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Lapio, Fiano di Avellino Tognano 2017 e 2016 di Rocca del Principe

5 settembre 2020

E’ un luogo d’elezione per il Fiano di Avellino Contrada Arianiello, a Lapio; camminarci le vigne, calpestare questa terra argillosa, lasciarsi carezzare il viso dal fresco soffio del vento, continuamente baciati dal sole, dona sensazioni di appartenenza straordinarie che arrivati a Tognano sembrano conquistare pienezza e consistenza irreprensibile, un luogo segnato da una pietra miliare scolpita nella roccia lapiana.


C’ha messo qualche anno Ercole Zarrella nel decidersi a mettere in bottiglia una quota parte del suo Fiano di Avellino proveniente da questo pezzo di terra, tirandone fuori un nuovo vino, qui dove insistono tra l’altro residui di lapilli e pomici nel substrato e il vitigno sembra aver conquistato piena coscienza della sua proverbiale forza evocativa, la sua capacità di maturare, evolvere, crescere senza disperdere nemmeno un filo della sua freschezza e della sua viva materia.

E’ il 1990 quando proprio qui si piantano i primi filari specializzati di Fiano, è anzitutto qui che negli anni a seguire si lavora per conservare una propria identità caratteriale innestando la restante parte del vigneto, oggi di 4 ettari, con talee provenienti esclusivamente dalle vigne di proprietà. Per la prima volta, con l’annata 2014, venne fuori Tognano, proprio da queste vigne che giacciono su terreni caratterizzati da argille e sabbie di medio impasto, tratteggiati da consistenti sedimenti di origine vulcanica, dove il microclima è particolarmente asciutto e ventilato, poste a circa 550 mt s.l.m..

Le uve vengono di sovente raccolte ai primi di ottobre, sottoposte a macerazione con le bucce per circa 15 ore, lasciando il mosto fiore fermentare in acciaio per circa 45 giorni; un protocollo di base, non certo un dogma, soprattutto da quando in cantina c’è Simona Zarrella, la giovane enologa di famiglia, a scuola con Luigi Moio in cattedra, che a quanto pare sembra avere le idee ben chiare, quello che conta è l’attenzione e la particolare aspettativa che si nutre per le uve provenienti da questo che possiamo definire a tutti gli effetti un vero e proprio Climat.  


Il vino resta poi in acciaio per almeno un anno, tanto quanto in bottiglia prima di vedere l’uscita sul mercato. Ad occhi chiusi, bicchiere alla mano, pare di stare ad appena un palmo di mano da certi territori d’oltralpe, tipo Chablis e dintorni, luoghi tanto amati dai cercatori di emozioni più attenti. Qualche anno fa scrivemmo che il tempo e l’intraprendenza di alcuni farà di Lapio, con ogni probabilità, un vero e proprio Cru della Docg alla maniera borgognona, non siamo poi tanto lontani, in effetti, frattanto ci accontentiamo, se così si può dire, di godere di bianchi ogni anno più coinvolgenti, profondi, pienamente espressivi a tal punto dall’essere, in certi casi come questo, davvero unici.

****/* Fiano di Avellino Tognano 2017. L’annata è ritenuta calda, torrida per certi versi, eppure sia il colore che l’impronta olfattiva di questo vino sembrano consegnare al bicchiere un racconto tutt’altro che scontato. L’aspetto conserva un bel giallo paglia, ben luminoso, mentre il naso sovrappone sentori fruttati di frutta a polpa gialla a piacevolissimi rimandi agrumati, poi balsamici, di macchia mediterranea, con un abbrivio finanche salmastro. Il sorso è secco, riempie la bocca con la sua morbida piacevolezza, carico di frutto, possiede buona persistenza gustativa, di finissima tessitura.

