Archive for the ‘Lombardia’ Category

Cinque vini che servono a Natale

8 dicembre 2020

Non è sempre necessario stilare una classifica di quali siano i vini migliori o i più buoni da servire in tavola durante le festività di Natale e l’ultimo dell’anno, ci sono però alcune etichette che si distinguono per qualità non senza una certa continuità anno dopo anno.

Non vogliamo però sottrarci alle consuetudini di questi giorni, ecco perché, spulciando tra le centinaia di bottiglie assaggiate durante quest’anno così particolare e le etichette passateci per mano per tutto il venti-venti proviamo lo stesso a suggerirvi cinque grandi vini che secondo noi potrebbero veramente salvare il Natale a molti, in giorni durante i quali tutti rincorrono la migliore bottiglia possibile da regalare o regalarsi.

Franciacorta Brut Dosaggio Zero 2015 Arcari+Danesi. Questo Dosaggio Zero dumeilaquindici, di cui si sono state prodotte circa 20.000 bottiglie, viene fuori da Chardonnay per il 90% e per la parte restante Pinot Bianco. In tutte le fasi di lavorazione dei vini base e delle cuvée qui si utilizza solo zucchero autoprodotto (sotto forma di mosto congelato), facendo a meno quindi dell’utilizzo di zuccheri esogeni come ad esempio saccarosio o mosti concentrati rettificati.

Nel calice ci arrivano bollicine fini, con un bel naso fragrante e ampio, integro e caratteristico: sa di agrumi, fiori gialli, un lieve ma gradevole accenno balsamico. Il sorso è fresco e gratificante, forse un po’ ”verde” per quanto ricordassimo delle precedenti uscite, rimane però gustoso, sapido, piacevole e di buona persistenza. Etichetta di sicuro approdo, per un’azienda in forte crescita di consensi, tutti ben meritati.

Da bersi praticamente sopra tutto, ideale per scaldare il cuore tra una chiacchiera e l’altra prima di accomodarsi a tavola, perfetto su crudi di mare e le varie immancabili tartine della cena della vigilia!

Vernaccia di San Gimignano 2018 Panizzi. Marchio storico e azienda toscana di grande prestigio. Il vino possiede un bel colore giallo paglia, ben luminoso. Il naso è fine, il profumo è delicato con sentori subito floreali e fruttati in primo piano, vi si colgono gelsomino, tiglio e mela golden, cui s’aggiungono un refolo balsamico e un sentore di polvere di pomice. Il sorso è decisamente asciutto, armonico, sapido, con un finale di bocca che sa lievemente di mandorla amara. Non è difficile immaginarne progressione e capacità di affinamento, possiede struttura, ampiezza e buona persistenza gustativa.

Di quei bianchi meravigliosi che potreste servire un po’ su tutto il menù della vigilia, perfetto con le paste con sughi di mare ma anche su fritti e pesce al forno.

Lazio igt Abbuoto Filari di San Raffaele 2018 Monti Cecubi. Una bella scoperta di quest’anno e una piacevole raccomandazione. L’Abbuoto di Monti Cecubi proviene dalle vigne di San Raffaele di Fondi, nel comune di Latina, nel basso Lazio, dove la terra bruna e rocciosa della dorsale itrana si arricchisce di argilla e sostanza organica e contribuisce, con l’esposizione, l’influenza del mare, l’escursione termica a produrre un vino intenso, fresco e particolarmente suggestivo, che abbiamo trovato veramente molto buono!

E’ un rosso di colore amaranto, pieno e vivace, con sentori di melograno, prugna e altri piccoli frutti neri in primo piano, sa anche di caffè e cioccolato, è lievemente balsamico. Il sorso è fresco e piacevolmente sapido, 13% di alcol in volume in etichetta, ben misurato il passaggio in legno che consegna al palato un tannino vellutato, nessuna spigolatura, solo tanto frutto ed un finale di bocca piacevolmente succoso.

Uno di quei rossi da bere alla giusta temperatura, intorno ai 14°, per goderselo appieno sul ricco pranzo di Natale, con gli antipasti di salumi e formaggi (anche freschi) ma anche pasta al ragù e secondi di carne con contorni caldi!

Primitivo di Manduria Es 2016 Gianfranco Fino. Per quanto bizzarro come nome, Es venne scelto perché rappresenta il principio freudiano del piacere della passione pura che fugge completamente alla ragione, l’istinto di ciò che è primordiale. Ed è proprio così che ci si avvicina a questo duemilasedici di Simona Natale e Gianfranco Fino, un piccolo capolavoro di concentrazione estrema, un rosso di grande pulizia olfattiva e di enorme fascino sensoriale: il colore è rubino vivace, fitto ed elegante, il naso è un trionfo di marasca sotto spirito, prugne in confettura, spezie dolci, polvere di cacao, il sorso è pieno, potente ma vellutato, di finissima tessitura acido tannica che ben riesce ad armonizzare il 16,5% di alcol in etichetta, non certo trascurabile.

E’ questa la grande bottiglia da mettere a tavola nelle ricorrenze speciali dei prossimi giorni, merita piatti all’altezza della migliore tradizione culinaria italiana.

Passito di Pantelleria Ben Ryé 2016 Donnafugata. Un grande classico sempre attuale! Ben Ryé duemilasedici ha un colore oro-ambra luminosissimo, di gran fascino. Il naso è davvero un portento, assai intenso e persistente, ne viene fuori un quadro aromatico ricco di note e sensazioni fruttate passite, di macchia mediterranea, con sfumature eteree particolarmente suggestive che ne arricchiscono il profilo olfattivo: vi si colgono albicocca e scorze d’arancia candita, garighe e miele, accenni di cipria. Il sorso è certamente dolce, intriso però di freschezza, di lunghissima persistenza e piacevolezza.

Naturalmente vocato agli abbinamenti con desserts dolci, dal Panettone Milanese ai biscotti di Prato sino ai Roccocò, alla Cassata siciliana, è però su alcuni formaggi (anche) erborinati che si misura alla grande in tutta la sua complessità.

Leggi anche Vini che servono a Natale Qui.

