Archive for the ‘I LUOGHI DEL VINO’ Category

Taurasi Riserva B. M. 2009 Joaquin Avellino

29 Maggio 2021

Taurasi, red passion! Proviamo a guardare a questo straordinario vino campano con gli stessi occhi di chi si approccia ai grandi vini italiani, riferendoci cioè non più semplicemente al vitigno originario o alla menzione legislativa della denominazione, bensì alla sua tipicità proveniente da territori e microclima specifici, se non addirittura da una singola vigna.

Sono queste bottiglie emozionanti, rappresentative, se vogliamo didattiche, perché in fondo una bottiglia di Taurasi muove tante sensazioni a un degustatore ma continua ad avere maledettamente bisogno, oggi più che mai, di veri e propri ambasciatori capaci di appassionarsi, che abbiano sete di conoscenza e siano propensi alla sua giusta valorizzazione, ben oltre le aziende, in grado certo di svolgere un grande lavoro nella salvaguardia di un territorio, di qualità nella produzione, ma c’è necessità soprattutto di validi professionisti capaci di coglierne appieno il valore e che lo sappiano poi comunicare agli appassionati avventori.

Vieppiù tocca farlo con bottiglie suggestive ed evocative come queste, prodotta da Joaquin Avellino, l’azienda Madre di Raffaele Pagano che a suo tempo immaginò, con le straordinarie uve Aglianico provenienti dalle vigne vecchie di Paternopoli, un rosso di tale intensità e longevità; siamo sul Versante Sud, in Alta Valle irpina, dove il vigneto a bacca rossa assume una quota di rilevanza notevole, talvolta esclusiva, distribuito nei comuni di Castelvetere sul Calore, Montemarano, Castelfranci e, per l’appunto Paternopoli¤, areali questi tra i più vocati della docg del Taurasi.

E’ perciò un Taurasi Riserva destinato ad un lungo affinamento in legno oltre che in bottiglia – sino a dieci anni -, prima della sua uscita dalla cantina-laboratorio di Montefalcione; vino che reca in etichetta un nome velocemente ”siglato” con B.M., invero ispirato alla Venerabile Confraternita della Buona Morte, un messaggio nemmeno tanto subliminale posto a condizione di un nettare evidentemente immortale se non sino all’incontro cruciale con quei palati più attenti ed esigenti in grado di sancirne dopo anni, appunto, una buona e giusta fine.

Godiamo di un rosso duemilanove maturo e intenso, dal naso ampio che mette in riga sentori fruttati maturi e spezie fini, erbe di montagna e sottobosco, dentro al calice ci troviamo pennellate di austerità, un pot-pourri di frutta secca, olii ed e aromi complessi, fragranza di cedro e sandalo, finanche tabacco, l’accompagnano un sorso misurato e intransigente, brevemente amarognolo sul finale di bocca. Sono anche bottiglie come queste che ci lasciano intuire tutto il grande potenziale del Taurasi, a tutti gli effetti uno dei grandi rossi italiani. 

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Taurasi, red passion!

28 novembre 2020

Ce lo siamo chiesto spesso se si potesse cominciare a guardare al Taurasi con gli stessi occhi di chi si approccia per esempio ad un Barolo, riferendosi cioè non più semplicemente al vitigno originario o alla menzione legislativa della denominazione, bensì alla sua tipicità proveniente da territori e microclima specifici, se non addirittura da una singola vigna.

Insomma, se ai più esperti viene naturale cogliere e raccontare dell’originalità, dello stile, delle sfumature dei Nebbiolo di Serralunga d’Alba, di La Morra o Grinzane Cavour, perché non dovrebbe accadere lo stesso ad esempio per i vini prodotti a Taurasi, Mirabella Eclano o ancora quelli di Lapio, Castelfranci e Montemarano?

Un’operazione di approfondimento la avviò un po’ di anni fa il giornalista Paolo De Cristofaro¤, nelle prime edizioni di Taurasi Vendemmia di Miriade&Partners – Leggi Qui -, con un lavoro certosino, millimetrico quasi, sulle macro-aree interessate alla coltivazione di Aglianico e Aglianico da Taurasi; ne venne fuori una rappresentazione puntuale ed efficace, una guida indispensabile per chi mastica vino e desiderava cominciare a schiarirsi le idee su certi aspetti ormai ineludibili quando ci si trovava a raccontare e scrivere di Taurasi o di Aglianico di queste meravigliose terre irpine.

Ecco perché nelle prossime settimane proveremo a raccontare in quest’ottica diverse buone bottiglie di Taurasi che abbiamo incrociato durante tutto quest’anno, all’insegna di uno slogan che ci piace tanto: Taurasi, red passion!

Bottiglie emozionanti, rappresentative, se vogliamo didattiche, perché in fondo questo straordinario vino campano muove tante sensazioni a un degustatore ma continua ad avere maledettamente bisogno, oggi più che mai, di veri e propri ambasciatori capaci di appassionarsi, che abbiano sete di conoscenza e siano propensi alla sua giusta valorizzazione, ben oltre le aziende, capaci certo di svolgere al meglio un grande lavoro di qualità nella produzione, ma c’è necessità soprattutto di validi professionisti capaci di coglierne appieno il suo valore e che lo sappiano poi comunicare agli appassionati avventori.

In estrema sintesi, queste che seguono sono cinque caratterizzazioni, aree territoriali specifiche da cui muove tutto, sulle quali proveremo man mano nel coglierne le sfumature maggiormente distintive:

Assemblaggi, sono quei vini provenienti da due o più distinte macro-aree, una scelta questa abbastanza comune per molte aziende irpine.

Quadrante Nord, Riva Sinistra del fiume Calore, sono vini provenienti dalle vigne collocate nei comuni di Venticano, Pietradefusi e Torre Le Nocelle.

Versante Ovest, Le Terre del Fiano, con vigne ubicate a Montemiletto, San Mango sul Calore, Montefalcione e Lapio; con questi ultimi due comuni che sono allo stesso tempo gli unici ammessi alla produzione sia di Taurasi che di Fiano di Avellino.

Valle Centrale, Riva Destra del fiume Calore. Il territorio senz’altro più frammentato dell’areale, da qui provengono quei vini prodotti con le uve dellle vigne ubicate nei comuni di Taurasi, Mirabella Eclano, Luogosano, Bonito, Sant’Angelo all’Esca e Fontanarosa.

Versante Sud, Alta Valle, dove il vigneto ad Aglianico assume una quota di rilevanza notevole, talvolta esclusiva, distribuito nei comuni di Castelvetere sul Calore, Montemarano, Castelfranci e Paternopoli.

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Il ritorno al futuro del Vinum Caecubum

17 novembre 2020

E’ Monti Cecubi a riportare in auge il Vino Cecubo, il vino dell’Impero Romano famoso in tutto il mondo antico. L’azienda è rinata nel 1990 per volontà della famiglia Schettino, originaria di Santa Maria Capua Vetere, e conta oggi ben 150 ettari di cui almeno sei di uliveto e venti di vigneto, collocati in larga parte tra Itri e Fondi, in provincia di Latina.

Ne abbiamo raccontato qualche mese fa, dopo una nostra visita la scorsa estate presso questa splendida realtà itrana immersa nel verde dei Monti Aurunci laziali. Qui in vigna si coltivano diversi varietali, alcuni introdotti proprio nel ’90, per provarne il potenziale colturale, come ad esempio Montepulciano, Vermentino, Fiano e Falanghina, altri già presenti in queste terre con vigne vecchie e impianti risalenti al secondo dopoguerra; ceppi con i quali, in alcuni casi, si è provveduto a selezioni clonali mirate, come nel caso di alcune varietà autoctone come l’Uva Serpe e l’Abbuoto, uve a bacca nera già anticamente protagoniste del ”Vinum Caecubum” prodotto in quest’area sin dall’epoca Romana.

Ci siamo tornati su con il loro vino di punta, quello che qui a Monti Cecubi, guidati in cantina dall’ottima enologa Chiara Fabietti, considerano la rinascita del Vino Cecubo, il vino rosso molto pregiato già apprezzato al tempo dei Romani, vino che secondo il racconto di Plinio si produceva con le uve provenienti da queste terre dell’areale pontino – “Caecubae vites in Pomptinis Paludes madent…“ […] “… supra Forum Appii” -, proprio qui nel territorio dell’attuale Formia, fino a Fondi e Terracina.

Vinum Caecubum duemilasedici di Monti Cecubi rinasce grazie ad una selezione dei migliori grappoli di Abbuoto e Uva Serpe delle vigne di San Raffaele di Fondi, dove la terra bruna e rocciosa della dorsale itrana si arricchisce di argilla e sostanza organica e contribuisce, con l’esposizione, l’influenza del mare, l’escursione termica a produrre anche in questo caso un vino intenso, dal colore ricco e vivace, di grande complessità e tensione gustativa, un vino davvero molto originale, che riporta in etichetta l’indicazione geografica tipica Rosso Lazio.

E’ un rosso dal colore rubino, pieno ed esuberante, dal profumo floreale e fruttato intenso, con sentori di viola e melograno, prugna e altri piccoli frutti neri in primo piano, sa anche di polvere di caffè e grue di cacao, è lievemente balsamico. Il sorso è fresco e piacevolmente sapido, nonostante il 14% in volume di alcol in etichetta, risulta molto ben misurato anche il passaggio di 1 anno in tonneaux, che consegna al palato un vino rosso dal tannino vellutato, senza spigolature, con tanto frutto ed un finale di bocca piacevolmente succoso.

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Segnalazioni| Campania bianco Donna Lucrezia 2019 AgriBeeo

14 novembre 2020

La Catalanesca è stata ufficialmente aggiunta all’elenco delle uve da vino nel 2006, l’uva arrivò sul Vesuvio importata dalla Catalogna, per volontà di Alfonso I d’Aragona nel XV secolo, impiantata perlopiù sulle pendici del Monte Somma, fra Somma Vesuviana e Terzigno.

Proprio qui, su questi terreni così fertili, di natura spiccatamente vulcanica, l’uva fu ben presto molto apprezzata e coltivata in maniera intensiva per la vinificazione in grandi quantità dai contadini vesuviani per il loro commercio di vini sfusi che da queste parti è sempre stato molto fiorente, tra l’altro, grazie alla sua spiccata dolcezza le quantità eccedenti erano spesso commercializzate come uva da tavola.

Sappiamo che oggi la sua presenza è riscontrabile nei dintorni dei comuni di Somma Vesuviana, Sant’Anastasia, Ottaviano e in alcuni altri comuni vesuviani. La Catalanesca è una varietà a bacca bianca particolarmente apprezzata, molto caratteristica e resistente, tant’è che la vendemmia può spingersi generalmente sino a fine ottobre e agli inizi di novembre: un tempo vi era la consuetudine di lasciare sulla pianta i grappoli più belli, lasciandoli surmaturare addirittura fino al periodo natalizio. Il grappolo è di sovente rado, gli acini acquisiscono così un tipico colore dorato conservando però una polpa carnosa, croccante e dolce, ricca di vinaccioli.

L’uva e il vino nel progetto di valorizzazione del territorio di Vito Graniglia è solo una tessera di un puzzle assai più ricco di suggestioni tipicamente territoriali, qui in AgriBeeo si produce infatti anzitutto miele, albicocche della varietà Pellecchiella e pomodori del Vesuvio, tutti certificati Bio, dai quali si ricavano tra gli altri conserve e prodotti assolutamente unici, provenienti da una terra meravigliosa.

Questa bottiglia, la n. 1 di nemmeno un migliaio dell’annata duemiladiciannove, racchiude il lavoro di anni di cura e recupero di questo mezzo ettaro di vigne vecchie allevate con sistemi assolutamente ancestrali, legate a pali di sostegno, collocati a circa 350 mt s.l.m.; viene fuori da una vendemmia tardiva, come da tradizione, con il vino che ha fatto passaggi solo in acciaio, dove è restato per 8 lunghi mesi, prima di 4 mesi ancora in bottiglia.

Ci troviamo davanti a un vino bianco vestito di un bel giallo paglia con profondi e luminosi riflessi dorati sull’unghia del vino nel bicchiere; è delicato il profumo di fiori e agrumi, sa di ginestra e limoni, più incisivo il sentore di albicocca matura. Il sorso è morbido e asciutto, abbastanza fresco, manca forse di profondità ma la beva, piacevolissima e appagante, non da nemmeno il tempo di accorgersene.

AgriBeeo
Località Ventarielli 
Somma Vesuviana (Na) Italia
+39 347 2804242
agribeeo@agribeeo.it

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Lacryma Christi del Vesuvio rosso Riserva 2017 Cantina del Vesuvio

19 ottobre 2020

Torniamo con grande piacere davanti a una bottiglia di Maurizio Russo di Cantina del Vesuvio, azienda che assieme a tante altre sta contribuendo non poco al rilancio di una denominazione di grande tradizione in Campania con vini riuscitissimi provenienti da un territorio a dir poco straordinario.

E’ dal 1951 che la sua famiglia si occupa del commercio di uva e della produzione di vini qui a Trecase, ai piedi del maestoso Vesuvio, A’ Muntagna come la chiamano da queste parti, con il mare davanti, con affaccio direttamente sul Golfo di Napoli e il vulcano più famoso del mondo alle spalle proprio della piccola cantina e le suggestive vigne vecchie e nuove di Caprettone, Aglianico e Piedirosso.

Proprio sul vitigno Piedirosso qui c’è grande attenzione, e questo ci rende ovviamente felici, rimane un varietale dal grande potenziale quello già decantato da Plinio e Columella, coltivato proprio da queste parti da millenni ormai; Maurizio lo sa bene e ci sta investendo tanto, provando a riportarlo a forme di coltivazione più congeniali secondo l’esperienza locale. Lo scopo resta quello di ottenere il miglior risultato possibile tenendo conto della grande qualità dei terreni, del clima, dell’umidità, dell’esposizione alla luce solare e della persistente ventilazione di questi luoghi baciati da Dio.

Il risultato di questo lungo percorso è certificato da questa Riserva alla sua prima uscita con il millesimo duemiladiciassette, in larga parte Piedirosso con un saldo di Aglianico al 20%, vino dal bel colore rubino e dal sentore ancora vinoso, floreale e marcato di frutta rossa polposa; il sorso conserva pienamente l’anima terragna, è secco, caldo e morbido con un finale di bocca sapido e rinfrancante, lungo e abbastanza persistente.

Non è necessario immaginare questo Lacryma Christi sul lungo periodo, quanti anni possa conservarsi, fosse anche solo un lustro, è un tempo più che sufficiente per godere appieno del territorio che c’è dentro una bottiglia, qui è proprio il caso di dirlo; più che altro è necessario maturare la curiosità di camminare questi territori straordinari, stringere mani forti e ascoltare le storie di questa terra, attività che anche qui a Cantina del Vesuvio non vedono l’ora di riprendere a fare ogni giorno.