***** Fiano di Avellino Tognano 2016. E’ una splendida lettura varietale questo Tognano duemilasedici, davvero suggestivo e ricco di stoffa. Il colore è splendido, paglia oro, il naso regala frutta a polpa bianca, anche esotica, fiori gialli, erbe aromatiche, spezie, balsami, richiami salmastri. Ha però forma e sostanza, si conferma la duemilasedici una grande annata da queste parti, l’annata della gioia come abbiamo già avuto modo di dire qualche recensione più in là, un millesimo che ha regalato vini di gran frutto e spalla acida, trame finissime ordite con manico intelligente. Vini consegnati nelle mani del tempo, certamente capaci di evolvere, mutare, superando i tratti più immediati del varietale per lasciare spazio al carattere minerale più complesso e identitario che lo lega indissolubilmente a questo straordinario territorio.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

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Lapio, storica verticale di dieci annate di Fiano di Avellino di Rocca del Principe

26 agosto 2020

Rocca del Principe nasce nel 2004, sino ad allora la proprietà familiare conferiva le proprie uve, come spesso accadeva da queste parti, a terzi produttori imbottigliatori; così Ercole Zarrella, sua moglie Aurelia Fabrizio ed il fratello Antonio decisero di mettersi in proprio e puntare dritto nel produrre Fiano di Avellino, Aglianico e Taurasi che esprimessero al meglio una precisa loro idea di vini di territorio.

Oggi, a distanza di più di tre lustri, Rocca del Principe offre davvero un piacevole colpo d’occhio a chi arriva qui a Lapio, la cantina è proprio sulla strada provinciale Appia, in Contrada Arianiello, conta all’incirca 10 ettari di proprietà dei quali 6 coltivati a Fiano e più o meno 1,5 ad Aglianico. Le vigne del Fiano sono tutte allocate proprio lungo il colle Arianiello, la parte più alta (e suggestiva) di Lapio che rappresenta, non solo per gli appassionati, una delle zone in assoluto più vocate in regione alla coltivazione di Fiano di Avellino, possiamo dire un vero e proprio Grand Cru della denominazione.

I primi impianti risalgono in larga parte al 1990, con alcuni reimpianti del 2014, collocati su due versanti opposti del colle, a Nord e a Ovest. Il vigneto di Aglianico insiste invece in contrada Campore, anche questo da annoverare tra i luoghi di maggiore vocazione del territorio per il Taurasi, posto a 500mt s.l.m. con esposizione Sud/Est, su terreni caratterizzati soprattutto da marne argillose e calcaree, areale questo qui a Lapio dove l’Aglianico è sempre stato coltivato con grandi risultati prima di lasciare strada alla vasta diffusione del Fiano, vitigno che anche qui ha rischiato seriamente di scomparire del tutto prima di essere riportato a nuova vita, a partire dalla fine degli anni ’70, sulla spinta del grande successo commerciale delle bottiglie prodotte dalla famiglia Mastroberardino.

Qui la diversità dei terreni è fondamentale, la loro differente composizione incide in maniera molto particolare sul vino che ci arriva nel bicchiere. Parte degli ettari di Fiano, circa 4 e mezzo, sono collocati tra la parte più alta della proprietà a 600mt s.l.m. del versante nord di Contrada Arianiello, sino a degradare ai 550mt di Contrada Tognano, dove godono di un clima più fresco e ventilato con escursioni termiche decisamente più accentuate rispetto al circondario della docg. I terreni di questa zona poi sono più sciolti, caratterizzati da chiare origini vulcaniche, costituiti da uno strato superficiale di limo, sabbia, arenarie e lapilli e solo in profondità da argilla; una caratteristica che permette al suolo di trasmettere umidità anche nelle annate più calde, non a caso i vini prodotti in questa zona sono generalmente più fini ed eleganti ma anche più ricchi in acidità, nonché capaci di donare sensazioni minerali più accentuate.

La restante parte di Fiano è collocata sul versante Ovest sempre di Contrada Arianiello e in Contrada Lenze, entrambi a circa 570mt sul livello del mare. Da questa parte il microclima è generalmente più caldo ed asciutto ed il terreno più compatto, perlopiù di natura argillosa-calcarea con marne argillose in evidenza. I vini provenienti da questa zona sono di solito più ricchi, fruttati e morbidi.

