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Segnalazioni| Falanghina Campi Flegrei 2019 Azienda Agricola Mario Portolano

26 luglio 2020

Abbiamo scritto più volte di questa nuova interessante azienda flegrea di proprietà della famiglia Portolano, imprenditori napoletani attivi in campo manifatturiero dal 1895. Ci siamo tornati con piacere a distanza di poco più di un anno, per camminarci nuovamente le vigne con Mara e provare alcuni vini, tra questi la deliziosa Falanghina Campi Flegrei duemiladiciannove di prossima uscita. 

L’azienda è a Toiano, area periferica del comune di Pozzuoli, cuore della denominazione di origine controllata Campi Flegrei; possiede 5 ettari e mezzo di cui 4 a corpo unico proprio a via Toiano, giusto all’ingresso del quartiere popolare del comune flegreo che ha conservato a macchia di leopardo piccole oasi verdi dove sono ancora evidenti le origini rurali di questi luoghi che, a metà-fine anni ’70 sono stati destinati, dopo un repentino e intenso piano di urbanizzazione, ad accogliere gli sfollati del centro storico e del Rione Terra di Pozzuoli, prima a seguito del Bradisismo, poi ancora del Terremoto dell’80.

Tra le vigne, al netto di qualche filare di Aglianico proveniente da Taurasi e piantato quasi per gioco negli anni ’90, regna sovrano il Piedirosso dei Campi Flegrei, protagonista di un vino che si sta facendo molto apprezzare per le sue caratteristiche organolettiche, così uniche e rare, che ne fanno uno dei rossi campani tra i più ricercati e apprezzati negli ultimi anni, qui poi particolarmente sorprendente, come già abbiamo avuto modo di raccontare nelle annate degustate che vi riproponiamo alla fine di questo post.

Da due anni è entrato in produzione anche un piccolo appezzamento di Falanghina, collocato però ad un paio di chilometri dall’azienda, in via Montenuovo Licola Patria, sul versante costiero di Cuma, sempre nel comune di Pozzuoli; una vigna di circa 1 ettaro e mezzo dove, con la vendemmia 2018, si è cominciato a fare un bianco di buona personalità, sempre con l’aiuto in cantina di Gianluca Tommaselli, ottimo enologista e buon interprete di questo e diversi altri territori della provincia di Napoli.

Proprio in questi giorni finisce in bottiglia il secondo atto di questo lavoro, il duemiladiciannove; nel bicchiere ci arriva un vino dal bel colore paglia con accenni dorati sull’unghia del vino nel bicchiere; il quadro olfattivo è molto invitante, è varietale e tipico, con un quadro organolettico floreale e fruttato molto fine, cui s’aggiunge un lieve rimando salmastro e dei piacevoli sentori di acacia e ginestra. Il sorso è secco e morbido, possiede una buona progressione gustativa, si gioverebbe di maggiore freschezza con un pizzico di acidità, tant’è il calice sparisce con due sorsi e con piena soddisfazione, quanto ci basta per apprezzarne appieno la bevuta. Ci piace pensare che una nuova piccola stella possa brillare nel firmamento flegreo, ancora un passo avanti, ancora un tassello di qualità per tutto il territorio!

Leggi anche Pozzuoli, il Piedirosso Campi Flegrei 2017 di Mario Portolano Qui.

Leggi anche Pozzuoli, il Piedirosso Campi Flegrei 2018 di Mario Portolano Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Pozzuoli, il Piedirosso Campi Flegrei 2018 dell’azienda agricola Mario Portolano

4 febbraio 2020

Siamo a Pozzuoli, ai piedi della Collina che anticipa le ripide pareti di tufo giallo di Monte S. Angelo, sul versante nord della piana di Toiano, luogo dove sorge oggi uno dei quartieri più popolati del comune flegreo.

