Archive for the ‘Calabria’ Category

Non è Natale senza bere bene, non è Natale senza le nostre dieci bottiglie (+1) da portare in tavola durante le feste

9 dicembre 2019

Salvare il Natale da bevute sconsiderate è possibile! Quante magre figure si rischiano, e quanti dubbi ci assalgono: avrò scelto bene? Gli piacerà? E…  c-o-s-a  c-i  a-b-b-i-n-o  m-a-i alla cena della vigilia? E a Natale?

Auguri di Natale 2019 - L'Arcante

Sono queste domandone dalle risposte critiche, tanto più quando si spendono cifre blu per pesci e carni che quasi sempre rischiano di rimanerci… sullo stomaco, tanto la colpa, si sa, andrà al vino “troppo acido o alcolico”; proviamo allora a stigmatizzare le paure e le fisime mettendo in riga dieci etichette – +1 -, provate durante tutto quest’anno e che, tra le tante, meriterebbero un posto a tavola durante le prossime festività natalizie.

Asprinio d’Aversa Spumante Extra Brut I Borboni. L’azienda di Lusciano, in provincia di Caserta, rimane un riferimento assoluto per la denominazione e da sempre in prima linea nel lavoro di salvaguardia della produzione di Asprinio. Di quanto siamo innamorati del varietale e di questa denominazione è ben noto, e fa piacere che il numero di produttori in campo si stia allargando sempre di più a si stia puntando soprattutto sulla qualità; riteniamo fondamentale inoltre che non si disperda il patrimonio di esperienze delle famiglie storiche presenti sul territorio, proprio come nel caso dei Numeroso, capaci di regalarci sempre, tra gli altri, uno Metodo Charmat lungo dalle bolle fini, un vino spumante dal quadro aromatico lieve ma suggestivo, dal sorso seducente e vivace da spendere a tavola a tutto pasto.

Spumante Metodo Classico Rosé Brut 50Mesi 2013 – Terrazze dell’EtnaL’azienda di Nino Bevilacqua è una splendida realtà di circa 40 ettari nel comune di Randazzo, più precisamente in località Bocca d’Orzo, sull’Etna, con vigne collocate tra i 650 e i 900 metri s.l.m.. Il Rosé Brut 50Mesi viene fuori da una cuvée di Pinot Nero al 90% e Nerello Mascalese per la restante parte a saldo. Ha una bellissima veste rosa tenue, è brillante e vivace, la spuma è densa e le bollicine sono abbastanza fini, il naso sa anzitutto di erbette, agrumi e piccoli frutti rossi, il sorso è asciutto, ben fresco, piacevolmente vibrante e coinvolgente. Dopo l’esordio di qualche anno fa, la strada tracciata appare davvero entusiasmante, provatelo con piccoli assaggi di mare.

Falanghina dei Campi Flegrei 2018 – La Sibilla. Un bianco terragno e autentico che profuma di terra vulcanica, dal sorso schietto e vibrante, capace di accompagnare degnamente tutta la cena della vigilia con tutte le sue prelibate preparazioni di mare fredde a calde; un calice appagante quello dei Di Meo, che torniamo a raccomandare non senza un pizzico di orgoglio per aver visto nascere, crescere, affermarsi una delle più belle realtà flegree che si appresta a mettere alle spalle i suoi primi 20 anni di straordinaria resilienza.

Falanghina del Sannio Serrocielo 2018 – Feudi di San GregorioSerrocielo nasce dalla migliori uve provenienti dai vigneti del Sannio – area tra le più vocate in Campania per il vitigno -, condizione questa che anche in presenza di annate particolarmente complesse, come ad esempio la  scorsa duemiladiciassette, consente di fare scelte importanti e mirate alla sola qualità. E’ questo un bianco democratico, capace di conquistare immediatamente gli appassionati alle prime armi e i palati più attenti ed esigenti. L’impronta olfattiva è graziosa, netta ed immediata, ha carattere tipicamente varietale e suggestivo di piacevoli sentori floreali e frutta a polpa bianca. Il sorso è asciutto e gradevole, rinfranca il palato ed accompagna con piacevole sostanza tutti i buoni piatti di mare della cucina delle feste.