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Campania bianco Dall’Isola 2018 Joaquin

8 ottobre 2020

Torniamo a godere di un bianco che ci sta particolarmente a cuore, uno dei pochissimi vini prodotti con varietà autoctone coltivate da sempre sull’isola di Capri che merita degna attenzione.

Dall’Isola duemiladiciotto resta una produzione estremamente limitata, anche per questo preziosa e imperdibile, le uve Ciunchese (Greco), Falanghina e Biancolella provengono da piccole ”pezze” di natura sabbiosa coltivate in maniera tradizionale perlopiù col sistema dello Spalatrone Puteolano, talvolta collocate in luoghi impervi e suggestivi come ad esempio l’affaccio sul Golfo di Napoli di Villa San Michele ad Anacapri, il comune più alto dell’Isola, ai piedi del Monte Solaro.

Raffaele Pagano a Capri non ci è arrivato certo per caso, sono ormai oltre dieci anni che produce puntualmente il bianco Dall’Isola, riconoscendovi in questa piccola produzione, sin da subito, tutto il potenziale di una grande sfida avvincente; lui, già produttore di spiccata originalità in quel di Montefalcione, con vigne anche Lapio e Paternopoli, ci aveva già abituati a vini mai banali, segnatamente autentici, talvolta fuori dagli schemi tant’è che la sua opera qui come altrove resta una vera e propria ”cantina laboratorio” per i vitigni autoctoni campani.

Dicevamo quindi Ciunchese (Greco), Biancolella e Falanghina selezionati, è proprio il caso di dire, acino per acino, con una piccola percentuale lasciata surmaturare in pianta: questo delizioso bianco ha colore paglierino tenue, è luminoso e intriso di piacevolissimi sentori molto invitanti, profumi floreali e sfumature agrumate assai suggestive, ci trovi dentro caprifoglio e camomilla, ma anche fieno ed erbe mediterranee, limone e cedro. In bocca è asciutto, possiede un ottimo slancio gustativo che ammanta il palato di sana freschezza e chiude sapido e minerale un sorso davvero gustosissimo, con quell’11,5% in volume di alcol in etichetta! Un tempo se ne facevano solo una manciata di magnum, da qualche anno se ne producono poco più di 2000 bottiglie l’anno!

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Miniere

26 settembre 2020

Verso metà dell’800 accadeva sempre più di sovente che a Tufo, di tanto in tanto alcuni pastorelli rinvenivano pietre che al fuoco bruciavano sviluppando un forte odore acre di anidride solforosa, erano perlopiù sassi giallo-grigiastro composti di zolfo, gesso e argilla.

Quasi nessuno però diede particolare rilevanza a questi ritrovamenti sino a quando Francesco Di Marzo, Signore e proprietario di larga parte di questi luoghi, prese a incoraggiare i pastorelli a ricercare con maggior lena quelle pietre e dargli la posizione esatta dei luoghi di rinvenimento. Di Marzo era un uomo spiccio, parecchio deciso, non ci mise molto ad intuire che là da qualche parte vi fossero delle miniere che aspettavano solo di essere scoperte. Correva l’anno 1866!

Come spesso accade però, questo pezzo di storia trova una contrapposizione abbastanza netta con quanto tramandato invece dalla famiglia di Federico Capone di Altavilla, che sostiene sia stato lui lo scopritore delle miniere di zolfo; c’è da dire infatti che da queste parti, le imprese minerarie furono sin dall’inizio due, con due distinte proprietà e due fabbriche: quella della famiglia Di Marzo e la Società Anonima Industrie Minerarie (SAIM¤) che, del resto, delle due è l’unica sopravvissuta al tempo e ancora in parte funzionante nel comune di Altavilla Irpina.

Non c’è dubbio alcuno però che a Tufo furono certamente i Di Marzo che promossero nel tempo tante iniziative sociali che ritornava in qualche modo benessere all’areale, gli annali raccontano del primo cinematografo, dell’asilo e della scuola per i bambini, l’istituzione della società operaia, cui s’affiancarono negli anni una nuova coscienza dei diritti e dei doveri, del senso civico e man mano uno sviluppo culturale e sociale della comunità che intravedeva finalmente prospettive concrete di emancipazione.

E’ un’atmosfera decisamente lontana negli anni ma che sembra continuamente riecheggiare nell’aria mentre ci cammini le vigne qui sopra le vecchie miniere di zolfo a Tufo dove, tra gli altri, ci lavorava anche il nonno di Angelo Muto, con la nonna, invece, che aveva come compito quello di trasportare i candelotti di esplosivo utilizzati negli scavi della maniera. Lavori umilissimi, duri, pericolosi ma per tanti anni considerati manna dal cielo per queste terre in cerca di rinascita e affrancamento, lavori che hanno dato da vivere a centinaia di famiglie e l’opportunità di creare reddito e prospettive di riscatto sociale. 

Nel solco di una storia famigliare così radicata proprio qui, nel 1995 Angelo decide di acquistare proprio dai Di Marzo questi 8 ettari che si estendono tra la vecchia polveriera e l’ingresso della miniera, esattamente là dove i suoi nonni ci hanno passato una vita intera.

Di questi, poco più di 3 ettari sono vitati e votati interamente al Greco di Tufo, da qui proviene, per l’appunto, il Miniere, un bianco di straordinaria capacità evocativa, dal sapore ancestrale ma assolutamente capace di rappresentare pienamente la consistenza di questi luoghi e lo spessore dei suoi valori, un vino autentico, ossuto, pregno di consistenze ma privo di sovrastrutture, inutili ideologie, sostanza di una viticoltura semplice, attenta alla natura, sostenibile e conservativa, come il buon lavoro fatto in cantina da Luigi Sarno, al fianco di Muto sin dai suoi primi passi.

E’ una piccola enclave Miniere, dentro un territorio nemmeno tanto ampio ma che conta ben 670 ettari di vigne iscritte all’albo della Docg, riconosciuta con Decreto Ministeriale nel Luglio del 2003, con una produzione annuale di poco più di 4.000.000 di bottiglie e 8 comuni ammessi: Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Petruro Irpino, Prata di Principato Ultra, Santa Paolina, Torrioni e, per l’appunto Tufo; ovunque qui le coltivazioni sono poste ad altitudini che vanno dai 300 ai 700 metri s.l.m., in molti punti – come qui nelle terre di Cantine dell’Angelo -, lungo pendii particolarmente ripidi, in mezzo a boschi, su terreni fortemente caratterizzati da argilla e calcare, con stratificazioni vulcaniche, sabbie, gesso e minerali (zolfo) visibili già in superficie, in alcuni punti più chiaramente che in altri.

L’Aminea Gemina, di cui si parla già nelle Georgiche¤ di Virgilio, è una varietà arrivata qui dalla Tessaglia, per merito dell’antico popolo dei Pelasgi¤, così chiamata per la caratteristica forma del grappolo che presenta una spiccata gemmazione laterale, a renderlo quasi doppio, gemello, appunto. L’uva da generalmente un vino dalla tipicità ineguagliabile, con profumi che ricordano la pesca, l’albicocca, il caprifoglio, la mandorla amara, citronella, pompelmo, iris, zenzero e cannella quando più maturo. E’ dotato di spiccata acidità nonché di sostanze fenoliche che la buccia rilascia in abbondanza naturalmente durante la pigiatura. Per questa ragione il Greco viene anche definito un ‘’vino rosso mascherato da bianco’’.

**** Greco di Tufo Miniere 2018. E’ stato un millesimo abbastanza complesso, con una primavera fresca e piovosa e una lunga estate inizialmente tiepida e poi calda e siccitosa con qualche fibrillazione in fase di vendemmia. Tutto però sembra ritornare perfettamente nel bicchiere, con un vino dal profilo slanciato, agile eppure teso e vibrante, con il suo caratteristico timbro particolarmente minerale. Il colore è uno splendido paglia oro appena dorato sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso è ricco, insolitamente complesso già ora, riconoscibilissimo, con quella sua matrice di zolfo che lascia poi spazio a fiori e frutta a polpa gialla matura. Il sorso è tanta roba, ha struttura, equilibrio e morbidezza con un finale di bocca piacevolissimo e sapido.

In diversi areali campani l’annata duemilasedici si è rivelata altalenante e sembrava non promettere benissimo a causa di gelate primaverili che in molti casi hanno segnato a fine ciclo una sensibile riduzione di produzione. L’estate, però, è stata di quelle classiche, capace di mantenere il ritmo del ciclo vegetativo costante nonostante un autunno abbastanza umido. Ne sono venuti fuori vini di buon equilibrio, con struttura, acidità e, per i rossi, tannini di grande armonia, senza far mancare punte di eccellenza in certi areali più che in altri. Vini di buona struttura insomma ma che non mancano di freschezza e nerbo, sia nei rossi che nei bianchi con ottime prospettive di longevità.

**** Greco di Tufo Miniere 2016. Miniere duemilasedici è giallo paglierino tendente al dorato. Ha un naso ricco e riconoscibile, ben oltre le note sulfuree e salmastre che certo sorprendono ma poi lasciano il campo a sentori di caprifoglio, citronella, albicocca, mandorla amara. Il sorso ci pare più equilibrato e morbido del precedente, probabilmente meno profondo ma non certo meno distintivo, rinnovando quel finale di bocca in cui ritorna perentoria la piacevolissima e personalissima trama sapida che lo caratterizza appieno.

**** Greco di Tufo Miniere 2014. La duemilaquattordici è stata un’annata particolarmente austera, scarsa da un punto di vista produttivo in diverse aree della Campania ma in grado di rivelare anno dopo anno tante belle bottiglie capaci di sorprendere e affascinare. E’ giallo oro quel che ci arriva nel bicchiere, qui l’anima sulfurea e minerale è rimarchevole e caratterizzante, in secondo piano tante piccole sfumature, di fiori e frutta passita e candita, ci trovi uvetta, scorze di arancia amara, zenzero, poi frutta secca accompagnate da un sorso di carattere, anche sgraziato, dritto e indirizzato a un finale di bocca sapido, in un quadro gustativo che regala una bevuta dal piacere assolutamente edenico.

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Segnalazioni| Campi Flegrei Piedirosso Terrazze Romane 2018 Cantine del Mare

17 settembre 2020

Continua il momento magico per questo straordinario territorio a nord di Napoli e per i suoi meravigliosi vini, in particolare per il Piedirosso dei Campi Flegrei¤, risultato di un duro lavoro cominciato molti anni fa e con non pochi alti e bassi, con tanti dei protagonisti continuamente alle prese con scelte talvolta condivisibili altre volte meno.

E’ all’esame di maturità Gennaro Schiano, il suo leggere il Piedirosso ha trovato da tempo un’apprezzabile quadratura, gli ultimi assaggi di tutte le etichette prodotte sono più che confortanti e danno prova di vini ricchi di personalità, pienezza espressiva e di grande piacevolezza; tra queste, emerge con considerevole slancio Terrazze Romane duemiladiciotto, un Cru proveniente dalle vigne terrazzate di via Bellavista a Bacoli, riprese in etichetta, che affacciano sulla Spiaggia Romana tanto cara a Publio Servilio Vatia, console e militare della Repubblica romana che qui si ritirò a vita privata.

Si tratta di una manciata di bottiglie che testimoniano appieno la qualità del grande lavoro in vigna e in cantina di questi ultimi anni; il colore è splendido, rubino vivace, luminoso come sacro fuoco, il naso è un portento, fitto, ampio, finissimo, pieno di rimandi a frutta rossa polposa, sa di ciliegia e melagrana, floreale di rosa, peonia e gerani, con appena un accenno di balsami e macchia mediterranea; il sorso è rotondo, appare sottile e disteso, si fa poi largo e si allunga ad ogni assaggio, abbastanza morbido, ricco di tanto frutto polposo, teso il giusto, dissetante. E’ un piccolo manifesto questo vino, oggi pronto a bersi con soddisfazione ma siamo certi anche capace di maturare e sorprendere nel tempo; da portare in tavola con primi al ragù di mare ma anche con carni stufate o preparate al forno con contorni di verdure.

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Torrefavale, quell’ettaro di follia pura!

16 settembre 2020

E’ un luogo fuori dal tempo Torrefavale, nascosto lassù tra le braccia dei boschi di Tufo; mentre ci arrivi, durante la lunga e faticosa salita, attraversando anfratti tortuosi e passaggi con rientranze in bilico sul vuoto scavati nella roccia dura, ti rendi conto di cosa muove effettivamente uno come Angelo Muto nel tirarci fuori da qui questo vino: follia, follia pura!

Stiamo parlando di circa un ettaro collocato a 550 metri s.l.m. sopra Tufo, qui la superficie di argilla e calcare copre un sostrato di zolfo e ferro i cui residui sono ben evidenti in molti punti della vigna dove alcune delle piante sono addirittura vecchie 100 anni. Spesso siamo portati ad identificare con il termine “tufo” rocce di natura assai diversa. Sono tali ad esempio calcari teneri, travertini leggeri porosi, arenarie friabili, calcaree o argillose, ma più propriamente questo nome va riservato a rocce piuttosto incoerenti, certamente di origine piroclastica, formatesi con l’accumulo di frammenti di materiali vulcanici che le eruzioni, nelle loro diverse fasi esplosive, spingono via dai magmi interni e li proiettano sulla superficie della terra intorno alla bocca eruttiva e, come in questo caso, ben oltre. E’ questo materiale che può essere di natura e di calibro diverso: da blocchi anche di qualche metro cubo si passa gradatamente a sabbie fini e a polveri impalpabili. Proprio come la terra delle vigne che abbiamo camminato in lungo e in largo a Tufo che qui a Torrefavale pare concentrarle tutte!

Da questa terra unica, salubre, ricca di biodiversità, favorita da un microclima straordinario, ne viene fuori un vino immortale, capace di attraversare il tempo con una certa disinvoltura, una versione di Greco di Tufo fine ed elegante, non confondibile nemmeno con il Miniere, l’altro Greco di Cantine dell’Angelo, generalmente più sgraziato e opulento, probabilmente quello più autentico di Angelo Muto o più semplicemente quello più amato ed apprezzato dagli appassionati.

