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Brunello di Montalcino 2004 Pian dell’Orino

17 dicembre 2018

Ci sono storie, vini e persone che rimangono per sempre. Abbiamo a lungo raccontato di loro qui su queste pagine, Caroline e Jan Endrik ne hanno passate tante per strappare qui in Toscana quel minimo sindacale di credibilità che si deve a chi ha stravolto la propria vita pur di inseguire un sogno.

Forse anche per questo i loro vini, il loro Brunello anzitutto, sono diventati in pochi anni dei riferimenti assoluti di questo pezzo di storia del vino naturale italiano, vieppiú per chi va alla ricerca di piccole grandi storie dentro e fuori una bottiglia.

Pian dell’Orino è collocata in uno dei posti più suggestivi di Montalcino, praticamente con vista sulla Tenuta Greppo dei Biondi Santi¤ ma ciò che rende unica questa etichetta è quell’imprinting che Caroline e Jan hanno deciso di dare ai loro vini, definitivamente puri, vivi, inconfondibili. L’ideale li tiene strettamente confinati ai rigidi protocolli naturali, in vigna la cura biologica della piantagione è maniacale, assumendo un ruolo centrale, mentre in cantina, con una manualità essenziale e moderna al tempo stesso si riesce a garantire vini che oltre ad una loro spiccata autenticità riescono, tanto il Brunello quanto i loro vini cosiddetti minori come il Piandorino e il Rosso di Montalcino, ad esprimere una integrità di quelle che rimangono ben fisse nell’immaginario tanto da regalare bevute indimenticabili.

Solo per questo di tanto in tanto vale la pena tornarci su e lasciare traccia dei loro vini, un grande esercizio per chi ama queste terre e i rossi qui prodotti che consegnano sempre esperienze di grande valore emozionale. Per questo ci siamo privati dell’ultima bottiglia di Brunello di Montalcino 2004 in cantina ma senza alcun rimorso, questi vini continuano a tracciare un solco incredibile tra i pregiudizi sul biodinamico e la perfezione stilistica dipinta da molti come irraggiungibile per i cosiddetti vini naturali. Ad avercene per farne lezione.

Un Brunello questo duemilaquattro a dir poco straordinario, l’impronta è incredibilmente vivida ed espressiva, il colore rubino non ha alcun cedimento se non una limpida trasparenza appena aranciata sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso, a quasi tre lustri di distanza è rimasto profondamente varietale con note tostate appena accennate e terziari che vengono fuori solo alla distanza, tra l’altro senza incidere particolarmente, disegnandone così un quadro olfattivo chiaro e didascalico che gli rende fascino, suggestione, notevole complessità. Il frutto ha conservato tutta la sua polposità, il sorso impressiona per equilibrio e sapidità, lunghezza ed ampiezza, nel bicchiere ritroviamo insomma una bevuta di rara autenticità.

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Pian dell’Orino, il grande Brunello a Montalcino

15 febbraio 2016

Il colore di questo sangiovese riappacifica con la tipologia, è bello, vivo, profondo. Un invito a rivedere molte posizioni degli ultimi anni, il Brunello di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach racconta di un territorio unico ed imperdibile!

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Abbiamo a lungo raccontato la loro storia¤, Caroline e Jan Endrik ne hanno passate tante per strappare qui in Toscana quel minimo sindacale di credibilità che si deve a chi ha stravolto la propria vita pur di inseguire un sogno; forse anche per questo i loro vini¤, il loro Brunello anzitutto, sono divenuti in pochi anni un riferimento assoluto di questo pezzo di storia del vino italiano, vieppiú per chi va alla ricerca di piccole grandi storie dentro una bottiglia.

Anche per questo vale la pena tornare a scriverci su, un grande esercizio per chi ama ritornare su sentieri forse poco battuti ma che conducono ad esperienze di grande valore emozionale. Questo 2006 lascia un solco incredibile tra i pregiudizi sul biodinamico e la perfezione stilistica dipinta da molti come irraggiungibile per i vini cosiddetti naturali.

Il primo naso, a quasi dieci anni di distanza rimane profondamente varietale con note tostate appena accennate e terziari che vengono fuori solo alla distanza, senza infierire, disegnando un quadro olfattivo chiaro e didascalico che gli rende notevole complessità. Il frutto ha conservato polposità, il sorso impressiona per equilibrio e spiccata sapidità, lunghezza ed ampiezza, di rara autenticità. Il Brunello 2006 di Pian dell’Orino è un piccolo capolavoro in perfetto stile naturale¤.

