepe nero. In bocca è particolarmente asciutto, secco e caldo, tannino e acidità quasi a rincorrersi e del frutto poca corrispondenza, solo sul finale di bocca si aggiunge una nota lievemente minerale . Il vino meno espressivo della batteria, che di qui alla fine mostrerà note davvero esaltanti di un uva, il tintore, e di un vino, il Monte di Grazia rosso dal futuro certamente, per così dire, roseo.

Monte di Grazia rosso Campania igt 2005 Di nuovo una annata con temperature al di sopra della media, non certo alla stessa stregua del 2003 ma comunque calda. Il vino ha conservato una espressività encomiabile, il colore è rubino, è limpido e consistente. Il naso si esprime subito su note floreali ma soprattutto di frutta matura, delizioso il sentore di ciliegia ed amarena sottospirito e di piccoli frutti neri che si lasciano il testimone continuamente. Poi l’imprinting aromatico-speziato, un rincorrersi di sentori di pepe e di sottili note di origano. In bocca è secco, caldo, senza dubbio di buona struttura, il sapore pare accompagnato da decisa freschezza, con il frutto sempre in primo piano, lungo e persistente. Si potrebbe dire, come accennato, che proprio questa sia l’annata di riferimento per godere pienamente dell’idea di vino di Alfonso Arpino, un millesimo utile per chiudere il breve ciclo di sperimentazione e per aprire quella che sarà la chiave di lettura di ognuna delle vendemmie future, il territorio e l’uva prima di tutto, con l’uomo a fare la sua parte, integrante, fondamentale, per preservare la biodiversità del primo e l’integrità della seconda.

Monte di Grazia rosso Campania igt 2006 Tappa fondamentale per prendere coscienza dell’esperienza vissuta sino ad oggi in azienda, ma più in generale per tutto l’areale. Si inizia a percepire con maggiore interesse quel che di buono arriva dalle vigne di Tramonti e del suo tintore, anzi del suo Aglianico tintore. Gaetano Bove di Tenuta San Francesco inizia a far parlare di se e dei suoi vini, lui ha personalità da vendere ed i suoi vini eleganza sorprendente, il suo Per Eva su tutti, gli Apicella poco più in là raccolgono i primi (veri) consensi con il loro A’Scippata, vino misconosciuto ai più ma già un must per i frequentatori dei locali top della costiera; Gigino Reale tira fuori il suo secondo millesimo ma a tutti gli effetti il suo primo vero tintore Borgo di Gete, Alfonso Arpino consegna ai pochi, fedelissimi amici-clienti questo bellissimo vino che inizia ad esprimere in tutto e per tutto il carattere proprio di un territorio e di un uva straordinari, confidando in uno scenario futuro sempre così preservato e garantito. Il colore è rosso rubino vivace, appena un unghia violacea, limpido e poco trasparente. Il primo naso è molto fragrante, davvero interessante: floreale e fruttato in primo piano, ma al contempo sentori di lieve evoluzione e terziarizzazione, puliti, franchi, non senza quindi finezza ed eleganza. Frutta a polpa rossa macerata, poi pepe, onnipresente, poi ancora note balsamiche, sentori di cuoio e resina. In bocca è secco, caldo, di eccelsa freschezza e piacevolezza di beva da vendere, sapido. Da ricordare e rivangare ogni qual volta si è in cerca di un confronto (qui una precedente degustazione).

Monte di Grazia rosso Campania igt 2007 Tanto lavoro per evitare surmaturazione delle uve, poco tempo per verificare i possibili rischi di un’annata ancora una volta piuttosto calda, ma alla fine si è comunque ottenuto un buon risultato di integrità di frutto e complessità del vino. Il colore è rosso rubino, vivace, abbastanza consistente. Il primo naso è subito ampio e complesso, floreale e fruttato innanzitutto, poi tenui strascichi vegetali: come detto nonostante l’annata calda avrebbe dovuto consegnarci un vino succoso e dolce, si è tirato fuori un nettare delizioso e particolarmente equilibrato in tutte le sue sfumature, ne è testimone il gusto, che ha conservato un nervo acido discreto, un tannino sottile e ficcante, capaci di garantirgli uno spessore per niente scontato, rivolto certamente alla morbidezza ma preservando una beva fluida, briosa, a tratti copiosa ma non stancante. Ecco la mano dell’enologo, non la supposizione della conoscenza ma il polso della situazione, l’istinto di chi non ama fermarsi di fronte alle difficoltà.

