Ovvero, della ruralità di cui si sentirà sempre più la mancanza e che io voglio fortemente ricordare, memoria di una infanzia vissuta con i piedi nella terra.
Buongiorno Sabatino, tutto apposto? “Eh, figlio mio, che ti devo dire, vecchio m’hai lasciato e più vecchio mi ritrovi; La pioggia qua, vedi, non vuole proprio farci lavorare…”. “Come ti sei fatto grande, ti ricordi quando con i tuoi compagnielli vi venivate a scippare l’uva dalle piante? Ah quante scoppettate vi sareste meritati!” Sabatino, tengo bisogno di due-tre tralci di vecchie viti, ne avete estirpati qualcuno a fine vendemmia? “Vieni, vieni, andiamo in campagna, statti attento a non sporcarti con la terra però, mantieniti sulla parte dura del terreno”. Sabatino mio, una delle poche cose che proprio non mi dispiace è sporcarmi con la terra, la mia terra ricca di pozzolana!
Sabatino Di Costanzo (nessuna parentela, nemmeno alla lontana) è il contadino puro, il lavoratore indefesso della terra. Pensare a lui mi riporta immediatamente alla mia infanzia, quando appena undicenne mi mandavano a comprare il vino per casa, quello “del contadino” era l’unico capace di far quadrare il bilancio e dare da bere agli assetati di tranquillità dopo una dura giornata per mare. Sabatino oggi ha più di ottant’anni, tutte le mattine alle cinque e trenta porta la frutta al mercato ortofrutticolo di Pozzuoli, la poca che gli è rimasta di coltivare dopo l’espropriazione dei terreni subita a fine anni ottanta per lasciare costruire un casermone finito e rifinito ormai da oltre dieci anni e lasciato decadere alla buona faccia dei contribuenti. “Mi avessero lasciato almeno il frutteto, sai che belle mele annurche venivano qua?” Eh si, me le ricordo le vostre mele, i magnifici mandarini, le fave dolcissime che coltivavate tra i filari di per’ e’palummo e falanghina in primavera. “Stì disgraziati, si sono mangiati in dieci anni più di 150 anni di storia e tre generazioni di contadini.
Allora dimmi, fai ancora “quello del vino, come si dice, o’ summelier? Eh si, caro Sabatino, mi avete rincorso con l’uva in saccoccia da bambino ed oggi mi ritrovo io a rincorrere le bottiglie di vino. “Eh, mio caro Angelo, ma il vino che vendi tu alla gente non è come questo, qua’ il vino lo fa’ la natura, io ci metto solo la bocca, e la mia bocca, credimi, è quella che vale!”. Sabatino mio, non ho argomenti per trattare male la vostra opinione, ma credetemi, che la vostra bocca non è la stessa mia, e quello che potete cercare voi nel vostro vino non è lo stesso che vado trovando io e qualcun altro. Un vino deve tenere qualcosa di dire!
Ci spostiamo adesso sotto il pergolato, si avvicina la Signora Concettina, la moglie, imbracciando una bottiglia di vetro chiaro con il tappo di plastica giallo, ci accomodiamo sulla panca sotto la quale arde un piccolo braciere: “Vieni qua’, senti questo che tiene da dirti”, mi sussurra mentre mi versa un abbondante bicchiere del suo piedirosso; il colore non è certo limpido ma è bello vivace, rubino netto ed anche abbastanza concentrato. Lo porto subito al naso, il bicchiere, il classico tumbler da osteria, non è certo ideale per cogliere tutte le sfumature, ma ad esser sincero poco mi aspetto di trovare. “Questo qua figlio mio, lo faccio solo per me, se lo dovessi vendere, come minimo mi dovrebbero dare quattro euri al litro, vallo a far capire a questa manica di fetienti qua intorno”. In effetti sono sorpreso, lasciata sfumare la lieve nota volatile iniziale, viene fuori un bouquet davvero piacevole, vinoso, floreale di geranio e viola, fruttato di ciliegia polposa, berlo poi è davvero gradevole, frutto ancora in primo piano, fresco quanto basta e lievemente sapido. Nessuna nota sgradevole sul finale di bocca.
