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C’è il profumo invitante della primavera nello Champagne Blanc de Blancs s.a. di Alain Thiénot

15 aprile 2020

Si assiste negli ultimi anni ad un sempre crescente successo dello Champagne in tutto il mondo, i grandi marchi sono stati affiancati nel frattempo da innumerevoli piccole etichette di varia connotazione che in molti casi hanno saputo ben ritagliarsi il proprio spazio sul mercato e in particolar modo tra gli appassionati più attenti.

Abbiamo quindi imparato a ”leggere” e apprezzare etichette di cuvée delle più differenti, i grandi numeri sono certamente rimasti appannaggio delle grandi Maisons che per la verità continuano a fare il bello e cattivo tempo nel mondo ma anche nella stessa regione dove, giusto nel mezzo, cioè tra questi mostri sacri e i tanti cosiddetti ”piccoli” Negociant e/o Manipulànt della new wave, hanno saputo consacrarsi, con grande slancio, anche alcuni nomi non nuovi ma di sicuro affidamento proprio come Alain Thiénot, già stimato e apprezzato commerciante di vini nonché profondo conoscitore dell’area, che nel 1985 ha avviato la sua straordinaria cavalcata tirando su un’azienda tutta sua, affidata poi nelle mani dei figli Stanislas e Garance, oggi tra le più apprezzate della Champagne.

Il suo Blanc de blancs s.a. è l’asso di cuori da giocare nel momento più opportuno, non solo durante i momenti di festa. Si tratta di un vino composto per l’80% di vini Riserva ai quali viene aggiunto un 20% di vini d’annata. Stiamo parlando di Chardonnay provenienti dagli areali maggiormente vocati di Avize e Vertus sul versante sud della Cote des blancs e più a nord da Villers-Marmery, verso la Montagna di Reims, qui dove la famiglia Thiénot, da oltre 30 anni tira fuori grandi vini per le sue cuvée più prestigiose tra le quali il millesimato Vigne aux Gamins e l’assemblaggio di millesimati Cuvée Stanislas.

Uno Champagne sans année davvero notevole, e questo nuovo assaggio lo conferma a pieno: di colore paglierino carico e brillante, una volta nel bicchiere è subito invitante e coinvolgente, con una spuma delicatissima, e bolle fini e regolari, intense, persistenti. Il naso rivela immediatamente tutta la sua anima verticale e aristocratica, è intrigante, vi si colgono sentori finissimi e vibranti di agrumi di limone e pompelmo, emerge nel bicchiere il profumo invitante della primavera, certe caratteristiche note floreali e di fragrante pasticceria. Il sorso è un tripudio di freschezza minerale, asciutto e generoso, teso il giusto, accompagnato nella beva da una carbonica misurata e un finale di bocca citrino e sapido.

Leggi anche Reims, Champagne Cuvée Brut Rosé Alain Thiénot Qui.

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Sono a Épernay dal 1687 e noi solo oggi scopriamo gli Champagne di Mélanie e Benoît Tarlant

29 dicembre 2019

Siamo decisamente in ritardo, potremmo dire ben oltre ogni ragionevole dubbio, tant’è con quasi 335 anni di ritardo scopriamo gli Champagne di Mélanie e Benoît Tarlant.

Scherzi a parte, puntando il dito sulla regione viticola a nord-est della Francia, più o meno a 150 km a est di Parigi, e precisamente sulla Vallée de la Marne, il nome Tarlant non è proprio il primo che ti viene in mente ma forse proprio per questo il successo di queste bottiglie, oggi, vale molto più di quanto si possa pensare. Eppure, Mélanie e Benoît Tarlant rappresentano la dodicesima generazione di una famiglia presente nell’area sin dal 1687 e che ha iniziato a produrre Champagne già dal 1929, proprio a cavallo degli anni delle prime leggi sulla regolamentazione e costituzione dell’attuale AOC (1927-1935).

Rispetto alle aree maggiormente conosciute della Vallée, a nord est di Epernay – dove insistono i Grand Cru di Ay e Tours sur Marne, ndr -, qui siamo a Oeully, un po’ più a ovest sulla cosiddetta Rive gauche della Vallée de la Marne, un comprensorio di quasi 140 ettari dei quali oltre il 50% coltivato a Pinot Meunier, 14 dei quali gestiti dai Tarlant. Stiamo parlando di oltre 50 parcelle di vigne con terreni dalle caratteristiche geologiche molto differenti tra loro, certi di natura argillosa-calcarea, altri ricchi di sabbia e gesso, altri ancora con massiva presenza di ciottoli e fossili, tutte coltivate in maniera biologica e biodinamica anche se prive di certificazioni ufficiali. Le bulles provenienti da questo areale possiedono generalmente uno spettro aromatico particolarmente fruttato ed un sorso pronto e morbido.

Le cuvée di Benoît sorprendono anche per questo, vanno ben oltre questo cliché e sanno essere avvenenti e piacenti al naso ma freschissime e taglienti al palato e questo grazie ad un lavoro selettivo maniacale in vigna ed una vinificazione scrupolosa che non prevede fermentazione malolattica né di filtrare i vini. Vengono fuori così, ogni anno, poco più di 130.000 bottiglie che si possono considerare a tutti gli effetti dei pezzi unici, Champagne ricchi di complessità, luminosi e maturi al naso ma finanche asciutti e sapidi, sin da giovani, soprattutto nel caso dei sans année come il Brut Zero che tanto ci è piaciuto, non a caso a dosaggio zero, con ben sette anni sui lieviti prima della sboccatura.

Champagne Brut Cuvée Louis Tarlant - Foto L'Arcante

Buona anche la Cuvée Louis, da Pinot Noir e Chardonnay in pari quantità, il fiore all’occhiello dei Tarlant,  intenso e vigoroso, ricco di materia ma equilibrato e avvenente, dal naso complesso dove spiccano, tra le altre, sensazioni boisé e frutta secca e dove il sorso si avvantaggia anzitutto per struttura e complessità più che della mineralità e della freschezza.

Il Brut Zero, da Chardonnay, Pinot Noir e Meunier fermentati in legno, sembra invece possedere a nostro avviso un carnet di spontaneità e ”pulizia” più ampio, c’è anche in questo Champagne tanta materia, anticipata da un naso fine agrumato che sa di mandarino e pompelmo, di erbe aromatiche e mela limoncella, e sensazioni che rimandano all’odore di gesso, materia sostenuta da un sorso pieno di freschezza, vivace, che si fa largo minerale e sapido e che conduce la bocca, assaggio dopo assaggio, in un vortice di puro piacere per il palato. E’ proprio il caso dire: ”Tarlant? Eh sì, meglio tardi che mai!”.