Monte di Grazia rosso Campania igt 2008 Il Tintore di Tramonti è una varietà certamente particolare, e senza dubbio, preservandone al meglio le peculiarità, senza cioè cadere in quel vortice vizioso di voler piacere, per forza, a tutti, non mancherà di ritagliarsi un ruolo di primo piano sul mercato dei vini rossi campani e del sud Italia in generale. Il tintore però si accompagna di tanto in tanto ad un’altra varietà rossa tradizionale indigena, localmente chiamata O’Muscio, un uva certamente meno nobile, anzi, a sentirne parlare, del tutto sconsiderata, ma che in effetti, ci dice Alfonso Arpino, può avere, soprattutto in certe annate piuttosto fredde, un ruolo importante nel gioco degli equilibri acidi del vino. Ha buccia sottile, frutto lieve ma finissimi profumi e difficilmente sviluppa gradazioni alcoliche importanti, materia viva insomma per stemperare le velleità, soprattutto gustative, del tintore. Il primo naso è vinoso, frutto macerato in primo piano, anche una sottile nota vegetale, foglia di pomodoro, poi però riprendendolo a debita distanza si apre su note certamente più complesse, inchiostro, sentori quasi ematici, ed animali, cuoio. In bocca è secco, il timbro gustativo è prorompente, caldo e profondo, scivola in bocca con una certa persistenza gustativa, freschissimo, minerale, molto piacevole. Da segnare in agenda!

Monte di Grazia rosso Campania igt 2009 – campione da vasca – Lo scenario che si apre agli occhi dal porticato del casale di Monte di Grazia è di una suggestione incredibile, da qui si riesce a vedere, a 360° tutta la conca di Tramonti e nelle giornate normali, senza cioè la nebbia fitta che ci ha accompagnati per tutto il giorno, il mare blu della Costa d’Amalfi. Questa è la seconda casa di Alfonso Arpino, dalla fine della vendemmia, ogni anno, ci trascorre tutto il tempo libero dalla sua opera di medico condotto del paese, tra fermentini, pompe e le poche botti che si è riusciti ad incastrare nei piccoli locali ricavati nel vecchio cellaio al pian terreno. Come dire, non v’è “vin de garage” senza un vero e proprio garage! Il colore è nero-viola, puro inchiostro, praticamente impenetrabile. E’ curioso sapere, e ciò la dice lunga sulle peculiarità del tintore, che nonostante le raccomandazioni profuse dall’enologo Gerardo Vernazzaro, Alfonso (giura di essersene dimenticato) non ha inoculato il mosto con i ceppi di lievito per lui selezionati, pertanto, il vino così come lo peschiamo dalle vasche, ci arriva, si potrebbe dire, direttamente dalla vigna franco da ogni condizionamento “esterno”. Il naso è un effluvio di frutta macerata, poi sempre pepe nero, ma composto, integro, molto affascinante e suggestivo. In bocca si fa fatica a tenerlo a bada, è preponderante nella sua veemenza acido-tannica ma non potrebbe essere altrimenti in questa fase, buonissima materia prima e a detta anche dei convenuti, gran bella prospettiva!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Gete di Tramonti, il Tintore di Gigino Reale

12 marzo 2010

“Mitico volto di un’essenza divina, nobile pianta, tutore della memoria, con i suoi lunghi tralci e gli alti festoni ricama le arcaiche trame del tempo”.