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Coccaglio, del Franciacorta Brut Dosaggio Zero 2015 di Arcari+Danesi

12 gennaio 2020

Sono le versioni ”Dosaggio Zero” che secondo noi rappresentano al meglio l’espressione territoriale e varietale che si prova a portare in bottiglia nei vini speciali Metodo Classico, questa bottiglia ce ne dà nuovamente conferma sul tema Franciacorta con un approccio davvero interessante per chi volesse andare un po’ più in là nella scoperta dei reali valori in campo oggi da quelle parti.

Ne parlammo già Qui qualche anno fa, quello che allora poteva rappresentare una novità si è poi velocemente affermata come una splendida realtà che ha aperto una porta dalla quale affacciarsi curiosi per guardare cosa potesse accadere di nuovo e diverso in Franciacorta al di là del pregevole lavoro delle più importanti aziende del territorio che già conoscevamo.

L’Azienda nasce infatti nel 2006 grazie a Giovanni Arcari e Nico Danesi. La cantina ha sede nel comune di Coccaglio, una splendida casa del vino franciacortino ricavata nella roccia del versante sud del Montorfano, il monte di origine morenica che demarca il confine meridionale del territorio bresciano. Stiamo parlando complessivamente di appena cinque ettari dei quali per la maggior parte piantati con Chardonnay, cui s’aggiungono Pinot Nero ed una piccola parte di Pinot Bianco, tutti allocati tra i comuni di Coccaglio e Capriolo in provincia di Brescia.

Questo Dosaggio Zero dumeilaquindici, di cui si sono state prodotte circa 20.000 bottiglie, viene fuori da Chardonnay per il 90% e per la parte restante Pinot Bianco. In tutte le fasi di lavorazione dei vini base e delle cuvée qui si utilizza solo zucchero autoprodotto (sotto forma di mosto congelato), facendo a meno quindi dell’utilizzo di zuccheri esogeni come ad esempio saccarosio o mosti concentrati rettificati.

Nel calice ci arrivano bollicine fini, con bel naso fragrante e ampio, integro e caratteristico: sa di agrumi, fiori gialli, un lieve ma gradevole accenno balsamico. Il sorso è fresco e gratificante, forse un po’ ”verde” per quanto ricordassimo delle precedenti uscite, rimane però gustoso, sapido, piacevole e di buona persistenza. Etichetta di sicuro approdo, per un’azienda in forte crescita di consensi, tutti ben meritati.

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Il periodo Rosa

25 luglio 2019

Dal 1905 alla fine del 1906, successivamente il ”Periodo Blu”, Picasso schiarì la sua tavolozza, utilizzando le gradazioni del rosa, che risultano più calde rispetto al blu. Iniziò quello che, infatti, viene definito il “Periodo Rosa”. Il populismo amaro del Periodo Blu ha lasciato il posto a un mondo più idillico e sereno, ispirato prevalentemente alla vita del circo.

Acrobati, bambini, figure corpulente di clowns e di fragili ballerine si dispongono nei quadri di questo periodo con una grazia di balletto, ubbidendo a ritmi armoniosi che la lieve, elegante grafia asseconda e accentua, e il colore si avvale delle sfumature più tenere e chiare la cui dominante cromatica conserva sempre un valore decisamente emozionale.

Ecco, dopo tanto tribolare ci pare la volta buona anche per i vini rosati d’Italia che sembrano finalmente riscuotere il giusto gradimento da parte degli appassionati, dopo anni di oblìo trascorsi alla ricerca della ricetta giusta: ”territoriali e fin troppo corpulenti”, ”originali ma vetusti”, ”gustosi ma pesanti, finanche alcolici”, ”delicati e senza anima” sono solo alcune delle considerazioni più comuni che hanno accompagnato negli ultimi vent’anni i tanti tentativi di affermare un Think Pink made in Italy degno di nota ma che invero necessitava sicuramente di un po’ più di esperienza e che chi si cimentava ci credesse seriamente con una più giusta proiezione a lungo termine su certe varietà e produzioni.

Nelle ultime settimane ci sono capitate a tiro alcune bottiglie davvero originali, e senza per forza doverne fare una classifica di merito proviamo a suggerirne, tra queste, qualcuna molto interessante da portare in tavola in questo specifico periodo; restiamo convinti infatti che questa tipologia di vini abbia proprio nell’estate il suo momento clou e chi sa, o ha saputo ”leggere” bene la vocazione, l’originalità e la tradizione del proprio territorio come questi produttori, riesce a portare in bottiglia un vino rosato, fermo o spumante, di grande qualità e meritevole della vostra attenzione.

Valtènesi Chiaretto RosaMara 2018 Costaripa. Si ritorna sempre con grande piacere sui vini di Mattia Vezzola¤ prodotti sulla sponda di ponente del Lago di Garda, in provincia di Brescia. RosaMara nasce dall’uvaggio classico di questo lembo di terra dal clima mediterraneo, nel cuore della Valtènesi, dove si producono, sotto l’egida di questa nuova denominazione, sostanzialmente due varianti, Rosso e Chiaretto con le uve Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera. In questo caso ci troviamo di fronte a un Chiaretto dal colore delicato, invitante e dai profumi floreali intensi e persuasivi, dal sapore asciutto, inebriante, sapido. Pronto da bere, portatelo in tavola ben freddo come aperitivo, per accompagnare magari degli Spiedini con pomodori ciliegini e mozzarelline oppure con un ricercato Carpaccio di Branzino.

Cerasuolo d’Abruzzo Superiore Spelt 2018 La Valentina. Siamo a Spoltore, in provincia di Pescara, Abruzzo. Ottenuto dalle stesse uve Montepulciano d’Abruzzo di cui il Cerasuolo rimane una sua variante molto apprezzata, Spelt ha un gradevole colore ciliegia, profumi piacevolissimi di fiori e frutta rossa, sa di rosa e fragoline, ed ha sapore decisamente fruttato, dal sorso asciutto e un finale di bocca morbido e sapido. Provatelo ben fresco con gli Arrosticini oppure con Scamorza affumicata alla piastra e zucchine grigliate.