Calabria igt Zibibbo Benvenuto 2017 – Cantine Benvenuto. E’ un bianco profumatissimo, insolito e per questo inconfondibile per il suo tratto aromatico e spiazzante, per il sorso secco e il corpo nerboruto. Va detto che a primo acchito non è un vino proprio semplice da abbinare a tavola ma vale la pena provarlo e raccontarlo, proprio durante queste festività perchè al naso diverte ed invita a giocare con i riconoscimenti (bergamotto, pesca, sandalo) e ogni sorso poi non lascia certo indifferenti, anche in questo caso si tratta di una pietra miliare da salvaguardare e consegnare in mani davvero appassionate.

Fiano di Avellino Clos d’Haut 2017 – Villa Diamante. Ma che bei vini provengono da questo pezzo d’Irpinia, sempre coinvolgenti, unici, straordinari! Dobbiamo dire di un duemiladiciassette piacevolissimo questo di Diamante Renna-Gaita, invitante e seducente al naso quanto caratterizzato da particolare freschezza, sapidità ed avvolgenza al palato. E’ incredibile quanto sia facile tirarvi fuori chiarissimi riconoscimenti di nespola ed albicocca, di solito un po’ forzati in certe degustazioni ma qui espressi in maniera quasi disarmante, così come i sentori di mango e ananas subito sospinti da gradevoli note balsamiche e fumé. Il sorso è franco, sapido, avvolgente, regala una bevuta decisamente ben al di sopra dei canoni di un’annata non proprio felicissima per la denominazione.

Penisola Sorrentina Gragnano Ottouve 2018 – Salvatore Martusciello. Non può assolutamente mancare sulle tavole di questi giorni di festa, a Natale soprattutto; il Gragnano è il vino della gioia e della spensieratezza, con quel suo colore porpora vivace, quella soffice corona di spuma evanescente, dal naso vinoso e sfacciatamente fruttato, conserva il sapore asciutto e ammiccante della tradizione popolare nobilitato dalla frutta rossa croccante, dal lampone e i ribes neri. E’ di prossima uscita l’annata duemiladiciannove ma la grande qualità in bottiglia non faccia temere una bottiglia dell’annata precedente, in questo momento ancor più succosa e polposa.

Chi ha vissuto e può raccontare a suo modo gli ultimi quindici/vent’anni di viticoltura nei Campi Flegrei sa bene che era necessario solo attendere e continuare a stimolare vignaioli e produttori nel fare meglio, il successo dei vini flegrei, presto o tardi, sarebbe arrivato; la distanza che li separava dal resto del mondo del vino, quel gap soprattutto di mentalità, certi difetti dei vini, originati soprattutto da una cattiva gestione del vigneto, della vinificazione o dell’affinamento, talvolta proposti addirittura come tipicità, sono stati per anni un fardello pesantissimo da portarsi dietro ma finalmente sono da considerarsi (quasi) del tutto superati. Ecco allora che non possono mancare anche due belle ”sorprese” di quest’anno da proporre soprattutto sulla ricca tavola del giorno di Natale.

Piedirosso Campi Flegrei 2017 – Cantine del Mare. Ne abbiamo scritto a lungo di Cantine del Mare e ne riscriviamo ancora volentieri oggi davanti a questo splendido Piedirosso. Il colore è rubino vivace, luminoso come fosse sacro fuoco, il naso è ancora timido, quasi sussurrato, con tanto ardore dentro, se ne coglie al palato tutta la velleità di farsi largo e lungo tra i suoi migliori pari, niente più legno, solo frutto: vibrante, polposo, teso. E’ ormai da qualche mese in bottiglia, praticamente a due anni dalla vendemmia, prontissimo per arrivare in tavola!

Piedirosso Campi Flegrei 2017 – Mario Portolano. Siamo a Toiano, in un’area periferica del comune di Pozzuoli, cuore della denominazione di origine controllata Campi Flegrei; anche qui il Piedirosso regna sovrano, sempre più sorprendente questo vino che si sta facendo apprezzare per le sue caratteristiche organolettiche uniche e rare che ne fanno uno dei rossi campani più ricercati e apprezzati negli ultimi anni. Anche qui vengono fuori vini di particolare carattere, e questo duemiladiciassette ne rappresenta forse una delle prime punte di eccellenza. Veste di un bel rubino dal tono gioviale, il naso è fitto e intriso di sensazioni floreali e fruttate dolci e invitanti, sa di violetta e piccoli frutti rossi, poi un accenno speziato, il frutto è carnoso, ben espresso, il sorso è gradevole e morbido e dal finale di bocca misurato e sapido.