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Montalcino, Il Brunello 2002 di Pian dell’Orino

20 novembre 2012

Duemiladue, annus horribilis per il vino? Chissà, si, boh, però; fu sicuramente un anno con un andamento climatico estivo davvero pessimo, e che certamente ne io ne Lilly dimenticheremo mai, tanta era l’acqua che prendevamo ogni sera dopo il lavoro costretti a bordo della nostra Nuova Vespa Centoventicinque.

E a guardare i numeri c’è ben poco da dire; pensate che a Montalcino, con la ‘92, la 2002 è la peggiore annata degli ultimi vent’anni: solo Due Stelle, pollice verso! Eppure, nonostante in molti si dissero talmente poco disposti nel dargli credito tanto da decidere non solo di non produrre i loro cru ma addirittura non produrne affatto, qualcuno, vuoi per necessità vuoi per avventatezza volle comunque mettersi in gioco, provarci. 

A tal proposito mi ritornano in mente le parole di Franco Biondi Santi quando gli chiesi di quell’etichetta speciale di Rosso prodotto appunto nel 2002. “Beh, Potevamo vendemmiare in Agosto quell’anno, tanto era già maturo il sangiovese grosso, ma ebbe a piovere, e per tutto il mese: più o meno 100 millimetri di pioggia la settimana, sino a metà settembre, quando decisi di far cominciare a tirar via il salvabile.  Portammo in cantina quel poco di buono che potemmo, da cui ricavammo, appunto, pochissimo vino, atto a divenire poi proprio quel Rosso di Montalcino lì!”.

Ma proprio lì, a due passi dalla Tenuta Greppo c’è anche Pian dell’Orino, la splendida azienda di Caroline Pobitzer e Jan Erbach, che decisero invece di mettersi in gioco; magari per necessità visto che muovevano proprio in quegli anni i loro primi passi a Montalcino. Dei temerari quindi o forse, chissà, semplicemente degli avventati. Detto ciò, e tutto il male possibile dell’annata e delle possibili vie di fuga da quel millesimo così nero per il Brunello, ti capita poi un vino come questo nel bicchiere e pensi a quanto invece possano essere riviste verso l’alto certe classificazioni. Non di molto magari, perché diciamolo subito che l’impressione che si ha di questo vino, già al secondo sorso, è che non avrà certamente lunga vita – manca chiaramente di profondità, di spina dorsale -, ma ad oggi, dopo dieci anni, mostra al naso come in bocca tante belle sfumature forse impossibili da cogliere allora e quindi altrettanto difficili da immaginare in prospettiva. 

Il colore è luminoso, ha sicuramente retto bene gli anni, sono infatti solo accennate le sfumature aranciate, giusto un’ombra sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso è ben calibrato, pulito, si avvicendano, a chiare note terragne, di sottobosco e di frutta secca i più classici sentori di confettura di amarena e prugna, grafite, e ancora note di briciole di cacao, cuoio e tabacco bagnato. Un quadro olfattivo sufficientemente apprezzabile se si pensa anche alla discreta freschezza che si coglie poi al palato: il sorso è maturo ma ben teso, con un tannino risoluto ma ancora sollecitato da buona acidità. Potremmo dire di un Brunello di ottima beva e di alto gradimento, un fiore tra le macerie di un’annata dannata, forse anche troppo. O troppo in fretta.

Racconto frottole, invento storie

11 agosto 2012

Riflettevo ieri sui tanti episodi che mi capitano durante il servizio, il più delle volte a sera: sapete, la signorina mittiquì con la fisima dello chardonnay o la donnina che senza il pinot grigio…oh… gnente!, e poi quello che il vino campano “mamma li turchi!” ma anche quelli che il vino toscano… “toh, ma continuano a barare?”; insomma ecco, cose così, conversazioni impegnative e meno, con gente da suggestionare, convincere, stimolare, conquistare… E per farlo bene, conquistarle dico, bisogna essere convincenti per davvero, non necessariamente bravi ma avere argomenti buoni da trattare, bottiglie seducenti oltre ai Barolo e ai Supertuscan – che vuoi o non vuoi godono ancora  di quell’appeal che manca agli altri -, vini insomma che hanno qualcosa da raccontare, non solo profumi e sapori ma anche storie cui stare dietro a spiegare. Spiegare, spiegare, spiegare, fino alla noia far sapere cosa c’è in quel bicchiere, magari perché è finito lì nella tua carta, chi ce l’ha fatto fare e dove e come nasce.