Sino alla fine degli anni ’60 qui era tutta campagna, vi erano perlopiù frutteti, campi agricoli votati alla coltivazione di mele annurche e arance, verdure e ortaggi, poi qua e là i coloni piantavano filari di varietà Montepulciano, Piedirosso e Trebbiano allevate con il tradizionale sistema dello Spalatrone Puteolano per farne vino di sostentamento, niente di che da un punto di vista commerciale.

Con il primo Bradisismo degli anni ’70, l’evacuazione definitiva del Rione Terra e del centro storico di Pozzuoli fu proprio questa l’area scelta per l’insediamento delle nuove case popolari che spostò qui, a partire dal 1974 e sino a metà anni ’80, gran parte della popolazione puteolana che in quegli anni si era un po’ dispersa in alloggi di fortuna tra la provincia a nord di Napoli e la fascia costiera Domitiana, sino a Castelvolturno e Mondragone in provincia di Caserta, Formia, Gaeta e Latina nel basso Lazio.

Mario Portolano¤, imprenditore napoletano lungimirante, alle prese con la prosecuzione dell’impresa di famiglia impegnata nel manifatturiero di pregio dal 1895, con attività commerciali nel centro storico di Napoli, poi a Roma e Milano, aveva investito in proprietà agricole proprio qui a Toiano, dove nel fine settimana amava trascorrere le giornate in famiglia e dedicarsi al lavoro in campagna e alla coltivazione della vite per farne vino per se e per gli amici più cari. Dopo le ultime espropriazioni, a fine anni ’80, riesce a mantenere almeno questo pezzo di terra, già Masseria Murro, per continuarci a vivere nel fine settimana e a fare vino.

Poco più di 4 ettari caratterizzati da sabbie vulcaniche e tufo giallo, piantati con ceppi di Aglianico provenienti da Taurasi e Piedirosso dei Campi Flegrei, vigne tutte ben esposte a sud con piante di almeno 30 anni, collocate su ripidi terrazzamenti che avanzano per centinaia di metri sulla Collina che anticipa le pareti di tufo giallo di Monte S. Angelo; qui, in certe estati, durante il giorno le temperature si alzano fin sopra i 35°/40° ma le vigne restano costantemente rinfrescate dal vento che arriva direttamente dal mare del golfo di Pozzuoli dopo aver spazzato praticamente tutta la conca ”entrando” dal Monte Barbaro sino a scivolare via verso Monterusciello e Licola.

Un microclima unico che contribuisce a produrre uve di grande qualità, sane e con tanta materia, in cantina arrivano mosti sempre molto ricchi che l’ottimo Gianluca Tommaselli, l’enologo che segue l’azienda della famiglia Portolano in cantina, riesce a ben interpretare alla sua maniera, con manico diligente ed essenziale, niente utilizzo del legno, solo acciaio e qualche mese di bottiglia.

Così anche a questo giro viene fuori un Piedirosso flegreo di particolare carattere, un duemiladiciotto che veste un colore rubino dal tono vivace, con un naso fitto e intriso di sensazioni floreali e fruttate dolci e invitanti, sa di violetta e piccoli frutti rossi e neri, poi un accenno speziato, il sorso è carnoso, pieno, equilibrato, regala un assaggio morbido, dal finale di bocca misurato, avvolgente e sapido. Se appena un anno fa potevamo raccontarvi di una piacevole scoperta oggi siamo certi di ritrovarci dinanzi ad una ragionevole certezza!

Leggi anche Piedirosso Campi Flegrei 2017 Mario Portolano Qui.

Leggi anche Pozzuoli, dalla collina di Toiano uno straordinario rosso flegreo Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Pozzuoli, dalla collina di Toiano uno straordinario rosso flegreo!

12 marzo 2019

E’ incredibile come la vita e il lavoro ti portino lontano dalle tue origini, talvolta a fare giri enormi per l’Italia e il mondo per poi ricondurti un giorno, quasi per caso, proprio qui, praticamente a casa, dove da piccolo scugnizzo, su per queste colline ci giocavi e ci passavi intere giornate sino al tramonto. (A.D.)