Leggi anche I Migliori Champagne dell’anno secondo la Revue du Vin de France Qui.

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Champagne Terre de Vertus 1er Cru 2013 di Larmandier-Bernier, un manifesto di spiccata mineralità

20 dicembre 2019

C’è un grande lavoro dietro le bottiglie di Sophie e Pierre Larmandier, un lavoro che muove da principi e valori molto solidi e dalla volontà di produrre Champagne di grande personalità senza sovrastrutture o forzature inutili, orpelli che il più delle volte conducono ad emulare più che creare, seguire una scia anziché tracciare una strada.

L’azienda, per tutti gli appassionati non ha certo bisogno di particolari presentazioni, ha una storia antica che risale gli annali sino al lontano 1765, poi, come tante famiglie del vino champenoises ha vissuto alcuni alti e bassi di generazione in generazione sino ad arrivare ai giorni nostri con grande considerazione da parte della critica e degli appassionati di Champagne, nonché lanciatissima sul futuro prossimo a venire.

Le sue vigne si trovano nei migliori cru della Côte de Blancs, anzitutto a Vertus (Premier Cru) e Cramant, ma anche a Chouilly, Oger e Avize, tutti Grand Crus dell’areale più ambito della Côte; sostenitori a piè mani della Biodinamica, dal 1999 nelle terre di famiglia si fa viticoltura esclusivamente in maniera naturale e si usano per le vinificazioni solo lieviti indigeni. Tutti i processi produttivi rispettano un rigido protocollo aziendale votato alla salubrità, nessun collaggio, né filtraggio e i dosaggi, quando necessari, sono ridotti al minimo indispensabile. Il sale e la consistenza della materia, unita a tanta freschezza e ”cremosità” sono i tratti distintivi del Terre de Vertus duemilatredici.

Il colore è splendido, paglierino con riflessi appena dorati, le bolle sono fitte e persistenti, il naso è subito ricco di sfumature e piacevoli rimandi: sa di agrumi, pesca gialla, nocciola, ma anche di zenzero e crosta di pane. Il sorso appare tagliente, si fa spazio al palato dritto e insistente ma poi la bocca si fa setosa e delicata, sul finale sapida e gustosissima; così è proprio un gran bel bere, un manifesto di spiccata mineralità.

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Cosa rimane del blasone dello Champagne (buono)

6 agosto 2019

Ci si avvicina alle vacanze, l’estate impazza, la sete vira su vini leggeri, talvolta poco impegnativi da bere in maniera spensierata e senza troppe fisime. Poi però c’è lo Champagne, che in un modo o in un altro ti mette sempre davanti ad una scelta: so sempre buoni, ma meglio quelli di marca o quelli misconosciuti di piccoli produttori?

Negli ultimi anni, questo va detto, quale che sia lo Champagne nel bicchiere si può affermare oltre ogni ragionevole di dubbio che è più buono di quello degli anni passati e che fiumi di bulles continuano ad alimentare un mercato fiorente e costantemente in crescita nei numeri, per alcuni, davvero impressionanti.

Tutto ciò ha dato la stura ad interessi economici molto importanti che hanno dato una vera e propria scossa, oltre che alle storiche Maisons, per fare meglio¤ o inventarsi altro¤, anche a tanti piccoli vignaioli e commercianti di uve e vini che si sono spinti finalmente ad intraprendere strade nuove che in più casi hanno portato a delle affermazioni importanti di tanti nuovi marchi di successo.

I fattori che hanno contribuito a questa crescita qualitativa sono molteplici, legati ad esempio ad una migliore interpretazione della viticoltura, ai passi in avanti in alcune tecniche di cantina e, non ultimo, ai cambiamenti climatici che negli ultimi vent’anni hanno indubbiamente reso questa regione un posto ancor più vocato per la produzione di vini contribuendo di fatto a ridurre e stabilizzare alcune ataviche problematiche di maturazione dell’uva che a queste latitudini hanno sempre creato non pochi problemi.

Ecco spiegato il successo di piccoli vignerons, quei Récoltant Manipulant di cui poco si sapeva e conosceva oltre i confini nazionali francesi, talvolta oltre gli stessi confini della Champagne. E questo è senz’altro un valore aggiunto per l’appassionato che ha più possibilità di scoperta e di godere di tante (nuove) buone bottiglie, anche di facile reperibilità e il più delle volte a prezzi più che onesti.

E’ questa una generazione di produttori probabilmente più attenta e preparata di quella che l’ha preceduta, in particolar modo nel coltivare la vigna e fare vino, più che assemblare cuvée. Un valore aggiunto? Chissà, forse più un rischio, non è ancora del tutto chiaro, al centro di tutto vi è una ricerca spasmodica, quasi un’ossessione per la territorialità, l’unicità come un mantra che rischia però di condurre a bottiglie sicuramente di grande personalità ma talvolta un poco meno rappresentative della tipologia. Alla fine, per noi, tra quelli di marca o quelli misconosciuti di piccoli produttori ci va bene tutto, purché buoni, ma, soprattutto, che siano però Champagne e non vino con le bolle!

Leggi anche L’Eau de roche Qui.

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Reims, Champagne Blanc de Blancs Alain Thiénot, la Cuvée che mancava per sorprendere!

26 giugno 2019

E’ forse la prima cuvée tutta di Nicolas Uriel dopo il suo ingresso come Chef de cave alla Maison Thiénot nel 2008, al posto di Laurent Fédou. Ci sono voluti almeno 5 anni di lavoro per mettere assieme il profilo giusto per uno Champagne Blanc de Blancs di grande piacevolezza eppure intenso, puntuto, godibilissimo.

Champagne Blanc de Blancs Thiénot - foto A. Di Costanzo

Si tratta di un vino composto per l’80% di vini Riserva ai quali viene aggiunto un 20% di vini dell’annata. Stiamo parlando di Chardonnay provenienti dagli areali maggiormente vocati in Champagne, Avize e Vertus sul versante sud della Cote des blancs e più a nord da Villers-Marmery, verso la Montagna di Reims, qui dove Alain Thiénot, da oltre 30 anni tira fuori grandi vini per le sue cuvée più prestigiose tra le quali il millesimato Vigne aux Gamins e l’assemblaggio di millesimati Cuvée Stanislas.

Di colore giallo paglierino brillante, l’insieme nel bicchiere è subito invitante e coinvolgente, la spuma è delicatissima, le bolle fini e regolari, intense, persistenti. Al naso rivela immediatamente tutta la sua anima vivace e intrigante, vi si colgono sentori di agrumi di limone e pompelmo, caratteristiche note floreali e di pasticceria. Il sorso è asciutto e generoso, teso il giusto, con carbonica misurata e un finale di bocca freschissimo e sapido.