Spumante Metodo Classico Rosé Brut 50Mesi 2013 Terrazze dell’Etna. L’azienda di Nino Bevilacqua è una splendida realtà di circa 40 ettari nel comune di Randazzo, più precisamente in località Bocca d’Orzo, sull’Etna, con vigne collocate tra i 650 e i 900 metri s.l.m.. Il Rosé Brut 50 Mesi viene fuori da una cuvée di Pinot Nero al 90% e Nerello Mascalese per la restante parte a saldo. Ha una bellissima veste rosa tenue, è brillante e vivace, la spuma è densa e le bollicine sono abbastanza fini, il naso sa anzitutto di erbette, agrumi e piccoli frutti rossi, il sorso è asciutto, ben fresco, piacevolmente vibrante e coinvolgente. Dopo l’esordio di qualche anno fa, la strada tracciata appare davvero entusiasmante, provatelo con piccoli assaggi di mare, ad esempio con Cozze ripiene al forno oppure Gamberi in pastella con alghe di mare!  

Credits Dinamico2.

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Franciacorta Dosaggio Zero Arcari+Danesi

6 luglio 2014

Continuo a pensare che le versioni ‘Dosaggio Zero’ rappresentino un approccio davvero interessante per chi volesse andare un po’ più in là nella scoperta dei reali valori in campo oggi in Franciacorta.

Franciacorta Dosaggio Zero Arcari + Danesi - foto L'Arcante

In giro di Arcari+Danesi da Gussago se ne parla già da un po’ di tempo: l’idea, il progetto, i vini sono un insieme che unisce, divide, conquista, fa discutere. Per svariate ragioni. La mia impressione dopo questo primo assaggio è che abbia colto nel segno: apre un confronto, lascia aperto un uscio dal quale affacciarsi curiosi per sbirciare cosa accade in Franciacorta al di là del pregevole lavoro delle più importanti aziende che già conosciamo.

Non sono moltissime le bottiglie in giro ma vi assicuro che sono di assoluto valore, un numero sufficiente per lasciare una traccia ben visibile agli appassionati più attenti ed esigenti.

Fanno un Satén e questo qui, un Dosaggio Zero 100% chardonnay dalle bollicine fini, con un naso tenue ma integro e caratteristico: sa di agrumi, fiori gialli, è minerale, lievemente mellifluo, con sentori balsamici. Il sorso è di gran lunga tra i più interessanti in circolazione, è gustoso, polputo, sapido, lunghissimo e fresco. Insomma, parecchio convincente.

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Erbusco, Franciacorta Rosé Riserva Cuvée Annamaria Clementi 2005 Ca’ del Bosco

24 aprile 2014

C’è una rivoluzione in atto nemmeno troppo silenziosa che riguarda un bel pezzo del mercato del vino italiano di domani, quello delle bollicine.

Franciacorta Annamaria Clementi Rosè 2005 Ca' del Bosco - foto A. Di Costanzo

Parola di cui faccio subito ammenda, guai infatti a semplificare così banalmente certe grandi bottiglie di Franciacorta come nel caso dell’Annamaria Clementi Rosé 2005¤ di Ca’ del Bosco. Un rosé incredibile per freschezza e vivacità, pinot nero in purezza stretto da una mineralità sottile ma molto incisiva ed un frutto succoso e vibrante come pochissimi altri prima d’ora, con in più un connubio ineccepibile di suggestioni e sostanza.

L’equilibrio nell’utilizzo dei legni in fase fermentativa, 7 lunghi anni di maturazione, un dosaggio accurato, fanno di questa Riserva rispolverata solo da qualche anno un piccolo gioiello, subito tornata ai vertici delle migliori etichette italiane e molto apprezzata anche dalla clientela internazionale notoriamente propensa quasi esclusivamente agli Champagne.

Mi viene da dire che quel mago di Stefano Capelli comincia a raccogliere meritatamente i frutti di anni ed anni di impegno e ricerca che in Ca’ del Bosco per la verità non si sono mai fatti mancare tanto dal brevettare un nuovo ed unico sistema¤ di vinificazione che prevede, sin dall’arrivo delle uve in cantina fino all’imbottigliamento in atmosfera controllata, un processo di lavorazione a dir poco ambizioso e di straordinario impegno professionale; un processo che consente oltretutto di ridurre poi al minimo anche l’aggiunta di solfiti. Altro che metodo ancestrale!

Erbusco, Franciacorta Vintage Collection Dosage Zéro 2008 Ca’ del Bosco

20 marzo 2014

Sarà che amo le spigolature, la purezza espressiva ancor quando imperfetta, sarà che mi porto dietro gli effetti devastanti dello svezzamento ad Asprinio, tant’è che assaggiando e riassaggiando i Franciacorta continuano ad essere i Dosage Zéro (o Pas Operé) a darmi quel pizzico di vibrazione in più da tenermi attaccato al bicchiere.

Franciacorta Dosage Zéro Vintage Collection 2008 Cà del Bosco - foto A. Di Costanzo

Delle cuvée di Ca’ del Bosco¤, andando oltre quel piccolo capolavoro dell’Annamaria Clementi¤, proprio questa sembra darmi maggiore soddisfazione, pienezza gustativa, profondità di beva. Un quadro organolettico che gira intorno alla frutta matura, con accenni agrumati a corredo di note mentolate e mediterranee. Un Franciacorta di notevole complessità, sartoriale mi verrebbe da dire, dalle linee marcate, cremoso quasi ma capace senza ombra di dubbio di regalare negli anni a venire molto altro.

Viene fuori in gran parte da vini base chardonnay, con partiture di pinot nero e bianco provenienti dalle vigne di Erbusco, Adro, Cazzago San Martino, Corte Franca e Passirano. Vini di altissima levatura, che proprio dalla vendemmia 2008 nascono seguendo un nuovo processo produttivo di eccezionale particolarità, brevettato da Ca’ del Bosco, sin dall’arrivo dell’uva in cantina. Uva che viene letteralmente lavata acino per acino per liberarla prima di tutto da micotossine responsabili di funghi parassiti che rischiano di attaccarvi microflora e quindi la formazione di impurità nel mosto, nei vini, nelle fecce, nelle vinacce, mentre una coppia di serbatoi volanti agevola per gravità il travaso dei mosti per evitargli stress. Qui¤ trovate comunque tutte le notizie del caso. 