Terre del Voltuno igt Casavecchia Centomoggia 2015 – Terre del Principe. Peppe Mancini e Manuela Piancastelli con il duemilaquindici ne hanno tirato fuori forse uno tra i migliori di sempre, capace di lasciare a bocca aperta tanto fragoroso è il frutto esaltato in maniera ineccepibile (anche) dal legno, dalla misura del suo impiego, capace di esaltare e affinare una grande materia viva. Ha un colore rubino-porpora e al naso è intenso, avvolgente, profuma anzitutto di more e mirtilli cui s’aggiungo per distacco spezie e balsami. Il sorso è pronunciato, fitto e saporito, tredici gradi di assoluto piacere per le papille gustative.

Champagne Blanc de Blancs – Alain Thiénot. E’ l’Asso di Cuori da giocare nel momento più opportuno durante le feste. Si tratta di un vino composto per l’80% di vini Riserva ai quali viene aggiunto un 20% di vini dell’annata. Stiamo parlando di Chardonnay provenienti dagli areali maggiormente vocati di Avize e Vertus sul versante sud della Cote des blancs e più a nord da Villers-Marmery, verso la Montagna di Reims, qui dove Alain Thiénot, da oltre 30 anni tira fuori grandi vini per le sue cuvée più prestigiose tra le quali il millesimato Vigne aux Gamins e l’assemblaggio di millesimati Cuvée Stanislas.

Uno Champagne davvero notevole, di colore giallo paglierino brillante, una volta nel bicchiere è subito invitante e coinvolgente, la spuma è delicatissima, le bolle fini e regolari, intense, persistenti. Al naso rivela immediatamente tutta la sua anima vivace e intrigante, vi si colgono sentori di agrumi di limone e pompelmo, caratteristiche note floreali e di pasticceria. Il sorso è asciutto e generoso, teso il giusto, con carbonica misurata e un finale di bocca freschissimo e sapido.

Detto questo, ci auguriamo che arrivino serene festività per tutti voi, Buon Natale e che l’anno che verrà possa essere, finalmente, un buon anno davvero!

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© L’Arcante – riproduzione riservata

In vacanza al sud, cinque vini bianchi d’amare questa estate

10 luglio 2019

Negli ultimi mesi non sono stati pochi i vini che abbiamo raccontato su queste pagine, ebbene, volendone tirare fuori una cinquina, tra i tanti buonissimi bianchi assaggiati, ci piace riproporvi alcune etichette come suggerimenti ”sicuri” per le vostre prossime bevute in vacanza, a cominciare da questi…

Falanghina Campi Flegrei 2017 Cantine del Mare. Non è più così difficile scegliere bene tra i buonissimi bianchi dei Campi Flegrei, sono ormai tanti i nomi ”sicuri” sui quali puntare ad occhi chiusi e qui, su questo pezzo di costa flegrea l’uva sembra davvero baciata da Dio, con la terra che sembra beneficiare di un microclima straordinario: il mare è lì, a due passi oltre la scarpata, la vigna gode dei venti che spazzano costanti il Canale di Procida che contribuiscono ad arieggiare il catino naturale intorno al quale insistono i terrazzamenti da dove nasce questo delizioso bianco di Alessandra e Gennaro Schiano, in questo momento in splendida forma. Un bianco da spendere a tavola sopra tutto!

Fiano di Avellino Clos d’Haut 2017 Villa Diamante. Dobbiamo dire di un duemiladiciassette piacevolissimo, invitante e seducente al naso quanto caratterizzato da particolare freschezza, sapidità ed avvolgenza al palato. E’ incredibile quanto sia facile tirarvi fuori chiarissimi riconoscimenti di nespola ed albicocca, di solito un po’ forzati in certe degustazioni ma qui espressi in maniera quasi disarmante, così come i sentori di mango e ananas subito sospinti da gradevoli note balsamiche e fumé. Il sorso è franco, sapido, avvolgente, regala una bevuta decisamente ben al di sopra dei canoni di un’annata non proprio felicissima per la denominazione. La memoria liquida di Antoine Gaita non smette mai di stupire, un bianco dal profilo ”nordico” proveniente dal sud che ci piace, l’Alta Irpinia! Da metterci vicino tanti piccoli assaggi di crudo, marinato e sott’olio di mare.