**** Greco di Tufo Torrefavale 2019. L’annata ha consegnato un inverno mite e poco piovoso, con una primavera fredda, in special modo nella prima parte, con temperature talmente rigide da rallentare in molti casi la fase fenologica del germogliamento e un ritardo della fioritura dovuto anche alle piogge frequenti sino a Maggio. Per fortuna l’estate è stata regolare e le maturazioni sino alla vendemmia sono state in linea con le aspettative di una buona annata. Abbiamo nel bicchiere un vino certamente giovanissimo, dal colore paglia oro luminoso. Il naso, in questo momento, regala soprattutto sentori di balsami e di olî essenziali, di frutta a polpa bianca e gialla, sa di erbe aromatiche, fiori di campo, pera e pesca. Il sorso è caratterizzato da una importante spalla acida, una tessitura finissima ma evidente che conduce a una persistenza gustativa notevole. Stare qualche mese ancora in bottiglia gli gioverà senz’altro per ritrovarlo più disteso.

**** Greco di Tufo Torrefavale 2018. L’andamento climatico ha consegnato un’annata complicata più che complessa ma nell’insieme si può dire di aver portato in cantina uve che hanno dato vini di una certa personalità, ossuti, tesi e vibranti, per quanto riguarda i Greco di Tufo anche molto sapidi. Si può dire che sono queste le annate in cui il manico, in questo caso quello di Luigi Sarno che aiuta Angelo Muto da sempre, conta molto per non disperdere il patrimonio varietale e territoriale delle uve di questo areale. Anche qui nel bicchiere ci arriva un bianco dal colore paglia oro con un tono lievemente più luminoso sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso è ampio e ricco di sfumature, emergono sentori di fiori gialli e frutta polposa, pera e pesca bianca, cui s’aggiungono note balsamiche di erbette ed appena un cenno di salmastro e sentore fumé. Il sorso è una stilettata di freschezza, è un bianco pieno di verve, capace di ben asciugare la bocca regalando però un finale gustativo piuttosto sapido.

***/* Greco di Tufo Torrefavale 2014. Come spesso accade il Greco di Tufo dopo i primi anni in bottiglia in cui sembra percorrere strade piene di curve e saliscendi, dopo un po’ incontra il rettilineo sul quale spinge forte rallentando di tanto in tanto solo per dare respiro al suo motore vitale, la mineralità. E’ di colore oro, nemmeno troppo maturo, questo duemilaquattordici, ora però la nota salmastra e lo zolfo sono preminenti e incisivi, la frutta che vi si coglie è perlopiù disidrata e candita, le erbe officinali e gli aromi sono perlopiù di spezie in polvere. Il sorso è invece ben fresco e molto sapido, la verticalità del naso prende decisamente il largo sulla rigorosa staticità della bocca, che resta conservativa, insieme ci consegnano un vino assolutamente didattico.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre 

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L’abbiamo scampata bella!

11 settembre 2020

C’è già da un po’ di anni grande entusiasmo intorno ai vini campani, certi bianchi in particolare, un rinnovato e straordinario entusiasmo che fa della Falanghina, del Fiano e del Greco (ma anche del Pallagrello, per dire) vini molto ricercati ed apprezzati, come mai prima, e non solo dagli appassionati ”locali” ma finalmente da tutto il mondo.

Una lunga scia di grandi successi non ha tuttavia mancato di generare di tanto in tanto un po’ di confusione, un’ascesa che ha spinto alcuni produttori nel seguire, quasi come un mantra, alcuni modelli interpretativi sballati e in certi casi superati dal tempo pur di compiacere questo o quel winemaker di grido o, peggio, l’enostrippato di turno.

Alcuni vini, certi Greco di Tufo ad esempio, che cito non a caso, risultavano spesso sovraestratti, talvolta pesanti, addirittura ostici da berli a tavola, violentando il varietale e sacrificandone le peculiarità e l’originalità nel nome di chissà cosa, quale trip vinnaturale o bioqualchecosa; insomma, con l’dea di spostare di qualche centimetro in là l’asticella, che pur ci sembra del tutto legittima, non si è pensato alle conseguenze della poca esperienza, al pericolo di incappare in una banale omologazione, un copia incolla scontato e sicuramente lontano dagli obiettivi di qualità che meritano invece un territorio straordinario pur nella sua eterogeneità e una denominazione di prestigio come quella del Greco di Tufo Docg.

Ne raccontammo proprio Qui, ve lo ricordate? Bene, a distanza di qualche anno, a quanto pare, possiamo dire che l’abbiamo scampata bella, almeno a ”sentire” i tantissimi assaggi fatti di recente delle vendemmie ultime in bottiglia, evviva!

Per fortuna non c’è stata quella deriva stilistica che sapevamo non avrebbe condotto da nessuna parte. Tufo, per restare sul vino che più ci sta a cuore, non è Loreto Aprutino, o Oslavia, e per quanto nobile potesse risultare l’accostamento a certi vini e per quanto evocativi potessero essere certi frugali assaggi di una moltitudine di vini fatti più o meno seguendo lo stesso protocollo, con le stesse tecniche con cui si fanno certi Trebbiano in Abruzzo e Ribolla nel Collio, il risultato ci appariva sempre troppo uguale tra loro stessi, con poco o nulla di ancestrale, vini dal sorso fluido, appesantito, con poco o niente riconoscibilità varietale per non parlare di quale territorialità, liquidi talvolta opachi, altri sovraestratti più per imperizia che altro, più vicini alla tradizione brassicola che a quella enoica. Perchè di vino, in fondo, si sta parlando.

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E poi c’è Rosanna

10 settembre 2020

E’ lei, Rosanna Petrozziello della Cantina I Favati, donna caparbia, energica e solare, qualità che ritrovi pienamente nei suoi vini, in particolare nei suoi Fiano di Avellino, sia nella veste classica del Pietramara Etichetta Nera che quando imbottigliati con l’Etichetta Bianca riservata alle annate straordinarie.

Guai però a parlarle di ”specializzazione” sul Fiano, non ne vuole proprio sentir parlare, tanto per l’impegno che ci mette nel tirare fuori anche ottimi Greco di Tufo, Aglianico e Taurasi, sin dai suoi primi timidi passi mossi in cantina qui a Cesinali, nel 1996, quanto perché questa scelta, a suo tempo, l’ha letteralmente scaraventata nel mondo del vino, portandola a mollare tutto e dedicare tutta se stessa all’azienda di famiglia dei fratelli Favati, con suo marito Giancarlo e il cognato Piersabino al suo fianco. 

Tra vigne di proprietà e in conduzione, collocate in più aree Doc e Docg dello splendido territorio irpino, I Favati lavora oggi poco più di 16 ettari, con il Fiano di Avellino proveniente perlopiù dalle vigne di via Pietramara ad Atripalda – nella foto sotto, con Giancarlo Favati, ndr -, l’Aglianico da alcune parcelle provenienti dai comuni di Montemarano e Venticano, il Greco di Tufo da Santa Paolina.

Ciononostante per noi resta il Fiano di Avellino che emerge perentorio nella batteria dei buonissimi vini assaggiati. Il Pietramara di Rosanna, seguita da sempre nel lavoro di cantina dal bravo Vincenzo Mercurio, conserva in sé l’anima del grande vino, ha verticalità e spessore e il tempo ci continua a consegnare ampie conferme. Resta infatti una lettura varietale (e territoriale) capace di esprimere equilibrio ma anche e soprattutto opulenza ed eleganza; è un bianco vivace e invitante quando giovane, talvolta anche sopra le righe, ruffiano e per certi versi fuorviante, ma al contempo capace di offrire ampi spunti di profondità e complessità olfattive e gustative al pari dei migliori vini bianchi del mondo.

La vigna di Atripalda è a poche curve dalla cantina di Cesinali, conta circa 5 ettari, è un piccolo anfiteatro naturale che si apre da nord-est a nord ovest e arriva in certi punti a circa 450 metri s.l.m.. Ai piedi delle vigne insiste un piccolo insediamento boschivo, nelle vicinanze ci passa il fiume Sabato, a monte ancora querce, castagni, noccioleti e vegetazione sparsa lungo una dorsale costantemente spazzata dal vento, dove l’uva si avvantaggia, in certe annate, di una maturazione lenta e tardiva, giovandosi anche di particolari escursioni termiche notturne. Quello che ne viene fuori è uno spettacolo liquido per le papille gustative tutto da assaporare!

**** Fiano di Avellino Pietramara 2019. Millesimo fortunato, che sembra aver regalato vini in forma smagliante, dal colore paglierino intenso con accenni oro sull’unghia del vino nel bicchiere. Il calice sprizza fiori gialli, agrumi e frutta a polpa gialla, con note anche tropicali, ci trovi dentro caprifoglio e timo, pesca e susina, mango. Il sorso è fresco ed equilibrato, col tempo saprà ”allargarsi” ma resta un assaggio di notevole persistenza.

****/* Fiano di Avellino Pietramara 2018. Buono ogni oltre ogni ragionevole dubbio, di quelle bottiglie indimenticabili, dal colore luminoso paglia oro. Il naso è ampio e complesso, il ventaglio olfattivo dona tanti spunti, note floreali, macchia mediterranea, sentori che lasciano spazio a profumi più maturi di frutta a polpa gialla (pesca noce e mango) sostenuti da balsami e agrumi, accenni salmastri. Il sorso è carico di buona materia, polposo e fresco, succoso ed equilibrato, persistente da masticare, finemente intessuto.

I due ettari di Greco di Tufo, come dicevamo, sono invece in conduzione a Santa Paolina, collocati, per intenderci, nella parte alta che si alza sopra Cutizzi, più verso il centro del paese, nel cuore di una delle tre Denominazioni di Origine Controllata e Garantita irpine, e da qui proviene il Terrantica.

Del Greco ne abbiamo ampiamente raccontato  e non smetteremo mai di farlo, non è un vino “facile”, tutt’altro: è un bianco che va lasciato respirare e soprattutto servito ad una giusta temperatura (12°-14°) per non ghiacciare con le papille gustative anche i sottili ma persistenti profumi varietali e minerali, quella vivacità gustativa che sorso dopo sorso si tramuta in una profondità davvero encomiabile, che avvolge il palato e non lo lascia più, per molto, molto tempo.

**** Greco di Tufo Terrantica 2019. Il colore è giallo paglierino, appena un po’ più marcato oro sull’unghia del vino nel bicchiere. Ha un naso sottile, profuma di frutta a polpa bianca e di agrumi, di fiori e frutta secca. Il sorso è fresco e sapido, un poco statico in questo momento, però fresco e gradevolmente sapido. Sarà certamente una splendida rivelazione con qualche mese ancora di bottiglia, ne siamo sicuri!

**** Greco di Tufo Terrantica 2018. Già nel colore paglierino oro sembra voler raccontare qualcosa in più della sua sostanza, ha un naso complesso e invitante, tira fuori sensazioni agrumate e fruttate di pompelmo e albicocca, di mela cotogna e pesca matura. Il corollario regala anche note più sottili di balsami che richiamano gelsomino e zenzero, macchia mediterranea. Il sorso è fresco e gratificante, morbido e fine, con buon equilibrio e persistenza gustativa, dei tre Greco in batteria quello di maggiore efficacia.

***/* Greco di Tufo Terrantica 2016. E’ stato un millesimo complesso con alcuni giorni di pioggia proprio nel mese di ottobre ma in fin dei conti ci sembra venir fuori ancora un buon Greco, caratterizzato da piena maturità espressiva, forse una spanna sotto i precedenti anche se proprio qui emergono sin da subito la mineralità sulfurea e l’acidità che caratterizzano il Greco di Tufo nelle sue espressioni più tipiche. Il colore è oro, con un naso che sa di camomilla, malto ed erbe officinali, mela cotogna, zenzero e ancora qualche tono balsamico; il sorso è pieno, asciutto, ancora deciso e persistente ma nel complesso, forse, un po’ distante dalla piena e coinvolgente complessità olfattiva.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre 

Leggi anche Fiano di Avellino Pietramara Etichetta Bianca 2009 I Favati Qui.

Leggi anche Greco di Tufo Terrantica Etichetta Bianca 2009 I Favati Qui.

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C’è il racconto di un pezzo di territorio del Greco di Tufo dentro il Cutizzi di Feudi di San Gregorio

1 settembre 2020
Proprio sul confine tra i comuni di Tufo e Santa Paolina insiste una particolare conformazione territoriale di superficie, fragile e di difficile gestione e conservazione, che periodicamente mette a dura prova i vignaioli e le aziende che ostinatamente, provano a preservarne lo spettacolo della natura che qui alterna valli e costoni impervi coltivati a Greco a scenari boschivi aspri e selvaggi, disegnando paesaggi unici e tratteggiando vini tra i più complessi e caratteristici di tutto l’areale.

Lungo questa frattura di superficie si coglie in tutta evidenza la particolare differenza dei terreni che da queste parti, dove le rocce affioranti risultano intensamente frantumate e la terra assume varie connotazioni e colori bruni, divenendo molto suggestiva per via della diversa natura organica, delle varie esposizioni e della luce del sole che l’attraversa durante il giorno. Una terra faticosa da lavorare, con al centro la vigna e tutto intorno una rara e preziosa biodiversità vegetale da tutelare.

Ne viene fuori una particolare energia che si coglie appieno nell’aria: non appena ci arrivi qui a Cutizzi, appena scollinati, ti accoglie un avvenente e caratteristico profumo di erbe e fiori, di piante e cortecce aromatiche, una mescolanza di essenze con freschi profumi di rosmarino e timo che si colgono chiarissimi nell’aria, è qualcosa di straordinario, da provare per credere, vieppiù quando questi stessi sentori te li ritrovi poi ben precisi e amplificati nei vini qui prodotti.

Sono questi terreni eterogenei, perlopiù calcarei e argillosi, ricchi di limo, in alcuni punti di materiale piroclastico, in altri di materia organica, in altri ancora di gesso, ad ogni modo ”acidi” e abbondanti di sostanze minerali, circondati da boschi, con vigne ben ventilate ed esposte, dove un microclima con importanti escursioni termiche garantisce pieno equilibrio alla maturità delle uve sino al raccolto. Da qui proviene questo Cru di Greco di Tufo di Feudi di San Gregorio, un bianco capace in certe annate di slanci notevoli senza mai perdere la forte caratterizzazione originale.

Il Greco è storicamente conosciuto come l’Aminea Gemina di cui parlavano già i Georgici Latini, una varietà importata dalla Tessaglia dall’antico popolo dei Pelasgi, varietà così chiamata per la caratteristica forma del grappolo che presenta una spiccata gemmazione laterale, a renderlo quasi doppio, gemello, appunto. Il vino Greco di Tufo ha ottenuto il massimo riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata e Garantita con Decreto Ministeriale il 18/07/2003.

