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Reims, Champagne Grand Cru 2004 Pommery

19 gennaio 2012

Seguiranno post più esaustivi su questa breve ma interessante esperienza in terra di Champagne. Il tempo come sempre non basta mai, corre veloce, velocissimo, e qui, credetemi, non basterebbe un anno intero (o forse sì, non so) di giri in giro e degustazioni per comprendere a pieno tutto il valore di questi luoghi.

Della storia del Domaine Pommery, ovvero Vranken Pommery (vrancaén-pommerì, pronuncia alla francese, ndr) avremo tempo di scriverne. C’è infatti molto da dire, e non solo sulle splendide monumentali cantine: 18 chilometri di gallerie, 120 cave di gesso di origine gallo-romana ed una imponente “macchina da guerra” dell’ospitalità, capace di accogliere centinaia di migliaia di visitatori ogni anno con la stessa tranquillità, precisione, piena soddisfazione, con la quale di solito ci si prende un caffè al gettonatissimo bar del centro; ma anche e soprattutto per aver ritrovato nei bicchieri – superato l’emozionante ricordo di quella sontuosa scalinata di 116 gradini che conduce alle suggestive caves -, quella qualità espressiva, quella sostanza, con la quale si ha certezza di non stare a darla da bere soltanto agli occhi ma che sì, Thierry Gasco, lo chef de cave, sta davvero facendo un grande lavoro di fino con le sue cuvée, tirando fuori grandi vini, animando così con forza perentoria quel sospirato rilancio del marchio, indubbiamente imponente, ma assolutamente da rivalutare dal punto di vista qualitativo.

E cominciamo a farlo con questo imperdibile Grand Cru millesimato 2004, da chardonnay e pinot noir al 50&50. Bellissimo il colore paglierino, decisamente brillante. La spuma, copiosa e delicatissima, anticipa tanta finezza e complessità. Il primo naso è entusiasmante, verticale e coinvolgente. E sorprende, conquistandolo, anche il più disattento dei degustatori, perché non ha nulla a che spartire con le classiche immediate note burrose e di lievito di certe cuvée. Qui vince una riconoscibilità immediata del frutto, e del millesimo, rivelatosi, ci dice Thierry, eccezionale e pregnante nei vigneti grand cru ad Ay come che nella Cote des Blancs.  E così la scelta di andarci piano anche col dosage, qui intorno ai 10 mg/litro, concedendogli quindi di distendersi nel tempo lentamente e sulle “proprie gambe”: soavi e assai affascinanti i richiami floreali, avvincenti invece le sfumature di camomilla, miele e agrumi canditi. Il sorso è voluminoso e vellutato, le bolle non aggrediscono il palato, così la beva risulta avvolgente e dissetante, con ancora un fresco richiamo agrumato sul finale di bocca, certamente secco e sostanzialmente sapido. Ecco, magari cercavate uno Champagne a tutto pasto… bene, l’avete trovato!

In poscritto: io sono fatto così, quando qualcosa non mi torna, metti un vino o un’azienda che non mi hanno convinto del tutto (leggi qui), non butto tutto alle ortiche, ma cerco di capire. Talvolta ci metto tempo, possono passare anche degli anni, del resto il vino non è tutto nella vita, e il fegato è uno solo; però so aspettare, e anche ricredermi (soprattutto quando ho avuto ragione).


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