Ritornando al bicchiere, il Dosage Zéro Vintage Collection 2008 è un Franciacorta di grande slancio olfattivo ma soprattutto gustativo. Con attenzione si colgono toni di ginestra, frutto della passione, mandarino, con rimandi di frutta secca, mandorla tostata, anice ed erbe mediterranee. Il sorso è fitto, teso e avvolgente, decisamente appagante. Una di quelle bottiglie che non passano inosservate. Non più semplicemente bollicine, è vero.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Erbusco, un giro in Franciacorta, visita a Bellavista e una sorprendente Gran Cuvée del ’98

18 marzo 2014

Bellavista non la scoprirete certo adesso, con questo post, nemmeno mi permetto di farcire queste righe di superflui elogi e complimenti vista la chiara ‘simpatia’ per quella che senza ombra di dubbio è una delle migliori realtà in Franciacorta, tra le prime a contribuire in maniera decisiva al successo delle bollicine franciacortine.

Bellavista Gran Cuvée Brut 1998 - foto L'Arcante

Ne scrivo perchè tra le tante aziende che vale veramente la pena visitare da queste parti mi mancava giusto questa (con pochissime altre); quest’anno poi c’è stata una svolta importante, storica se così si può dire. Bellavista conservava una ‘immagine’ certamente moderna ma ancora tra le più tradizionali in circolazione. Adesso invece tutto è cambiato, pare ci sia New Air On Wine¤. Una sterzata per qualcuno Pop, per certi versi radicale ma molto ragionata.  

Bellavista, Vigneto Uccellanda, la prima pressa, il Metodo Franciacorta - foto L'Arcante

Da un punto di vista produttivo ‘l’ideale, il metodo, lo stile rimangono invariati’ – ci dice Marco Tondi che ci accompagna in questa passeggiata -, ‘qui la cura delle vigne, l’esperienza in cantina, la manualità del Metodo Franciacorta vengono conservati come valori assoluti’.

Facciamo un giro ad Adro, su per l’Uccellanda; qui il vigneto, nonostante il riposo invernale offre comunque un bel colpo d’occhio, in effetti qui tutto intorno appare ordinato e curato con molta attenzione. Anche la cantina, in Erbusco, vive dell’ordine e dell’organizzazione quasi maniacale: i grandi tini d’acciaio si fanno più piccoli con le selezioni delle varie parcelle che Mattia Vezzola ritiene necessario conservare separatamente per farne in futuro preziose riserve cui attingere.

Suggestive sono pure le gallerie di affinamento che corrono sotto l’azienda dove giacciono le bottiglie prima di passare sulle pupitres per il remuage. Da notare come sulle bottiglie atte a divenire Riserva Vittorio Moretti, a differenze delle altre cuvée, viene sin da subito usato un tappo in sughero anziché il tradizionale bidule

Bellavista, Brut 2008, Rosé 2008, Pas Operé 2007 - foto L'Arcante

Questo novantotto, una delle ‘rarità’ presto disponibili sul mercato segna un po’ il confine tra quanto di buono è stato fatto sino ad oggi e quanto ci si debba invece aspettare da adesso in poi, non solo da Bellavista ma in fin dei conti da tutta la Franciacorta. Un cammino che parte da lontano, che si è fatto nel tempo storia con passo veloce e che guarda al futuro alle grandi opportunità che il mercato mondiale va sempre più riservando soprattutto alle bollicine italiane.

Opportunità che bisogna saper leggere con attenzione, affrontare preparati ma soprattutto con la giusta consapevolezza, per tener testa alle sfide senza però svalutare il grande patrimonio a disposizione sino a qui costruito. Affare complesso questo e di non poco conto.

Alma Franciacorta Cuvée Brut s.a.. Chardonnay, pinot nero, pinot bianco. E’ l’etichetta che in qualche maniera sostituisce il Cuvée brut, composto praticamente da una base di ognuna delle 107 parcelle in cui è suddiviso il vigneto Bellavista oggi pari a circa 190 ettari. Giovane, scattante, sa di pera ed ha un finale piacevolmente rotondo.

Franciacorta Brut 2008. Chardonnay, pinot nero. Il primo millesimato aziendale, un 30% della cuvée fermenta in legno. Ha un colore brillante, un naso variegato e ricco di note dolci ed invitanti. Ha un sorso fresco e particolarmente sapido.

Franciacorta Rosé 2008. Chardonanay, pinot nero. Un po’ più ricco del precedente 2007 il colore sarà molto apprezzato dagli appassionati dei saignée d’oltralpe. Anche qui una parte dell’assemblaggio ha visto legno per circa sette mesi. E’ un Franciacorta da tutto pasto, da bere magari in calici un po’ più ampi poiché regala un bouquet in continuo divenire.

Franciacorta Pas Operé 2007. Chardonnay, pinot nero. Un vino non sempre amatissimo dai più che conserva però tutta l’essenza del particolare metodo di produzione. Generalmente è anche il vino che matura più lentamente e a lungo degli altri, non a caso riesce a regalare sensazioni e piacere da veri conosseurs. Erbe mediterranee, camomilla, mela e pera confit, ha un sorso profondamente appagante. 

Franciacorta Gran Cuvée Brut 1998. Chardonnay, pinot nero. Vino sorprendente, già dal colore paglierino brillante. Le bollicine sono infinite, sottili ed eleganti. Gran naso, avvolgente, complesso, maturo ed estremamente piacevole. Sa di camomilla, miele, zenzero candito. Il sorso ha gran stoffa, è cremoso, particolarmente avvolgente e vibrante, con un allungo sapido molto importante. 

Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti 2006. Chardonnay e pinot nero. C’è dentro tutto il meglio dei crus di Franciacorta, da quelli di Erbusco a Nigoline, Torbiato e Colombaro. Ci si aspettano grandi cose dal lavoro che negli ultimi dieci anni si sta facendo su questa cuvée. Certo è difficile sperare in annate particolarmente ‘fortunate’ come la duemilaquattro ma forse anche per questo val bene saper cogliere le differenze che passano tra una uscita e l’altra. Il 2006 appare più pronto delle precedenti, snello e asciutto. Finale di bocca sapido ed appagante.

