Riflettevo ieri sui tanti episodi che mi capitano durante il servizio, il più delle volte a sera: sapete, la signorina mittiquì con la fisima dello chardonnay o la donnina che senza il pinot grigio…oh… gnente!, e poi quello che il vino campano “mamma li turchi!” ma anche quelli che il vino toscano… “toh, ma continuano a barare?”; insomma ecco, cose così, conversazioni impegnative e meno, con gente da suggestionare, convincere, stimolare, conquistare… E per farlo bene, conquistarle dico, bisogna essere convincenti per davvero, non necessariamente bravi ma avere argomenti buoni da trattare, bottiglie seducenti oltre ai Barolo e ai Supertuscan – che vuoi o non vuoi godono ancora di quell’appeal che manca agli altri -, vini insomma che hanno qualcosa da raccontare, non solo profumi e sapori ma anche storie cui stare dietro a spiegare. Spiegare, spiegare, spiegare, fino alla noia far sapere cosa c’è in quel bicchiere, magari perché è finito lì nella tua carta, chi ce l’ha fatto fare e dove e come nasce.
Invero non ho molto tempo per scrivere in questi giorni particolarmente intensi e pieni, però sento il dovere di confessare perché ho peccato ancora; sì, l’ho fatto ancora, di sana pianta e per tutta una serata, cominciata alle otto e finita da poco, quasi a mezzanotte. L’ho fatto per vendere vino, per vendere, e tra le altre ancora una bottiglia di Cruna De Lago 2010 della famiglia Di Meo, un Brunello di Montalcino 2006 di Pian dell’ Orino e l’ennesimo Grotte Alte 2006 di Arianna Occhipinti.
Belle bottiglie, ottimi vini, grandi potremmo dire. Talvolta però non basta, ma chi sono? La gente vuole e deve sapere che anche dietro una Falanghina dei Campi Flegrei c’è il lavoro di tutta una vita: un fazzoletto di terra strappato al cemento, un nonno di 80 anni che ancora freme per correre a potare la vigna e un giovanotto di 20 anni che più delle sottane ha subito capito quanto contasse vegliare i mosti per tutta la fermentazione.
E che dire poi di Jan Erbach e Caroline Pobitzer, che barano? Allora fateci due chiacchiere con loro, andate là a Pian dell’Orino, sta a Montalcino dove sta Biondi Santi; lei è una tosta, e tanto basta, di lui si può dire che è un tipo in gamba, germanico, intransigente, con una testa grossa così: parla alle piante e ne ascolta il ciclo vitale, ma non è quello il suo segreto, il suo asso nella manica è l’amore. Così i loro vini vi parlano col cuore, e colpiscono direttamente al cuore.
O di Arianna Occhipinti. E’ vero, ha fatto degli errori (ma chi non ne fa?), i suoi vini hanno sofferto l’inesperienza e la troppa grazia di un movimento in subbuglio (i cosiddetti vini naturali) dove qualunque cosa appena potabile passava per oro colato. E’ forte Arianna, capace, intraprendente, solare come certe sue bottiglie; portare in tavola una di Grotte Alte è come consegnare ai clienti la chiave di uno scrigno, dove dentro ci sta tutto quanto desideri da una bottiglia di vino: la terra, l’orgoglio, l’amore.
Eh si, il sommelier è un po’ così, racconta frottole, inventa storie per vendere vino ma giuro, almeno per quanto mi riguarda, che non è tutta farina del mio sacco, il più delle volte è che me le raccontano proprio così, ed io ci credo. Colpa degli altri insomma.
Tag: arianna occhipinti, biondi santi, brunello di montalcino, campi flegrei, caroline pobitzer, cruna delago la sibilla, di meo, falanghina, grotte alte, jan erbach, nero d'avola, pian dell'orino, sicilia wines, vittoria
11 agosto 2012 alle 17:33 |
caro angelo, se confessi un delitto sei un perdente, ancora non lo hai capito?
meglio se ti scoprono e solo dopo dai la colpa agli altri( tipo scegli uno a caso e dici che è colpa sua).
l’ho già detto in qualche altro post, quanto mi piace conoscere i retroscena dei lavori. le cose esaltanti tipo incontro con Annie Feolde, oppure questi tuoi aneddoti di vita quotidiana. sempre pronto a leggerti ancora.