Le proprietà in questi luoghi sono estremamente frazionate, sono pertanto abbastanza pochi gli esempi di vinificazione in purezza di singole sottozone o, come in questo caso, addirittura di un singolo vigneto. La maggior parte delle aziende imbottigliatrici, infatti, è costretta di sovente a lavorare piccole partite, producendo il più delle volte vini che sono il risultato di un assemblaggio di più vigne e di aree diverse tra loro, talvolta provenienti da più comuni del circondario, elemento questo che avvalora ancor di più la scelta di chi punta dritto sul vino da singola vigna.

**** Greco di Tufo Cutizzi 2019. E’ senz’altro tra i primi ”Single Vineyard” prodotti in zona Greco di Tufo docg, Feudi di San Gregorio è qui da oltre trent’anni, in pochi lo sanno ma gestisce una buona parte dei 670 ettari dell’intera denominazione di origine controllata e garantita, in larga parte di proprietà o comunque in conduzione esclusiva pluriennale. Il colore di questo duemiladiciannove è paglierino ben luminoso, con appena accenni dorati sull’unghia del vino nel bicchiere, al naso esprime tutta la tipicità di cui si raccontava, con un profilo olfattivo ben definito, erbaceo, floreale e fruttato che spazia dalle erbe aromatiche (rosmarino e timo, appunto) al salice, dalla prugna alla pera, con sentori via via impreziositi da toni balsamici che ne amplificano verticalità e fragranza. Il sorso è secco, certamente fresco e sapido.

**** Greco di Tufo Cutizzi 2018. Il colore paglia ne anticipa il gran carattere, al naso ha già maggiore ampiezza rispetto alla verticalità del millesimo precedente, i profumi che vengono fuori sono anzitutto fiori d’acacia, frutta a polpa gialla, c’è susina e pera kaiser, con una delicata sensazione salmastra appena accennata. Colpisce la ricca struttura, piena rappresentazione di un bianco pregno di stoffa, di frutto e buona acidità, che conserva quindi un sorso agile e di buon equilibrio, in perfetto stato di grazia in questo momento, con una decisa persistenza gustativa e un finale di bocca decisamente appagante.

C’è il racconto di un bel pezzo di territorio del Greco di Tufo dentro il Cutizzi di Feudi di San Gregorio, un racconto che proveremo nelle prossime settimane ad ampliare e rendere più esaustivo, crediamo però che nessuna narrazione di questo areale può essere pienamente rappresentativa senza camminare e raccontare anche questo pezzo di terra di confine, sott’ Cutizz’, come dicono da queste parti.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

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Itri, l’Abbuoto Filari di San Raffaele 2018 di Monti Cecubi

17 agosto 2020

Una bottiglia di vino per quanto sconosciuta deve suscitare curiosità, rendere piacevole un momento, lasciare un buon ricordo di se, al di là del prezzo segnato in carta, sta poi al palato più attento, all’appassionato cogliere l’opportunità di una nuova scoperta.

E’ sostanzialmente questo il motivo che ci ha spinti sin quassù nelle campagne di Itri, alla ricerca di Monti Cecubi, così recava in etichetta una seducente Falanghina bevuta alla tavola di un ristorante a Fondi qualche sera prima. Ci siamo trovati davanti una piacevole scoperta, un piccolo gioiello incastonato in mezzo alla terra rocciosa, circondato da vigne nascoste tra ulivi e boschi secolari e foreste di sughere, appena sopra la costa di Sperlonga.

L’azienda è rinata nel 1990 grazie alla famiglia Schettino di S.M. Capua Vetere, conta ben 150 ettari, di cui almeno sei di uliveto e venti di vigneto collocati in larga parte qui a Itri e poco più in là verso Fondi. Vi si coltivano diversi varietali, alcuni introdotti proprio nel ’90, per provarne il potenziale colturale, come ad esempio Montepulciano, Vermentino, Fiano e Falanghina, altri erano già presenti in queste terre con vigne vecchie di impianti risalenti al secondo dopoguerra, ceppi con i quali, in alcuni casi, si è provveduto a selezioni clonali mirate, come nel caso di alcune varietà come l’Uva Serpe e l’Abbuoto, uve a bacca nera già anticamente protagoniste del ”Vinum Caecubum” prodotto in quest’area in epoca romana.  

L’Abbuoto è stato ufficialmente censito nel Registro Nazionale delle Varietà di vite con pubblicazione del decreto di ammissione sulla Gazzetta Ufficiale n. 149 del 17.06.1970 e in seguito inserito dalla Regione Lazio nella pubblicazione dell’A.R.S.I.A.L. delle “Varietà Locali Tutelate”, ovvero “Risorse genetiche sotto tutela” ai sensi della Legge Regionale 1 marzo 2000 n. 15. E’ un vitigno originario proprio di questo areale che va dalle campagne di Fondi sino alle zone della piana racchiusa dalla corona dei Monti Ausoni e Aurunci, sino in Campania. Il grappolo ha dimensioni medie grandi, semi-serrato, di forma cilindrica-conica, a volte con una o due ali. L’acino, grande e sferico, ha buccia spessa e pruinosa, di colore violaceo. La foglia, grande anch’essa, è pentalobata, di colore verde chiaro.

Qui a Monti Cecubi si parla chiaramente della rinascita del vino Cecubo, il vino rosso molto pregiato e parecchio apprezzato dai Romani che secondo il racconto di Plinio si produceva proprio da queste parti in areale pontino – “Caecubae vites in Pomptinis Paludes madent…“ – e le cui vigne si trovavano nella zona “… supra Forum Appii”, proprio quel territorio che dall’attuale Formia, si estendeva fino alle attuali Fondi e Terracina.

L’Abbuoto di Monti Cecubi proviene proprio dalle vigne di San Raffaele di Fondi, dove la terra bruna e rocciosa della dorsale itrana si arricchisce di argilla e sostanza organica e contribuisce, con l’esposizione, l’influenza del mare, l’escursione termica a produrre un vino intenso, fresco e particolarmente suggestivo, che troviamo molto buono con questo duemiladiciotto, un Lazio igt di cui sono state prodotte circa 6000 bottiglie! E’ un rosso di colore amaranto, pieno e vivace, con sentori di melograno, prugna e altri piccoli frutti neri in primo piano, sa anche di caffè e cioccolato, è lievemente balsamico. Il sorso è fresco e piacevolmente sapido, 13% di alcol in volume in etichetta, ben misurato il passaggio in legno che consegna al palato un tannino vellutato, nessuna spigolatura, solo tanto frutto ed un finale di bocca piacevolmente succoso. Di quei rossi da bere alla giusta temperatura, intorno ai 14°, per goderselo appieno!

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Un bianco per l’estate, anzi dieci, tutti campani e dove trovarli!

13 agosto 2020

Negli ultimi mesi non sono stati pochi i vini che abbiamo raccontato su queste pagine, ebbene, a volerne tirare fuori una decina, appena dieci tra i tanti buonissimi assaggiati, senza far torto a nessuno, proviamo a riproporne alcuni come etichette ”sicure” per le vostre prossime bevute in vacanza in Campania e, per non farci mancare nulla, come meglio apprezzarli in tavola e anche dove trovarli!

Asprinio di Aversa Spumante Trentapioli Brut s.a. Salvatore Martusciello. Di Asprinio di Aversa se ne parla sempre troppo poco, mentre l’esperienza degli anni passati ci è servita per capire che quel suo gusto così spiccato e originale ha invece una marcia in più, davvero originale, unico e particolare! Nelle versioni spumanti diventa poi irresistibile, con quel suo colore brillante giallo paglia, una spuma delicata e fine, dei profumi lievi che rimandano agli agrumi, alle erbette, la pesca, con tanta freschezza e piacevolezza al palato. Buono per la pizza fritta, ad esempio, non poche le pizzeria napoletane che ne hanno fatto un must della loro proposta vini in carta. L’azienda è a Quarto (NA), in Via Spinelli 4 – Tel. +39 081 8766123, con punto vendita a Pozzuoli (NA), in P.za della Repubblica presso la storica Salumeria Guida. La scheda completa Qui.

Asprinio di Aversa Vite Maritata 2019 I Borboni. Ecco una felice versione ferma dell’Asprinio davvero imperdibile! E’ un vino bianco dal colore paglia, il naso consegna profumi di fiori bianchi e agrumi, frutta a polpa bianca, macchia mediterranea. Il sorso è invece teso e vibrante, chiaramente sfrontato, con un frutto chiaro e un sapore asciutto, vivace, finanche citrino di cui sa farne ampiamente virtù. Resta una testimonianza viva del grande lavoro di valorizzazione di questa produzione campana della famiglia Numeroso di Lusciano. E’ un degno compagno a tavola con tutto un po’, sempre valido l’abbinamento con la Mozzarella di Bufala Campana Dop. L’azienda è a Lusciano (CE), in Vico E. De Nicola 7 – Tel +39 081 8141386. La scheda completa Qui.

Costa d’Amalfi Tramonti bianco 2019 Giuseppe Apicella. L’estate ti porta inevitabilmente ad ”alleggerire” la portata delle bevute, così se in tavola arrivano generalmente meno piatti, se non portate uniche, o comunque più semplici, ecco che nel bicchiere si preferisce versare vini profumati e leggeri, anche con una discreta personalità e carattere, come questo Tramonti bianco, purché sappiano accompagnare il cibo senza affaticare il palato, senza appesantirne il pasto. Riuscitissimo per esempio in questo caso l’accostamento alle alici impanate e fritte del Ristorante Al Convento di Cetara. L’azienda è Tramonti (SA), in Via Castello S. Maria 1 – Tel. +39 089 856209. La scheda completa Qui.

Falanghina Campi Flegrei Colle Imperatrice 2019 Cantine Astroni. Uno tra gli ultimi assaggi passati su queste pagine che ci ha consegnato un bianco decisamente coinvolgente, semplice se vogliamo, eppure disarmante nella sua piena espressività territoriale; con ogni probabilità una delle migliori versioni tirate fuori da Gerardo Vernazzaro negli ultimi anni, ben più degli altri preziosi gioielli di famiglia nati nel frattempo. E’ un vino bianco buono da bersi come aperitivo, con del pane al burro e alici, o delle bruschette con ”Stracciata di Bufala” ad esempio, se non con un piatto di pasta con frutti di mare. L’azienda è in Via Sartania 48, in Loc. Pianura a Napoli – Tel +39 081 5884182. La scheda completa Qui.

Falanghina Campi Flegrei 2019 Azienda Agricola Mario Portolano. Un vino dal bel colore paglia con accenni dorati sull’unghia del vino nel bicchiere; il quadro olfattivo è molto invitante, è varietale e tipico, con un quadro organolettico floreale e fruttato molto fine, cui s’aggiunge un lieve rimando salmastro e dei piacevoli sentori di acacia e ginestra. Il sorso è secco e morbido, possiede una buona progressione gustativa, tant’è il calice sparisce con due sorsi e con piena soddisfazione, quanto ci basta per apprezzarne appieno la bevuta con un pesce al sale al forno. L’azienda è in Via Toiano 12 a Pozzuoli (NA) – Tel. +39 0818042974. La scheda completa Qui.

'A Muntagna, il Vesuvio da Cantina del Vesuvio - foto L'Arcante

Lacryma Christi bianco Superiore 2018 Cantina del Vesuvio. Di vulcano in vulcano ci piace lasciare traccia di questo vitigno autoctono campano, tipico del Vesuvio, il Caprettone dell’azienda Cantina del Vesuvio di Trecase. Si tratta di un bianco leggiadro e morbido, da bere ben fresco, magari affiancandoci piatti ricchi di verdure, pensiamo ad esempio ad insalate arricchite con carpacci di pesce. Non è difficile comprendere perché queste terre, questi luoghi, già in epoca antica, sin dai Romani, fossero così ricercati e apprezzati. Non da meno oggi, grazie a chi con visione e lungimiranza non smette di credere che il Vesuvio sia molto, molto di più di un semplice tratto di paesaggio da incorniciare in una cartolina. E il lavoro della famiglia Russo emerge perentorio tra i molti nuovi protagonisti di questo straordinario territorio. L’azienda è a Trecase (NA) in Via Panoramica 65 – Tel. +39 081 5369041. La scheda completa Qui.

Greco di Tufo Chianchetelle Feudi Studi 2017 Feudi di San Gregorio. Chianchetelle proviene da una vigna del Comune di Chianche ubicata a circa 400 metri d’altitudine, due ettari esposti verso sud-est, caratterizzati da un sottosuolo principalmente argilloso e tufaceo, parte del Progetto FEUDI STUDI, una delle diverse espressioni di Greco di Tufo sulla quale Feudi di San Gregorio ha condotto un grande lavoro di ricerca sul varietale e sul territorio, nel tentativo di portare alla luce la loro massima espressione. E’ un vino bianco preciso e compiuto, estremamente suggestivo al naso, pieno di lievi sfumature, con un sorso ricco di carattere. Di quei vini da provare in compagnia, per goderne e parlarne, magari proprio là in giardino presso Feudi, dove in questo periodo è anche possibile fare picnic seduti sull’erba a fare merenda all’aperto, davanti a un piatto di grandi salumi e formaggi freschi. L’azienda è a Sorbo Serpico (AV), in loc. Cerza Grossa – Tel. +39 0825 986611. La scheda completa Qui.

Fiano di Avellino Pietramara 2018 I Favati. Il Pietramara è ormai una certezza in termini di territorialità e personalità, l’azienda di Piersabino e Giancarlo Favati e Rosanna Petrozziello veleggiano spediti verso il ventennale con mano sempre più sicura, tanta è infatti la strada fatta e tanta ancora li aspetta da grandi protagonisti quali sono ormai diventati. Dalle vigne di Cesinali viene fuori un bianco in splendida forma, dai sentori floreali e fruttati che lasciano poi via libera a note di erbe aromatiche e la classica nocciola tostata. Il sorso è carico di materia, c’è frutto da vendere, con tanta freschezza e sapidità che ne accompagnano il finale di bocca pienamente coinvolgente. A pensarci su, ci viene in mente un abbinamento con il ”Gran Fritto di mare” di Sud Ristorante a Quarto (NA), per dirne una. L’azienda è nei pressi di Piazza Di Donato, al civico 41 a Cesinali (AV) – Tel. +39 0825 666898. La scheda completa Qui.

Fiano di Avellino Colli di Lapio 2019 Romano Clelia. Restando da queste parti, in terra di Fiano, ci piace riprendere le fila di un altro grande bianco provato proprio in queste ultime settimane, impressionante per l’ampiezza olfattiva, quella nota balsamica che ne accentua l’anima di montagna e prepara il palato a tanta sostanza. Siamo su un fronte diverso della docg, l’altra faccia del Fiano di Avellino potremmo dire, oppure quella più autentica, chissà, con il colore che tradisce leggerezza ma il sorso nemmeno si accorge del 13,5% di alcol in volume in etichetta, tant’è che la bottiglia finisce in men che non si dica. Annata complessa, la duemiladiciannove, con un raccolto infinito qui a Lapio, protratto sino a metà novembre, fortunatamente da queste parti con meno problematiche che altrove. In genere nessun buon posto al mare se lo fa mancare in carta, pensate di berlo anche solo con un ”Spaghetto alla Nerano”. L’azienda è a Lapio (AV) in C.da Arianiello, 47 – Tel. +39 0825 982184. La scheda completa Qui.