Basterebbero queste poche parole per descrivere la particolare suggestione che si prova una volta giunti in questo pezzo di terra strappato letteralmente alla montagna, intriso di vigne centenarie che rincorrono se stesse in un vortice a raggiera senza soluzione di continuità; Ho provato, con l’amico Gerardo Vernazzaro a seguirne qualcuno di questi tralci, ai primi quattro-cinque metri ci siamo fermati, e guardandoci negli occhi, con la pioggia battente sul viso, avremmo potuto pure piangere di sano stupore, nessuno dei convenuti se ne sarebbe accorto, ed invece abbiamo riso, come dei bambini irrequieti, di fronte ad una scoperta eccezionale, un museo antropologico della viticoltura, vivo, con in seno tutto ed il contrario di tutte le regole imposte dalla moderna vitienologia: qui termini come sesti d’impianto, densità dei ceppi e varie forme di allevamento sono del tutto fuori dall’ordinario!

Così affacciato dal muretto della statale per Gete sono rimasto rapito dal paesaggio: alla mia sinistra, poco sotto la sottile nebbiolina all’orizzonte, il mare di Amalfi, e qui di fronte, lungo tutto il costone che gira intorno sino ai boschi del valico di Chiunzi i pochi ettari di vigna abbarbicati sui pendii scoscesi assoggettati solo all’imponenza della montagna ed al corso del tempo: che spettacolo, da mozzare il fiato!

Il borgo di Gete è una piccola frazione di Tramonti, qui la famiglia Reale è storicamente conosciuta per l’Osteria omonima e per il forte legame che da diverse generazioni li lega alla terra ed alla viticoltura in particolare. Nasce così dopo anni di sperimentazione, che in verità possiamo sintetizzare nella storica mescita in Osteria, la formale valorizzazione della propria produzione, in particolare del Tintore, una varietà tipicamente locale, che possiede tratti caratteriali davvero unici: i grappoli sono generalmente conici e spargoli, propongono quindi pochi acini ma godono di una buona maturazione, favoriti certamente all’ottimo microclima capace di farli resistere per lungo tempo sulle piante senza nemmeno il pericolo di essere attaccati da muffe o che altro, addirittura sino ai primi di novembre, quando avviene generalmente la vendemmia.

Il vino che ne viene fuori è senza ombra di dubbio un esempio di biodiversità estremamente interessante e la cosa più sorprendente è che nonostante i pochi ettari dell’areale e solo quattro interpreti al momento (Apicella, Reale, Monte di Grazia e Tenuta San Francesco) quest’uva è già capace di esprimere vini con livelli di complessità ed unicità sorprendenti, conservandone, quasi gelosamente, in ognuna di queste interpretazioni, una spina dorsale di tal pregio comune a pochissimi altri vini rossi in Campania.

Questa la piacevole verticale storica organizzata per noi da Gigino Reale e suo fratello nella calda ed accogliente sala dell’Osteria Reale. Il Tintore Borgo di Gete nasce dalle vigne “Cardamone” e “Diana” piantate proprio a ridosso della borgata di Gete di Tramonti; Sono ceppi risalenti agli inizi del secolo scorso, piantati quindi tra il 1920 e il 1929, su piede franco e con esposizione ovest, nord-ovest. La vendemmia è generalmente svolta ai primi di novembre, il vino dopo una macerazione più o meno di quindici giorni in acciaio trascorre circa 18 mesi in botti di rovere ed almeno un anno in bottiglia prima della commercializzazione. Tutte le bottiglie sono state aperte a tempo debito, il 2008 invece è un campione prelevato dalla botte, il 2009 dalla vasca.

Colli di Salerno rosso Borgo di Gete  2005 Il colore è rubino con sfumature violacee, senza dubbio poco trasparente, indice di una buona materia estrattiva. Il naso è subito terziario, quindi caratterizzato da sentori che si sono sviluppati in bottiglia nel tempo limando i tratti caratteriali del varietale, pur non snaturandone l’imprinting. E’ intenso e complesso, subito speziato, tostato, etereo, vengono fuori uno dietro l’altro pepe nero macinato, caffè, corteccia. In bocca è secco, l’impatto gustativo rimane importante anche se di frutto, in senso stretto, ne rimane ben poco: è secco, con una acidità un tantino eccessiva e spinta anche da un tannino un po’ sovrastante, ne soffre la sapidità e l’equilibrio di bocca. Su piatti molto grassi o con notevoli succulenze.