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Intervallo| Strappalacrime

26 agosto 2014

‘…gli R.D. sono stati Grande Année, ma non tutte le bottiglie di Grande Année saranno R.D’. Ovvero il valore del tempo, la rarità e l’audacia.

Champagne R.D. 1985 Bollinger - foto A. Di Costanzo

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Champillon, Les Perles de la Dhuy ’05 Autréau

2 novembre 2013

Champagne Grand Cru Prestige Millésimé Les Perles de la Dhuy 2002 Autréau de Champillon - foto L'Arcante

A guardare in giro sembra sempre sfuggirti qualcosa ma la differenza che passa tra gli Champagne e gli altri sta proprio nel fatto che da quelle parti sono possibili continuamente nuove scoperte.

Gli Autreau¤ si danno da fare dalle parti di Champillon, nei dintorni di Epernay sin dal 1670. Ma quello che portano in bottiglia oggi sono una piccola serie di buone etichette (poche bottiglie per la verità) che dalle nostre parti sfuggono ai più ma che grazie all’amico Andrea Gori¤ ho pensato di andarmi a cercare per capirci qualcosina in più. La chiave di lettura appare molto semplice ma al contempo estremamente contemporanea: bevibilità!

Questo Champagne Prestige Millésime Grand Cru ’05 è secondo me la loro punta di diamante. Fa tesoro di un millesimo straordinario, proprio per questo non ha sovrastrutture inutili e cosa a me sempre molto cara non ha bisogno di un libretto d’istruzione prima dello stappo. Nel senso che a leggere l’etichetta tutto quello che pensi di trovarci dentro te lo ritrovi pari pari nel bicchiere. Chardonnay della Cote des Blancs (Chouilly) e pinot noir in larga parte di Ay per una cuvée di straordinaria intensità, fittezza ed eleganza. Il naso è pulito, fresco e balsamico, sa di frutto della passione e ananas, menta ed erbe di montagna e chiude delicato e sapido con un ritorno finale di note dolci d’acacia. Una bottiglia davvero deliziosa!

Epernay, Blanc de Blancs 1er cru 2005 Mandois

14 febbraio 2013

Pare ascoltarli gli innamorati che in queste ore fanno mille pensieri, smorfie, promesse pur di non mancare “l’appuntamento” dell’anno col proprio destino. E suona un po’ così: “dammi tre parole…”.

Champagne Blanc de Blancs 1er cru 2005 Mandois - foto A. Di Costanzo

Oggi di tappi ne salteranno a centinaia di migliaia, milioni in tutto il mondo, soprattutto di Champagne. In questo mare infinito di bolle i più fortunati avranno letto appena in tempo questo breve post prendendo per buona questa bottiglia di Claude Mandois, uno chardonnay imperdibile che personalmente amo profondamente. Invero, chi si fosse innamorato della precedente 2004¤ sappia aspettarsi qualcosa di meno, appena una minore spinta acida che gli donava quel non-so-ché di materico davvero apprezzabile, ma pure il 2005 va da se che è una bomba di piacevolezza.

Le credenziali stanno tutte là in etichetta, in bella mostra: solo chardonnay della Côte des Blancs e delle Côtes d’Epernay, Premier cru, millesimato. Uno Champagne su cui vale la pena farci pochi giri di parole: è luminoso, fitto, con un gran naso elegante, fine, circostanziato; sa di fiori bianchi ed agrumi, erbette e balsami, il sorso invece è soave ma ben indirizzato, invitante e coerente, senza cadere in quelle note un poco amare o citrine talvolta indesiderate anche dai palati più attenti. Decisamente a tutto pasto!

Una bollicina per stasera? Leggi anche qui¤, o qui¤.

Quarto, dell’Asprinio d’Aversa 2011 e dell’Extra Brut s.a. Riserva di Grotta del Sole

5 dicembre 2012

Non v’è dubbio che Grotta del Sole conservi un ruolo di primissimo piano quando si vanno a raccontare certi territori campani ed alcune delle più antiche tradizioni enoiche regionali. E’ così ad esempio per quanto riguarda i Campi Flegrei, come nel ricordare il valore storico di un vino simbolo come il Gragnano, ma anche e soprattutto quando si parla di asprinio d’Aversa.

Asprinio d'Aversa 2011 Grotta del Sole - foto A. Di Costanzo

Un vino e un’uva che non sono mai mancati nel carnet dell’azienda di Quarto sin dalla sua fondazione, sui quali la famiglia Martusciello ha investito tante risorse e preteso sforzi importanti per salvaguardarne la coltura e la produzione. Un territorio vasto e poco battuto l’agro aversano ma che da sempre consegna alle tavole e ai palati più attenti un vino dalle caratteristiche organolettiche molto particolari, uniche per quanto concerne il panorama enoico nazionale; un vino di cui si parla sempre troppo poco, e del quale, ahimé, se ne beve sempre meno. Un bianco assai vivace quando giovane, come nel caso di questo duemilaundici, tenue e franco al naso come sottile e teso in bocca, ma al contempo capace di sfidare il tempo senza temerne l’angustia (leggi qui). Del resto è proprio l’asprinio che vanta una vocazione alla spumantizzazione che pochi altri varietali autoctoni italiani sanno reggere in maniera eguale.

Don Pedro de Toledo Brut & Asprinio d'Aversa Extra Brut Grotta del Sole - foto A. Di Costanzo

Non a caso Gennaro Martusciello, enologo dalle enormi conoscenze scientifiche prima che tecniche, ne intuì il potenziale sin da subito e lo mise alla prova con il metodo champenois, come testimoniano le primissime produzioni del Don Pedro de Toledo Brut; un ardire che gli valse per molti anni lo scherno quasi di amici e colleghi che fuori regione, con i grandi industriali dello spumante italiano, erano intenti già da tempo a scimmiottare variazioni sul tema Champagne lanciati pedissequamente alla ricerca di un terroir fac-simile che, è chiaro a tutti, non è invece replicabile fuori dal quel comprensorio che va dalla Montagne de Reims a la Vallé de la Marne o la Côte des Blancs.

Asprinio d'Aversa Extra Brut s.a. Grotta del Sole - foto A. Di Costanzo

Ciò che rimane allora non è che il varietale a fare la differenza, con anche tutto quello che si può fare in cantina per costruirgli intorno il vino. Ma se in cantina, tecnicamente, si riuscirebbe in qualche modo a cavare un ragno dal buco, senza un’uva di qualità, con particolari qualità s’intende, non si va da nessuna parte. Tant’è che l’asprinio, soprattutto quando spumante metodo classico, ha dimostrato nel lungo periodo, nel tempo, di comportarsi da grande vino, capace di maturare senza invecchiare, elevarsi senza disperdersi, offrire, in certe annate o cuvée, bevute davvero incredibili, per certi versi sontuose. 

