C’è grande entusiasmo intorno ai vini bianchi campani ultimamente, un rinnovato e straordinario entusiasmo, falanghina, fiano e greco (ma anche pallagrello per dire) non sono mai stati così cercati ed apprezzati come negli ultimi tempi.
Vi è tuttavia ancora tanta confusione che spinge alcuni produttori a seguire pedissequamente modelli sballati e in certi casi superati dal tempo. Alcuni vini, certi Greco di Tufo ad esempio, risultano sovraestratti, pesanti, addirittura ostici da berli a tavola se non ci costruisci ad hoc un piatto. Dicono che sono cru, talvolta una vigna ‘unica’, esempi di cosa si potrebbe fare con il varietale lavorandolo in un certo modo, spingendo in là l’asticella: ecco, non lo fate per favore.
Non vorrei farla pesante ma temo una deriva stilistica che non ci porterà assolutamente a nulla. Tufo non è Loreto Aprutino, o Oslavia, e per quanto nobile risulti l’accostamento non mi piace; mi sono spinto con pazienza ad assaggiare una moltitudine di vini fatti più o meno seguendo lo stesso nobile intento, con le stesse tecniche con cui si fanno certi trebbiano in Abruzzo e ribolla nel Collio: l’uva migliore, la terra bla bla bla, la bravura del vignaiolo e la sapienza dell’enologo sopra tutto: i vini però appaiono sempre più uguali a loro stessi, dal sorso fluido, appesantito, con niente di varietale se non il corpo e un liquido opaco nudo e crudo. Interessante forse, ma figlio di cosa?
Attenzione per favore, perché quando avrete strapazzato l’ultimo Greco di Tufo per stare appresso alle menate di quattro scribacchini sarà troppo tardi per tornare indietro…
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Tag: greco di tufo, ribolla gialla
11 settembre 2020 alle 08:27 |
[…] raccontammo proprio Qui, ve lo ricordate? Bene, a distanza di qualche anno, a quanto pare, possiamo dire che […]
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