Colli di Salerno rosso Borgo di Gete 2006 Il colore è senza soluzione di continuità, rubino netto, bello vivo, il vino è concentrato e scorre nel bicchiere con una precisa densità. Il naso è estremamente pulito, in prima battuta non si offre particolarmente complesso, ma la bellezza del tintore, carpita dagli assaggi comparati di oggi, sembra essere proprio quella di celare il proprio ventaglio olfattivo a chi non lo sa aspettare. Dapprima fruttato, polposo, sentori di piccoli frutti rossi e neri, mora, susina, poi di nuovo l’elegante speziato, più fine del precedente, sottile e persistente, che lascia di volta in volta il primo piano anche a frutta secca e sentori balsamici. In bocca è intenso, un vino deciso, strutturato, maturo, estremamente godibile; Il tannino pare risoluto, il nerbo acido è alla mercè della carica glicerica e se ne giova la beva, un vino ossuto ma voluttuoso, una vera goduria di vista, olfatto, gusto. Sul piccione, trovandone a proprio piacimento la variazione sul tema!

Colli di Salerno rosso Borgo di Gete 2007 Dal colore rosso rubino, qui molto concentrato, come l’inchiostro, praticamente intransigente alla trasparenza. Il naso è spiazzante, probabilmente ad effetto dell’annata decisamente più calda delle precedenti: è subito dolce, maturo, iodato. Appena dopo un soffio di ciliegia, vengono fuori in prima battuta note salmastre di cappero salato, poi sfumature balsamiche, liquerizia e ancora caramello, non senza la nota pepata, onnipresente. In bocca è secco, l’impatto gustativo è importante, del tintore tutto si può dire tranne che generi vini esili e beverini, e nel vino dei Reale la consistenza sembra essere una costante imperdibile. Anche qui il tannino è ben integrato ad un frutto polposo costantemente in primo piano per tutta la degustazione, la beva è sostenibilissima, accattivante e lascia il palato costantemente rinfrancato.

Colli di Salerno rosso Borgo di Gete 2008 Il colore viola è da manuale ma possiede una franchezza stupefacente, appare scontata come battuta, ma vi si potrebbe davvero dipingere una tela intingendovi il pennello nel bicchiere. Il naso è intensissimo e complesso, giocato tutto su sentori floreali e di piccoli frutti neri e rossi appena premuti: appena dopo una nitida sensazione di vinosità vengono fuori rosa rossa e viola, poi ribes, mirtillo, mora e senza farsi attendere oltre, il pepe in grani: note fittissime e deliziose. In bocca è secco, piuttosto caldo, decisamente lungo, intrattiene il palato con una trama gustativa appetibile e sostenibile. Buona la freschezza, l’acidità pare non potersi esprimere oltremodo che giustamente fusa al tannino e all’alcol. Qui riconosco la mano di Fortunato Sebastiano, e forse posso anche tranquillamente ammettere che è il vino che più mi ha impressionato in questa batteria, per la prontezza di beva ma anche per il carattere decisamente superiore ai millesimi precedenti, nonostante il 2006 non mi sia certo indifferente.

Colli di Salerno rosso Borgo di Gete 2009 Difficile trarre un profilo degustativo di un vino del genere in questa fase, ancora in vasca e con tanta strada ancora da fare verso la sua stabilizzazione. Il colore è il timbro del varietale, particolarmente consistente, il naso è freschissimo di polpa, propone ancora tracce di frutta macerata, quasi spiritoso. In bocca è tangibile una certa integrità di frutto e di consistenza acido-tannica, sicuramente una buona materia prima, un punto di partenza inossidabile per un vino senza ombra di dubbio da tenere nella più alta considerazione tra quelli della nostra meravigliosa Campania.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Tramonti, suggestioni invernali… a primavera!