Un metodo classico che fa dell’acidità un’arma inesorabile, che il tempo, dalla presa di spuma alla maturazione sui lieviti, durante l’affinamento in bottiglia, ingrassa senza appesantirlo e che, tra l’altro, ha bisogno, chiede, dopo la sboccatura, un dosaggio bassissimo quando talvolta nemmeno necessario. Così si spiega l’intensità e l’armonia dell’Extra Brut di Grotta del Sole che, nella ormai imminente sua prossima uscita, sarà nuovamente senza annata (s.a.), una cuvée di tre raccolti che vuole ancora una volta mettere l’accento sulla più autentica tra le produzioni di vino spumante in Campania. 100% asprinio d’Aversa. A noi non resta che godercelo.

L’eau de roche, o più semplicemente Champagne d’autore. La più bella bevuta dopo il week-end

2 novembre 2012

Ci sono bevute che rimangono ben fisse nella memoria. E poi le bottiglie, quelle che Anselme Selosse vuole fatte con “eau de roche” – “acqua di roccia”, da ricordare per sempre. Con chi le fa, quei luoghi, le storie che raccontano. E poi ci sono altre persone, quelle con le quali le vivi certe esperienze, che contribuiscono a farne momenti definitivamente indimenticabili. Così viene una delle più belle esperienze degli ultimi tempi, fatta con tanti amici del cuore e guidati da uno dei massimi esperti sull’argomento, Pepi Mongiardino.

Philipponnat Réserve Spéciale Brut 1983Négociant/Manipulant*Mareuil-sur-Aÿ. Una di quelle bottiglie che ti fanno fare pace con il tempo. Avevo appena otto anni nell’83 e, di lì a poco, mi sarei già perso qualcosa di straordinario. Venne prodotto con in larga parte pinot noir di Aÿ e Mareuil-sur-Aÿ e un saldo del 30% di chardonnay della Côte des Blancs; oggi, dopo quasi tent’anni, ha un colore che è oro colato e un naso che è una porta a oriente. Il sorso conserva ancora tanta buona freschezza, e un guizzo minerale importante e lungo. Meravigliosamente maturo.

Philipponnat Royale Réserve Non Dosé. 30-35% chardonnay, 40-50% pinot noir e 15-25% pinot meunier. Tecnicamente è una cuvée Première di uve Premier e Grand Cru; senza girarci troppo intorno invece, è una di quelle bottiglie che in due finisce in men che non si dica. Appena versato regala una spuma molto densa, ha un colore paglierino tenue e un naso piuttosto avvenente centrato sull’esotico e note agrumate (cedro, chinotto, kumquat). In bocca è asciutto, di buon corpo e gradevolmente citrino. 

Gaston Chiquet Millésime Or Premier Cru 2003 – Récoltant/Manipulant*Dizy. Cuvée composta per il 40% da chardonnay e 60% da pinot noir dalle vigne di Hautvillers, Dizy e Mareuil-sur-Aÿ. E’ lo Champagne per chi ama bulles decise, grasse, con un timbro più da vino a tutto pasto che per allietare il palato ad inizio corsa. Ha colore oro antico, il naso è tra i più ricchi e complessi della batteria: frutta secca, pane tostato, nocciola, burro fuso. Il sorso è avvolgente, con poche spigolature, si distende morbido e rimane lungamente persistente. Bisogna amarlo. 

Jacques Selosse Initial Grand Cru Blanc des Blancs Brut – Récoltant/ManipulantAvize. 100% chardonnay. Il primo fuoriclasse della batteria, fermo restando le splendide impressioni della Réserve Spéciale ’83 di Philipponnat. E’ generalmente composto da tre annate successive che fanno elevage sui lieviti in bottiglia per almeno 2 anni e mezzo, durante i quali le bottiglie vengono spostate e nuovamente accatastate in cantina, due volte, favorendo così la rimessa in sospensione dei lieviti. Il colore è di uno splendido paglierino brillante, le bulles sono fini e assai persistenti. Il naso è variopinto, parecchio balsamico ma ciò che conquista di questo vino è il sorso, tremendamente minerale, lungo, dritto, sgraziato, tale da regalare un bicchiere sempre diverso dal precedente. Una escalation piacevolissima. 

David Léclapart  L’Apotre Premier Cru Blanc des Blancs Extra Brut – Récoltant/ManipulantTrépail. Léclapart è uno di quelli che ha saputo cogliere dal fenomeno biodinamica tutto il meglio possibile. L’Apotre viene fuori da una piccola e unica vigna di chardonnay con piante vecchie oltre 50 anni. Conserva tutto il carattere varietale innescato da una esecuzione magistrale: splendido il colore paglierino, brillante, ha naso fitto, burroso, intriso di richiami agrumati e di spezie dolci. Lo caratterizza una piacevolissima sapidità e grande bevibilità.

Jérome Prévost La Closerie Les Béguines Blanc des Noirs Extra Brut Récoltant/ManipulantGueux. Uno degli allievi di Anselme Selosse. Les Béguines colpisce immediatamente per la sua finissima complessità, anzitutto al naso, dove si coglie subito l’ottimo lavoro col legno su uno Champagne 100% pinot meunier quasi sempre di non facile lettura. Solo il sorso è un po’ in ritardo, un tantino scomposto, forse un po’ duro rispetto all’armonia che anticipa un naso così quadrato. Una di quelle bottiglie da saper aspettare, o da prendere così com’è. 

Philipponnat Royale Réserve Millésimée ’99. 70% pinot noir da Aÿ e Mareuil-sur-Aÿ e 30% chardonnay della Côte des Blancs. Ha dalla sua tanta voluttà ed una certa struttura, d’altronde con un uvaggio del genere non potrebbe essere altrimenti. Il colore è tra i più maturi della batteria subito dopo l’Or di Chiquet. Il naso offre immediatamente tanti spunti, ha buona materia e si sente subito: è ampio, maturo, con al centro frutta gialla, camomilla, zenzero, e cedro candito. Il sorso è sapido, di corpo, quasi grasso se non fosse per una sferzata citrina che arriva proprio in chiusura di bocca. Una di quelle bottiglie da mangiarci su persino degli arrosti. 