Siamo a Pozzuoli, su per la Collina che anticipa le ripide pareti di tufo giallo di Monte S. Angelo, sul versante nord della piana di Toiano, oggi uno dei quartieri più popolati del comune flegreo. Sino alla fine degli anni ’60 qui era tutto piena campagna, vi erano perlopiù frutteti e campi agricoli votati alla coltivazione di mele annurche, arance, verdure e ortaggi, poi qua e là i coloni piantavano filari di varietà Montepulciano, Piedirosso e Trebbiano allevate con il tradizionale sistema dello Spalatrone Puteolano per farne vino di sostentamento, niente di che.

Con il primo Bradisismo degli anni ’70, l’evacuazione definitiva del Rione Terra e del centro storico di Pozzuoli fu proprio questa l’area scelta per l’insediamento delle nuove case popolari che spostò qui, a partire dal 1974 e sino a metà anni ’80, la stragrande maggioranza della popolazione puteolana che in quegli anni era dispersa e ricollocata, si fa per dire, in alloggi di fortuna tra la provincia a nord di Napoli e la fascia costiera Domiziana, sino a Castelvolturno e Mondragone in provincia di Caserta, Formia, Gaeta e Latina nel basso Lazio.

Mario Portolano¤, imprenditore napoletano lungimirante, alle prese con la prosecuzione dell’impresa di famiglia impegnata nel manifatturiero di pregio dal 1895, con attività commerciali nel centro storico di Napoli, poi a Roma e Milano, aveva proprietà agricole proprio qui a Toiano, dove nel fine settimana amava trascorrere le giornate in famiglia e dedicarsi al lavoro in campagna e alla coltivazione della vite per farne vino per se e per gli amici più cari. Dopo le ultime espropriazioni, a fine anni ’80, riesce a mantenere almeno questo pezzo di terra, già Masseria Murro, per continuarci a vivere nel fine settimana e a fare vino.

Oggi la casa colonica è ribattezzata Villa Teresa e la Società Agricola Mario Portolano da questi 4 ettari caratterizzati da sabbie vulcaniche e tufo giallo, piantati con Aglianico e Piedirosso, cui si aggiunge 1 ettaro di Falanghina in prossimità della costa di Cuma, ha cominciato a mettere in bottiglia e commercializzare, dal 2015, tre etichette: Piedirosso Campi Flegrei e Campania rosso igt Villa Teresa e Villa Teresa 6’’ (sei pollici, ndr), a cui si affiancheranno a breve, con l’annata 2018, Falanghina Campi Flegrei ed un insolito e vivace bianco ancestrale rifermentato in bottiglia, sempre con Falanghina.

Vini che abbiamo provato tutti e ve ne lasciamo perciò traccia, a cominciare da questo straordinario rosso, a dir poco insolito, difficilissimo da collocare nel comprensorio flegreo ma forse proprio per questo ne siamo rimasti sinceramente rapiti e conquistati. L’Aglianico Villa Teresa ”Sei Pollici” 2015 è un rosso profondo, pieno, ossuto e armonico, dal colore rubino e dal naso estremamente varietale, fruttato e polposo, cui s’aggiungono rosa e viola, toni un po’ più scuri che chiudono con sentori di grafite e un sorso saporito, avvenente e dal finale di bocca pieno di gusto. Sono poco più di tremila bottiglie, da cercare, provare per credere!

© L’Arcante – riproduzione riservata

La prima volta al ristorante (certo non è che l’abbia sognata proprio così, ma tant’è…)

1 ottobre 2013

Luglio 1990, i primi passi. Caro diario, così questo fine settimana è andato via. Sono distrutto. Non pensavo fosse così dura fare il lavapiatti. Che poi ieri quel matrimonio non finiva più, alle due di notte ‘pasta e fagioli con le cozze’: questi sono matti!