Paestum Fiano Tresinus 2018 Azienda San Giovanni. Ancora un Fiano, questa volta però cilentano, di quelli con dentro una storia piena di romanticismo come quella di Mario Corrado e Ida Budetta e la loro splendida azienda agricola San Giovanni a Punta Tresino, a Castellabate. Una storia però carica anche di forza e determinazione, di passione pura, come questo bianco, un vino dal bellissimo colore paglia oro, luminoso, con un corredo aromatico merlettato: vi si colgono note di agrumi, fiori gialli, erbette aromatiche, odore di salsedine, balsami. Il sorso mostra subito consistenza e stoffa, finissima tessitura, persistenza gustativa, misurata sapidità. Uno di quei bianchi da bere con piacere magari proprio là a Punta Tresino, a guardar le stelle con qualche piccolo assaggio di crudo e cotto di verdure e pesce, gamberi, molluschi con del buon pane all’olio evo. L’azienda è a Punta Tresino, Castellabate (SA) – Tel. +39 334 1153784. La scheda completa Qui.

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Segnalazioni| Costa d’Amalfi Tramonti bianco 2019 Giuseppe Apicella

7 agosto 2020

Raccontiamo di una fresca interpretazione di Falanghina e Biancolella, il Tramonti bianco di Prisco Apicella, giovane e lanciatissimo enologo che dopo aver studiato a Torino è rientrato nell’azienda di famiglia fondata dal padre Giuseppe alla fine degli anni ’70.

L’estate ti porta inevitabilmente ad ”alleggerire” la portata delle bevute, così se in tavola arrivano generalmente meno piatti, se non portate uniche, o comunque più semplici, ecco che nel bicchiere si preferisce versare vini profumati e leggeri, anche con una discreta personalità e carattere, come questo Tramonti bianco duemiladiciannove ma che sappiano accompagnare il cibo senza affaticare il palato, senza appesantirne il pasto.

I primi passi dell’azienda risalgono a metà degli anni ’70 ma la svolta arriva nel 2000 quando Giuseppe Apicella comincia ad imbottigliare il vino (rosso) prodotto in zona che prima di allora veniva perlopiù venduto sfuso ai mediatori che ne facevano in larga parte Gragnano, tra i più diffusi e apprezzati vini campani non solo qui in Costiera e nel napoletano ma soprattutto dai numerosi ”compaesani” emigrati in giro per il mondo per le loro Pizzerie.

Poi c’è Tramonti, incastonato tra la montagna e il mare, immerso nei boschi, circondato dalla natura selvaggia a cui sottrarre pezzettini di terra per piantarvi Tintore, Sciascinoso e Piedirosso, se non Falanghina (qui detta Biancazita, ndr), Biancolella (sin. Biancatenera, ndr) Pepella e Ripoli. Chi c’è stato¤ non ha potuto far altro che constatare che luogo meraviglioso è questo per la vigna, quali emozioni straordinarie si provano nel camminare questi luoghi, queste terre, le vigne ultracentenarie immerse tra le montagne che sovrastano, imponenti, la Costiera Amalfitana.

Gli Apicella sono certamente in buona compagnia, qui ci sono ad esempio anche Gigino Reale e Alfonso Arpino¤, di cui trovate piena testimonianza dando uno sguardo alle storiche verticali del Borgo di Gete Qui e del Monte di Grazia rosso Qui, due tracce indelebili continuamente appetite dai “pasionari” del Tintore, ma c’è anche Tenuta San Francesco, quelli del Per Evaleggi Qui -, altra splendida realtà che produce uno dei vini bianchi più buoni prodotti qui a Tramonti.

Questo pezzo di Costa d’Amalfi rappresenta un territorio e una denominazione che vanno fermamente salvaguardati, oggi più che mai, per preservarne, con il successo commerciale, l’enorme valore culturale, sociale, identitario che qui rimane unico e irripetibile, grazie anche a vini bianchi come questi capaci di condensare in una manciata di sorsi tante suggestioni da godere con vero piacere, dei preziosi messaggi in bottiglia nel vero senso del termine.

Leggi anche Tramonti, Monte di Grazia rosso 2009 (e 2007) Qui.

Leggi anche Tramonti, il Tintore di Gigino Reale Qui.

Leggi anche Tramonti, Costa d’Amalfi Per Eva 2009 Qui.

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Rutino, quel Vignolella che ogni male stuta

1 agosto 2020

L’azienda conta già tre lustri di storia alle spalle, resta una giovane e promettente realtà, nata dalla ristrutturazione della Cantina Sociale del Cilento di Rutino e che anno dopo anno, vendemmia dopo vendemmia ha saputo tracciare un percorso di tutto rispetto, armati di gioia e passione per questa terra cosi piena di storia e di tradizione.

L’abbiamo ritrovata in carta al ristorante Al Convento¤ di Cetara, a casa di Pasquale Torrente¤, non potevamo farci scappare l’assaggio. L’azienda è a Rutino, lavora circa 12 ettari di vigna tutti in conversione biologica, piantati perlopiù con Aglianico e Fiano e alcune varietà locali minori. Del Vignolella conserviamo un piacevole ricordo, è passato un po’ di tempo dall’ultimo assaggio ma la memoria di un bianco così fine, elegante e tanto espressivo e piacevole da bere non ci ha fatto battere ciglio.

Che buono! Ritroviamo nel bicchiere un Vignolella duemiladiciotto in grande equilibrio, davvero un gran bel Fiano del Cilento, dal colore paglia luminoso, capace di stillare tante suggestioni al naso, con sentori floreali di ginestra, erbette di campo e macchia mediterranea, frutta a polpa bianca e gialla, anzitutto con note di agrumi e di pesca. Il sorso è scorrevole, è secco, morbido, piacevolissimo con quel finale di bocca sapido e minerale, perfettamente disteso.

Ne abbiamo molto apprezzato l’accostamento al pescato del giorno, un Merluzzo in umido servito con tante fresche verdure di stagione, talune alla griglia altre ripassate in padella con un meraviglioso olio extravergine di oliva. Il lusso, il più delle volte, risiede nella semplicità!

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Segnalazioni| Falanghina Campi Flegrei 2019 Azienda Agricola Mario Portolano

26 luglio 2020

Abbiamo scritto più volte di questa nuova interessante azienda flegrea di proprietà della famiglia Portolano, imprenditori napoletani attivi in campo manifatturiero dal 1895. Ci siamo tornati con piacere a distanza di poco più di un anno, per camminarci nuovamente le vigne con Mara e provare alcuni vini, tra questi la deliziosa Falanghina Campi Flegrei duemiladiciannove di prossima uscita. 

L’azienda è a Toiano, area periferica del comune di Pozzuoli, cuore della denominazione di origine controllata Campi Flegrei; possiede 5 ettari e mezzo di cui 4 a corpo unico proprio a via Toiano, giusto all’ingresso del quartiere popolare del comune flegreo che ha conservato a macchia di leopardo piccole oasi verdi dove sono ancora evidenti le origini rurali di questi luoghi che, a metà-fine anni ’70 sono stati destinati, dopo un repentino e intenso piano di urbanizzazione, ad accogliere gli sfollati del centro storico e del Rione Terra di Pozzuoli, prima a seguito del Bradisismo, poi ancora del Terremoto dell’80.

Tra le vigne, al netto di qualche filare di Aglianico proveniente da Taurasi e piantato quasi per gioco negli anni ’90, regna sovrano il Piedirosso dei Campi Flegrei, protagonista di un vino che si sta facendo molto apprezzare per le sue caratteristiche organolettiche, così uniche e rare, che ne fanno uno dei rossi campani tra i più ricercati e apprezzati negli ultimi anni, qui poi particolarmente sorprendente, come già abbiamo avuto modo di raccontare nelle annate degustate che vi riproponiamo alla fine di questo post.

Da due anni è entrato in produzione anche un piccolo appezzamento di Falanghina, collocato però ad un paio di chilometri dall’azienda, in via Montenuovo Licola Patria, sul versante costiero di Cuma, sempre nel comune di Pozzuoli; una vigna di circa 1 ettaro e mezzo dove, con la vendemmia 2018, si è cominciato a fare un bianco di buona personalità, sempre con l’aiuto in cantina di Gianluca Tommaselli, ottimo enologista e buon interprete di questo e diversi altri territori della provincia di Napoli.

Proprio in questi giorni finisce in bottiglia il secondo atto di questo lavoro, il duemiladiciannove; nel bicchiere ci arriva un vino dal bel colore paglia con accenni dorati sull’unghia del vino nel bicchiere; il quadro olfattivo è molto invitante, è varietale e tipico, con un quadro organolettico floreale e fruttato molto fine, cui s’aggiunge un lieve rimando salmastro e dei piacevoli sentori di acacia e ginestra. Il sorso è secco e morbido, possiede una buona progressione gustativa, si gioverebbe di maggiore freschezza con un pizzico di acidità, tant’è il calice sparisce con due sorsi e con piena soddisfazione, quanto ci basta per apprezzarne appieno la bevuta. Ci piace pensare che una nuova piccola stella possa brillare nel firmamento flegreo, ancora un passo avanti, ancora un tassello di qualità per tutto il territorio!

Leggi anche Pozzuoli, il Piedirosso Campi Flegrei 2017 di Mario Portolano Qui.

Leggi anche Pozzuoli, il Piedirosso Campi Flegrei 2018 di Mario Portolano Qui.

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Segnalazioni| Lacryma Christi del Vesuvio rosso Superiore 2018 Cantina del Vesuvio

7 luglio 2020

Non è difficile comprendere perché queste terre, questi luoghi, già in epoca antica, sin dai Romani, fossero così ricercati e apprezzati. Non da meno oggi, grazie a chi con visione e lungimiranza non smette di credere che il Vesuvio sia molto, molto di più di un semplice tratto di paesaggio da incorniciare in una cartolina.

Ci piace quello che abbiamo incontrato sulla nostra strada qualche settimana fa, ci piace il lavoro che Maurizio Russo, patròn vulcanico – è proprio il caso di dirlo! – di Cantine del Vesuvio sta portando avanti qui a Trecase, in provincia di Napoli, in un paesino di appena 9000 abitanti alle falde del Vesuvio, sul versante sud del vulcano, letteralmente affacciato sul mare del Golfo: che posto bellissimo questo, unico e meraviglioso!, da qui Sorrento e Capri sembrano ad un tiro di schioppo, ‘A Muntagna ci sovrasta alle spalle, qui la vite, il vino, rappresentano da sempre valori preziosissimi, da un punto di vista storico, culturale e sociale.

È il 1948 quando appena dopo la seconda Guerra Mondiale Giovanni Russo si mette in proprio mettendo su una piccola azienda vinicola, all’epoca impegnata perlopiù nella compravendita dell’uva e del vino buoni per la Tràfeca – Leggi Qui. -, il commercio del vino all’ingrosso che si trasportava a bordo di carri trainati da cavalli sino a Napoli, dove poi i piccoli commercianti al dettaglio lo rivendevano alle botteghe e alle cantine in città. Il vino del Vesuvio ha sempre avuto grandi estimatori! Maurizio inizia così ad aiutare il padre nella sua attività sino a quando però non decide di prendere la sua strada.

Pochi o nessun riferimento davanti ma obiettivi concreti sui quali costruire un’idea di vino precisa e dal forte richiamo territoriale: nei vini di Cantina del Vesuvio c’è dentro la storia, il vulcano, le sue uve tradizionali raccolte dal suo terreno lavico che qui, a differenza del versante più interno (Boscoreale, Terzigno, ad esempio) si fa più chiaro, sciolto e sabbioso; 16 splendidi ettari di vigna, tutti a conduzione biologica dal 1996, dove si colgono forme di allevamento tradizionali ma anche innovative, piante che circondano tutto intorno la piccola cantina dove prendono vita ogni anno poco più di 60.000 bottiglie vendute praticamente tutte agli avventori appassionati di passaggio qui sul Vesuvio, sempre più numerosi.

Una produzione di qualità incentrata ovviamente sul Lacryma Christi, sulla valorizzazione di questo straordinario vino campano con una lunga storia alle spalle ed un grande futuro davanti. Caprettone per il Lacryma bianco – di cui scriveremo dettagliatamente più in là -, Piedirosso per il Lacryma rosso Superiore e, con l’Aglianico, per il rosso Riserva.

Sul Piedirosso si sta facendo un gran lavoro, da qualche anno qui viene allevato con il Sylvoz, un metodo di coltivazione e potatura francese, utilizzato prevalentemente al nord per la sua maggiore captazione della luce e, di conseguenza, una maggiore vigoria che qui però si traduce nel tenere testa al varietale che ha obiettivamente necessità di sviluppare più gemme e tanto legno e fogliame per rendere buoni frutti da spremere. Un sistema che abbiamo già avuto modo di incontrare, ad esempio, nell’Agro aversano dove viene utilizzato per la coltivazione bassa dell’Asprinio¤.

Tutta questa attenzione sul Piedirosso ci rende ovviamente felici, rimane un varietale dal grande potenziale quello già decantato da Plinio e Columella, coltivato da queste parti da millenni ormai; riportarlo a forme di coltivazione più congeniali secondo l’esperienza locale, ha certamente lo scopo di ottenere il miglior risultato possibile tenendo conto della grande qualità dei terreni, del clima, dell’umidità, dell’esposizione alla luce solare e della persistente ventilazione di questi luoghi baciati da Dio.

Il risultato è ben chiaro nel bicchiere, ci arriva un Lacryma rosso duemiladiciotto dal bel colore rubino e dal sentore vinoso, floreale e marcato di frutta rossa polposa; il sorso non tradisce l’anima terragna, è secco, caldo e morbido con un finale di bocca sapido e rinfrancante. Bere il territorio, è proprio il caso di dirlo, un gesto che dona ancora più valore al camminare questa terra viva, stringere mani forti, promettersi rispetto ad oltranza.

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Clelia Romano, Fiano su tela

5 luglio 2020

E’ un Fiano di Avellino tra i più buoni da sempre, profondo, minerale, incalzante quello di Clelia Romano, con quei sentori che tutti ormai conosciamo come markers identitari del Fiano di queste terre lapiane, li abbiamo studiati per anni, cercati e fissati nella memoria bevendo anzitutto Colli di Lapio, non necessariamente inseguendo bottiglie ”vecchie” o mature, tutt’altro.