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Ancora una chicca dalla Valtellina, anzi, una vera perla: l’Extra Brut di Pignola di Marco Triacca

13 marzo 2014

Non è proprio nell’ordine delle cose pensare alla Valtellina e al contempo ad uno spumante, men che meno ad un Extra Brut Metodo Classico.

La Perla, Metodo Classico Extra Brut Marco Triacca - foto L'Arcante

L’azzardo appare ancor più fuori dal comune se aggiungiamo a questa particolarità l’utilizzo per la spumantizzazione di una delle varietà autoctone più antiche di queste parti, la pignola valtellinese¤. Una varietà rossa rara, di origine piemontese – trapiantata poi in Lombardia e in Valtellina in principal modo -, in questo caso vinificata in bianco ma che, generalmente, quando vinificata in purezza dà vini rossi austeri e terragni molto interessanti ma soprattutto capaci di invecchiare a lungo e strappare consensi dai palati più fini ed attenti.

La Perla, così si chiama lo spumante (e l’azienda) che Marco Triacca¤ ha dedicato alla memoria della madre, viene lasciato maturare circa 20 mesi prima della sboccatura, non dosato, proprio per mantenerne quanto più possibile inalterate le caratteristiche del varietale. È uno spumante fresco e scattante, ha un naso fragrante e dall’impronta olfattiva principalmente floreale, fine, con rimandi a prugna gialla e frutta secca, nocciola e mandorla. Ha una bolla sottile, il sorso è piacevole, vivace, particolarmente sapido. Saranno appena 3000 bottiglie, una chicca, anzi, una  vera perla.

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La Mossa 2010 e Quattro Soli 2009, dalla Valtellina La Perla di Marco Triacca

6 marzo 2014

La Mossa 2010&Quattro Soli 2009 La Perla di Marco Triacca - foto A. Di Costanzo

Marco Triacca¤ è uno dei nomi nuovi della viticoltura lombarda. Ha cominciato nel 2009, da poco quindi, anche se il suo cognome la dice molto lunga sulla storia vitivinicola di questa terra. Questi i suoi due vini: il primo è un Valtellina Superiore di sorprendente beva, con buon frutto e buona tensione gustativa. È agile e scattante, non lunghissimo per la verità ma franco e sapido. È alla seconda annata di produzione, circa 8.000 bottiglie.

Il secondo, il Quattro Soli, è uno Sfurzat. Nebbiolo in purezza proveniente da una delle vigne¤ più belle della Valtellina, raccolto ai primi di ottobre e lasciato in appassimento sui graticci per circa 2/3 mesi. Ha grande stoffa, è giovane, vibrante, dal naso intrigante e dal sorso avvolgente e lungo. Ha polpa e note balsamiche assai invitanti, ha bisogno di tempo ma le velleità del grande vino ci sono tutte. Il 2009 è stato il debutto di Marco Triacca, di queste appena 2.000 bottiglie.

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Franciacorta Collezione Grandi Cru ’07 Cavalleri

24 agosto 2013

Parlando di Franciacorta credo indispensabile cominciare a parlare un po’ più anche di uve, vigne, uomini e specificità dei vini anziché quasi esclusivamente di un marchio e di quanto questi riesca nel ‘garantire’ qualità a prescindere.

Franciacorta Collezione Grandi Cru 2007 Cavalleri

In giro c’è sempre più Franciacorta¤, a dispetto del blasone e del successo dei grandi competitors internazionali – Champagne su tutti -, ma non si può non rilevare quanto ancora ci sia da fare da quelle parti per rendere a pieno l’idea di cosa si sta parlando quando si racconta un loro vino.

Certo che aziende di qualità non mancano ad agevolarti il compito; famiglie come i Zanella o i Moretti ad esempio, o prima ancora i Berlucchi e i Ziliani hanno contribuito e contribuiscono non poco ad alzare l’asticella. Così oggi marchi come Ca’ del Bosco¤, Bellavista¤, Fratelli e Guido Berlucchi piuttosto che Uberti e Cavalleri¤, giusto per citarne i primi che mi vengono in mente, fanno da traino a tutto il comparto e sono indiscutibilmente sinonimo di eccellenza.

Molti di questi fanno capo a quella schiera di imprenditori sbarcati in Franciacorta a metà anni ’70 per fare impresa in cerca di vigneti nuovi o da rimodernare; avevano idee molto chiare, ispirate ma soprattutto mezzi a sufficienza per partire ed affermarsi. E per fare questo chiamarono sin da subito enologi e specialisti del settore capaci di valorizzare quello che sino ad allora era un buon prodotto, il Pinot di Franciacorta, nato da una sana tradizione ma certamente migliorabile. Proprio in quegli anni lo chardonnay si affrancò dal pinot bianco divenendo ben presto egemone.

Un gran lavoro che nel Collezione Grandi Cru 2007 della famiglia Cavalleri ci sta tutto. Fosse coperto, servito così alla cieca dico, la mente andrebbe immediatamente da qualche parte là in Cote des Blancs. Provate a farlo, e a smentirmi. Non so se è un vezzo o un vanto ma di certo tra i tanti francesismi in giro il continuo riferimento che questa azienda fa con le sue cuvée alla patria degli Champagne non mi pare affatto azzardato: bottiglie alla mano ci vuole poco o niente a confondersi, a riconoscerne tutta la bontà espressiva. E questa etichetta – cercatela, provatela, non ve ne pentirete! -, saprà spiegarsi meglio di tante note colorite cui possa fare ricorso io oggi nel segnalarvelo. E’ buono, buono, buono!

credits http://www.franciacorta.net

Franciacorta Blanc de Blancs Brut s.a. Cavalleri

15 luglio 2013

Che le bollicine in Italia tirino alla grande è ormai cosa risaputa. Si è generato tra l’altro un movimento trasversale che vede coinvolto a vario titolo un po’ tutto il territorio nazionale da nord a sud.