Fernand Thill Grand Cru Brut RoséRécoltant/ManipulantVerzy. Marie Thérèse Thill è una delle poche donne in Champagne immerse completamente con le mani in pasta. Questo suo rosé è composto con il 90% di chardonnay e un 10% pinot noir di Bouzy. Colpisce il colore, ciliegioso, quasi da saignée. Il naso infatti è caratterizzato soprattutto da questo corredo di piccoli frutti rossi e neri tipico proprio degli Champagne rosé prodotti in questa maniera. In bocca però sparisce troppo in fretta, il ché se da un lato gli dona grande bevibilità, per contro non conferma l’avvenenza del naso che induce a pensare ad un quadro organolettico, nel complesso, di maggior respiro. Rimane però un buon sorso d’ouverture. 

Egly-Ouriet Grand Cru Brut Rosé – Récoltant/ManipulantAmbonnay. 65% pinot noir, vinificato in legno per il 40% di cui il 10% composto da vini base della Coteaux Champenois e 35% chardonnay. Francis Egly rimane per me un riferimento assoluto, ha dalla sua una straordinaria capacità, quella di saper leggere, in prospettiva, ognuna delle sfumature dei vini che gli vengono ad ogni vendemmia. Della diversità infatti, ne fa un tratto imprescindibile della sua opera di chef de cave. E il suo Grand Cru Rosé è il suo manifesto. I vini base vanno a fermentazione naturalmente, senza lieviti aggiunti (si utilizzano solo lieviti indigeni) e la messa in bottiglia avviene senza filtraggio né collaggio*, con un dosage di appena 2 g/l. Il colore è un po’ più luminoso del ramato, il naso è un trionfo di fiori e frutti rossi, il sorso poi è disincantato, vinoso, avvolto dalla sapidità e dalla persistenza del frutto.

Prodotti distribuiti in Italia da Moon Import.

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Récoltant/Manipulant, in etichetta RM: indica un produttore che possiede vigneti e che produce Champagne con il proprio raccolto. Per legge è possible acquistare un massimo del 5 per cento di uve da terze parti.

Négociant/Manipulant, in etichetta NM: indica un produttore di champagne che compra uve di altri e le assembla per elaborare e commercializzare il vino; si tratta in generale di Champagne pregiati, prodotti soprattutti dalle case dai nomi più famosi.

Collaggio: Pratica enologica di chiarificazione e stabilizzazione del vino mediante l’uso di additivi. Così facendo, le particelle sospese vengono portate sul fondo del recipiente. Il collaggio permette anche di ammorbidire i vini liberandoli dalle sostanze polifenoliche molto astringenti.

Reims, Champagne Cristal 2004 Louis Roederer

5 agosto 2012

Anche se non sempre sono esperienze rassicuranti e ristrutturanti, il ricordo di certe bottiglie, per quanto storicamente significative, galleggia sempre tra la sufficienza e il mediocre; e pare che a molti tanto basta per essere certi della propria idea.

Del Cristal di Louis Roederer è tuttavia un giudizio positivo quello che mi porto dietro, pur nella necessità di doverlo rinnovare periodicamente per evitare che il senso della conoscenza, il sapere stesso di questa etichetta si affievolisca; poi può anche succedere di ridursi in una memoria talmente labile da rischiare di trasformarsi, nel bene e nel male – il più delle volte nel male, non necessariamente con malizia -, in un giudizio definitivo quanto più insindacabile. Così una grande bottiglia rischia di esserlo per la storia, per il blasone, per il mercato ma non sempre per il palato.

E’ un bene dunque che anche il Cristal, da grande Champagne qual è, sappia di tanto in tanto meritarsi, bicchiere alla mano, i galloni che la cronaca, il blasone e la storia ci impongono. Eccola la mia riprova, così chiara che non serve aggiungerci molto di più: statene certi, il 2004 è buono, buono per davvero!

Chiacchiere sotto l’ombrellone, tra sconosciuti

2 agosto 2012

Capita una mattina di ritrovarsi sotto l’ombrellone a fare due chiacchiere sulla sera prima: l’aperitivo al tramonto, l’atmosfera unica al Faro di Anacapri, le grasse risate per quel vassoio rovesciato – l’imbarazzo della cameriera per aver rovinato quel vestito di Prada è impensabile! -, ma soprattutto l’ottima cena e, immancabili, le buone bottiglie bevute. Bottiglie per una volta sconosciute. E sorprendenti…

Quando si ha una idea precisa di cosa sia o cosa possa divenire nel tempo uno Champagne, anche un assaggio controverso può rivelarsi invece una bella scoperta da appuntare subito sul taccuino, ovvero mettere subito in rete. Sconosciuta e sorprendente era l’etichetta Prestige Brut 2003 di Jacques Picard, récoltantmanipulant a Berru, un paesino di poche anime appena fuori Reims; i protagonisti, ancor più sconosciuti, sono José Lievens e sua moglie Corinne Picard, che dalle loro migliori vigne tirano via uva per circa 8.000 bottiglie di questo ottimo haut de gamme, una piccolissima fetta di quella immensa torta che è il mercato dello Champagne, una fetta però dolcissima e imperdibile.

Ecco perché ci ritornerò su volentieri, non appena possibile; per adesso val bene segnalarvi che trattasi di una bella storia d’amore sbocciata tra le vigne, di agricoltura sostenibile e di uno stile champenois tagliente e implacabile – controverso, appunto – e di prezzi vivaddìo più che umani.

E sconosciuta era la bottiglia di Vita Menia 2011, rosato da piedirosso e aglianico prodotto nelle vigne a Raito, minuscola frazione sopra la costiera amalfitana, sopra il mare di Vietri per intenderci. Panorama mozzafiato, la vigna qui è tutta a conduzione biologica. Di questo sottile e profumato rosato se ne fanno appena seicento bottiglie l’anno, Patrizia Malanga ha voluto mandarmene qualcuna; un pensiero prezioso, almeno quanto il vino saggiato.

Bello e invitante il colore cerasuolo, il naso è ciliegioso ma anche un po’ marino, mentre il sorso è secco, leggiadro e sapido. Il frutto ritorna perentorio in bocca, aggraziando il palato sollazzato da una beva fresca e gradevole. Andatela a trovare Patrizia, siete ancora in tempo per sposare il mare alla vigna che lì, dalle quelle parti mi dicono essere entrambi bellissimi. 🙂

Finger food a 5 stelle & Champagne Pommery

25 luglio 2012

Scrivi finger food ed è capace che ti ritrovi di tutto passato per tale, dai più comuni salatini ai bocconcini di salsicce su stuzzicadenti, o formaggi e olive (sempre su stuzzicadenti), ali di pollo, involtini primavera, quiche, patate fritte, vol au vent e arancini di riso. Ci sono poi altri cibi che possono talvolta essere considerati finger food, la pizza ad esempio, o gli hot dog, la frutta servita in un certo modo ma anche il pane. E se provassimo a pensare che c’è ancora di meglio…