I vini ottenuti dai due versanti confluivano generalmente in unico Fiano di Avellino, almeno sino al duemilaquattordici, da quando, dopo un’attenta analisi e più di un exploit in termini di espressione massima, si è cominciato a mettere in bottiglia una seconda etichetta con le sole migliori uve provenienti da Tognano, ma di questo ve ne parleremo più dettagliatamente in un prossimo post.

Presto invece ci sarà spazio per un nuovo piccolo Cru, il Fiano di Avellino Neviera, che abbiamo provato in anteprima, frutto di una intelligente e sapiente lettura di una piccola parte del raccolto duemiladiciannove da parte di Simona Zarrella, la giovane enologa di casa, allieva di Luigi Moio¤, già pienamente a suo agio nella cantina di famiglia. E’ un bianco molto interessante, fitto, ampio e complesso, che uscirà probabilmente tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022; le uve provengono da una parcella collocata dove una volta qui a Lapio c’era una neviera, precisamente una conca, ora vitata, che un tempo serviva per l’accumulo delle precipitazioni nevose che, grazie alla particolare connotazione rocciosa dei terreni e alla fitta vegetazione boschiva, riuscivano a conservarsi fin quasi alla fine del periodo estivo. 

Prima di lasciare spazio alle note descrittive dei vini assaggiati, corre l’obbligo di una doverosa premessa: sono tutti vini bianchi di straordinaria fattura, luminosi, verticali, precisi, spesso trasversali, in certe annate infiocchettati a dovere ma comunque buonissimi a bersi nonostante la giovane età. Sono questi vini dove c’è dentro tutta la forza di una terra straordinaria, c’è l’ebbrezza dello spazio infinito sopra Lapio, vissuto senza un filo di vertigini, c’è il sole riflesso sul pelo sull’acqua che non c’è ma se ne sente il fragore, quella calda sensazione che si colloca con precisione millimetrica nel sapore mediterraneo di un Fiano di Avellino avvenente, sferzante, balsamico e sapido, non a caso, sin dagli esordi, tra i migliori in circolazione.

****/* Fiano di Avellino 2019. L’ultimo nato, decisamente verticale e pieno al sorso. Il colore è paglia luminoso, ancora ”verde” sull’unghia del vino nel bicchiere, il corredo aromatico è particolarmente avvenente, floreale e fruttato, vengono fuori fiori d’arancio e litchi, ma anche kumquat e camomilla; l’annata pare offrire tanto equilibrio, ripreso dopo 1 ora, al riassaggio, tira fuori tanta più materia soprattutto al palato, è secco, fresco e sapido.

****/* Fiano di Avellino 2018. Di colore paglia, bello a vedersi, al naso è subito caratterizzato da sentori floreali e fruttati molto fini, ancora fiori d’arancio, poi agrumi (mandarino), degli accenni di frutta secca e balsami, erbe di montagna. Il sorso è asciutto, piacevolmente fresco e sapido, con una buona persistenza gustativa. E’ forse un vino più orizzontale, nonostante l’annata sia stata fresca, ma in questa fase appare infatti distendersi più in larghezza.

**** Fiano di Avellino 2017. Annata calda la duemiladiciassette, torrida per certi versi, l’impronta olfattiva risulta un tantino monocorde. Il colore conserva un bel giallo paglierino, qui le sensazioni fruttate sembrano ben mature, vi si colgono susina e pera, un piccolo accenno salmastro. Il sorso è secco, morbido, possiede buona persistenza aromatica e fruttata.

***** Fiano di Avellino 2016. Si conferma la duemilasedici l’annata della gioia qui a Lapio, annata fresca che richiama alla mente vini tipicamente mediterranei: il colore è paglia con riflessi oro appena accennati, il naso è ricco, voluttuoso, è floreale, fruttato, iodato, il frutto lascia subito spazio alla terra, svelando rimandi di frutta secca e spezie, dello zenzero candito. Nessuna concessione al tempo, sembra appena sbocciato, esempio di come il Fiano, più di ogni altro bianco campano, negli anni, sia capace di mutare lasciandosi alle spalle i tratti più immediati del varietale per lasciare spazio al carattere minerale più complesso e identitario che lo lega indissolubilmente al suo straordinario territorio.