Invero non ho molto tempo per scrivere in questi giorni particolarmente intensi e pieni, però sento il dovere di confessare perché ho peccato ancora; sì, l’ho fatto ancora, di sana pianta e per tutta una serata, cominciata alle otto e finita da poco, quasi a mezzanotte. L’ho fatto per vendere vino, per vendere, e tra le altre ancora una bottiglia di Cruna De Lago 2010 della famiglia Di Meo, un Brunello di Montalcino 2006 di Pian dell’ Orino e l’ennesimo Grotte Alte 2006 di Arianna Occhipinti.

Belle bottiglie, ottimi vini, grandi potremmo dire. Talvolta però non basta, ma chi sono? La gente vuole e deve sapere che anche dietro una Falanghina dei Campi Flegrei c’è il lavoro di tutta una vita: un fazzoletto di terra strappato al cemento, un nonno di 80 anni che ancora freme per correre a potare la vigna e un giovanotto di 20 anni che più delle sottane ha subito capito quanto contasse vegliare i mosti per tutta la fermentazione.

E che dire poi di Jan Erbach e Caroline Pobitzer, che barano? Allora fateci due chiacchiere con loro, andate là a Pian dell’Orino, sta a Montalcino dove sta Biondi Santi; lei è una tosta, e tanto basta, di lui si può dire che è un tipo in gamba, germanico, intransigente, con una testa grossa così: parla alle piante e ne ascolta il ciclo vitale, ma non è quello il suo segreto, il suo asso nella manica è l’amore. Così i loro vini vi parlano col cuore, e colpiscono direttamente al cuore.

O di Arianna Occhipinti. E’ vero, ha fatto degli errori (ma chi non ne fa?), i suoi vini hanno sofferto l’inesperienza e la troppa grazia di un movimento in subbuglio (i cosiddetti vini naturali) dove qualunque cosa appena potabile passava per oro colato. E’ forte Arianna, capace, intraprendente, solare come certe sue bottiglie; portare in tavola una di Grotte Alte è come consegnare ai clienti la chiave di uno scrigno, dove dentro ci sta tutto quanto desideri da una bottiglia di vino: la terra, l’orgoglio, l’amore.

Eh si, il sommelier è un po’ così, racconta frottole, inventa storie per vendere vino ma giuro, almeno per quanto mi riguarda, che non è tutta farina del mio sacco, il più delle volte è che me le raccontano proprio così, ed io ci credo. Colpa degli altri insomma.

Rosso di Montalcino 2008 Pian dell’Orino

18 marzo 2011

Poi giuro che per un po’ non ne parlo più, ma non posso non raccontarvi di quest’altro bel vino prodotto da Caroline Pobitzer e Jan Erbach in quel di Montalcino, a Pian dell’Orino.

Cosa dirvi di questo vino? Magari si potrebbe partire dal fatto che è semplicemente buonissimo; Poi però bisogna spiegarlo, raccontarlo avendone coscienza e naturalmente quel pizzico di autorevolezza tale da potervi permettere di comprendere, far passare per certezza una impressione tutta tua, come quando un amico ti offre un consiglio che imparerai poi ad apprezzare; e allora veniamo ai fatti, quelli concreti, poi le mie sensazioni.

L’azienda è collocata in uno dei posti più suggestivi di Montalcino, praticamente con vista sulla Tenuta Greppo dei Biondi Santi (n’est pas?) ma ciò che rende unica questa etichetta è quell’imprinting che Caroline e Jan han deciso di dare ai loro vini, definitivamente puri, vivi, inconfondibili. L’ideale li tiene strettamente confinati ai rigidi protocolli naturali, laddove in vigna la cura biologica della piantagione diviene maniacale, assumendo un ruolo centrale, mentre in cantina, con manualità essenziale e moderna al tempo stesso, riesce a garantire vini che oltre ad una spiccata autenticità riescono, tanto il Brunello quanto questo Rosso di Montalcino, ad esprimere una integrità di quelle che rimangono ben fisse nell’immaginario tanto da assurgere a riferimento: insomma, un sangiovese che più espressivo non si può, o giù di lì. Questi i fatti.