Sabatì, ma questo è davvero buono! “Allora qua parliamo e non ci capiamo, questo è solo uva, io ci metto solo la bocca!”. Però ditemi la verità, qua non c’è solo il piedirosso, e poi non mi potete certo dire che è tutta uva di qua, nella piana di Toiano il vino non riesce a raggiungere questa maturità di frutto. “E chi te lo dice, questo è dodici gradi e mezzo, e nessuna per’e’palummo a meno che non sia “trattata” ti riesce a dare di più”. Con le mani e con gli occhi mi fa’ segno di girarmi e guardare quei quattro filari là, proprio sotto la montagna di Monte S. Angelo: “questo viene da là, è dell’anno passato, 5 damigiane e poche altre bottiglie di sciampagna, ne un dito in più, ne uno in meno. E non sempre però. Tu rispetta la terra, essa sa’ bene cosa darti!”
La pioggia ha smesso di cadere già da qualche minuto, decidiamo di salutarci, io mi porto via i miei tralci di vite vecchi ed un’altra lezioncina di cui fare tesoro. Se il tempo mantiene, con i pampini ormai tutti caduti, Sabatino potrà finalmente lavorare le sue viti in procinto del lungo riposo invernale. Potrà passare in rassegna i pali di sostegno per verificarne la stabilità, legare le viti al palo con i rametti di salice, piegare i tralci e fermarli a dovere con il fil di ferro. Attorno ad ogni pianta potrà togliere le erbacce e metterci il letame o il concime. Poi a Marzo, al risveglio della natura, si vedrà.
A lui dedico queste righe, a lui ed ai suoi fratelli Antonio, don Gennaro e Luigi che, ultrasettantenni ci hanno però lasciato qualche anno fa’; ripensando ai miei ricordi, pesco nella mia infanzia, bellissima, memorie di giornate spese a correre tra le loro “terre”, a giocare in mezzo alla campagna e fuggire rincorsi costantemente sotto la minaccia di “scoppettate” o vangate, per la verità mai ricevute, per un pallone di troppo calciato nel fienile o per una manciata di pesche, ciliegie e fave trafugate di sabato pomeriggio.
Tag: angelo di costanzo, big picture, campi flegrei, per e palummo, piedirosso, pozzuoli, rione toiano, ruralità, sabatino di costanzo, vino contadino, vino rosso
7 febbraio 2012 alle 13:16 |
Cio’ che scrivi mi riporta alla mente la mia infanzia passata a scorazzare tra i ciliegi e i meleti di Calvizzano e tra gli agrumeti e i vigneti di Procida. Tutto cio’ avveniva (sembra) millenni fa, in epoca pre-playstation e pre-cellulare. Oggi li ci ritrovo palazzi e ville, ma nella mia memoria visiva le mele e le viti saranno sempre li, esattamente come il loro inebriante profumo di frutta e di terreno e fissato mella mia memoria olfattiva. Fortunato chi l’ha visto, privilegiato chi lo vive ancora, eroe colui che riuscira’ a goderselo in futuro. Grazie Angelo.
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7 febbraio 2012 alle 14:04 |
E’ vero Mimmo, hai ragione, talvolta ci appare così lontano eppure il tempo non può essere così tanto dal dimenticarle certe cose. Ecco, io di tanto in tanto ci torno su, e le scrivo. Però il più delle volte certi scritti preferisco tenerli per me, quando mai dovessi dimenticarmene.
Qui eravamo appena agli esordi del blog, poco più di due anni fa e manco a dirlo mi ritrovai a tornare da questa bella persona per cercargli degli stralci di vite da mettere in enoteca per l’esposizione di Natale di quell’anno. 🙂
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5 gennaio 2014 alle 12:14 |
[…] me le porto dentro come un valore straordinario. Come le chiacchierate con loro, Sabatino¤ ad esempio, o i gesti muti con suo fratello, don Antonio, che dal lunedì al venerdì ci era nemico […]
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