Calabria bianco Benvenuto Zibibbo 2017 Cantine Benvenuto. Virando ancor più verso sud, ecco un bianco profumatissimo, inconfondibile per il suo tratto aromatico e spiazzante per il sorso secco e il corpo nerboruto. Va detto che a primo acchito non è un vino proprio semplice da abbinare a tavola ma vale la pena provarlo e raccontarlo, al naso diverte ed invita a giocare con i riconoscimenti (bergamotto, pesca, sandalo)  ogni sorso poi non lascia certo indifferenti, magari una struttura alcolica meno pronunciata – il duemiladiciassette ha 14% in etichetta! – potrebbe aiutarlo ad incontrare maggiore apprezzamento tant’è rimane una pietra miliare da salvaguardare e consegnare in mani davvero appassionate. Non solo sul pesce alla brace, o un trancio di tonno scottato e aromatizzato ma anche con carni bianche e formaggi poco stagionati.

Terre Siciliane Grotta dell’Oro 2017 Hibiscus. Restiamo su questo straordinario varietale questa volta proveniente dall’isola di Ustica dove ogni anno si producono poco più di 13.000 bottiglie di vino, tra le quali questo delizioso bianco secco. Il Grotta dell’Oro 2017 è uno Zibibbo caratterizzato da uno splendido colore paglierino, ha un primo naso immediatamente gradevole, avvenente, richiama subito note dolci e ammiccanti, poi evoca sentori di agrume e fiori di zagara, di rosa ed erbette aromatiche. Il sorso è secco, scivola via asciutto ma sul finale di bocca ripropone quella dolce sensazione di moscato che tanto fa piacere al naso. Da servire freddo, anche freddissimo, da bere magari affacciati sul mare di Ustica che chissà forse per una volta, almeno una volta, volgendo lo sguardo all’orizzonte possa evocare solo buoni pensieri senza lasciare quel solito non so ché di amaro in bocca. Da aperitivo, o conversazione, tra un boccone e l’altro di fritto di pesce azzurro o gamberi in pastella.

Alsace Grand Cru Pfingstberg Riesling 2015. Siamo ad Orschwhir, nel sud dell’Alsazia. Questa è la prima annata vestita con la nuova bottiglia disegnata apposta per il Domaine Zusslin, non più una classica renana ma ispirata ad una borgognotta dal collo un po’ più allungato. Il duemilaquindici è buonissimo, un vero lusso per il palato, nel bicchiere il colore paglierino carico è splendido, luminoso, invitante. Il naso ha bisogno di tempo per aprirsi del tutto, dissolte le particolari sensazioni idrocarburiche viene fuori agrumato, floreale e speziato. Nessuna nota rimanda al legno grande utilizzato. Sa anzitutto di cedro e bergamotto, poi di fiori ed erbe di montagna. Il sorso è secco, teso e serrato, dal finale di bocca vibrante, asciutto e caldo. Semmai vi dovesse capitare a tiro una duemilatredici (in foto) non fatevela scappare. A tavola ci sta senza timori reverenziali, è uno di quei vini da scegliere al di là del cibo che si ha in mente di mangiare. 

© L’Arcante – riproduzione riservata

 

Il mare sopra Pizzo e lo Zibibbo 2017 di Cantine Benvenuto Presidio Slow Food

13 dicembre 2018

Una vera sorpresa ritrovarsi dinanzi a questa (bella) bottiglia di Zibibbo prodotta con le uve provenienti dalle terrazze intorno al Lago di Angitola, una manciata di ettari di vigne a conduzione biologica situate nell’entroterra della costa calabrese a pochi chilometri dal mare di Pizzo Calabro, in provincia di Vibo Valentia.