Davvero interressante e particolare la proposta della Bruschetta liquida di Annie Feolde & Italo Bassi dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze assaggiata due settimane fa durante l’evento Pommery qui al Capri Palace. E’ un’idea sicuramente originale per riproporre uno dei fingers più comuni della nostra cucina italiana; da godere tutto in un sorso, magari ad occhi chiusi. Qui ci vuole una bollicina leggera e il Summertime Blanc de Blancs di Pommery fa la sua figura. 🙂

Ancora dal cilindro di Annie Feolde & Italo Bassi dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze ecco il Bon Bon con basilico e cetriolo. Uno stuzzichino… quasi dissetante, sicuramente di buona intensità balsamica, una overture pregevolissima dove un assaggino tira l’altro. E non bastano fiumi dello splendido Les Clos Pompadour…

E sempre dalle cucine del Tristellato fiorentino di via Ghibellina ecco il Croccantino di Pollo con yogurt liofilizzato. Qui è la tradizione a tirare le fila di questo gustoso appetizer nobilitato per l’occasione da una tecnica esecutiva minuziosa e centrata al milligrammo. Saporitissimo! Aah, quel Gran Cru Millésimé del ’90… 

Non si può che chiudere col Gelato alla Pastiera Napoletana di Andrea Migliaccio. E’ spesso (e richiestissimo) tra i nostri predessert a L’Olivo. Servito così va via in appena un paio di bocconi, ma non certo il sapore e la memoria, che restano molto, molto a lungo. Provare per credere (e c’è ancora il Gran Cru del ’90 nel bicchiere!).

Le foto dei piatti sono di Umberto D’aniello © 2012.

Bollicine in tavola a tutto pasto, quattro buone idee che si rifanno ai piatti di Ugo Alciati…

12 luglio 2012

Quattro piatti di Ugo Alciati del Ristorante Guido di Pollenzo che mi piace “rivedere” in abbinamento a 4 bollicine che mi hanno particolarmente colpito in queste ultime settimane e che sento di riproporvi in assaggio. Un gioco di alleggerimento e freschezza sempre opportuno in estate pur senza dimenticare però la tradizione, sempre ben interpretata dal talento di Ugo.

L’Aperitivo. Fingersandwich, la salsiccia fresca. Un omaggio alla sua terra che però vedo bene con una bollicina del profondo sud molto invitante, profumata e leggiadra, qual è il Brut Rosé di Rosa del Golfo da negroamaro e chardonnay: naso delicato, che sa di crosta di pane, petali di rosa, lampone e mora. In bocca scorre via che è un piacere, starci dietro manco a dirlo!

L’Antipasto. Filetto crudo di Vitella Bianca piemontese, alici di Cetara e Parmigiano Reggiano 36 mesi, con Abissi 2009 di Bisson; bollicina suggestiva e puntuta, dal naso curioso, dapprima giocato su note di frutta secca e spezie dolci, poi invece marine, iodate, con un timbro salmastro largamente gradevole, molto particolare e avvincente. Il sorso è asciutto, di spessore, chiede spazio e se lo prende, è vivace, fresco e di buona persistenza, assai sapido.

Il secondo. “Caldo freddo” di Faraona con riduzione al marsala. Mi è subito saltato in mente lo splendido Champagne Cuvée Millésimé 2000 di Alain Thienot, forse nuovo ai più ma senz’altro un piccolo gioiello tra le cosiddette Maison d’Aujourd’hui; 60% chardonnay dalla Cote des Blancs ed il restante 40% pinot noir da Montaigne de Reims. Vino di grande equilibrio degustativo, dal naso ricco, polputo e verticale e dal sorso maturo e avvolgente. Insomma, una grande cuvée da consumare a tutto pasto!

Il dessert. Gelato al fiordilatte con pomodori canditi e basilico fritto. Fortissimamente territorio con il gelato più buono mai mangiato (leggi anche qui) accompagnato per l’occasione da spicchi di pomodorino canditi; così, di slancio, l’accostamento all’ottimo e spumeggiante Asti Galarej 2010 di Fontanafredda. Dolci note moscate messe in riga da un palato sì zuccherino ma mai banale. Controcorrente e fortunato.

Le foto dei piatti sono di Umberto D’aniello © 2012.

Reims, Champagne Cuvée Louise 1999 Pommery

30 gennaio 2012

Come scrivevo qualche post più in là, sarebbe stato opportuno ritornare sul breve ma intenso viaggio speso in terra di Champagne, alla scoperta del Domaine Vranken-Pommery di Reims. Così rieccoci qua con in mano gli appunti di quei giorni…

Invero, già essere accolti da Thierry Gasco è stato di per se un inizio piuttosto coinvolgente, non fosse altro che il personaggio, uomo chiave in Pommery, dove in qualità di chef de cave tiene in mano il destino di tutte le cuvée aziendali, è anche una figura di un certo spessore per tutta la Champagne ricoprendo, tra gli altri, un ruolo di prim’ordine nel civc nonché di presidente dell’Union des oenologues de France; ma nello specifico, vestito di grande disponibilità, ci ha tenuto a presentarci in prima persona alcune delle etichette che hanno contribuito definitivamente al rilancio di Pommery nel mondo in questi ultimi anni: il Grand Cru Millésimé, l’Apanage rosé, per dire, ma anche quello che in molti tra critici ed appassionati di settore dicono essere il suo personale capolavoro assoluto, la Cuvée Louise.

Dedicato alla figura leggendaria della fondatrice Madame Louise Pommery, tra le prime Grand Dames ad intuire il valore assoluto dell’arte come fine attrattore culturale – ne sono testimonianza viva le tante straordinarie opere fatte scolpire sin da inizio ‘800 nel gesso vivo delle caves del Domaine – questa cuvée nasce essenzialmente dalle vigne di tre Grand Cru di proprietà ad Avize e Cramant, da dove arriva lo chardonnay, e ad Ay, dove raccolgono le uve per la base pinot noir. Poi almeno otto anni, talvolta dieci, di affinamento nelle buie gallerie che si estendono per diciotto lunghi chilometri nel sottosuolo di Reims. E come ho avuto già modo di sottolinearvi in occasione della recensione del Grand Cru 2004, Thierry ci tiene a “dosare” sempre con molta attenzione e parsimonia le sue cuvée per conservare al massimo tutta l’espressività dei vini base.