La franchezza con la quale si propone questo Rosso 2008 è la stessa con la quale Jan passa dai numeri matematici delle formule scientifiche a gesti di inusuale semplicità per spiegare in soldoni cosa significa fare agricoltura biologica, vini naturali, e non dover raccontare ogni volta la stessa solfa filosofica per farsi comprendere, per far arrivare il messaggio che un vino è sano quando si lavora la vigna con giudizio, coscienza e pragmatismo e non con architetture astrali fini a se stesse o al massimo funzionali al marchio del quale sono al servizio.

Veste un colore rubino netto, di leggiadra trasparenza, ma non troppa; il primo naso è uno sbuffo di terra asciutta, ma appena l’ossigeno s’impossessa dello spazio libero tra le sue maglie è un continuo susseguirsi di note di piccoli frutti neri che si lasciano lentamente suffragare da lievi insistenze speziate, di china e rabarbaro, e spiccata mineralità. Un Rosso che brunelleggia mi verrebbe da dire, anche se ad un naso così importante non segue un palato altrettanto desto, ma in fin dei conti non è la sua vocazione quella di conquistare per spessore gustativo: è asciutto, di nerbo, di buona beva e sfugge via solo nel finale di bocca, lievemente amaro. In fin dei conti, un vino che offre tante qualità che fanno di una bevuta una piacevole esperienza. Altro bel colpo Weinstein!

Giro di vite a Montalcino, di Pian dell’Orino e dell’uomo che sussurrava alle piante…

15 febbraio 2011

Quando Caroline Pobitzer è giunta a Montalcino dall’Alto Adige, dove è nata e dove prima di allora si occupava della proprietà della sua famiglia, un grande castello rinascimentale – Castel Katzenzungen– ai cui piedi vive un’immensa vite di oltre seicento anni d’età, aveva certamente le idee già ben chiare su quale fosse la filosofia da seguire nella nuova splendida proprietà a Pian dell’Orino; poco più di tre ettari giardino sistemanti ad un tiro di schioppo da quel Greppo dei Biondi Santi tanto famoso nel mondo quanto, per molti, icona inarrivabile.

L’incontro con Jan non ha solo consolidato un progetto aziendale se vogliamo già forte, rendendolo oltretutto univoco dopo il loro matrimonio, ma lo ha reso sensibilmente proiettato nel futuro di una terra fortemente contesa che solo nelle radici più forti sta lentamente ritrovando, dopo brunellopoli, la sua vera essenza, quell’autenticità da tutti sospirata ma da pochi palesata in maniera così pregnante come qui a Pian dell’Orino.

Jan Hendrik Erbach è invece nato e cresciuto a Karlsruhe, in Germania, ha studiato a lungo viticoltura prima di arrivare alla prestigiosa Accademia di Geisenheim dove ha completato la sua formazione professionale; da qui, dopo gli studi, ha vissuto e lavorato per alcuni anni in Francia, maturando una lunga esperienza soprattutto in merito alla viticoltura cosiddetta naturale, una vocazione questa che lui stesso difende strenuamente dalla volontà di molti che tendono stupidamente alla sua banalizzazione – i suoi rimedi e le pratiche antiche e consolidate nel tempo, per esempio – nel solo intento di etichettarla per meri fini commerciali. E’ per questo che ci tiene a sottolineare quanto “in una viticoltura sana ed equilibrata non si deve aver necessità di sposare questa o quella teoria, fare sfoggio di questa o quella filosofia”, “la terra ci parla, ci chiede e ci racconta, basta saperla ascoltare o meglio, leggere”; ecco perché alla fatidica domanda “ma siete biodinamici?” non si scompone: “Non abbiamo necessità di sfoderare una filosofia produttiva, la nostra bibbia è la nostra esperienza, il vino si fa a questo modo, devi conoscere il tuo terreno, le tue vigne, l’ambiente in cui crescono e qui devi sapere dove e come poter e non poter mettere le mani; il resto, la cantina, c’entra tanto o poco a seconda di che uva ci porti dentro, il tempo poi ti dirà dove puoi arrivare con i tuoi vini, a te basta saggiarli e decidere”.