Lapio terra del grano, Lapio terra del tabacco, Lapio terra del Fiano di Avellino. Non tutti sanno però che queste terre, oggi gettonatissime per questo splendido varietale bianco campano, un tempo erano perlopiù votate alla coltivazione dell’Aglianico che qui ne ricopriva buona parte della superficie vitata generalmente strappata alle altre colture di sussistenza del tempo, anzitutto grano e tabacco, prima di venire lentamente soppiantato, a partire dalla prima metà degli anni ’70, dalla piantagione di Fiano, vino che aveva, con il ”gemello” Greco di Tufo, già grande appeal commerciale, soprattutto sul vicino mercato napoletano, da sempre principale sbocco economico dei vini irpini.

Lapio terra di Taurasi quindi. L’altitudine, il suolo argilloso, le escursioni termiche, elementi fondamentali che uniti alla tradizione familiare e alla capacità di un grande enologo esperto come Angelo Pizzi hanno consegnato agli annali sempre buonissime bottiglie di rosso prodotte qui in casa Romano: vini austeri, da aspettare, caratterizzati da grande tensione gustativa più che immediata piacevolezza del frutto; per questo, forse, un po’ fuori dal tempo, soprattutto con certe mode e tendenze contemporanee di quegli anni. Anche questo ha influito non poco, facendo sì che il Fiano di Avellino prendesse sempre più il sopravvento sul territorio, contribuendo però a far nascere anzitutto il fenomeno Colli di Lapio ma anche a consegnare alla storia del vino italiano lei, Clelia Romano, per tutti, non da oggi e con pieno merito, Nostra Signora del Fiano!

Non se ne trovano molte in giro di foto sue, men che meno in posa (rubata!), perciò ne facciamo gran tesoro, vieppiù per la straordinaria accoglienza riservataci quel giorno con accanto i figli Carmela e Federico Cieri, davanti ad una straordinaria batteria di vini. Colli di Lapio è in contrada Arianiello, produce tutti i suoi vini con uve provenienti esclusivamente da vigne di proprietà, sono poco più di 10 gli ettari oggi in produzione, con appena una manciata di filari ad Aglianico, quasi a testimonianza storica; vigne dove ci mette le mani anzitutto Carmela, con l’aiuto naturalmente di più componenti della famiglia, mentre in cantina, con Federico – che fa tanto altro ancora! – c’è da sempre Angelo Pizzi, uno dei riferimenti assoluti dell’enologia campana e straordinario interprete di numerosi territori e varietali autoctoni regionali. Qui, questo vino, anche grazie al suo lavoro raggiunge vette incredibili, con una costanza impressionante.

****/* Fiano di Avellino Colli di Lapio 2019. Impressiona per l’ampiezza olfattiva, quella nota balsamica che ne accentua l’anima di montagna e prepara il palato a tanta sostanza. Il colore tradisce leggerezza, il sorso nemmeno si accorge del 13,5% di alcol in volume in etichetta, tant’è che la bottiglia finisce in men che non si dica. Annata complessa, la duemiladiciannove, con un raccolto infinito, protratto sino a metà novembre, fortunatamente qui a Lapio meno problematica che altrove.

****/* Fiano di Avellino Colli di Lapio 2018. Sono circa 80.000 le bottiglie tirate fuori ogni anno, nessuna sbavatura per resa e capacità espressiva. Il colore è preciso, di un paglia luminoso, vivissimo. Il naso è invitante, fruttato e mentolato, rimanda a sentori di erbette in fiore e frutta a guscio, in particolare tiglio, camomilla, citronella; il sorso è pieno di freschezza, il finale di bocca lunghissimo, con un ritorno balsamico assai piacevole. Riporta 13,5% di alcol in volume, pare avviato in rampa di lancio.

**** Fiano di Avellino Colli di Lapio 2017 Annata a dir poco difficile, qui a queste latitudini ci si difende sempre, siamo tra i 550 e 600 metri, il vino è estremamente piacevole ma pare rilassarsi sul finale di bocca concedendosi a pochi guizzi. Il colore accentua una tonalità appena matura pur mantenendo piena luminosità. Il sorso è morbido, caldo e avvolgente, resta fresco e abbastanza persistente al palato, ancora 13,5% di alcol in volume in etichetta. In perfetta armonia.

***** Fiano di Avellino Colli di Lapio 2016. Probabilmente il Campione che emerge perentorio sopra tutti nella batteria, in splendida forma. Impressiona soprattutto per la verticalità e l’ampiezza olfattiva, con quella nota balsamica che qui si fa più complessa, vengono fuori anche muschio e citronella, la nocciola, addirittura accenni fumé; in bocca non si fa fatica a coglierne l’essenza, un dono di franchezza che si ripete puntualmente ad ogni sorso, asciutto e severo, con un gustoso e lunghissimo finale di bocca.

In anteprima assoluta invece, lasciamo traccia di quello che con ogni probabilità sarà il primo Cru aziendale che la famiglia Romano-Cieri ha (finalmente!) deciso di produrre, viene fuori da una selezione in pianta di grappoli di Fiano di Avellino raccolti tardivamente nella vigna più alta della proprietà, collocata ad oltre 600 metri s.l.m., situata sempre in contrada Arianiello. Un filo pregiato per un ricamo di antica tradizione.

Si tratta per il momento di una minuscola produzione di poco più di un migliaio di bottiglie, si chiamerà ”Clelia”, doveroso omaggio alla Nostra Signora del Fiano ma soprattutto, immaginiamo, per segnare il tempo con la quarta generazione della famiglia Romano-Cieri che ben presto troverà il suo spazio nello smanettare in cantina. Noi la nostra idea ce la siamo fatta e senza tirare le fila a giudizi affrettati ne abbiamo parlato con loro apertamente, a voi non resta che andare in cantina per provarlo!

****/* Fiano di Avellino Clelia 2019. Vendemmiato praticamente e metà novembre dopo una lunga ed estenuante cernita tra i filari che ha tenuto Carmela col fiato sospeso sino all’ultima cassettina portata in cantina. Bellissimo il colore paglia lievemente dorato sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso è davvero impressionante, variopinto, verticale, ricco di piccole sfumature e note olfattive di grande fascino e suggestione. Ne cogliamo nitidamente tiglio e acacia, camomilla e crema di nocciola, tant’è che sorge il dubbio (anche) di un parziale uso del legno ma Federico e Carmela si smarcano immediatamente al solo pensiero, di legno sui bianchi qui non ne vogliono sentir parlare! E allora non possiamo che rimanerne ancor più impressionati per la profondità espressiva. Il sorso è decisamente invitante, sostenuto da decisa freschezza con un gusto amplificato da pienezza e sapidità ad ogni assaggio. Ci appare un quadro dipinto, Fiano su tela!

**** Fiano di Avellino Clelia 2018. E’ decisamente buono, in perfetto stato di grazia, forse solo un po’ avanti nella sua pienezza espressiva rispetto al duemiladiciannove appena descritto; il colore si arricchisce di una maggiore venatura oro sull’unghia del vino nel bicchiere, possiede un ventaglio olfattivo ricchissimo di frutta e fiori di campo, ancora di miele e piccola pasticceria, il sorso anche qui è pieno di sostanza ma ricco di tensione gustativa, il finale di bocca piacevolissimo. Finito di vendemmiare il 14 novembre, il vino prodotto fa solo acciaio e bottiglia.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

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Segnalazioni| Barolo MGA di Masnaghetti è on line!

23 giugno 2020

Chiunque abbia un briciolo di passione per il mondo del vino ama il Barolo e i territori da dove proviene questo straordinario rosso italiano.

Chiunque abbia avuto anche un solo briciolo di curiosità in più si è sin da subito affidato nelle mani di Alessandro Masnaghetti per orientarsi e imparare, scoprire ad esempio le 170 Menzioni Geografiche Aggiuntive ufficiali (MGA o Me.G.A., ndr), divorando ogni uscita di Enogea e collezionando le mappe del piacere enoico aggiornate costantemente negli anni. Un lavoro enorme e prezioso, imperdibile!

Oggi tutto questo è anche on line (in parte free): lo trovate qui www.barolomga360.it.

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Le radici e l’orgoglio, la persistenza della Falanghina Settevulcani 2018 di Salvatore Martusciello

18 giugno 2020

Ci lega a questi vini e a certe persone un legame affettivo solido, di quelli con una forte persistenza, lo ammettiamo; un attaccamento capace di superare il tempo e le difficoltà, grazie a radici profonde e l’orgoglio di appartenere a una terra perennemente sospesa, talvolta avara di prospettive ma pur sempre generosa e matrigna…

Lo diciamo senza timore di essere smentiti: è tempo che anche Salvatore Martusciello torni al centro dei Campi Flegrei. Con Gilda, sua moglie, hanno ripreso il filo della lunga storia famigliare e dopo la ripartenza con il Gragnano e l’Asprinio sono tornati a produrre i vini flegrei, il Piedirosso e la Falanghina, entrambi con l’etichetta Settevulcani.

Proprio il comprensorio puteolano della denominazione vive un grande momento di rilancio vitivinicolo, dalle coste del vallone di Toiano¤ e del Lago d’Averno¤ alle colline di Cigliano¤ e dello Scalandrone¤, ricche di lapilli dove emergono stupende vigne rigogliose, baciate dal sole, così suggestive da rimanerci a bocca aperta, consegnateci da una tradizione millenaria e da una vocazione unica e rara finalmente interpretate con sapienza e rispetto. Senza dimenticare le coste di Agnano¤, a ridosso del vulcano Solfatara, Monterusciello¤ e Cuma dove, proprio all’interno del Parco Archeologico dei Campi Flegrei e poco più in là, verso l’interno, Salvatore coltiva e produce le uve che danno vita ai suoi vini persistenti e vulcanici!

Non smetteremo mai di ricordare che ci troviamo all’interno di una immensa caldera in stato di quiescenza con numerosi crateri e vulcani sparsi su tutto territorio, a nord-ovest di Napoli. Qui, su questi terreni bruni e largamente sabbiosi le vigne conservano ancora il piede franco*, una vera rarità per il vigneto italico; la fillossera, l’afide che distrusse l’intera viticoltura europea tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900 del secolo scorso, qui muore per asfissia, quindi le viti sono allevate, si può dire, praticamente come duemila anni fa, cioè sulle proprie radici (franco di piede, di dice) contrariamente a gran parte del resto d’Italia e d’Europa dove precauzionalmente invece è necessario innestarle su una radice americana resistente alla fillossera.

Del valore assoluto di queste peculiarità, della bontà dei frutti di questa terra ne abbiamo avuto ancora una significativa conferma davanti a questa splendida Falanghina Settevulcani duemiladiciotto, caratterizzata da grande spontaneità e tratteggiata da una invidiabile freschezza gustativa, un bianco dalle spiccate virtù minerali ed estremamente versatile a tavola.

Nel bicchiere ci è arrivato un vino dal colore paglierino tenue, con un profilo olfattivo subito invitante, dapprima floreale, poi sostenuto da frutta appena matura, dai fiori di agrumi alla ginestra, dall’albicocca al cedro. Dal sorso asciutto e sinuoso, agile e fedelissimo alla tipologia, tipicamente territoriale e dal finale di bocca tonico e piacevolmente sapido, senza alcuna ostentazione se non la spiccata acidità e quella sensazione salina che tanto serve sulla buona cucina territoriale!

Leggi anche Piccola Guida Ragionata ai vini dei Campi Flegrei Qui.

Leggi anche Si deve a Gennaro Martusciello molto più di un ricordo Qui.

(*) Piede franco, non innestata su vite americana Qui.

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La sobrietà travolgente del Montepulciano d’Abruzzo 2017 di Emidio Pepe

15 giugno 2020

Il Montepulciano d’Abruzzo rimane una delle varietà rosse più versatili dello straordinario patrimonio ampelografico italiano, protagonista assoluto in alcuni territori in particolar modo, senza dubbio tra le più bistrattate in alcuni altri.

Certo non qui a Torano Nuovo, nelle mani di Emidio Pepe che ci regala ancora una volta una grande bevuta con questo suo duemiladiciassette, forse non tra le migliori bottiglie di sempre uscite dalla storica cantina abruzzese ma senz’altro un rosso di assoluto valore emozionale.

Annata assai difficile da queste parti, dove non sono mancati disastri qua e là in regione, non qui, dove si fa un grande lavoro in vigna prima che in cantina, riuscendo a tirare fuori, evidentemente, ancora un Montepulciano d’Abruzzo di spessore e larghezza, già per sua natura proiettato a lunga vita. Un territorio unico questo, dove la natura incontaminata gode di un microclima particolare, con la terra argillosa e calcarea che si avvantaggia dell’influenza del mare e delle fredde correnti del vicino Gran Sasso; il resto lo fanno le vecchie vigne coltivate in larga parte ancora a pergola, in regime biologico e biodinamico, i primi 50 anni di vendemmie alle spalle, la manualità e la sapienza dell’uomo, unite al rispetto dei tempi lunghi.

Il colore è splendido, di quel rubino con appena degli accenni granato sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso chiede e merita un po’ di tempo, non tradisce una certa matrice fruttata e speziata, intrisa di un sottofondo balsamico dolce e sottile, ma è il frutto al centro del disegno olfattivo: franco, polposo il giusto, saporito. Il sorso è quasi prepotente, come solo un grande vino sa regalare, è generoso, con stoffa e misurata sostanza, la giusta tensione gustativa e quella avvolgenza gustosa che ti invita a riportare subito il bicchiere alle labbra, a ripetere quel gesto di sottile seduzione, necessario e piacevolissimo da condurre con certe bottiglie prive di sovrastrutture inutili e pregne di una sobrietà quasi travolgente.

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Il vino della gioia, lo diciamo a chiare Lettere!

4 giugno 2020

Furono probabilmente i greci, sempre loro, a piantare per primi la vite sulle pendici dei Monti Lattari, in Penisola Sorrentina, in provincia di Napoli e ad insegnare ”come si fa” agli Oschi, gli antichi abitanti di queste zone interne impervie e brulle ma fertilissime per via delle eruzioni vulcaniche.

Poi ci hanno pensato i Romani a darne slancio, grandi estimatori del vino prodotto da queste parti sui Lattari, allora parte integrante dell’Ager Stabianus, dove nelle numerose ville rustiche riportate alla luce la coltivazione della vite era la principale attività. Il vino di queste terre è sempre stato ricercato per la sua immediatezza e bontà, gradito per la freschezza gustativa, assai apprezzato per la bevibilità, così quando a metà del ‘900 i commercianti napoletani e in particolar modo i Massari gragnanesi impeganti nella “trafica del vino*“, ovvero l’acquisto del vino novello portato poi a Napoli nelle botti su grandi carri, cominciarono a farne vanto commerciale il successo fu incredibile e popolare, una fortuna che a fase alterne possiamo dire continua tutt’oggi.  