A fine serata sono salito in sala, i ragazzi stavano sistemando i tavoli per la comunione di domani, gli ho portato i bicchieri da passare. Non so, ho avuto una strana sensazione. E poi – cavolo! mi sono detto – tra loro ho riconosciuto Alfonsino, gioca i tornei di calcetto nel Rione, lo chiamano El Buitre, è fortissimo!

Ludovico, il capo chef, è una brava persona, almeno così mi sembra; ieri mattina, mentre pulivo le cozze mi ha avvicinato chiamandomi Pino Daniele (dice che gli rassomiglio, boh…) attaccando bottone con me. Ha saputo da uno dei proprietari che papà fa il pescatore, dice di conoscerlo e con lui i miei tre fratelli. Mi ha detto che sono ancora in tempo a lasciar perdere, che questo è un mestiere duro e pieno di sacrifici. Gli ho risposto che per quello che vedo fare a mio padre, Nicola, Vincenzo e Nunzio non c’è da preoccuparsi, loro sì che si fanno il mazzo.

Mamma però ieri s’è rammaricata parecchio, mi ha visto le mani tutte piene di piaghe e mi ha intimato di non tornare al lavoro. Gli ho spiegato che mi si erano rotti i guanti e che la lavastoviglie non funzionava (non ci sono soldi al momento, hanno detto). Tutto però tornerà a posto settimana prossima. E poi vuoi mettere che finalmente non dovrò più chiedergli soldi? Anzi domani gli passo 20.000 lire da quello che ho guadagnato. No, indietro non si torna, non si torna no.

Chiacchiere distintive, Sabatino Di Costanzo

19 dicembre 2009

Ovvero, della ruralità di cui si sentirà sempre più la mancanza e che io voglio fortemente ricordare, memoria di una infanzia vissuta con i piedi nella terra.

Buongiorno Sabatino, tutto apposto? “Eh, figlio mio, che ti devo dire, vecchio m’hai lasciato e più vecchio mi ritrovi; La pioggia qua, vedi, non vuole proprio farci lavorare…”. “Come ti sei fatto grande, ti ricordi quando con i tuoi compagnielli vi venivate a scippare l’uva dalle piante? Ah quante scoppettate vi sareste meritati!” Sabatino, tengo bisogno di due-tre tralci di vecchie viti, ne avete estirpati qualcuno a fine vendemmia? “Vieni, vieni, andiamo in campagna, statti attento a non sporcarti con la terra però, mantieniti sulla parte dura del terreno”. Sabatino mio, una delle poche cose che proprio non mi dispiace è sporcarmi con la terra, la mia terra ricca di pozzolana!

Sabatino Di Costanzo (nessuna parentela, nemmeno alla lontana) è il contadino puro, il lavoratore indefesso della terra. Pensare a lui mi riporta immediatamente alla mia infanzia, quando appena undicenne mi mandavano a comprare il vino per casa, quello “del contadino” era l’unico capace di far quadrare il bilancio e dare da bere agli assetati di tranquillità dopo una dura giornata per mare. Sabatino oggi ha più di ottant’anni, tutte le mattine alle cinque e trenta porta la frutta al mercato ortofrutticolo di Pozzuoli, la poca che gli è rimasta di coltivare dopo l’espropriazione dei terreni subita a fine anni ottanta per lasciare costruire un casermone finito e rifinito ormai da oltre dieci anni e lasciato decadere alla buona faccia dei contribuenti. “Mi avessero lasciato almeno il frutteto, sai che belle mele annurche venivano qua?” Eh si, me le ricordo le vostre mele, i magnifici mandarini, le fave dolcissime che coltivavate tra i filari di per’ e’palummo e falanghina in primavera. “Stì disgraziati, si sono mangiati in dieci anni più di 150 anni di storia e tre generazioni di contadini.

