Il Pinot Nero sa essere una varietà decisamente ostica da maneggiare, soprattutto quando non gli si riesce a corrispondere un giusto metodo di interpretazione e quell’attenzione assoluta necessaria in tutte le fasi produttive del vino; rimane infatti un’uva delle più difficili da collocare, quindi da coltivare e, come appena accennato, da vinificare ed elevare con giustezza.
Non è difficile intuire perché in molti non sappiano cogliere tutto il suo fascino; quel sottile nerbo che ne fa un vino tanto austero, quasi mistico in certe uscite, quanto unico ed elegante come solo pochi vini sanno essere; si potrebbe dire – di questo vino come di pochissimi altri – che o lo ami o lo odi, ma il più delle volte il rancore verso questo varietale, i suoi vini, è più imputabile alla superficialità di chi l’ha pensato che all’espressione stessa del terroir che l’ha generato; come dire che il pinot nero non è cosa per tutti, né quindi per ogni dove.
I fattori che nel tempo ne hanno alimentato il mito sono tanti, e tutti strettamente correlati gli uni agli altri: il vitigno, come detto, fa la sua parte, poi gli interpreti, alcuni dei quali capaci di farne esecuzioni magistrali (leggi qui), infine, ma non certamente per ultimi, la terra, i microclimi, che con i protagonisti appena citati partecipano al cosiddetto terroir; la Borgogna, è stranoto, rimane la regione per elezione, certe vigne poi irraggiungibili per equilibrio pedoclimatico, e non è un caso che proprio qui vengono prodotti, da sempre, molti vini semplicemente inarrivabili; di certo non sono trascurabili nemmeno alcune belle versioni altoatesine, quanto, perché non dirlo, parecchie bottiglie nordamericane e qualche buona versione dalla California (date un’occhiata qui e qui). La Borgogna però rimane, per questo vino e per i suoi adepti più appassionati, l’ombelico del mondo.
Meursault è, nell’immaginario collettivo, di sovente associata agli opulenti bianchi a base chardonnay, e non a caso visto che l’areale è destinato alla produzione di questi vini per circa il 98% della sua estensione; tuttavia però, non mancano, come testimonia questo splendido rosso, pinot nero capaci di stupire e conquistare anche l’avventore più appassionato. Les Durots è confinante con Les Santenots, forse il più conosciuto ed apprezzato dei climats qui classificati premier cru, che poco più a nord, attraverso Les Santenots du milieu e Les Santenots blancs va congiungendosi con le vigne e l’appellation di Volnay, spesso, in quanto alla produzione di pinot nero, preferita – per la sua notorietà per i vini rossi – a quella di Meursault; Pierre Morey è una di quelle aziende di cui raccontare troppo contribuirebbe solo a dirne una in più di quanto già detto o scritto da altri, quindi vi basti leggere di una famiglia di vignerons con più o meno un centinaio di anni di storia alle spalle e che dal 1998 l’azienda è totalmente votata all’agricoltura biologica. I vini qui prodotti, certificati Biodyvin, hanno un senso materico particolare, inconfondibile, profondo.
E il Meursault Les Durots 2008 ha tutti i tratti distintivi di un vino, un pinot nero, raccomandabile ad occhi chiusi a chi si volesse avvicinare ai cosiddetti “vini naturali” senza rischiare di beccarsi l’ennesima sola. Il colore è di uno splendido rubino/porpora trasparente, il primo naso è subito pronunciato su note erbacee e vegetali come menta, foglia di pomodoro e aneto, ma ciò che impressiona particolarmente è la schiettezza del frutto che lentamente governa tutto l’imprinting olfattivo e, successivamente, quello gustativo: la polposità dell’uva è incredibile, ciliegia, lampone, fragola e mirtillo in splendida evidenza, poi tutto il resto compreso note di spezie e caffè tostato, compreso un tannino fine, perfettamente calzato e sostenuto di giustezza da soli 12 gradi e mezzo d’alcol. Uno splendore di vino, decisamente da non perdere!
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11 luglio 2011 alle 22:00 |
Ciao Angelo, sei riuscito a proporre uno dei pochi Meursault rossi, perché come hai spiegato il settore di Santenots benchè sul territorio di Meursault è denomiato Volnay. Fu deciso che i rossi sono dei Volnay mentre i bianchi anche su Volnay sono dei Meursault.
Pierre Morey è assolutamente uno dei grandi, fu visitato da noi due anni or sono ed è uno di quelli che lasciano il segno. Degustammo solo i bianchi, ma che chardonnay, pieni di energia, vitalità e mineralità. Senza andare sui grandi ricordo un Aligoté e un Auxey-Duresses di grande spessore.
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11 luglio 2011 alle 22:23 |
Sai quando l’ho bevuto alcuni mesi prima di inserirlo in carta mi sembrava che mi stesser prendendo in giro: conoscevo Pierre Morey ed avevo bevuto degli ottimi suoi vini, ma questo Mersault, rosso, mi ha proprio sorpreso.
E questo riassaggio di poche sere fa ne ha garantito una gran bella esperienza degustativa. Ero a conoscenza della preferenza di Pinot Noir nati a Mersault e “passati” come Volnay ma non sapevo che accadesse viceversa con i bianchi di Volnay appellati per Mersault… grazie!
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12 luglio 2011 alle 09:36 |
comunque sono poche le vigne di Volnay a chardonnay (solo usate per Meursault village generici) è nettamente favorito il pinot
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12 luglio 2011 alle 10:23 |
Come vedi sulla cartina a Meursault è demominato Volnay solo i 1ers crus di Santenots, mentre le pochissime vigne di pinot sono definite Meursault rouge village
http://www.degustateurs.com/forum/forum_posts.asp?TID=12677&PN=0&TPN=1
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12 luglio 2011 alle 11:21 |
merçi… 🙂
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