Pochi possono vantare una conoscenza di questo territorio, dei siti, delle uve, dei vignaioli come la famiglia di Salvatore Martusciello, da oltre trent’anni impegnata nella coltivazione, produzione e commercializzazione di vini dei Campi Flegrei, dell’Agro aversano e di qui, provenienti da questo splendido areale della Penisola Sorrentina dove hanno certamente contribuito in maniera decisiva alla riscoperta, la salvaguardia e la valorizzazione di un patrimonio vitivinicolo così unico, un impegno che oggi Salvatore continua a portare avanti con maggiore determinazione e grande devozione con la moglie Gilda.

L’area geografica vocata alla produzione del vino doc Penisola Sorrentina si estende in una zona circoscritta dell’Appennino Campano lungo le pendici dei Monti Lattari, partendo da Castellammare di Stabia e tutto intorno sino a Punta Campanella, abbracciando praticamente tutta l’area della costa Sorrentina e il suo ”interno” in provincia di Napoli, attraversando diversi comuni come Gragnano¤ – città conosciuta in tutto il mondo per la pasta ma anche patria del famoso vino frizzante celebrato da Totò in ”Miseria e Nobiltà” -, Pimonte e, per la sottozona Lettere, i territori dei comuni di Lettere, Casola di Napoli e, in parte, il territorio di Sant’Antonio Abate, un’area dove vengono coltivate principalmente Aglianico, Piedirosso, Sciascinoso (Olivella) ed altre numerose varietà locali a bacca rossa e bianca che entrano a pieno titolo nella produzione dei vini di queste zone.

Il Lettere Ottouve duemidiciannove di Salvatore Martusciello è davvero un inno alla gioia a tavola, con quel colore porpora e la sua spuma violacea così stuzzicanti, con un ventaglio di profumi deliziosi ed invitanti di piccoli frutti rossi e neri carnosi, la piacevolissima freschezza del sorso come manifesto della convivialità, una vivacità gustativa intensa e tratteggiata in punta di rosso a grandi caratteri, per restare ben impressa ma solo per il tempo necessario, capace di donare ad ogni sorso un raggio di sole, una sferzata di gusto, la piena soddisfazione!

*Leggi di più sulla ”trafica del vino” Qui.

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Il Terra di Rosso 2017 di Galardi e l’apologia del Piedirosso in Campania

19 Maggio 2020

Ci avviciniamo a questo delizioso rosso a distanza di qualche mese dalla sua primissima uscita sul mercato, Terra di Rosso è un vino prodotto con solo uve Piedirosso provenienti da una delle splendide vigne di San Carlo di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, di proprietà dell’azienda, nel pieno della sua maturità espressiva.

”I Galardi” – se così possiamo permetterci di sintetizzare il fortunato incrocio di passioni e devozione per questo meraviglioso pezzo di Terra di Lavoro dei cugini Roberto Selvaggi, la moglie Maria Luisa Murena, Arturo e Dora Celentano e Francesco Catello -, con questa nuova etichetta inaugurano un nuovo corso produttivo, non più appannaggio del solo Terra di Lavoro¤, peraltro conosciuto e già molto apprezzato in tutto il mondo per la sua costanza qualitativa, sdoganando l’idea di un secondo vino che non sia però una seconda scelta, bensì un progetto del tutto dedicato specificatamente al Piedirosso.

Una varietà a cui siamo notoriamente molto affezionati, per lungo tempo lasciata al suo destino di figlio di un Bacco minore ma che, come abbiamo avuto modo di cogliere più volte negli ultimi anni su queste pagine, resta capace, in certi luoghi, nelle mani giuste, di venire fuori con vini di grande personalità, finanche di raffinata eleganza, non più banalizzato a causa di alcuni difetti cronici di interpretazione ma esaltato per delle sue peculiarità specifiche.

Il Piedirosso ama le sabbie e i terreni vulcanici, non disdegna temperature fresche, non a caso due caratteristiche specifiche del territorio di San Carlo di Sessa Aurunca, alle pendici del vulcano spento di Roccamonfina. A queste vi si aggiungano l’età delle piante, in media sopra i 20 anni e quindi nel pieno della loro maturità produttiva e, ancora, l’esperienza dell’azienda lanciatissima verso il suo primo trentennio di vita, capace quindi di leggere ed interpretare perfettamente il territorio e il vigneto, l’umore dei frutti che ne vengono fuori, la giusta misura del legno e del manico in cantina.

La discesa in campo dell’azienda di Roccamonfina sul tema Piedirosso trova non pochi consensi nella storia vitivinicola regionale e ne avalla peraltro l’apologia manifesta degli ultimi anni. Alla base di questo momento fortunato ci sono però radici storiche forti, troppe volte negate, si pensi solo al suo impiego già previsto nel primo disciplinare del Taurasi¤ doc, anno 1970, dove vi entrava in uvaggio con l’Aglianico, come pure in diversi altri disciplinari regionali che ne fanno da sempre, in certi territori, il varietale in larga parte più diffuso, se non il protagonista assoluto, come ad esempio accade nei Campi Flegrei o a Ischia e in certe zone del Beneventano.

Assistiamo tra l’altro negli ultimi anni ad un lento ma inesorabile cambiamento di fronte sul piano gustativo; un tempo si ricercavano prevalentemente vini opulenti e comunque di grande struttura, ora la situazione si va praticamente ribaltando, almeno in certi contesti. E’ in atto una costante inversione di tendenza laddove alla potenza, la concentrazione e le alte gradazioni alcoliche di pesi massimi vengono preferiti la finezza, l’eleganza e la bevibilità di pesi medi-leggeri, anche quando tratteggiati da gradazioni alcoliche non necessariamente contenute. Non più, quindi, vini centometristi ma maratoneti, vini ossuti più che muscolosi, vieppiù quando identitari e di spiccata personalità varietale e territoriale.

Terra di Rosso duemiladiciassette si va collocando a nostro parere proprio nel mezzo di questa storia, se da un lato dà il via ad una nuova stimolante sfida per Galardi, valorizzandone un pezzo di vigna di proprietà, un nuovo percorso stimolante, dall’altro saprà contribuire grazie al suo successo, la sua affermazione internazionale, di cui siamo certi, nel dare maggiore lustro al territorio di Roccamonfina e a questo vitigno che qui ci ha trovato senz’altro un ambiente favorevole e particolarmente vocato.

I presupposti, già con questa ”Prima”, sembrano esserci tutti: nel bicchiere ci arriva un vino dallo splendido colore rubino con vivaci riflessi violacei, di media concentrazione; il naso è subito fruttato e floreale, elegante e raffinato, profuma di rosa e violetta, di melograno e ciliegia, presto ne siamo certi svestirà anche quelle ultime nuances tostate regalate dal passaggio in legno nuovo, lasciando così spazio alla franchezza e alla bontà del frutto che ritroviamo scrocchiante e polposo, persistente sin dal primo sorso, è un rosso di buon corpo e tratteggiato da tannino lieve e morbido. Decisamente un buon esordio per un debuttante!

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Segnalazioni| Greco di Tufo 2018 Petilia

12 Maggio 2020

Petilia, l’azienda dei fratelli Roberto e Teresa Bruno si è appena messo alle spalle il suo primo ventennale dalla nascita, impegnata su più fronti irpini, coltiva Greco di Tufo, Fiano di Avellino, Aglianico e Falanghina su circa 20 ettari di vigneto, tutti dislocati in aree di particolare vocazione e pregio.

E’ questo un Greco di Tufo duemiladiciotto che ci appassiona per la sua classicità, proveniente dalle vigne di Chianche, più precisamente in località di Sant’Andrea, là dove la terra è argillosa, di carattere vulcanico e ricca di minerali, dove il sottosuolo conserva perenne una particolare connotazione sulfurea.

Proviene da una vigna ben esposta a Sud-Est che in alcuni punti raggiunge i 600mt s.l.m., un vigneto piantato proprio circa 20 anni fa, vigoroso e ben ventilato. Il vino che ne viene fuori fa solo acciaio e bottiglia, con solo il tempo a misurarne l’evoluzione.

Nel bicchiere ci ritroviamo un bianco dai tratti classici, dicevamo, con un bel colore paglia appena dorato sull’unghia del vino nel bicchiere, al naso vi si colgono profumi di fiori di acacia e biancospino, ginestra, poi ancora agrumi, mela cotogna ed erbette di campo. Il sorso è leggiadro ma pieno di carattere, con 12% in volume di alcol ma tanta freschezza e armonia nella beva. Di quei Greco piacevolissimi da bere in riva al mare, davanti ai tramonti dell’isola di Procida.

© L’Arcante – riprosuzione riservata

Segnalazioni| Greco di Tufo Goleto 2017 Tenute Capaldo

13 ottobre 2019

Le voci si rincorrevano da qualche tempo, le prime impressioni sui vini sono cominciate a circolare già nella scorsa primavera, va ora lentamente disvelandosi il nuovo progetto Tenute Capaldo con le prime degustazioni del Greco di Tufo Goleto 2017, che a breve farà il suo esordio sul mercato, e 2018, affiancati dal Taurasi Riserva Gulielmus 2015.

L’uva di questo vino proviene da un meraviglioso terreno di 1 ettaro e mezzo nel comune di Santa Paolina con piante di età media di 70 anni collocato a circa 600mt s.l.m, con un microclima straordinario e temperature che di notte assicurano escursioni termiche molto interessanti per la perfetta maturazione fenolica delle uve.

Goleto nasce dopo anni di intensa attività di ricerca e sperimentazione, un lungo lavoro in vigna e in cantina che ha portato in bottiglia una dozzina di etichette con vini provenienti da singoli vigneti di Greco di Tufo con caratteristiche e peculiarità uniche, che prendono definitivamente forma in questa prima realizzazione della visione di Antonio Capaldo del potenziale evolutivo di un vino in grado di sorprendere e conquistare al primo sorso ma anche sicuramente capace di attraversare il tempo senza subirne il peso degli anni.

Non a caso si è scelto di puntare dritto sul Greco di Tufo, uva non certo facile da gestire in campo e lavorare in cantina ma quando ben interpretata e valorizzata, pienamente all’altezza di dare vini eccezionali, carichi di grande freschezza ma anche in grado di affinare ed allungarsi nel tempo regalando bevute ricche di sostanza e sfumature finissime.

Sono al momento appena 5.000 le bottiglie prodotte per questa prima uscita con l’annata duemiladiciassette, un bianco dal colore paglierino luminoso, con una impronta evidentemente floreale e fruttata e dal sapore intenso e minerale. Il duemiladiciotto è già in affinamento, stipato in cantina, a questo Greco sarà poi affiancato un Taurasi Riserva, Gulielmus, di prossima uscita con l’annata duemilaquindici. Non resta quindi che goderne!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Campi Flegrei, Utopia compie 25 anni

3 settembre 2019

Tra un mese esatto, il 3 Ottobre prossimo, la doc Campi Flegrei¤ taglierà il nastro dei suoi primi 25 anni di vita, tanti sono quelli passati dal 1994 ad oggi, da quando cioè fu approvato il Decreto Ministeriale e poi decretata la denominazione di origine controllata sulla Gazzetta Ufficiale.

Avremmo voluto si fosse lavorato durante tutto questo lungo periodo anche per una formulazione di un assetto politico, sociale, produttivo maggiormente condiviso tra tutti i Comuni flegrei coinvolti, le istituzioni, i viticoltori e i produttori ma alla conta dei fatti, ahinoi, non lo riusciamo proprio a cogliere nella realtà. Ci troviamo invece a subire costantemente l’incapacità di fare sistema per colpa di qualcuno, quell’atavica propensione alla forzatura per spirito di sopravvivenza, del piccolo abuso per necessità, invisibile agli occhi di chi guarda perché ritenuto essenziale, la colpa degli altri come paracadute per se stessi.

Numeri alla mano stiamo parlando di nemmeno 1 milione di bottiglie, provenienti da poco più di 150 ettari vitati con terreni di forte caratterizzazione vulcanica, in larga parte piantati con varietà a bacca bianca tra le quali emerge perentoria la Falanghina, quella verace, poi il Piedirosso; un vino, quest’ultimo, sempre più protagonista delle tavole degli appassionati e per i critici più attenti non più figlio di un Bacco minore al cospetto delle altre produzioni regionali e nazionali. In entrambi i casi ci arrivano nei bicchieri vini di ricchi di personalità, identitari e distintivi e (quasi) sempre capaci di attraversare il tempo con discreta disinvoltura.

Stiamo parlando di un territorio abbastanza circoscritto, eppure ci sembra di vivere costantemente nell’utopia, abbagliati dall’ideale e strenuamente aggrappati alla storia antica, resistenti nella speranza di un progetto che però non riesce ad essere sino in fondo corale, scaldare profondamente gli animi, talvolta relegato a una più modesta aspirazione di pochi singoli se non del Masaniello di turno che, alla fine, alla resa dei conti, non riesce ad avere che una sua parziale, risicata, personalissima soddisfazione. Perché?

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Segnalazioni| Vsq Flegreo, la cuvée metropolitana di Cantine Federiciane Monteleone

2 luglio 2019

Una delle primissime aziende a cui facemmo visita quando decidemmo di cominciare a camminare le vigne flegree, nel lontano 2002, fu proprio Cantine Federiciane Monteleone, azienda di proprietà della famiglia Palumbo, tra le più attive sul territorio flegreo da almeno vent’anni.

Storicamente sono già molto presenti sia nella rivendita del vino sfuso che nei canali tradizionali della grande distribuzione organizzata. Da qui, i fratelli Marco, Antonio e Luca hanno cominciato, da circa una decina d’anni, una lenta e precisa riconversione che li ha visti rilanciare tra i tanti buoni propositi questo spumante metodo Martinotti fatto tutto in casa qui nei Campi Flegrei.

I Palumbo, tra l’altro, proprio per la loro storica presenza sul mercato locale conoscono molto bene tutto il territorio flegreo e diversi dei distretti vitivinicoli campani, conducono anche direttamente e indirettamente diversi ettari di vigna collocati su più e differenti areali in tutta la provincia di Napoli.