10 marzo 2010

Nonna Lucia, madre di Luigi (co-fondatore con Gaetano Bove di Tenuta San Francesco) intenta con la raccolta della Pepella, una delle tante donne della vigna a cui si deve forse la conservazione della viticoltura qui a Tramonti. Sino a pochissimi anni fa da qui si partiva per emigrare per mete più fortunate, spesso oltreoceano, e difficilmente si ritornava. Ecco che la vigna come gli allevamenti di bovini divenivano lavoro per le donne e gli anziani in particolare, molto restii a lasciare la loro terra di origine. (foto di Gaetano Bove)

Arriviamo con la nebbiolina e con una incessante pioggia, sarà così per tutta la giornata. Un tempaccio però che nulla toglie alla suggestione di un territorio straordinario come quello di Tramonti, ed alla bontà delle persone che poi abbiamo incontrato.

Località Madonna del Carmine, uno dei tralci ultracentenari di tintore nella vigna di Alfonso Arpino, Monte di Grazia. E’ incredibile la sostanza di un ceppo che in qualsiasi altro posto del mondo avrebbero estirpato da tempo, non qui, non dove sono patrimonio storico inestimabile.

Gete. Veduta dai filari della famiglia Reale, anche qui abbiamo incontrato persone di grande disponibilità, e bevuto il rosso Borgo di Gete di Gigino Reale, un grande vino, dal valore simbolico e dal grande fascino gustolfattivo. L’impegno comune è quello di ritornare a primavera inoltrata per pranzare all’Osteria, che ci dicono avere una cucina di grande qualità.

A Tramonti sotto l’acqua e col vento…in faccia!

10 marzo 2010

Metti un giorno a Tramonti, alcuni Amici di Bevute a camminar le vigne, a caccia di tintore. Non pensate però di ritrovarvi col solleone e con la sottile brezza della vicina Costiera Amalfitana a rinfrescarvi dal caldo: abbiamo preso tanta di quell’acqua e di quel freddo che nemmeno il capitano Findus se li può sognare!

Valichiamo il passo di Chiunzi in perfetto orario, sono circa le dieci e mezzo quando ci incontriamo a Tramonti; Lungo il viaggio, in macchina, con l’enologo Gerardo Vernazzaro abbiamo cercato di fare il punto della situazione, un preambolo necessario a prepararci all’incontro con un luogo e con dei vini necessariamente da vivere e bere qui per rendersi conto pienamente del valore e del significato che portano dentro di loro. Arriviamo a Tenuta San Francesco verso le undici, ci accoglie Gaetano Bove, inizia a piovere a dirotto, si alza un vento freddo, gelido e ficcante, ci spostiamo nella piccola cantina dove il mentore del Per Eva ci racconta la sua storia, la sua vocazione fortemente motivata da origini indelebili e del progetto dell’azienda che senza dubbio sarà in futuro il passpartout per far arrivare Tramonti ed i suoi vini in tutto il mondo. Riusciamo, dato i tempi strettissimi, a “sentire” solo due vini curati dall’enologo Carmine Valentino, che nel frattempo ci ha raggiunti nella piccola bottaia. E’ Iss 2007, tintore in purezza che uscirà però sul mercato solo dopo l’estate ed il 4 spine 2007. Non possiamo, ahinoi, accettare l’invito di Gaetano a rimanere a pranzo, ci aspetta di lì a pochi minuti, Gigino Reale a Gete.

Arriviamo così all’Osteria Reale, Luigi detto Gigino ci aspetta con il fratello nell’accogliente sala del ristorante di famiglia preparata per l’occasione per intrattenerci (finalmente al caldo) per la verticale del suo tintore, fuori continua a piovere, a tratti a neve, ed il freddo è ancora più incisivo data l’altitudine. Il senso dell’ospitalità che amano profondere certe persone è impagabile, come il senso di un vino, il Borgo di Gete che è un patrimonio affettivo prima che storico di uno dei luoghi più suggestivi della Costa d’Amalfi.

Così lo abbiamo inteso condividendolo con due persone eccezionali, e Gigino in particolare ci è apparso una di quelle persone che non smetteresti mai di invitare a casa tua, tale è la sua spontaneità, tale la sua capacità di interazione che da Tramonti e dal tintore ci siamo ritrovati all’improvviso persi tra Silvia Imparato, i giornalisti e finti tali e le poche regole che non debbono mai mancare nei rapporti umani, tra cui il rispetto delle persone innanzitutto. Così tra l’ottima mineralità dell’Aliseo e l’occhietto ammiccante del Cardamone ci siamo deliziati con tutte le annate dal 2005 al 2009 del Borgo di Gete, tracciando una prima linea caratteriale, a dir poco sorprendente, di questo intrigante vitigno autoctono di Tramonti tutto da scoprire.