Allora dimmi, fai ancora “quello del vino, come si dice, o’ summelier? Eh si, caro Sabatino, mi avete rincorso con l’uva in saccoccia da bambino ed oggi mi ritrovo io a rincorrere le bottiglie di vino. “Eh, mio caro Angelo, ma il vino che vendi tu alla gente non è come questo, qua’ il vino lo fa’ la natura, io ci metto solo la bocca, e la mia bocca, credimi, è quella che vale!”. Sabatino mio, non ho argomenti per trattare male la vostra opinione, ma credetemi, che la vostra bocca non è la stessa mia, e quello che potete cercare voi nel vostro vino non è lo stesso che vado trovando io e qualcun altro. Un vino deve tenere qualcosa di dire!

Ci spostiamo adesso sotto il pergolato, si avvicina la Signora Concettina, la moglie, imbracciando una bottiglia di vetro chiaro con il tappo di plastica giallo, ci accomodiamo sulla panca sotto la quale arde un piccolo braciere: “Vieni qua’, senti questo che tiene da dirti”, mi sussurra mentre mi versa un abbondante bicchiere del suo piedirosso; il colore non è certo limpido ma è bello vivace, rubino netto ed anche abbastanza concentrato. Lo porto subito al naso, il bicchiere, il classico tumbler da osteria, non è certo ideale per cogliere tutte le sfumature, ma ad esser sincero poco mi aspetto di trovare. “Questo qua figlio mio, lo faccio solo per me, se lo dovessi vendere, come minimo mi dovrebbero dare quattro euri al litro, vallo a far capire a questa manica di fetienti qua intorno”.  In effetti sono sorpreso, lasciata sfumare la lieve nota volatile iniziale, viene fuori un bouquet davvero piacevole, vinoso, floreale di geranio e viola, fruttato di ciliegia polposa, berlo poi è davvero gradevole, frutto ancora in primo piano, fresco quanto basta e lievemente sapido. Nessuna nota sgradevole sul finale di bocca.

Sabatì, ma questo è davvero buono! “Allora qua parliamo e non ci capiamo, questo è solo uva, io ci metto solo la bocca!”. Però ditemi la verità, qua non c’è solo il piedirosso, e poi non mi potete certo dire che è tutta uva di qua, nella piana di Toiano il vino non riesce a raggiungere questa maturità di frutto. “E chi te lo dice, questo è dodici gradi e mezzo, e nessuna per’e’palummo a meno che non sia “trattata” ti riesce a dare di più”.  Con le mani e con gli occhi mi fa’ segno di girarmi e guardare quei quattro filari là, proprio sotto la montagna di Monte S. Angelo: “questo viene da là, è dell’anno passato, 5 damigiane e poche altre bottiglie di sciampagna, ne un dito in più, ne uno in meno. E non sempre però. Tu rispetta la terra, essa sa’ bene cosa darti!”

La pioggia ha smesso di cadere già da qualche minuto, decidiamo di salutarci, io mi porto via i miei tralci di vite vecchi ed un’altra lezioncina di cui fare tesoro. Se il tempo mantiene, con i pampini ormai tutti caduti, Sabatino potrà finalmente lavorare le sue viti in procinto del lungo riposo invernale. Potrà passare in rassegna i pali di sostegno per verificarne la stabilità, legare le viti al palo con i rametti di salice, piegare i tralci e fermarli a dovere con il fil di ferro. Attorno ad ogni pianta potrà togliere le erbacce e metterci il letame o il concime. Poi a Marzo, al risveglio della natura, si vedrà.

A lui dedico queste righe, a lui ed ai suoi fratelli Antonio, don Gennaro e Luigi che, ultrasettantenni ci hanno però lasciato qualche anno fa’; ripensando ai miei ricordi, pesco nella mia infanzia, bellissima, memorie di giornate spese a correre tra le loro “terre”, a giocare in mezzo alla campagna e fuggire rincorsi costantemente sotto la minaccia di “scoppettate” o vangate, per la verità mai ricevute, per un pallone di troppo calciato nel fienile o per una manciata di pesche, ciliegie e fave trafugate di sabato pomeriggio.


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