Prima di partire per questo viaggio era doveroso cercare di carpire quante più informazioni possibili sulle aziende e sui vini che saremmo poi andati a scovare, riducendo così al minimo, dove possibile resettandole, le antiche e conservatici memorie in materia. “Il Brunello di Montalcino di queste terre, di questa in particolare – ci dice in sintesi Jan – altro non è che lo specchio del sangiovese cresciuto sui terreni sassoso-galestrosi di questa regione a nord del Monte Amiata”, esprime quindi, “proprio tutte quelle asperità, quelle complessità di un ambiente inoltre fortemente condizionato dalla particolare situazione pedoclimatica, difficile, ma forse proprio per questo, unica al mondo”. A Pian dell’Orino si seguono poche regole e fermamente radicate in quella che per ragioni di sintesi chiamerò biologica (o se preferite un estremismo tanto amato, ancor più conservatore, biodinamica) ma che in effetti rincorrono ed esigono un risultato finale di tal finezza ed eleganza – pienamente colti in tutti gli assaggi effettuati, dalle botti come nelle bottiglie – che mi verrebbe da dire, a certi soloni del biopensiero in particolare, che prima di sparare cazzate su certe “caratteristiche e tipiche puzzette” vengano un paio di mesi a lezione da Jan e Caroline!

Complessivamente il vigneto aziendale conta circa 6 ettari di cui almeno tre proprio qui intorno alla casa-cantina, piantati con una densità di impianto di 4.500 piante/ha dalle quali si ottiene mediamente una resa massima che a seconda dell’annata si aggira fra i 30 e i 60 qli. La biodiversità qui è un valore assunto ineludibile, come detto, pertanto per incrementarla nelle vigne, viene praticato costantemente un sostanzioso inerbimento con semi di leguminose, graminacee, cereali ed erbe officinali – queste ultime tra l’altro utilizzate per le tisane somministrate per rafforzare il loro sistema immunitario – cercando di creare così un ambiente favorevole allo sviluppo di popolazioni variegate di insetti, rettili, volatili e piccoli animali utili all’incremento della vitalità del terreno ed alla competizione biologica verso parassiti nocivi. Poco, ma indispensabile l’utilizzo del solfato di rame per alcuni trattamenti che comunque non prescindono da principi ancor più rigidi dei vari “protocolli” sviluppatisi intorno alla biodinamica e fortemente caratterizzanti la conduzione del vigneto da parte di Jan e dei suoi collaboratori.

In cantina non vengono perseguite tecniche invasive durante la fermentazione (tipo rotatori, pale ecc…) che avviene lentamente ed in maniera spontanea, con fermenti indigeni e quindi non di colture batteriche commerciali; le varie pratiche di decantazione avvengono per caduta naturale seguendo i diversi livelli su cui è costruita la cantina – essenziale, senza cioè nessun viaggio introspettivo architettonico, e tra l’altro perfettamente integrata nel paesaggio, ndr – mentre per i vini non v’è chiarifica se non la naturale precipitazione dei depositi; è bassissimo l’uso della solforosa, “affinché si riesca a garantire al vino piena salubrità ma anche che rimanga perfettamente digeribile”.

La produzione prevede essenzialmente tre vini, il Piandorino, un rosso giovane, da consumare velocemente e che esce come igt, un Rosso di Montalcino, dove è già espressamente tangibile lo straordinario lavoro in vigna – il 2008 mi è parso tra i più buoni mai bevuti prima – ed il Brunello Pian dell’Orino propriamente detto, che nelle migliori annate, come il 2006 bevuto praticamente in anteprima, rappresenta secondo me, un vero e proprio piccolo gioiello di vino-frutto e ficcante mineralità; fattostà che proprio con il 2006, il prossimo anno uscirà anche, per la prima volta, una Riserva, con le uve raccolte perlopiù a pian Bossolino e Cancello Rosso in località Castelnuovo dell’Abate, tra i più vocati del territorio e dove tra l’altro ricadono le vigne di un altra azienda fuoriclasse, Stella di Campalto, che non riusciremo a visitare in questi giorni solo per mancanza di tempo ma di cui possiamo solo pensarne bene tanta è la considerazione che gli stessi Caroline e Jan, di cui ormai ci fidiamo ciecamente, manifestano apertamente.

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la spassosa ed indimenticabile visita a Diego e Nora Molinari a Cerbaiona;

Qui la visita del pomeriggio da Gianfranco Soldera a Case Basse;

Qui la deliziosa mattinata in compagnia di Franco Biondi Santi e la visita del pomeriggio a Casanova di Neri;

Brunello di Montalcino 2006 Pian dell’Orino, piccolo capolavoro in perfetto stile naturale!

10 febbraio 2011

Come innamorarsi ancora una volta di un vino o di un’azienda? Ve lo spiego io, avere la fortuna di incontrare e lasciarsi prendere letteralmente per mano da persone come Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach!