Abbiamo certamente sforato con i tempi, ma poco importa, ci lasciamo Gete alle nostre spalle e ritorniamo giù per andare a dare una occhiata alla cantina Monte di Grazia di Alfonso Arpino, lungo la strada una sosta, doverosa, al vigneto “Madonna del Carmine” dove è letteralmente “da lacrime” ammirare le decine di viti ultracentenarie di tintore che s’intrecciano a raggiera a disegnare un paesaggio fantastico, certamente fuori da ogni regola vitivinicola sostenibile e fuori da ogni esperienza-ricordo vissuti sino ad oggi. Continua a piovere a dirotto, continua a fare un freddo tagliente, sembra quasi che il tempo ci metta alla prova. Risalire però quest’altro lembo di costone ci lascia ammirare una cartolina di una suggestione unica, adesso la vista sull’areale è praticamente assoluta, l’acqua ha reso incredibilmente splendente il verde delle colture di sovescio che riluccicano ai piedi dei grossi tralci di vite che disegnano traiettorie apparentemente senza mete ma che invece consegnano un colpo d’occhio, geometrico, folgorante, inimmaginabile.

Vorrei poter conferire con il sindaco di Tramonti per lasciargli capire, se ce ne fosse mai bisogno, dell’inestimabile patrimonio che si ritrova tra le mani la sua comunità e sensibilizzarlo invece, urgentemente, anche costringendolo in qualche modo, a rimuovere l’ammasso di ferraglie (materiale di risulta, auto dismesse, baracche) che fanno da sfondo, ahimè, a tutto questo bel vedere. In cantina Gerardo Vernazzaro, con cui abbiamo messo su questo appuntamento, ci lascia assaggiare l’ultima vendemmia dei vini di Alfonso, dapprima il freschissimo Monte di Grazia bianco, poi il delizioso rosato ed infine il tintore, davvero impressionante in questa fase il colore inchiostro, il naso variegato e l’imprinting gustativo semplicemente superbo.

Ci spostiamo poi a casa degli Arpino, nel centro storico di Tramonti dove ci attende la signora Anna, col focolare acceso ed alcune prelibatezze che però mangeremo solo dopo la storica verticale di Monte di Grazia rosso, dalla primissima annata 2003 sino all’ultima già in bottiglia, il 2008, che avrà però ancora un paio di anni da maturare prima di vedere la via del mercato. Tutto questo però è un’altra storia, che riprenderò a breve.

Un ringraziamento agli Amici di Bevute che ci hanno seguito, con Gerardo Vernazzaro, in questa bella avventura piovosa, fredda ma forse proprio per questo particolarmente suggestiva, unica nel suo genere (speriamo!). Un ringraziamento infinito a Gaetano Bove e alla sua famiglia, al grande Gigino Reale (!) e al dott. Alfonso Arpino, la moglie Anna e la figlia Olivia: certe volte riusciamo ad essere molto rumorosi, ma solo con le persone che stimiamo particolarmente!

Tramonti, Monte di Grazia rosso 2006

11 febbraio 2010

Ho conosciuto Alfonso Arpino un paio di anni fa, lo accompagnava la moglie Anna, eravamo tutti ospiti della famiglia Varchetta di Cantina Astroni nella loro deliziosa taverna, lì in azienda proprio ad un tiro di schioppo dal cratere dell’oasi naturale degli Astroni, a Napoli. Complici, il giornalista amico comune Luciano Pignataro, l’enologo di casa Gerardo Vernazzaro e tra gli altri, alcuni altri amici, non senza ciccio formaggio e svariate bottiglie di vino, più o meno all’altezza della situazione conviviale.