Calabria igt Benvenuto 2017 Cantine Benvenuto - Foto L'Arcante

Un vino dalla storia particolare che vale la pena però approfondire, frattanto sappiamo che ha condotto alcuni pochi produttori ad impegnarsi a tal punto nella salvaguardia di queste terre e questa produzione tanto da farlo diventare un raro Presidio Slow Food, denominato Zibibbo di Pizzo.

Il primo tra questi a lavorarci seriamente è stato Giovanni Celeste Benvenuto, di origini calabresi ma nato e cresciuto in Abruzzo. Con una grande passione per il buon vino, appena ritornato in Calabria, dopo aver conseguito una laurea in Agraria, si è messo subito al lavoro per recuperare i pochi ettari di famiglia, una decina in tutto piantati a vigna e uliveto, per produrre vino di qualità puntando su alcune delle varietà tipiche del posto, tra le quali Greco Nero e Calabrese, ed altre tra cui anche lo Zibibbo. In Calabria lo Zibibbo sino ad allora veniva generalmente autorizzato solo come uva da tavola o al massimo per farne vino passito. Tra un ricorso e l’altro è stato lui il primo a poterne fare anche un vino secco, come del resto già avveniva da sempre in Sicilia.

Benvenuto 2017 è un bianco profumatissimo, inconfondibile per il suo tratto aromatico e spiazzante per il sorso secco e il corpo nerboruto. Va detto che a primo acchito non è un vino proprio semplice da abbinare a tavola ma vale la pena provarlo e raccontarlo, al naso diverte ed invita a giocare con i riconoscimenti (bergamotto, pesca, sandalo)  ogni sorso poi non lascia certo indifferenti, magari una struttura alcolica meno pronunciata – il duemiladiciassette ha 14% in etichetta! – potrebbe aiutarlo ad incontrare maggiore apprezzamento tant’è rimane una pietra miliare da salvaguardare e consegnare in mani davvero appassionate.

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Saracena, Milirosu 2011 Masseria Falvo 1727

13 febbraio 2013

Moscato di Saracena 2011 Milirosu Masseria Falvo - foto A. Di Costanzo

Che poi l’acidità¤, strano forse a dirsi, diviene pilastro per certi vini come questo Moscato di Saracena¤: dal sapore dolce, leggiadro, mellifluo, che sa di zagara ed agrumi glacé. Il sorso è delizioso, accattivante ma quieto; chiude morbido rinfrancando il palato di giusta freschezza, salace quasi, smarcando abilmente inutili stucchevolezze. Una conferma, ancora uno scatto in avanti. Da fine pasto, o da meditazione, magari però sulle chiacchiere¤.

Saracena, Donna Filomena 2010 Masseria Falvo

5 gennaio 2012

Che strano verrebbe da dire, proporre un bianco del genere in un momento di mercato come questo, dove un’attenta lettura dei gusti e delle tendenze consiglierebbe leggerezza e sobrietà; in particolar modo quando si tratta di vini bianchi.

Il Donna Filomena 2010 di Masseria Falvo è tutt’altro, per contrapposizione è un vino bianco corpulento e “grasso”, come verrebbe da dire saggiandone attentamente la gran materia prima. Un bianco assolutamente inaspettato, poderoso, dal colore luminoso e con un ventaglio olfattivo incredibile, fulgido, pimpante, profondo, dove ci puoi riconoscere di tutto un po’, laddove ficcandoci bene il naso un degustatore con un minimo di allenamento non la smetterebbe più di tesserne le lodi: per fittezza, intensità e variopinta descrizione organolettica, sino a perderci la testa. E poi carattere, tanto, da vendere, spalle larghe 14 gradi e mezzo ma ossute e calibrate da una tessitura da far invidia a un signor vino rosso, come in realtà parrebbe di bere alla cieca.

Un gran bel risultato, che arriva da un lento e attento recupero di un pezzo di viticoltura calabrese nel cuore del parco del Pollino, a Saracena, nel cosentino. Quella Saracena già conosciuta ai più grazie a quel moscato tanto amato quanto per troppo tempo misconosciuto. Così i fratelli Falvo, tra le mille risorse messe in campo sul territorio – è notoria la loro storia imprenditoriale -, si sono dati da fare per rimettere in moto anche questo piccolo ma fondamentale pezzo di storia agricola locale: 26 ettari piantati per lo più con varietali autoctoni senza però perdere di vista quel poco di buono che arriva dalle esperienze ampelografiche altrui. Così con i più classici rossi gaglioppo e greco nero e i bianchi guarnaccia e malvasia, si è piantato anche qualche filare di traminer che a queste latitudini, come avvenuto per esempio in Basilicata, ha già espresso risultati più che buoni.