Pian dell’Orino conta circa 6 ettari di cui almeno tre intorno alla casa-cantina, a due passi dalla Tenuta Greppo di Biondi Santi con la quale sono confinanti; sono piantati con una densità di impianto di 4.500 piante/ha dalle quali si ottiene mediamente una resa massima che a seconda dell’annata si aggira fra i 30 e i 60 qli. La biodiversità qui è un valore assunto ineludibile, e per incrementarla nelle vigne, viene praticato costantemente un sostanzioso inerbimento con semi di leguminose, graminacee, cereali ed erbe officinali – queste ultime tra l’altro utilizzate per le tisane somministrate per rafforzare il loro sistema immunitario – cercando di creare così un ambiente favorevole allo sviluppo di popolazioni variegate di insetti, rettili, volatili e piccoli animali utili all’incremento della vitalità del terreno ed alla competizione biologica verso parassiti nocivi.

In cantina, non vengono perseguite tecniche invasive durante la fermentazione che è assolutamente lenta e spontanea, con fermenti indigeni e quindi non inoculati utilizzando colture batteriche commerciali, le varie pratiche di decantazione avvengono per caduta naturale seguendo i diversi livelli su cui è costruita la cantina – essenziale, senza cioè nessun viaggio introspettivo architettonico, e tra l’altro perfettamente integrata nel paesaggio, ndr – mentre per i vini non v’è chiarifica se non la naturale precipitazione dei depositi; è praticamente inconsistente l’uso della solforosa, “affinché si riesca a garantire al vino piena salubrità ma anche che rimanga perfettamente digeribile”, dice Jan.

La produzione prevede essenzialmente tre vini, il Piandorino, un rosso giovane, da consumare velocemente e che esce come igt, un Rosso di Montalcino, di cui però ne parlerò specificatamente in un prossimo post, avendone portato via qualche bottiglia ad uso, per così dire personale, ed un Brunello di Montalcino propriamente detto, che nelle migliori annate, come proprio la 2006, bevuta praticamente in anteprima, rappresenta un vero e proprio piccolo gioiello di vino-frutto e ficcante mineralità; proprio con questo millesimo tra l’altro, il prossimo anno uscirà anche, per la prima volta, una Riserva, con le uve raccolte perlopiù a pian Bussolino e Cancello Rosso in località Castelnuovo dell’Abate, tra i più vocati del territorio. Il colore di questo sangiovese riappacifica con la tipologia, è bello, vivo, profondo. Il primo naso è un effluvio di piacevoli sensazioni varietali che lentamente lasciano la scena a sottili note tostate e terziarie che vengono fuori a rendere complessità ad un timbro olfattivo già di per se intenso e verticale. Il frutto, polposo, croccante è in primo piano anche in bocca, il percorso di invecchiamento, il legno per intenderci, incide poco o nulla sulle primarie sensazioni gustative, è assolutamente ben fuso, tutt’uno si direbbe, con la materia.

Un aspetto che impressiona di questo vino, che lo rende cioè pienamente godibile sin da ora, è la spiccata sapidità che chiude il finale di bocca dopo l’importante impronta acido-tannica che gradevolmente pervade il palato al primo sorso, poi giustamente ammantata da un altrettanto importante apporto glicerico. E l’eleganza, commista alla finezza dei tannini. In definitiva un vino sul quale si possono tranquillamente aprire le scommesse sulla sua durata nel tempo ma del quale, a me personalmente, interessa quanto, e più, riesce a garantirmi oggi, una volta stappata la bottiglia: da quel che ho bevuto, puro, significativo ludico piacere. Che l’annata in questione sia forse la migliore dell’ultimo lustro non v’è dubbio, ne abbiamo avuto oltretutto conferma bevendo altre signore etichette come per esempio il Cerbaiona di Diego Molinari e Il Paradiso di Manfredi; il vino di Jan e Caroline non è assolutamente da meno!  

Giro di vite a Montalcino, alla scoperta del mito Brunello da Biondi Santi a Casanova di Neri…

8 febbraio 2011

E’ notte fonda quando arriviamo a Montalcino, sulla strada, sin dalle prime curve che da Chiusi-Chianciano ci hanno condotto qui, la neve, copiosa, riveste i tetti e le mura di cinta delle piccole case in pietra che scorrono ai lati lungo la via. Troviamo riposo nella piccola area di sosta comunale, giusto ad un tiro di schioppo dalla Fortezza; l’aria lì fuori è gelida, il termometro sfiora lo zero, ma il camper è a dir poco confortevole ed il nostro entusiasmo arriva praticamente alle stelle, a guardar fuori, da qui luccicanti e splendenti come non mai.