Eccolo qua il vino, con questo suo colore paglierino carico e brillante, con spuma fine, densa e sostenuta. Il naso è subito molto invitante, verticale, anche se inizialmente un tantino pungente; offre indubbiamente un bel ventaglio olfattivo, diciamo pure di rara eleganza e compostezza: agrumi, ma anche burro fuso e frutta secca, canditi, con le prime note scandite nitidamente. Tenendolo però un poco nel bicchiere, in verità versandone ancora due dita dopo il primo assaggio, vengono fuori anche piacevoli rimandi di spezie dolci. Il sorso è asciutto e di buona intensità; si beve indubbiamente con una certa soddisfazione. Come accennato, della liquer nessuna traccia così evidente come talvolta può capitare in certi grandi Champagne, spesso volutamente “marcati” dallo chef de cave per firmarne lo stile; però è indubbio che risulti un vino sostanzialmente più adatto ad un approccio meditato piuttosto che per accompagnare aperitivi o tutto un pasto.

Tra qualche mese, in Italia, arriverà anche il 2000, che per la verità trovate già in giro ma solo in formato magnum. Generalmente non sono uno di quelli che ama raccomandare di stipare bottiglie di Champagne, pure quando si tratta di un Grand Cru o un Vintage particolare, però non mi farei troppi problemi nel dimenticarne qualcuna di queste in cantina per ritrovarle magari dopo ancora un po’ di stagioni di affinamento. Naturalmente senza esagerare.

Reims, Champagne Grand Cru 2004 Pommery

19 gennaio 2012

Seguiranno post più esaustivi su questa breve ma interessante esperienza in terra di Champagne. Il tempo come sempre non basta mai, corre veloce, velocissimo, e qui, credetemi, non basterebbe un anno intero (o forse sì, non so) di giri in giro e degustazioni per comprendere a pieno tutto il valore di questi luoghi.

Della storia del Domaine Pommery, ovvero Vranken Pommery (vrancaén-pommerì, pronuncia alla francese, ndr) avremo tempo di scriverne. C’è infatti molto da dire, e non solo sulle splendide monumentali cantine: 18 chilometri di gallerie, 120 cave di gesso di origine gallo-romana ed una imponente “macchina da guerra” dell’ospitalità, capace di accogliere centinaia di migliaia di visitatori ogni anno con la stessa tranquillità, precisione, piena soddisfazione, con la quale di solito ci si prende un caffè al gettonatissimo bar del centro; ma anche e soprattutto per aver ritrovato nei bicchieri – superato l’emozionante ricordo di quella sontuosa scalinata di 116 gradini che conduce alle suggestive caves -, quella qualità espressiva, quella sostanza, con la quale si ha certezza di non stare a darla da bere soltanto agli occhi ma che sì, Thierry Gasco, lo chef de cave, sta davvero facendo un grande lavoro di fino con le sue cuvée, tirando fuori grandi vini, animando così con forza perentoria quel sospirato rilancio del marchio, indubbiamente imponente, ma assolutamente da rivalutare dal punto di vista qualitativo.

E cominciamo a farlo con questo imperdibile Grand Cru millesimato 2004, da chardonnay e pinot noir al 50&50. Bellissimo il colore paglierino, decisamente brillante. La spuma, copiosa e delicatissima, anticipa tanta finezza e complessità. Il primo naso è entusiasmante, verticale e coinvolgente. E sorprende, conquistandolo, anche il più disattento dei degustatori, perché non ha nulla a che spartire con le classiche immediate note burrose e di lievito di certe cuvée. Qui vince una riconoscibilità immediata del frutto, e del millesimo, rivelatosi, ci dice Thierry, eccezionale e pregnante nei vigneti grand cru ad Ay come che nella Cote des Blancs.  E così la scelta di andarci piano anche col dosage, qui intorno ai 10 mg/litro, concedendogli quindi di distendersi nel tempo lentamente e sulle “proprie gambe”: soavi e assai affascinanti i richiami floreali, avvincenti invece le sfumature di camomilla, miele e agrumi canditi. Il sorso è voluminoso e vellutato, le bolle non aggrediscono il palato, così la beva risulta avvolgente e dissetante, con ancora un fresco richiamo agrumato sul finale di bocca, certamente secco e sostanzialmente sapido. Ecco, magari cercavate uno Champagne a tutto pasto… bene, l’avete trovato!

In poscritto: io sono fatto così, quando qualcosa non mi torna, metti un vino o un’azienda che non mi hanno convinto del tutto (leggi qui), non butto tutto alle ortiche, ma cerco di capire. Talvolta ci metto tempo, possono passare anche degli anni, del resto il vino non è tutto nella vita, e il fegato è uno solo; però so aspettare, e anche ricredermi (soprattutto quando ho avuto ragione).

Epernay, Blason Rosé di Perrier Jouet

3 settembre 2011

1811-2011, duecento anni. A pensarci bene non sono mica pochi, e tanto – da solo – dovrebbe bastare per significare quanto lavoro di fino sia stato fatto alla Perrier Jouet, oggi di proprietà del colosso Pernod Ricard, per arrivare in così splendida forma sino a noi.

Blason Rosé è la cuvée più antica della maison di Epernay, perlopiù riconosciuta in tutto il mondo per il marchio Belle Epoque ma che, come testimonia anche l’etichetta qui sopra, rimane – soprattutto per volontà di numerosi storici afeçionados al blason de France -, ancorata fortemente a questa premiere cuvée rosè caratterizzata per la maggior parte da uve pinot, nero e meunier.

Lo champagne si sa è senza dubbio il vino di maggior successo al mondo, o quantomeno il più conosciuto e ricercato, non a caso come pochi sembra non soffrire affatto della crisi economica che sta attanagliando mezzo mondo. Ma lo champagne è anche il vino più personale che esista, hai voglia di parlare di terroir, pedoclima, frutto o integrità, qui il valore aggiunto rimane la cantina, anzi la cave, ovvero lo chef de cave, “l’alchimista” che con le sue intuizioni, le sue scelte e le mille diavolerie nell’assemblaggio, tra tete de cuve e liqueurs, decide del destino di milioni di bottiglie, e con esse, del piacere di centinaia di milioni di appassionati.

Il Blason Rosé di Perrier-Jouët è composto come detto da pinot noir per il 50% e pinot meunier e chardonnay per il restante 50%, questi ultimi più o meno in parti eguali. E’ una cuvée che offre una splendida beva, coinvolgente, vivace, piuttosto gratificante. Si propone con un colore rosa chiaretto intenso e luminoso, le bollicine sono finissime ed infinite; il primo naso esalta note aromatiche decisamente fresche e sbarazzine di frutta, lamponi e fragola anzitutto, che infondono persuasione ed invitano al secondo sorso; poi sottili nuances candite e officinali, ma nulla di inappropriato. In bocca è secco, bilanciatissimo, ha personalità e al tempo stesso delicatezza, asperge il palato con dolcissime note agrumate prima di chiudere asciutto e vellutato. Lo trovate nelle enoteche intorno ai 78/85 euro, in Italia è distribuito in esclusiva da Marchesi Antinori.