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11 agosto 2012 alle 18:54 |
Vero, ma io sono così… 🙂
Per il resto faccio, anzi scrivo, quello che posso. Molte cose meritano il riserbo della deontologia professionale anche se talvolta vi sono situazioni talmente “divertenti” che val la pena raccontare; a rischio di beccare risentimento e contrasto da chi ahimé ha poco senso dell’humor. E credimi che nel mondo del vino ce sono tanti più di quanti se ne contano in politica: della serie “lei non sa chi mi credo di essere”!
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11 agosto 2012 alle 17:58 |
Provo a raccontarne un paio anch’io .Precedenza alle signore e cominciamo da Clelia Romano che dava le sue pregiate uve a Mastroberardino il quale in piena crisi dimezzo’ il prezzo delle stesse per cui fatti pochi conti da buona casalinga decise assieme al padre ed al marito Angelo di iniziare l’avventura della vinificazione in proprio.Facendo violenza alla sua naturale riservatezza visito’ i migliori ristoratori che con i loro incoraggiamenti contribuirono a far nascere Colli Di Lapio che secondo il mio modesto parere a tutt’oggi rimane un punto di riferimento per il Fiano.Parliamo adesso al buon Bruno De Conciliis che all’inizio della sua attività di viticoltore faceva un corso da sommelier a Napoli dove si recava assieme ad un amico ristoratore che stanco dei suoi sogni di gloria un giorno lo apostrofo’ rudemente:Bru’ tu nun si’ nisciuno TU SI NU ZERO ! Nasce così quello che oggi viene considerato un po’ come l’Amarone del sud.Le storielle aiutano a comunicare il vino ma devono essere convalidate dall’onesta’ intellettuale e dall’obiettivo valore del prodotto.
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11 agosto 2012 alle 19:47 |
De Conciliis è uno di quelli che si è montato la testa. Ma non da ora. Vini carissimi, buoni ma non c’è solo lui per fortuna.
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11 agosto 2012 alle 18:58 |
Di storie come quello di Bruno ne è pieno il mondo. Per rimanere nel mondo del vino sai quanti ce ne sono invece che si credono “dio in terra”!?
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11 agosto 2012 alle 19:00 |
Non so se queste righe nascono come risposta al precendete post indignato contro italia a tavola, ma si coglie a pieno tutto il bello del tuo lavoro, Angelo.
Bravo, un bello scritto davvero.
Antonio
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11 agosto 2012 alle 23:18 |
Per il signor Paolo.Se per testa montata si intende la capacita’ di sognare e progettare riguardo a Bruno mi trova pienamente d’accordo.La storia vera della nuova vigna di Fiano per molta parte piantata ad alberello in un bosco del comune di Morigerati nel Cilento più a sud ad un’altezza che va’ dai 400 ad oltre 600 metri dovrebbe quanto meno far riflettere sullo spessore del nostro personaggio al di la’ di ogni banale semplificazione.
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12 agosto 2012 alle 09:53 |
Francesco, mi scusi, non per aizzare polemica perché non è nelle mie intenzioni ma sa quante vigne ci sono in Campania ad un’altezza che va’ dai 400 ad oltre 600 metri? Ormai tutte le vigne sembrano galleggiare a quelle altezze.
E poi il mio riferimento non era alle capacità di Bruno perché visionari come lui il mondo ne è pieno (e per fortuna aggiungo) ma al fatto che negli ultimi 6/7 anni ha messo in bottiglia vini medi, giusti per galleggiare in un mercato capace di assorbire tutto e tutti. Aumentando repentinamente di anno in anno i prezzi.
Insomma pochi gli spunti emozionali. Diciamo che ha un po’ deluso le aspettative… almeno le mie di consumatore abituale di bianchi campani in terra di bianchi veneti.
Per inciso: il Donnaluna fiano ha smesso di essere il bianco di riferimento del Cilento, l’aglianico boh… cosa ci finirà là dentro negli ultimi anni chissà. Ecco, sono u tantino deluso.
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4 ottobre 2012 alle 15:02 |
[…] ancora uno solo però. Perché? Perché buono è buono ma il modello da seguire rimane per me il Cruna DeLago. Share this:Like this:Mi piaceBe the first to like […]
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