L’indomani, il giorno uno, ci incamminiamo sulla strada per il Greppo, la storica dimora della famiglia Biondi Santi, 25 ettari di giardino sotto al cielo, a pensarci bene la casa del Brunello, nato tra l’altro proprio qui, tra queste vigne e queste mura verso metà ‘800, per opera di Clemente Santi, nonno di quel Ferruccio – frattanto divenuto già Biondi Santi – che proprio sul finire di quel secolo faceva muovere i primi, importanti passi in giro per il mondo a quel “vino brunello” consacrato poi alle grandi tavole dal figlio Tancredi, e che oggi continua a vivere per mano di suo figlio, Franco, classe 1922 e maniere da galantuomo da vendere: insomma, in definitiva un mito, non più classificabile semplicemente come un vino! Con me pochi amici, uno imperdibile, tal Nando Salemme e poi Dino e Alessandro, con i quali cammineremo nei prossimi giorni le vigne più suggestive di Montalcino alla ricerca di quel Santo Graal tanto prezioso ed ambìto – pur vituperato dall’ignobile scandalo di brunellopoli che è inutile nasconderlo, aleggia ancora nell’aria – quanto praticamente introvabile.

Arriviamo al Greppo a metà mattinata, sono passate da poco le dieci, il lungo viale di cipressi che dalla strada statale conduce alla tenuta pare accompagnarti nella storia, ed in verità lo fa; ai lati, s’intravedono giù per la collina le vigne spoglie, alcune già potate e rilegate, tutte tinte di un bianco candido come se stessimo in paradiso. Bussiamo ad una piccola porticina, ad aprirci lui, Franco Biondi Santi in persona: che emozione! Si può pensare ai successivi dieci/quindici minuti come un tuffo nella più comune delle situazioni del genere, dove l’imbarazzante atmosfera accademica rischia sempre di prendere il sopravvento, un classico dovuto insomma; saranno invece più di due ore di appassionante storia di vita vissuta, cominciate con una piacevolissima chiacchierata intorno al focolare di casa, vis à vis con almeno cento anni di storia sociale e culturale di Montalcino e non solo, e terminate, dopo una accurata e particolareggiata visita in cantina (che suggestiva!) – accompagnati stavolta da una brava e cordiale collaboratrice – con la degustazione di tutti i vini prodotti al Greppo: il Rosato, annata 2007, nato come omaggio all’amata moglie del dottor Franco, stufa – si dice – di veder macchiate di rosso le tovaglie di casa ed oggi vino particolarmente amato dai francesi; il Rosso 2008, austero e risoluto come pochi altri della denominazione, e per finire, il superbo Tenuta Greppo Annata 2006, un Brunello di Montalcino manifesto di un territorio, di questa vigna, e a guardarci in faccia, con molta probabilità la migliore delle porte che potevamo imbroccare per vivere poi con il giusto piglio le esperienze dei giorni a venire; non a caso, è questo, a detta di molti appassionati storici alla tipologia, quell’archetipo del Brunello da molti ricercato e (quasi) impossibile, a quanto pare, da replicare altrove!

Il sole inizia a farsi tiepido, è già primo pomeriggio, lasciamo il Greppo e riprendiamo la strada statale verso Montalcino, ci attende a pochi chilometri, sulla strada per Torrenieri, Giacomo Neri; il suo vino è da molti considerato l’altro Brunello, la sua azienda, Casanova di Neri, indubbiamente capace in poco più di un ventennio di stravolgere letteralmente gli equilibri locali, affermandosi in tutto il mondo come un nuovo riferimento assoluto, certamente di slancio moderno, diciamolo pure, con vini dai tratti caratteriali palesemente internazionali – l’uso della barrique, e qualche legno di poco più grande, qui hanno praticamente sostituito in toto le grandi botti – ma senza alcun dubbio ognuna delle bottiglie che viene fuori da questa cantina non si può certo additare per mancanza di carattere, tutt’altro, magari ci si potrebbe interrogare su quanto risultino marcate dal manico più che dal terroir, ma stilisticamente rimangono ineccepibili e, avendo avuto la fortuna di bere dei suoi Brunello, del Cerretalto in particolare, più di un millesimo, chiaramente riconducibili all’autore.