Parlammo francamente, la semplicità disarmante delle sue parole nel raccontarmi della sua azienda era pari solo alla sfrontatezza con la quale Gerardo aveva deciso di seguirlo, nonostante, così mi disse, fosse comletamente all’oscuro di conoscenze specifiche sul varietale. Il tintore di Tramonti, sino ad allora era praticamente sconosciuta ai più, e sino a pochissimo tempo prima, praticamente sconsiderata anche da enologi ed enotecnici, tanto che i vignaioli locali più acerrimi rischiavano di passare per matti a non volerla espiantare per far posto a varietà bianche o rosse più malleabili o certamente più redditizie. Per il Tintore (come per l’ aglianicone, la catalanesca bianca, sanginella bianca, castagnara, suppezza, e sabato) sono ancora in corso gli studi ampeolografici di rito da parte della regione campania per accertarne definitivamente le caratteristiche qualitative, ma la storia di questo pezzo di Costiera ci consegna tra le viti coltivate a raggiera di Monte di Grazia alcuni ceppi addirittura ultracentenari, di cui Alfonso va fiero e ne è strenuo difensore.

L’azienda nasce nel 1993, praticamente per non lasciare abbandonati a se stessi i vigneti di famiglia, Alfonso è medico condotto del paese di Tramonti, pertanto le origini sono forti ed inattaccabili, come la passione che lo lancia in questa avventura. Dal 1997  l’intera filiera è votata al biologico, una scelta resasi necessaria, per salvaguardare il patrimonio vitivinicolo e dare, semmai ce ne fosse stato bisogno, ancora più risalto al grande lavoro di valorizzazione messo in campo: solo alcuni gli accorgimenti utilizzati per la coltivazione tra i quali l’antica pratica del sovescio e l’utilizzo di letame della stalla come concime, il rame e lo zolfo a difesa della vite dalla peronospora e dall’oidio. Nel 2003 avviene l’incontro con Gerardo che si vede praticamente piombare in Cantina proprio Alfonso Arpino, con due bottiglie in mano: “questo è il vino della mia terra, dimmi cosa ne pensi, ma prima devi venire con me a Tramonti, devi vedere dove nascono”. Lui, Gerardo, prima di allora, come detto, era praticamente a digiuno di questo pezzo della Costa d’Amalfi, in maniera assoluta di tintore, eppure accetta da subito la sfida: “è una varietà incredibile, tira fuori vini incredibili, con un estratto in zuccheri sui 20-22 gr (!), quindi con un potenziale alcolico conseguente superiore almeno ai 14 gradi conservando però acidità elevatissima, nonostante l’alta percentuale di zuccheri; Era qualcosa che meritava di essere studiata, capita, valorizzata”.

Di qui il percorso intrapreso non ha avuto passi falsi, certo gli inizi non sono stati semplici, e presto ne racconterò la verticale storica, che di questo piacevolissimo rosso riesce a tracciarne, inesorabilmente, il profilo eccelso della crescita qualitativa ed interpretativa sino ad oggi espresso, non prima però di lasciare il giusto spazio a questo delizioso rosso bevuto, dal bellissimo colore vivace, limpido ed invitante. L’imprinting olfattivo è superbo, intenso e complesso come pochissimi rossi campani sanno essere così in “giovane” età, reso estremamente elegante dal tempo trascorso in bottiglia ma assolutamente in divenire:  pare un tratto distintivo varietale l’incipit di pepe nero ed erbe aromatiche, poi vengono fuori sottili e pregiati sbuffi floreali e fruttati maturi, viola, ciliegia nera, piccoli frutti di sottobosco. In bocca entra come un vinone, acidità in primo piano, tannino a confermare la regola che non c’è, a fargli da spalla, più sottile, ma c’è. Un sorso dopo il palato si tranquillizza, non troppo, ma si distende in una beva ricca e vivace, carica di frutto, di mineralità e piacevolezza da strappare baci ed abbracci. Forse un vino da portarsi dietro per tanti anni ancora, da sfoggiare magari su quelle belle salsicce al ragù di una volta, o magari sulla lasagna del martedì grasso; Oggi è un vino senza compromessi, ma con poco meno di duemila bottiglie l’anno c’è ben poco da accondiscendere: o lo ami, oppure?


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