**** Fiano di Avellino 2015. E’ stata una annata di sacrifici la duemilaquindici, appena 45 quintali di resa per ettaro portati in cantina. Resta un bianco di grande equilibrio olfattivo e gustativo. Annata calda, non eccessivamente, ma calda. Il colore conserva quello splendido giallo paglierino luminoso, nel bicchiere ci arriva un vino dal corredo aromatico finissimo ed elegante, aristocratico, è il primo della batteria dal quale cogliamo sensazioni di idrocarburi. Il sorso è secco, caldo, di lunga persistenza e piacevolezza di beva. In etichetta risalta il 14% di alcol in volume.

**** Fiano di Avellino 2014. Ne apriamo un paio, la prima ha qualche problema di sughero, a quel tempo in effetti ci fu qualche impasse con la scelta dei tappi, ci tiene a precisare Ercole Zarrella che ci accompagna nella splendida degustazione. Ci troviamo di fronte ad un grande bianco, intessuto di pienezza e complessità, ricchezza di frutto e tanta sostanza, sembra un bianco di Meursault senza il legno di Meursault. Impegnativo come confronto? Per niente! Di colore paglierino-oro, all’olfatto viene fuori immediatamente la matrice fruttata e speziata, poi la generosa terra, anche note salmastre e terziarie di lievi note di idrocarburi. Non è forse il vino che meglio rappresenta lo stile dei Fiano di Avellino di Rocca del Principe, eppure ci regala una gran bella bevuta.

****/* Fiano di Avellino 2013. Colore imperterrito, nessuna concessione al tempo, paglia-oro luminoso. Vi è in questo vino una dicotomia precisa, c’è un naso intenso, verticale, anzitutto fruttato e balsamico mentre il sorso, pur conservando una certa freschezza e piacevolezza, resta circoscritto e contratto. Buonissimo a bersi ora, ritroviamo il 13% in volume in etichetta.

**** Fiano di Avellino 2012. La longevità di questi vini non sorprende più ovviamente, rimarchevole il grande equilibrio che viene fuori dopo qualche anno di bottiglia, come la finissima tessitura di un bianco di 8 anni che si presenta così in splendida forma. Il colore è perfetto, nessuna dimostrazione di segni di stanchezza, come il naso, subito floreale, poi fruttato maturo, appena empireumatico. Il sorso è coinvolgente e fresco, ha stoffa, è sapido e di buona persistenza aromatica, è da annoverare tra quei vini di cui non smetteresti mai di godere.

***** Fiano di Avellino 2011. Con il duemilasedici il migliore della batteria, magari appena una spanna sotto, senza voler contare gli anni alle spalle. Resta un grandissimo vino! Con tanto frutto e sostanza dentro, c’è terra e sole, come la ’13, la ’16 e la ’18 anche la duemilaundici è stata un’annata di grande equilibrio. Bellissimo il colore paglia-oro, luminoso, il naso è profondo e complesso, un sorso stilla millemila piacevoli sensazioni gustative. Un grande Fiano di Avellino questo di Ercole Zarrella, di quelli che non finiresti mai di bere, offrire, in qualsiasi momento, occasione, abbinamento.

**** Fiano di Avellino 2010. Non è semplice avvicinarsi a certi bianchi senza rimanerne colpevolmente distanti, è qui che con ogni probabilità si comincia a sorseggiare l’anima più ancestrale dei vini di questa terra, dove si coglie l’esperienza del giovane vignaiolo che inizia a ”saper leggere” le sue vigne e la sua terra ben oltre il manico suggerito. Proprio a partire da qui, seppur lievemente, si fanno spazio certi aromi tostati e affumicati tipici di alcuni Fiano di Avellino, di questi territori in particolare, con espressioni molto riconoscibili del varietale e del terroir lapiano, un timbrica votata al minerale che conduce subito a iodio, note fumé e più in generale a idrocarburi.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

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© L’Arcante – riproduzione riservata


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