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Campomarino, Tintilia 2008 Di Majo Norante

11 settembre 2011

Di certo non v’è da strapparsi i capelli, però vi posso assicurare che l’affare c’è, tanto nell’aver colto qualcosa di cui è utile avere contezza – certi vini vanno sempre raccontati – come nell’ottimo rapporto prezzo-qualità.

Oggi si parla di tintilia, un vitigno autoctono molisano poco conosciuto fuori regione – se non per una o due referenze distribuite anche oltre i confini regionali, e questa è tra le prime – ma assolutamente capace di offrivi (e garantirvi) una piacevole esperienza degustativa. Il varietale per la verità non ha origini propriamente locali, infatti vi è l’ipotesi che sia stato introdotto in Italia in epoca Borbonica, partendo quindi proprio da qui al sud sino a raggiungere finanche certe regioni del nord ovest; si sa infatti che, come tante altre varietà di origini iberiche piantate in vigna in quel tempo, si pensi ad esempio a l’alicante, o a la garnacha, certe uve richiamino sulla loro carta d’identità più che nomi propri autentici, semplici nomignoli derivati dall’etimo ispanico “tinto”, così detti per la loro particolare ricchezza in antociani e quindi per il colore rosso particolarmente concentrato dei loro vini; due esempi su tutti? Il tintore di Tramonti e il teinturier piemontese, oggi vere rarità colturali e talvolta espressioni di vini tanto unici nei loro contesti territoriali quanto irripetibili altrove. Proprio come questo Tintilia 2008 di Di Majo Norante.

Il colore è di un rosso rubino intenso, particolarmente ricco e vivace, con evidenti sfumature porpora sull’unghia. Il primo naso è molto invitante, significativo di frutti maturi e violetta; lasciato cadere l’iniziale sbuffo alcolico, prevalgono un susseguirsi molto gradevole di note aromatiche, poi carezzevoli e dolci nuances balsamiche e speziate. Mi piace godere di questo frutto sempre in primo piano: l’amarena, la prugna, e una vinosità piuttosto costanti. Il sorso è docile, succoso e persuasivo; ritornando alle disquisizioni sul varietale, è palese quanto questo vino sia distante dalle durezze – e dalla profondità, forse anche dalla longevità – del tintore e del teinturier sopra citati. Ma è evidente che proprio qui sta l’unicità di questi vini, misconosciuti, sottovalutati, eppure così autentici. Qui la beva scorre morbida, “pronta” si usa dire in questi casi, e di tannini infatti solo minime tracce, ben fuse alla complessiva struttura del vino.