Franciacorta Blanc de Blancs 2006 Cavalleri - foto A. Di Costanzo

Bollicine d’autore, metodo classico di spessore affiancati qua e là da altri spumanti: da uve autoctone e non, Prosecco col fondo (o col tranello), rosé, dolci, vini ‘di facile beva’. Un mare di cose interessanti¤, qualcosa di veramente sorprendente¤, altre un po’ meno centrate ma comunque funzionali all’economia aziendale. E mentre ci si divide tra origine certa e presunta, tra chi lo Charmat ce l’ha più lungo o il Marone Cinzano con più o meno botto, il mio pensiero va sempre là dove fare spumante è diventato nel frattempo arte e cultura, tipo in Trentino¤ o in Franciacorta¤.

E proprio qui, in Franciacorta, ormai sono tante le aziende di riferimento, tra le quali non manca quella del cuore capace di rimettere sempre ordine ai pensieri.

Delle sboccature più recenti assaggiate ho colto tante belle conferme con una nota su tutte: è chiara una maggiore propensione alla produzione dei pas dosé quando non, più in generale, un costante ‘alleggerimento’ del dosaggio stesso delle cuvée, una tendenza benaugurante capace così di esaltare alla grande certe peculiarità laddove si lavora con un buon numero di sovrapposizioni, siano esse varietali che tecniche, come avviene, appunto, per produrre Franciacorta. E questa etichetta qua di Cavalleri¤ mi è parsa ancora una volta molto ben riuscita, direi appena una spanna sopra le altre.

Una cuvèe ottenuta assemblando vini da vigne tutte attorno ad Erbusco, cuore della docg, solo chardonnay che per il 65% viene dalla vendemmia 2009, 25% dalla 2008 ed il restante dalla 2007. Quasi tutto fermentato in acciaio con solo un 5% che fa botte grande di rovere e un 5% barrique vecchie.

Il risultato è un Blanc de Blancs brut – un francesismo mai improprio in casa Cavalleri¤, ndr – brillante, cremoso, pieno di verve. Il colore è di un paglierino maturo splendido e le bollicine richiamano carezze e finezza senza mai fine. Pulito il naso: chiaro, invitante, fragrante con tutte note fruttate e aromatiche che si rincorrono sino a divenire candite, soavi, addirittura di rimando  a spezie orientali. Il sorso è franco, dritto, vibrante direi, lungo. Ha materia e si fa bere, vuole cibi ricchi e profumati, va che è un piacere a tutto pasto. Un riferimento imperdibile!

Franciacorta Vittorio Moretti 2004 Bellavista, belle bolle ma anche tanto imballo (di cartone)!

3 giugno 2012

E’ solo un pensiero domenicale, di riflesso a quanto rilanciato ieri su facebook dal collega sommelier Ivano Antonini (qui) che in qualche maniera richiamava l’attenzione sul packaging di certe etichette di vino italiane; osservazioni naturalmente acute di chi ogni giorno il vino lo compra e lo vende, prima di raccontarlo…

 

Così mi è tornata in mente questa ottima bottiglia di Franciacorta di Bellavista. Un vino simbolo della crescita di questo piccolo paradiso delle bollicine italiane, con il quale l’azienda di Erbusco compie probabilmente un altro significativo salto di qualità, invero già garantita da tempo da una gamma di vini sicuramente tra i più rappresentativi della denominazione.

Nel Vittorio Moretti 2004 c’è dentro tutto il meglio dei crus di Franciacorta, da quelli di Erbusco a Nigoline, Torbiato e Colombaro, per il 50% chardonnay e 50% pinot nero e, non dimentichiamocelo mai, il grande talento – ormai una garanzia anche questa -, del winemaker e chef de cave Mattia Vezzola. Il colore è splendido, brillante e luminoso. La spuma è ricca e persistente e il perlage finissimo, abbondante. Il naso, svanite le prime insistenze classiche di una cuvée che fa così tanti anni di bottiglia si dimostra assai invitante, elegante, pienamente avvolgente; si apre a sentori di frutta e fiori tra i quali tornano nitidi pesca, frutto della passione, bosso, agrumi e, infine, miele. Il sorso è asciutto e sapido, ma non troppo, v’è tanta freschezza e più che attaccare il palato quasi lo ammanta, lo rapisce, e a lungo. Insomma, stiamo parlando di signore bollicine.

Una critica – ognuno fa un po’ come gli pare, sia chiaro – mi permetto però di avanzarla sul packaging¤ con il quale esce dalla cantina bresciana: la bottiglia è sicuramente bella, elegante nella forma e nell’etichetta, nemmeno troppo pesante, trovo però esagerato quanta carta e cartone si porta dietro in giro; una scatola è infatti composta di solito da 6 bottiglie, ognuna delle quali incartata a mano e posta in un grande astuccio (anche bello!) a forma di violino, tutte dentro una seconda scatola in cartone (!); un tantino eccessivo, visto i tempi che corrono e la sempre maggiore necessità di ridurre gli imballi e di conseguenza il loro smaltimento.

P.S.: rimanendo sul tema, come tante aziende spumantistiche anche Bellavista le ha sicuramente tentate tutte con le chiusure e le capsule delle sue bottiglie; le prime, su tutta la linea rimangono tra le più funzionali, le capsule del Vittorio Moretti vanno invece migliorate tant’è che consiglio spesso di tirarle via completamente col coltellino del cavatappi (A.D.).

L’esate in rosa, drink pink made in Italy

3 giugno 2011

Ecco a voi il drink pink made in Italy che segue di pochi giorni quello propostovi a riguardo delle etichette più interessanti – secondo noi – di vini rosati campani. Anche qui un paio di novità, due grandi classici e… diciamo così, una forzatura di cui però volevo raccontarvi!

Un itinerario tra il solito e l’insolito, da un classico Cerasuolo abruzzese al più affidabile tra i rosati italiani prodotto a Bolgheri. Poi un bel chiaretto del Garda, un raffinatissimo Pinot Nero dall’Alto Adige ed un vino bianco vestito di rosa.

Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo 2009 Nestore Bosco. E’ una delle più rappresentative della regione, soprattutto all’estero dove i suoi vini corrono in giro per il mondo ormai da tempo immemore pur conservando l’azienda un profilo basso e poco clamore mediatico; grande attenzione in vigna, alla sostenibilità ambientale e, cosa più importante ancora, all’integrità dei vini anzitutto sulla linea tradizionale, espressi devo dire, su più livelli di eccellenza. Questo Cerasuolo è essenzialmente quello che vuole essere, suggestivo ed originale, per frutto, schietteza e bevibilità. I numeri dell’azienda sono importanti ma non tradiscono assolutamente la sua vocazione, come detto, al naturale, al biologico e a tutte quelle buone pratiche atte a consegnare al consumatore vini sempre buoni, puliti, giusti; si fa bere copiosamente pur garantendo una certa sostanza, una certa aderenza territoriale, direbbero più.

Garda Classico Chiaretto Rosamara 2010 Costaripa. Chiedete in giro chi è Mattia Vezzola e in molti vi risponderanno che è un grande! I cronisti del vino dicono che ha avuto la fortuna di incontrare sulla sua strada Vittorio Moretti, chi capisce di vino – e ne sa del mondo del vino – rilancia che in effetti è forse lui che ha fatto la fortuna di Bellavista e di tutto l’arcipelago Terre Moretti; Costaripa invece è il gioiello di famiglia per Vezzola, la casa del buen retiro sul Garda, il giardino delle memorie ed il laboratorio sperimentale del futuro. Il Rosamara nasce dall’uvaggio classico di questo lembo di terra dal sapore mediterraneo nel cuore della Valtenesi: groppello, marzemino, sangiovese e barbera per un chiaretto dal colore invitante e dai profumi floreali intensi e persuasivi, dal sapore asciutto, inebriante, sapido. Pronto da bere. Della stessa azienda mi piace ricordare il Molmenti 2008, un cru dalle simil fattezze ma che esprime, grazie al suo medio invecchiamento, ancor più profondità e incisività; in entrambi i casi, proprio un gran bel bere.

Bolgheri Rosato Scalabrone 2010 Tenuta Guado al Tasso. Non è necessario spendere parole particolari su questo vino, anche perché credo proprio che non ne abbia affatto bisogno. E non vorrei – sottolineando questo vino più degli altri –  nemmeno far torto al grande impegno profuso dalla famiglia Antinori nel creare ed affermare la tenuta di Guado al Tasso tra la costellazione dei piccoli chateaux bolgheresi seguiti all’exploit del marchese Incisa della Rocchetta e del suo Sassicaia; quindi dico solo che lo Scalabrone è, e rimane, uno dei vini più affidabili proposti in quel di Bolgheri, e tra i rosati italiani certamente uno dei più buoni: a me poi mi garba e di molto! Dal colore intenso e luminoso offre un naso incredibilmente invitante, floreale, succoso di frutta e sottili e gradevoli nuances speziate. In bocca scorre via che è un piacere, un sorso tira l’altro ed il successivo è sempre più saporito del precedente. Da cabernet sauvignon, merlot e syrah.

Alto Adige Pinot Nero Rosé 2010 Franz Haas. Bella novità dall’Alto Adige, da Montagna per la precisione, con tutto il fascino di chi ha dedicato una vita al pinot nero e sa di avere un talento innato nel valorizzare questi come pure i principali bianchi tradizionali atesini. I passaggi di vinificazione richiamano accortezza della lavorazione classica in bianco con l’esperienza di chi mastica rosso da sempre. Dopo la diraspatura l’uva viene pressata sofficemente come per le varietà bianche mentre il mosto viene lasciato successivamente fermentare per qualche tempo in barrique, dove vengono meglio fissati i classici markers del varietale, rendendogli un naso certamente più complesso ed efficace. Bellissimo il colore ciliegia tenue, il primo naso è franco, spinge immediatamente avanti aromi di ciliegia e lamponi, ma anche sensazioni molto gradevoli di erbe aromatiche di alpeggio, fesche e balsamiche. Il sorso è incredibile, stupisce per la sua spiccata acidità subito ben bilanciata da una lunga sapidità. Già in lizza per il titolo vino rosato dell’anno.

Vigneto delle Dolomiti Pinot Grigio Fontane 2010 Zeni. Un bianco di fatto, vestito di rosa. Sempre affascinante raccontare di un vino che amo da sempre, per un po’ troppo tempo messo da parte dai vignaioli di queste stesse terre per dare più ampio respiro a vitigni bianchi forse più utili ai fini commerciali delle grandi cooperative che insistono sul territorio; ma fortunatamente da qualche anno – da che ricordo io più o meno una dozzina – pare vivere un vero e proprio rinascimento, lento ma costante, che lo vede ripreso e riproposto con risultati a dir poco interessanti; e quello di Zeni è certamente uno dei più autentici. Il termine ramato è originario, si racconta, dei contratti di vendita che lo voleva così chiamato sin dai tempi della Repubblica di Venezia; rimane un vino bianco a tutti gli effetti, pur offrendo ampie e complesse suggestioni, soprattutto olfattive, grazie anche alla breve macerazione buccia-mosto di 12 ore; l’azienda conta oggi circa 20 ettari di vigneto, un terzo dei quali ubicati proprio nella Piana Rotaliana da dove provengono anche le uve di questo vino. Del colore buccia di cipolla è presto detto, basta aggiungere che offre un naso affascinante che vira da sentori finissimi di erbe a note dolci mela renetta e di pera matura. Il sorso è delicato, asciutto, persistente, leggero, con un finale di bocca sapido ed estremamente lineare. Non poteva mancare!

Qui il drink pink made in Campania.

Monzambano, Chardonnay Meridiano 2008 Ricchi

16 agosto 2010

I vini del Garda lo confesso, non hanno mai avuto un particolare appeal sul mio istinto primordiale di sbevazzatore, e di occasioni per sondare il fondo delle bottiglie di quelle parti ce ne sarebbero pure state visto che San Martino della Battaglia per esempio, è da sempre il mio campo base per le ripetute incursioni in terra Lombardo-Veneta, in tempo di Vinitaly soprattutto.

