Persona per bene, discreta, assolutamente fuori dal coro, Raffaele Moccia non ha mai dovuto alzare la voce per farsi notare, men che meno i suoi vini, originali, talvolta imprecisi, sobri eppure profondi, quasi sempre fuori dai soliti circuiti di mercato e ciononostante percepiti come tra i più autentici (e contemporanei) in circolazione.
Il vino si sa è un progetto di lunga proiezione, non a caso Raffaele ha da qualche anno riportato in produzione dei vecchi terrazzamenti nelle disponibilità di alcuni parenti che giacevano incolti ed in parte abbandonati, proprio lungo il costone che cinge l’Oasi del Parco degli Astroni, nel Comune di Napoli. Qui, l’anno scorso, a distanza di quasi cinque anni dai primi interventi si è tornati a raccogliere nuovamente Piedirosso e Falanghina che sono finiti in larga parte nelle due etichette prodotte fuori dalla doc¤, solo una piccola parte invece nel vino ”base” Agnanum che tanto apprezziamo.
L’azienda arriva così a contare oggi circa 13 ettari e nonostante le difficoltà oggettive nella gestione del vigneto – qui si fa praticamente tutto a mano, ndr -, riesce a mantenere un profilo di autenticità ancora molto evidente; in questo ”base” duemiladiciotto non sfuggono infatti alcuni tratti distintivi tipici dei vini di Raffaele, il colore paglierino sempre un po’ più carico del solito, il naso ampio e ricco di maturità espressiva, di frutto e di sensazioni empireumatiche, vieppiù quel sapore deciso, anche impreciso, che rimanda però immediatamente al suo territorio più che al manuale del piccolo enologo.
Vigna del Pino rimane il suo piccolo capolavoro, un cru di Falanghina prodotto in appena un migliaio di bottiglie. Il duemiladiciassette, che uscirà solo a dicembre prossimo, è appena una spanna dietro al precedente duemilasedici¤, da noi benedetto come il miglior bianco mai prodotto da queste parti negli ultimi anni, ma non meno fiero, ossuto, volubile. E’ un bianco buono a bersi subito, celebrazione di un varietale presente in molti territori in Campania e al sud ma che qui nei Campi Flegrei, proprio in questi scorci metropolitani, dove la terra è vulcanica, piena di sfumature, riesce a conquistare una particolare complessità, ampiezza e profondità gustativa senza improvvide inutili sovrastrutture. Un vino ricco di frutto quindi, anche sgraziato, pure impreciso, ma che sa regalare però abbondanza di sensazioni.
Riprendendo le fila di quanto scolpito nella memoria dalle parole di Rita Levi Montalcini, potremmo ben affermare che né il grado di conoscenza tecnica né la capacità di eseguire e portare a termine con precisione chirurgica il compito intrapreso sono i soli fattori essenziali per la buona riuscita e la piena soddisfazione personale.
Leggi anche L’uva e il vino di Raffaele Moccia Qui.
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Tag: agnanum, campi flegrei, falanghina, raffaele moccia, vigna del pino
14 settembre 2019 alle 08:01 |
[…] diario enogastronomico « L’elogio dell’imperfezione, Falanghina Campi Flegrei Agnanum 2018 e Vigna del Pino 2017 … […]
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3 ottobre 2019 alle 07:00 |
[…] l’idea che in qualche maniera l’avevamo preannuciato solo poche settimane fa, proprio Qui su queste pagine, tracciando di questo duemiladiciotto un vero e proprio elogio […]
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