In definitiva, Masseria Falvo è una bella realtà di cui sicuramente sarà bene non perdere traccia, tra l’altro è guidata in cantina dal “nostro” bravo Vincenzo Mercurio; i vini sin qui saggiati dicono chiaramente che si fa sul serio, e si guarda lontano; molto buono per esempio anche il loro bianco “base” Pircoca 2010, giocato più o meno sulla stessa composizione varietale ma con un timbro degustativo decisamente più immediato e leggero. Poi il Milirosu, delizioso Moscato di Saracena, quadrato e avvincente come solo certi vini da meditazione sanno essere; ma di questo val la pena attendere qualche tempo per leggerne.

Questa recensione esce anche su www.lucianopignataro.it.

Saracena, Pircoca bianco ’10 Masseria Falvo 1727

1 gennaio 2012

Ci sono sempre piacevoli sorprese qui al sud, così quando meno te l’aspetti ecco un bel bianco calabrese a farti sgranare gli occhi e pensare che sì, non è mai troppo tardi per rinascere.

Cominciamo così il racconto di questo nuovo anno insieme con un bell’esempio di rilancio rurale, Masseria Falvo 1727, recuperata dall’abbandono e rimessa a nuovo con caparbietà dai fratelli Piergiorgio, Ermanno e Rosario Falvo dell’omonimo storico gruppo imprenditoriale calabrese, convinti che si potesse rinverdire una parte dell’antica tradizione di famiglia e recuperare con essa un suggestivo pezzo di viticoltura calabrese lì nel cuore del Parco del Pollino, nei dintorni di Saracena, nel cosentino: 26 ettari di vigneto coltivati in regime biologico su terreni tendenzialmente argillosi, a tratti di natura calcarea, alternati a terre rosse e coriacee. L’idea è stata sin da subito di puntare sui vitigni autoctoni calabresi, senza però tralasciare quelle valide opportunità offerte da alcuni varietali bianchi capaci di esprimere buoni vini anche da queste parti, avvalendosi tra l’altro delle sapienti mani di Vincenzo Mercurio in cantina. Così con il magliocco, qui detto lacrima del Pollino, il gaglioppo e il greco nero, oltre alla guarnaccia bianca e il moscatello di Saracena si è pensato di mettere giù qualche filare per esempio di traminer.

Pircoca è il nome di questo bel bianco duemiladieci  prodotto appunto con guarnaccia e un saldo di traminer, un uvaggio calabro-altoatesino che a molti può risultare un azzardo alquanto inusuale, e in verità lo è, ma che senz’altro ha colto nel segno: un esordio più che convincente per un vino invitante con un fragrante e avvincente corollario di profumi, vinosi, floreali e fruttati molto coinvolgenti; il naso è fulgido di note di gelsomino, agrumi, pesca e pera, con un timbro minerale decisamente persuasivo. In bocca è asciutto, il sorso stilla gradevolissimi rimandi fruttati, e infonde freschezza e gradevole sapidità. Decisamente a lungo.

Per quel che riguarda la guarnaccia bianca prometto di ritornarci a breve, il Donna Filomena, il loro cru, mi ha ancor più colpito tanto da convincermi in una più ampia e meditata attenzione; in merito al traminer invece, non lasciatevi spiazzare dalla consuetudine perché anche a queste latitudini, in particolar modo su questi terreni, pare esprimere risultati davvero eccellenti; soprattutto quando lavorato di fino e impiegato come varietale migliorativo. Non a caso anche in Basilicata (leggi qui) sta facendo registrare risultati assai interessanti. Frattanto godetevi questo primo delizioso consiglio per gli acquisti: un bianco insolito e gradito, dove un sorso chiama l’altro e i dodici gradi e mezzo sono calibratissimi; va via d’un soffio come aperitivo, mentre in tavola non fa nemmeno in tempo ad arrivarci. Potete fidarvi.