L’azienda, nata a fine anni settanta, vanta oggi poco più di 36 ettari di vigneto suddivisi in quattro appezzamenti collocati nel circondario ilcinese in posizioni diverse e ben distinte: Le Cetine a Sant’Angelo in Colle, il Cerretalto ed il Fiesole nei pressi dell’omonimo casolare di fronte a Montalcino (sede della cantina) ed il Pietradonice, a Castelnuovo dell’Abate, destinato però alla piantagione delle varietà internazionali lavorate secondo la d.o.c. Sant’Antimo. La cantina è di quelle belle grosse, delle più moderne, l’acciaio, tanto, reso fondamentale nelle fasi di vinificazioni; camminando i locali, distribuiti su più livelli sottoterra, sono certamente differenti le sensazioni provate alla Tenuta Greppo, piccola e suggestiva com’è, ma come si è detto, qui siamo ad un approccio più moderno, figlio senz’altro di quell’espansione sui mercati esteri tanto discussa, e discutibile per certi versi, ma assolutamente indispensabile per dare continuità e vigore ad un territorio, diciamolo pure fuori dai denti, ritrovatosi nel dopoguerra praticamente abbandonato a se stesso ed in poco più di vent’anni, siamo negli anni settanta, pietra miliare ricercata da tutti nel mondo.  E Giacomo Neri di questo ne ha saputo fare tesoro, e di quanto sia stato bravo nel vestire i suoi vini di carattere e personalità te ne accorgi non appena metti il naso nei calici colmi dei suoi vini; dalla coscritta ruvidezza del suo Rosso di Montalcino, all’immediata espressività del suo BrunelloEtichetta Bianca”, rimasto, ci dice, “tal quale a come lo amava papà Giovanni”. I fuoriclasse però rimangono il Cerretalto, prodotto solo nelle annate eccezionali, con quella sua spiccata mineralità e quell’inconfondibile timbro ferroso ed il Tenuta Nuova: di quest’ultimo, il 2006 è a dir poco spettacolare, di una compostezza fuori dal tempo, succoso e potente ma di rara, rarissima eleganza.

Ci concediamo da Giacomo e la splendida cordiale moglie Enrichetta, ci mettiamo alle spalle questa prima giornata a Montalcino; il mito, Franco Biondi Santi, ci ha donato con le sue parole, la sua esperienza, l’essenza di questa terra; Giacomo Neri, come noi figlio del nostro tempo, ci ha mostrato, forse, il futuro. Noi crediamo di aver colto un sacco di cose in più, un mare di sensazioni, palpabili, che ci lasciano pensare che a volerlo solo immaginare quanto sia esaltante un tour per le terre montalcinesi, solo una prima tappa del genere può riuscire ad azzerare tutto quello che credi di aver imparato, che sei convinto di sapere, su questi luoghi, su queste persone, questo vino, per poi capire e comprendere, sino in fondo, tutto quello che verrà nei prossimi giorni.

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la spassosa ed indimenticabile visita a Diego e Nora Molinari a Cerbaiona;

Qui la visita a Case Basse di Gianfranco Soldera;

Qui la piacevole scoperta di Pian dell’Orino di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach;

Montalcino, Amici di Bevute a caccia di Brunello

21 gennaio 2011

Amici di Bevute

professional

24 – 25 – 26 Gennaio

a Montalcino a caccia di forti emozioni 

Ma perchè? Come? Dove? Provate allora a chiedere a Nando Salemme quanto sia duro mantenere una così costante crescita qualitativa nella sua Osteria (non a caso con la “O” maiuscola) in un momento di crisi così forte ed implacabile; oppure, andate a domandare a Roberto Adduono quanto risulti difficile mantenere accese le luci su un palcoscenico come quello dove si muove quotidianamente dovendo, oltre a far stropicciare gli occhi ai suoi ospiti, far quadrare i conti a fine stagione. Pensate solo per un attimo a quanta passione, quanto amore, quanto sacrificio ci vuole in tutto quello che facciamo per voi ed avrete ottenuto tutte le risposte che desiderate. Credeteci, è dura la vita del sommelier, catapultata ogni giorno alla continua ricerca del suo santo Graal! 🙂 

Lunedì 24 Gennaio

ore 10,30 – Biondi Santi

ore 16,00 – Casanova di Neri

Martedì 25 Gennaio

ore 10,00 – Pian dell’Orino

ore 16,00 – Soldera Case Basse

Mercoledì 26 Gennaio

ore 10,00 – Podere San Lorenzo

ore 16,00 – Il Paradiso di Manfredi

Comucare il vino, con tutto l’amore possibile! Così si può.


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