Flegreo viene fuori invece da un assemblaggio di più vini base Falanghina dei Campi Flegrei spumantizzati in autoclave direttamente nella cantina di famiglia, a Marano di Napoli, qui dove sono stati fatti investimenti molto importanti così da garantire tutta la filiera e quindi l’originalità del vino in bottiglia. E dopo i primi, timidi passi, quasi dovuti quando si è ”giovani” e ci si ritrova lanciati in un progetto così ambizioso, non sembra poi così lontana la quadratura del cerchio, anzi, ci ritroviamo nel bicchiere uno spumante varietale, sottile e invitante, preciso e di grande piacevolezza, fresco e sapido, buono soprattutto a tutto pasto, in particolare su crudi di pesce e primi piatti ai frutti di mare. Vi è, insomma, tanta buona materia prima e la giusta attenzione nell’esecuzione tecnica, punti fermi dai quali aspettarsi solo il meglio per il futuro.

Cantine Federiciane Monteleone
Via Antica Consolare Campana, 34
80016 Marano di Napoli (NA)
Tel. +39 081 5764153
marketing@federiciane.it
www.federiciane.it

Leggi anche Piccola Guida ragionata ai vini dei Campi Flegrei Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Il vino in pizzeria, ce ne faremo una buona ragione

27 ottobre 2018

Il successo della pizza è inarrestabile, negli ultimi 4/5 anni si è assistito ad un exploit incredibile che sembra portarsi dietro tra gli altri alcuni ”effetti collaterali” molto positivi, tra questi una crescita propulsiva del consumo consapevole del vino che in alcuni nuovi locali diviene addirittura protagonista assoluto scalzando per alto gradimento due storici abbinamenti come birra e cola.

L'Ortolana d'autunno dei F.lli Salvo - foto tratta dal web

L’Ortolana d’autunno dei F.lli Salvo

Si vanno così a delineare nuovi equilibri commerciali nel canale Ho.Re.Ca che nei prossimi anni promettono numeri ancora più importanti. A maggior ragione abbiamo assistito ad un fatto storico non trascurabile: il vino è riuscito dove non è riuscita la birra! Per anni infatti ci si è chiesto perché la birra, in particolar modo quella artigianale, facesse così fatica ad uscire da pub e pizzerie e ”scardinare” le resistenze della ristorazione di qualità, entrare cioè nelle carte dei ristoranti, fossero pure non necessariamente stellati. Ebbene, dopo vani tentativi, nonostante ingenti investimenti la loro presenza è rimasta timida e dimessa. Non è così per il vino in pizzeria che va invece molto forte, ritagliandosi sempre più spazio nonostante richieda investimenti considerevoli visto il più alto costo medio del prodotto, l’indispensabile formazione specifica del personale, una rotazione continua del capitale in cantina. 

Va detto per onestà che il vino in pizzeria c’è sempre stato, difficile smentirlo, vero è che non è mai stato così protagonista come pare diventarlo oggi. Tre anni fa se ne parlò approfonditamente nel libro di Francesco Aiello ”Sorbillo – la pizza di Napoli”¤ dove proprio il nostro Angelo Di Costanzo affrontò con attenzione e profondità l’argomento dell’abbinamento pizza e vino così concludendo: ”le scelte dell’abbinamento ideale vanno sempre studiate e misurate, e non buttate lì a caso giusto per compiacere o compiacersi”. Vino e pizza sono quindi da intendersi un’accoppiata vincente sempre, purché ragionata (!), non fosse altro per quel che rappresentano da un punto di vista storico, culturale e territoriale in Campania, in Italia e nel mondo.

Salvatore Salvo - foto tratta dal web

Salvatore Salvo nella Pizzeria alla Riviera di Chiaia

Anche per questo ci sentiamo quasi in dovere di evidenziare ed apprezzare il grande lavoro portato avanti da Francesco e Salvatore Salvo¤, senza dubbio tra i primi a dare impulso a questa sorta di nouvelle vague che quasi impone in pizzeria una visione diversa e più articolata sull’argomento. Un pensiero seminato e ben coltivato a San Giorgio a Cremano, nella loro prima storica sede ed oggi rilanciato con maggiore impulso nella nuova confortevole dimora di Palazzo Ischitella nel centro di Napoli, alla Riviera di Chiaia.

Un investimento importante che all’occhio più attento non sfugge, figlio di un duro lavoro di meditazione, analisi giuste, scelte oculate tese soprattutto a disinnescare la tentazione di strafare che è là, sempre in agguato pronta a trasformare un’intuizione acuta in un tentativo stucchevole e pretestuoso. Qui tutto ha un senso più compiuto perché cammina pari passo con la loro storia recente, la tradizione di famiglia, la ricerca continua su materie prime, qualità degli impasti, manualità artigianale di chi sta dietro al banco, davanti ai forni e nelle cucine e, non ultimo, in sala in mezzo alla gente. Ecco, così del vino in pizzeria ce ne faremo una buona ragione, tutta da godere.

Pizzeria Francesco&Salvatore Salvo – Riviera di Chiaia, 271 – Napoli – Tel. 081 3599926

© L’Arcante – riproduzione riservata

Piccola Guida ragionata ai vini dei Campi Flegrei

21 settembre 2018

‘’Vitigno o Denominazione’’? Il territorio flegreo è da sempre ben inteso come la culla della falanghina e del piedirosso, due varietali autoctoni straordinari che qui assumono caratteristiche e tipicità così uniche tanto dall’essere irripetibili altrove; vitigni per questo giustamente in primo piano anche sulle etichette che tutti abbiamo ormai imparato a conoscere ed apprezzare.

Piccola Guida Ragionata ai vini dei Campi Flegrei

Non vi è dubbio che gran merito del successo di questi vini è anzitutto dei tanti produttori che da anni lavorano duramente per migliorarsi e scrollarsi di dosso stereotipi finalmente superati: nell’immaginario collettivo i vini flegrei erano ”falanghine grevi e facili, bianchi beverini e spesso verdi”, per altri ”piedirosso perennemente in riduzione se non con puzzette addirittura tipiche”; insomma stupidaggini del genere legate perlopiù all’ignoranza e alla superficialità con le quali ci si approcciava e si raccontavano alcuni vini. Ignoranza e superficialità dalle quali non erano esenti talune specie di esperti cronisti e sommelier che a lungo hanno preferito metterli alla berlina prima di assaporare, è proprio il caso di dirlo, l’urgenza di un repentino ritorno sui propri passi evidentemente necessario nel nome di Bacco! E come non chiudere questa breve riflessione ricordando quanto alcuni produttori stessi siano stati per anni ostinatamente impegnati più a commercializzare i fasti del passato greco-romano anziché dedicarsi ed investire tempo e denaro nel migliorare vigna e cantina.

Pozzuoli, Lago d'Averno, Vigneto Storico Mirabella - Piedirosso Campi Flegrei

Pozzuoli, Lago d’Averno

E’ stata fatta tanta strada quindi, in questa ottica ci era parsa una buona idea persino apportare alcune modifiche al disciplinare della doc, già nel 2011¤, con l’intento – ci pare di ricordare – di dare un più ampio respiro a chi avesse voluto cimentarsi in questa nuova strada terroiristica, magari un po’ troppo ambiziosa visto il richiamo alla francese, ma indubbiamente interessante e per molti versi parecchio stimolante. Dispiace constatare però che a distanza di sette anni e quasi otto vendemmie alle spalle non se ne sia ancora fatto nulla: le cantine sembrano quasi aspettarsi a vicenda, in attesa di chi muova il primo passo, eppure proprio in questo momento di grande successo per i vini dei Campi Flegrei ci potrebbero stare un po’ di variazioni sul tema. Suvvia un po’ di coraggio!

Pozzuoli. Qui la vigna è dentro e fuori la città, ha confini apparentemente invisibili e talvolta invalicabili come il vallone tufaceo di Toiano o le colline di Cigliano e dello Scalandrone ricche di lapilli. Vigne stupende, baciate dal sole, vedi quelle nel Lago d’Averno, così suggestive da rimanerci a bocca aperta, consegnateci da una tradizione millenaria e da una vocazione unica e rara. Suggestivi i filari a Spalatrone sulla salita di via Scalandrone che affacciano direttamente sul mare, luogo formidabile per il piedirosso; poi le coste di Agnano a ridosso del vulcano Solfatara e fazzoletti un po’ più allungati a Monterusciello e in zona Cuma-Licola, carezzati dalla brezza marina, in certi casi con piantagioni moderne e allevate con sistemi contemporanei.

Az. Agricola Tenuta Matilde Zasso
Via Vicinale la Schiana 31, Pozzuoli
Tel. 0818555638
http://www.tenutamatildezasso.it
info@tenutamatildezasso.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei.

Az. Agricola Mario Portolano¤
Via Toiano 12, Pozzuoli
Tel. 0818042974 – 335460637
aziendamarioportolano@virgilio.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, fuori doc Campania rosso igt Villa Teresa 6″ (Sei Pollici, ndr).

Az. Agricola Monte Spina – Antonio Iovino
Via San Gennaro Agnano 63, Pozzuoli
Tel. 0815206719
iovino.an@tiscali.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Gruccione.

Az. Vitivinicola Tommaso Babbo¤
Via Scalandrone 22, Pozzuoli
Tel. 3384887522
http://www.cantinebabbo.it
info@cantinebabbo.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Terracalda, Falanghina dei Campi Flegrei Sintema.

Cantine dell’Averno¤
Rampa Averno snc, Pozzuoli
Tel. 3381260655 – 3484950387
http://www.cantinedellaverno.it
cantine.averno@gmail.com
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Riserva Pape Satàn, Falanghina dei Campi Flegrei.

Contrada Salandra¤
Via Tre Piccioni 40, Pozzuoli
Tel. 0818541661
Rif. Dolci Qualitá Pozzuoli
dolciqualita@libero.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei.

Salvatore Martusciello¤
C.so della Repubblica 138, Pozzuoli
Cantina in Via Spinelli 4, Quarto
Tel. 3483809880
http://www.salvatoremartusciello.it
info@salvatoremartusciello.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Settevulcani, Falanghina dei Campi Flegrei Settevulcani.

Campi Flegrei - foto L'Arcante

Marano e le colline più prossime a Napoli, sino al cratere degli Astroni. L’areale più popoloso, Napoli appena fuori Napoli, ma che, inaspettatamente, cela il futuro più immediato della viticoltura flegrea; luoghi che nascondono un passato distratto che ha visto sacrificare al cemento ettari ed ettari di boschi, colture tipiche e vigne che dominavano la città a 360°, dalle terrazze dei Camaldoli alla piana di Agnano. Qui il vento è cambiato e spinge forte in poppa, l’hanno capito e ci lavorano duro piccoli e grandi viticoltori-produttori che qui vanno investendo sul futuro piantando vigna anziché colare, ancora, cemento. Alcune vigne sono dedite alla coltura biologica o comunque ad una agricoltura maggiormente responsabile e sostenibile!

Agnanum – Raffaele Moccia¤
Contrada Astroni 3, Napoli
Tel. 0813417004
http://www.agnanum.it
info@agnanum.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Agnanum, Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle Volpi, Falanghina dei Campi Flegrei Vigna del Pino.

Az. Agricola Quaranta
Via Pietra Spaccata, 4 Marano di Napoli
Tel. 0815875200 – 3388758162
http://www.levigneflegree.com
info@levigneflegree.com
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei Vigne di Parthenope.

Cantine Astroni¤
Strada Comunale Sartania 48, Loc. Pianura – Napoli
Tel. 0815884182
http://www.cantineastroni.com
info@cantineastroni.com
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei Colle Imperatrice, Falanghina dei Campi Flegrei Vigna Astroni, Piedirosso dei Campi Flegrei Colle Rotondella, Piedirosso dei Campi Flegrei Riserva Tenuta Camaldoli.

Cantine Federiciane Monteleone
Via Antica Consolare Campana 34, Marano di Napoli
Tel. 0815765294
http://www.federiciane.it
marketing@federiciane.it
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei, Vsq Metodo Martinotti Flegreo¤.

Belvedere – Loc. Fusaro, Bacoli

Quarto. L’areale ha una vocazione antichissima, qui siamo in piena campagna anche se l’esplosione demografica degli ultimi decenni ha caratterizzato fortemente il territorio con piccoli e grandi insediamenti suburbani, anche per questo rimane forse il terreno meno battuto della denominazione; qui certe estati sono torride e umide, situazione questa che fa letteralmente impazzire i vignaioli di tutta la piana. Chi ha vigne anche di poco più “alte” è costretto a fare tanta selezione in campagna per riuscire a portare a casa il risultato. La collina di Viticella, piantata perlopiù con Falanghina, esprime buoni frutti, da qui infatti provengono i vini di maggiore fragranza e leggerezza e a prezzi naturalmente più che ragionevoli.

Cantine Di Criscio Quartum¤
Via De Falco Giorgio 17/A, Quarto
Tel. 0818765942
http://www.cantinedicriscio.it
info@cantinedicriscio.it
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei.

Cantine Il Quarto Miglio¤
Via Cesare Pavese 19 – traversa via Trefole, Quarto
Tel. 0818760364
http://www.ilquartomiglio.it
info@ilquartomiglio.it
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei.

Carputo Vini¤
Via Viticella 93, Quarto
Tel. 0818760526
http://www.carputovini.it
info@carputovini.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei Collina Viticella.

Vigna Stadio – Monte di Procida

A Bacoli e Monte di Procida. Terrazze e costoni scoscesi con vista mare, la vigna qui è un patrimonio straordinario, regala scenari di un paesaggio di una bellezza unica che lentamente ritorna pienamente alla natura. Resti rupestri e vigne storiche in Via Bellavista, su ai ‘Pozzolani’, ai Fondi di Baia sino in via Panoramica a Monte di Procida con filari a strapiombo sul mare; qui nascono vini bianchi con caratteristiche olfattive decisamente interessanti, con una notevole impronta sapida e capaci, tra l’altro, di attraversare il tempo con discreta disinvoltura.

Cantine Farro¤
Via Virgilio 30-36, Bacoli
Tel. 0818545555
http://www.cantinefarro.it
info@cantinefarro.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei Le Cigliate.

Cantine del Mare¤
Via Cappella IV traversa 5, Monte di Procida
Tel. 0815233040
http://www.cantinedelmare.it
info@cantinedelmare.it
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei, Piedirosso dei Campi Flegrei, fuori doc Spumante Brezza Flegrea brut.

Az. Agricola La Sibilla¤
Via Ottaviano Augusto 19, Loc. Fusaro – Bacoli
Tel. 0818688778
info@sibillavini.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna Madre, Falanghina dei Campi Flegrei Cruna DeLago.

Az. Agricola Piscina Mirabile¤
via Piscina Mirabile 63, Bacoli
Tel. 0815235174 – 3288068474
http://www.piscinamirabilevini.com
info@piscinamirabilevini.com
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei Vigna Mirabilis.

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Leggi anche Le Strade del vino dei Campi Flegrei¤

Leggi anche Doc Campi Flegrei¤

© L’Arcante – riproduzione riservata


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