Cirò Marina, il Duca San Felice 1993 di Librandi

11 settembre 2010

Negli ultimi mesi si è scatenato un ampio dibattito su questa storica denominazione calabrese, una visibilità forse mai avuta prima, nemmeno nel più affollato e fornitissimo dei supermercati di germanica ispirazione. Il Cirò sulla bocca di tutti, di giornalisti e presunti tali, di cronisti afecionados e di spietato cinismo, un vortice mediatico a cui non si può che guardare con attenzione e riflessione, per quello che ha voluto sollevare, sottolineare e, in più di una occasione, aborrire. Un turbinare nel quale non desidero certo entrare, lasciando il dovuto spazio a menti sicuramente più ispirate della mia, ma che non posso lasciarmi girare intorno passivamente, fosse solo per il lavoro che faccio.

Così inaspettamente, mi tocca raccontare ad un ospite olandese cosa stia accadendo lì in terra cirotana, e facendolo nel più suggestivo dei momenti immaginabili, tra una bottiglia di A’ Vita 2008 e questo delizioso, direi superbo, Duca San Felice ’93, senza dubbio alcuno tra i più sottili ed al tempo stesso eleganti vini rossi mai bevuti prima di adesso. Tutto nasce per caso, sull’abbinamento ad un piatto di Oliver Glowig che amo molto, coda di astice con lenticchie di Leonforte e fave di cacao, dove vanno via d’amore e d’accordo due bicchieri del gradevole rosso di Francesco De Franco; A questo punto, pur convinto dalla leggiadrìa e dalla buona capacità di reggere l’accostamento del primo mi si avanzano seri dubbi sulla longevità del gaglioppo, di questa tipologia di vini per altro proveniente da una terra del vino, a detta del commensale, di cui giammai ne avea sentito parlare prima; Entra così in scena il secondo, che già dopo un breve tempo di ossigenazione mostra uno stampo gustolfattivo particolarmente suggestivo: il colore pare arrivare da un tempo lontanissimo, granato tenue con nette sfumature  aranciate; Il naso è subito salino, il legno solo un ricordo fugace, il frutto dissolto e lievemente caramellato, appena accennate le nuances speziate. In bocca ci arriva in punta di piedi, sottile, delicato, l’alcol si sarà perso da qualche parte, non la lineare bevibilità, avvolgente, per niente statica, persuasiva. Un vino con un’anima autentica, di una terra unica, quella stessa anima che stanno biecamente tentando di strappare via al Cirò per offrirla ad un buco nero che non porterà da nessuna da parte se non verso quella omologazione ormai smentita già da anni e che solo menti stolte non vogliono vedere.

Il Cirò con molta probabilità non sarà mai protagonista della mia carta dei vini, anzi su questo punto non esito a mettere le mani avanti, e non per snobismo professionale, tutt’altro; Ho avuto per molto tempo la pazienza di aspettare e cercare anche nel Mare Magnum ionico quelle due-tre referenze giuste per dare l’idea di come non debba essere per forza scontata l’offerta in una lista vini: mi sono fidato nel tempo della storia degli Ippolito, della voglia di fare di Francesco De Franco ma non posso negare che in principio era solo Librandi, il suo Gravello rimane un riferimento importante se non del tutto irresistibile, e solo la fortuna di ritrovarmi in cantina una verticale storica di Duca San Felice, giocata tra una decina di vendemmie tra il ’90 e il ‘00, ha potuto aiutarmi a comprendere meglio tutto il potenziale di un vitigno, il gaglioppo, capace di attraversare  il tempo con disarmante scioltezza e rappresentare con la storia di ognuno di questi produttori un arma in più per raccontare meglio un territorio tra i più vocati e storici del sud Italia. Ecco, di questo sento di aver bisogno assoluto, di bottiglie da proporre come un messaggio e non come esca, di vini plausibili e non di ennesimi, banalissimi succhi, o peggio ancora concentrati, di frutta.

L’Arcante sostiene, sin dall’inizio di questa assurda storia tutta italiana, il  Comitato in difesa dell’identità vino Cirò

Cirò Marina, ‘A Vita di Francesco De Franco

26 febbraio 2010

Inutile nasconderlo, ci vuole un gran coraggio. Francesco e Laura, lui calabrese, lei friulana, lui architetto, a San Marino, lei operatrice culturale.