Lo Chardonnay Meridiano 2008 di Ricchi però mi ha riaperto gli occhi su due realtà in cui opera questa azienda, quella del Garda e poco più a sud, dei Colli Mantovani, davvero interessanti e che con molta probabilità hanno più cose da dire, da esprimere, di quelle sino ad oggi portate in dote ad un mercato non sempre consapevole della necessità di una migliore prospettiva di maturità commerciale. Un vino, quello dei fratelli Giancarlo, Claudio e Chiara Stefanoni che mi ha notevolmente impressionato e che da solo, con ogni probabilità, mi riconcilia quasi del tutto con un terroir che ho sempre considerato un tantino sopravvalutato, con un mercato, visto da sud, troppo sopra le righe, in rapporto soprattutto a certi prezzi che intenderebbero strappare vini come il Chiaretto o peggio, qualche vigna più in la, alcuni Groppello. Ad ogni modo, l’azienda di Monzambano, in provincia di Mantova, oltre a tutta una serie di classici dell’areale ha saputo concentrare negli anni molta attenzione alla selezione di alcuni cru molto interessanti, e produzioni speciali, leggi Ricchi Spumante brut e vini dolci (Le Cime, passito bianco) che non sono passate inosservate agli specialisti di settore che li hanno oltretutto premiati proprio allo scorso Vintaly 2010.

Tra questi, anche questo buonissimo chardonnay, prodotto nelle vigne di Campo La Casina, La CimaMonvalto, che con il vigneto Le Garganeghe fanno poco più di 13ha piantati con una densità media di circa 4000 piante e condotti, a detta di chi ha camminato quelle vigne, al quale ho subito chiesto lumi, nella maniera più consona ed ottimale possibile per valorizzare un terroir misconosciuto ma forse anche per questo particolarmente affascinante; I dati tecnici, che potete meglio approfondire qui ci dicono che le uve, successivamente alla vendemmia, vengono lasciate appassire per un breve periodo prima della vinificazione che prevede dopo la fermentazione una sosta di almeno sei mei in classiche barriques di secondo passaggio.

La mia impressione è che ne sia venuto fuori un vino assai gradevole, che ti accorgi essere interessante già all’aspetto visivo, con un bel colore giallo paglierino, vivace, cristallino, piuttosto invitante. Il naso è una esplosione di profumi primari e secondari, quindi espressione del varietale e non di meno esaltati – senza banalizzarli – dall’uso, a parer mio molto intelligente, giustamente dosato, del rovere. Il primo naso offre subito note di pan brioche, che non lascerà mai il bicchiere facendosi via via sempre più fine ed elegante, poi vengono fuori sfumature molto intriganti, ruffiane se vogliamo, esotiche, dal delicato mango allo spiccato sentore di ananas e di frutto della passione. In bocca fa letteralmente breccia, è infatti proprio qui che offre il meglio di se, a conferma di un vino dalla trama solida, e non artefatta, di quelle cioè costruite su misura per incantare prima di scivolare via anonimamente. Palato fresco, nerboluto ma leggero, i suoi tredici gradi non appariranno mai nella tabella dei convenuti, a conferma di un vino dai tratti caratterizzanti brillanti e ben fusi tra loro, in perfetta simbiosi, e di un territorio che a quanto pare, se giustamente interpretato ha da offrire cose molto interessanti. Il vino dell’estate 2010? Aspetterei a dirlo, ho tanto ancora da bere, ma sicuramente nella top five della mia personale hit parade agostana!

Erbusco, Annamaria Clementi 2002 Ca’del Bosco

21 dicembre 2009

La storia ci consegna questa favola: in Franciacorta, area viticola della Lombardia, nel bresciano, in una grande casa nel bosco, si stabilì verso la metà del 1965 Annamaria Clementi Zanella, madre di quel Maurizio Zanella che oggi firma con il suo nome una delle più prestigiose realtà enologiche italiane, Ca’ del Bosco.

Azienda Ca'del Bosco-Erbusco

Qui, fra le colline di Erbusco, Maurizio incomincia a coltivare la passione per vini nobili e pregiati e di lanciare la sfida, in quegli anni parecchio ambiziosa, di dare vita e sostegno ad un nuovo polo spumantistico italiano all’avanguardia.

Ca’ del Bosco oggi conduce circa 155 ettari di vigneto dislocati in otto comuni diversi della Franciacorta. Negli anni molte delle vecchie vigne sono state reimpiantate per dare vita a sistemi di coltivazione più efficienti, abbandonando i vecchi sistemi a Sylvoz e Casarsa (3 mt. x 3 mt. con piante in coppia, ovvero 2.200 ceppi per ettaro) con il più moderno Guyot (1,00 mt. x 1,00 mt., ovvero 10.000 ceppi per ettaro): nuove metodologie d’impianto che, con un maggior numero di piante per ettaro e una minor quantità di uva per pianta hanno permesso negli anni di ottenere uve di maggiore pregio e quindi vini base per i Franciacorta di qualità superiore.

L’Annamaria Clementi 2002 è di colore giallo paglierino molto intenso, di estrema luminosità, limpido sino alla brillantezza, le bollicine sono fini e molto persistenti e regalano una spuma intensa e cremosa. Il primo naso offre sensazioni immediatamente dolci, fruttate e floreali, si percepiscono nitidamente note di pesca sciroppata, di mango, poi sentori di paglia e fieno. L’ampio spettro olfattivo è molto intenso ed assolutamente di qualità fine, vengono fuori anche note sottili di agrumi e poi lentamente vaniglia e nocciola. Un naso emblematico ed avvincente. In bocca è decisamente appagante, acidità e sapidità sono fuse e profuse verso una morbidezza accattivante ed invitante alla beva.

Annamaria Clementi - foto Archivio Cà del Bosco

Un vino di pregevole intensità, integrità ed equilibrio, non mi va di sciorinare raccomandazioni sulla sua conservazione vita natural durante poiché sono convinto assertore che certe bollicine vanno gustate nello stesso momento in cui si è deciso di farle passare sul mercato, ma dimenticarla per qualche anno in cantina, per sbaglio, non ne pregiudicherebbe certo il suo valore.

La cuvèe Annamaria Clementi viene prodotta da Ca’del Bosco dal 1979 unicamente con le migliori uve di proprietà e solo nelle annate più favorevoli. Da bere su piatti particolari, lo vedrei perfettamente integrato al delizioso Raviolo di patate di Folloni con tartufo bianco Irpino di Tonino Pisaniello della Locanda di Bu di Nusco.


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