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Ruffoli, Camartina 2001 Querciabella

25 gennaio 2010

Riflessione: chi ha paura dell’acidità? Ci hanno costretto negli ultimi vent’anni a bere di tutto pur di affrancare alla rotondità l’unico piacere di beva possibile. Ci hanno detto che il tannino è cosa dura e indigesta, che l’acidità è contro per antonomasia e che se volevamo potevamo pure comprarcelo un vino del genere, con quelle caratteristiche, però era meglio aspettare dieci anni prima di berlo. E se prima ci rimango? Beh, cavoli tuoi. Hanno cominciato (ricordo più, ricordo meno) “tagliandoci” il Chianti, poi, a valanga con la Marca Trevigiana, cabernettizzata a più non posso, così in Piemonte con vani tentativi senza mietere successi importanti, sino a che non si è scoperto il vaso di Pandora prima in Puglia e poi in Sicilia, oltraggiate sino all’impossibile prima di stenderci un velo pietoso, tutto nel buon nome della chardonnetizzazione e della merlotizzazione, parole incomprensibili, vini peggio, in nome di una omologazione passata più o meno inosservata prima dei sani pentimenti.

Omologazione o no, c’è stato e c’è chi ha saputo trarre da quell’onda anomala, partita a fine anni sessanta, grandi opportunità, e fondare su sani principi piccoli gioielli enologici. Querciabella sorge nel cuore del Chianti più classico, posta sulle pendici della collina di Ruffoli a Greve in Chianti, è il 1972 quando Pepito Castiglioni s’incammina, con alcuni altri pionieri verso quel rinnovamento tanto sentito a quel tempo in Toscana quanto fronte di continuo ed acceso confronto e dibattito protrattosi sino ai giorni nostri. L’azienda si può dire ad oggi praticamente convertita alla biodinamica, percorso avviato circa una decina di anni fa, non senza difficoltà, ma nulla togliendo alla bontà complessiva dei vini si può dire soddisfatta della buona capacità espressiva soprattutto quando si parla di CamartinaPalafreno. Dopo la scomparsa di Pepito, il testimone è passato al figlio Sebastiano Cossa Castiglioni che sta proseguendo imperterrito la strada solcata dal padre, i 60 ettari aziendali, a detta di molti wine writer rappresentano un vero e proprio giardino nel cuore del Chianti Classico e le circa 200.000 bottiglie che ne vengono fuori ogni anno, un buon esempio di come l’uomo riesce ad interpretare al meglio ciò che la natura gli consegna.

Beviamo il Camartina 2001 tra amici, ci sorprende la buona vivacità di colore nonostante i nove anni, rubino tendente al granata, concentrato, poco trasparente. Prodotto da uve sangiovese, cabernet sauvignon, merlot e syrah, al naso ci chiede un po’ di tempo prima di aprirsi completamente, non gliene concendiamo tanto, ma la pulizia olfattiva ci consegna dapprima frutti neri, poi note floreali passite e costantemente sensazioni balsamiche, eteree e salmastre, ben fuse e legate tra loro. In bocca il vino è asciutto, austero, più che tannino è l’acidità a tirare le corde di un gusto essenzialmente equilibrato seppur giocato costantemente sulla lieve percezione di acidità sempre in primo piano. L’abbiamo colto, a detta di tutti, in piena maturazione, forse all’apice della sua parabola espressiva, buono, piacevole, giustamente carico di frutto che ritorna più o meno vigoroso sul finale di bocca. Su Caciocavallo podolico e soppressata arianese per gentile concessione dell’amico Tonino Pisaniello.


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