Due mondi complessi, spesso tanto distanti quanto facilmente sovrapponibili l’uno all’altro, due persone però che hanno un senso comune di responsabilità verso la natura eccezionale, che li porta in poco tempo a decidere di rivedere tutti i progetti della loro vita per dedicarsi completamente alla vigna, in Calabria, in una delle aree certamente più vocate della viticoltura italiana ma atavicamente legata ad una percezione di qualità molto labile, oltremodo offensiva per un territorio di straordinarie qualità naturali, storiche e culturali come questo lembo di terra tra la Sila e lo Jonio.

L’azienda è a Cirò Marina, in località Muzzunetto, 8 ettari di vigna piantati ad alberello, di età media tra i 30 ed i 40 anni e condotti interamente con sistema di agricoltura biologica: niente prodotti di sintesi per i trattamenti, nessuna concimazione, solo sovesci primaverili e tanta particolare attenzione in tutta la fase produttiva; grappoli ognuno dei quali trattati come figli di un padre che li ritrova dopo mesi di lontananza! Qui il terreno è argilloso-calcareo con esposizione a nord-ovest e gode di una particolare favorevole incidenza di escursioni termiche (nonostante i soli 100m sul livello del mare, da qui a vista d’occhio) tra giorno e notte che conferiscono alle uve gaglioppo, in piena maturazione prima della vendemmia, ottime concentrazioni di aromi primari. In cantina solo fermentazioni spontanee con lieviti indigeni e senza aggiunta di enzimi, decantazioni naturali e limitato utilizzo di solforosa, questo vino in particolare ha svolto una macerazione sulle bucce di sei giorni ed è rimasto in affinamento esclusivamente in acciaio prima di essere imbottigliato.

Il Cirò rosso Superiore ‘A Vita 2008 di Francesco e Laura è un gran bel vedere, ha un colore assai invitante, rosso rubino-granata di una tonalità splendente, trasparente, direi tanto esemplare come pochi negli ultimi vent’anni prodotti con questa denominazione, dove nonostante la “franchezza visiva” fosse un tratto distintivo del vitigno, di questo territorio, si è forzatamente cercato di coprirne la trasparenza con artefizi o tecnicismi fuori da ogni logica di valorizzazione e dentro ogni illogica idea di omologazione. Il primo naso è affascinante, sfumata la primaria nota vinosa che attacca le narici viene fuori un quadro aromatico molto invitante, intrigante e gradevole, floreale, fruttato, lievemente speziato: subito note di rosa e lampone, poi amarena, ribes, infine sottili sfumature di mirto e alloro, note iodate. In bocca è sicuramente ricco, avvolge il palato e mi convince di stare bevendo un ottimo Cirò, sicuramente buono come pochi altri negli ultimi anni. Dalle parole di Francesco avevo intuito, oltre al grande amore per la sua terra anche le notevoli aspettative che nutre nei confronti dei suoi due vini prodotti, questo e la riserva, in invecchiamento, che arriverà quindi solo tra qualche tempo. In bocca è secco, caldo, a tratti prorompente, ben legato ad una sapidità sgusciante e avvolgente il palato. 

L’unico elemento che non mi ha del tutto convinto in questo vino è la fittezza dell’acidità e del tannino, meno espressiva, tangibile, rispetto alle mie aspettative, di quanto cioè avuto notizia nella disquisizione tecnica di entrambi i vini prodotti. L’opulenza alcolica pare un po’ sovrastante le durezze, che dovrebbero in effetti garantirgli equilibrio e non di meno lunga vita, se lunga vita pretendiamo da un vino-frutto (una delle poche volte che questa sorta di scrabble grammaticale ha davvero senso) così irrimediabilmente affascinate alla sua prima annata di produzione, per’altro ad un prezzo, 10 euro in enoteca, abbastanza alla mano. Opportuno servirlo ad una temperatura non superiore ai 14-16 gradi, valido compagno di una bevuta serale settembrina a base di amici e racconti post-vacanza, storie di luoghi, profumi e colori chiari e splendenti, proprio come le spiagge di ghiaia ed il mare da Cirò Marina a Torre Melissa.


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