Innovazione e Tradizione| Italia-Russia a tavola

6 agosto 2011

Un report per immagini che parla (quasi) da solo dell’evento enogastronomico tenutosi qui a L’Olivo lo scorso 15 luglio in collaborazione con il Varvary restaurant di Mosca dello chef Anatoly Komm e Moon Import di Pepi Mongiardino. Per dire: innovazione e tradizione, di gran fascino!

L’invito per la cena di gala a quattro mani, per l’occasione preceduto da un delizioso happening – immancabile – in cantina La Dolce Vite…

I protagonisti, Anatoly Komm, chef russo di indiscusso talento e tecnica, inserito tra l’altro dalla Lista San Pellegrino tra i primi 50 chef al mondo…

L’innovazione: azoto liquido, per la preprazione base di uno dei piatti più caratteristici della proposta culinaria di Komm, la Borscht; praticamente la rivisitazione di uno dei fondamentali della cucina rurale di madre Russia, la zuppa di Barbabietola…

La tradizione: la manualità classica richiesta dalla cucina mediterranea, qui nella preprazione di uno dei piatti must di Andrea Migliaccio, la Triglia farcita…

Prato estivo, di Anatoly Komm. Una misticanza di verdure cotte e crude con uovo hi-tech e salsa al tartufo bianco di Alba…

La Triglia con patè di olive nere e crema di cavolfiori alla vaniglia, uno dei piatti del nostro Andrea Migliaccio già divenuto un must…

Borscht con foie gras e vodka Kauffman Luxury vintage 2005; è richiesta una lunga preparazione per questo piatto, particolarmente scenografico e dai gusti piuttosto accesi e profondi; che a dire il vero non mi è affatto dispiaciuto, anzi…

Il Torrone ghiacciato con marmellata di pompelmo, mandorle tostate e balsamico, con le Farfalle con gamberetti, cocco, asparagi di mare e alici alla colutra le due novità di mezza stagione in carta a L’Olivo presentate in anteprima proprio quella sera…

Su tutto, le sublimi bollicine di Philipponnat, Il Royale Reserve Pure Cuvée 243 ed il setoso Grand Blanc, distribuite in esclusiva per l’Italia da Moon Import.

Salvare il Natale da bevute sconsiderate, si può…

20 dicembre 2010

Salvare il Natale, almeno quello, non è una missione impossibile. Quante magre figure si rischiano, e quanti dubbi ci assalgono: avrò scelto bene? Gli piacerà? E  c-o-s-a  c-i  a-b-b-i-n-o  m-a-i al cenone? Sono queste domandone dalle risposte critiche, lo so, quantomeno però cerchiamo di non scegliere a caso cosa bere, tanto più quando si spendono cifre blu per carni e pesci che quasi sempre rischiano di rimanerci sullo stomaco tanto la colpa, si sa, andrà al vino (magari da due euro o poco più) “forse troppo acido o alcolico”; E che ne dite poi di quelle costosissime bottiglie – e credetemi che ne ho viste delle belle – il cui destino, quasi certo, è quello di finire riciclate perchè per niente capite, apprezzate quasi sempre solo per la forma sinuosa della bottiglia o per la preziosa confezione-cofanetto. No, quest’anno l’invito è a bere bene, superando alcuni stupidi pregiudizi e cercando magari di scoprire pure nuovi riferimenti.  

Partiamo dallo scongiurare il più grosso dei pregiudizi insistenti tra “i più” su uno degli champagne più venduto e – non a caso – più apprezzato mai prodotti, la mitica etichetta arancione di Veuve Clicquot-Ponsardin, giusto per andare controcorrente e non finire col rifilarvi l’ultima bufala biodinamica in circolazione. Seguono altre cinque referenze, alcune conosciute, altre meno, che definire interessanti è dire davvero poco, con le quali potete giocare a costruire il vostro abbinamento ideale sia per il cenone della vigilia che per il lungo, a volte infinito, pranzo di Natale.

Champagne carte jaune s.a. brut Veuve Clicquot Ponsardin, un classico di sempre, checchè se ne dica, un piacere sottile e – se la smetteste di abbinarlo solo ai frutti di mare crudi – decisamente sorprendente a tutto pasto! Perchè la vedova aveva palato fine tanto quanto il cervello e ha saputo mettere in fila tanti sapientoni e maghi assoluti dell’assemblage affermando uno stile inconfondibile che non è solo perenne sospensione tra prestigio e dannazione. Per i meno, mettiamola così: è arrivato il momento di farla smettere di girare tra i regali riciclati ovvero di tirarla via – volesse il cielo – dalla dispensa una volta per tutte, non solo per la foto di rito per l’ultimo compleanno della figlia, ma per tirarle, finalmente, il collo! Con il fritto misto di gamberi e calamari per esempio, o col pane, burro salato ed acciuga.

Asprinio d’Aversa spumante Grotta del Sole, perchè a voler scegliere lo spumante più tradizionale che abbiamo in Campania non si può che passare per queste bollicine. La storica azienda flegrea della famiglia Martusciello produce anche una deliziosa versione charmat, più fresca e leggera ed assai indicata per innaffiare senza troppe preoccupazioni le vostre serate natalizie, ma se volete colpire dritto al cuore dei vostri accoliti, correte subito in enoteca – o meglio in cantina a Quarto – a comprare questa preziosa versione metodo classico che esce solo quando dio comanda ed in quantità piuttosto limitata, sembra infatti che proprio in questi giorni si riaffacci di nuovo sul mercato dopo una assenza di almeno tre anni. Presto che è già tardi, poi mi direte magari come è andato abbinato al tradizionale baccalà fritto, e quanto d’amore e d’accordo con le tartine con burro e salmone affumicato.

Greco di Tufo Giallo d’Arles 2008 Quintodecimo. Dovrete pur concedervela una uscita di senno per le spese di natale: vorrete il polpo più fresco tanto da appostarvi per ore dinanzi ai cancelli del mercato, non batterete ciglio sul prezzo dell’agognata spigola di mare o dell’astice blu del mediterraneo, quindi, non rompete le balle se è il greco di Tufo più caro che troverete in enoteca! Lasciatevi quindi conquistare da uno dei migliori vini prodotti in questo millesimo nell’areale nonchè dal fascino di una delle aziende più belle e suggestive d’Irpinia: complessità ed opulenza gustativa fuori da ogni schema precorso, di rara eleganza e profondità minerale. E vi prego, se pensate di regalarlo, fatevene uno pure voi, magari vi viene poi voglia di fare una capatina a trovare Laura e Luigi Moio nella splendida tenuta a Mirabella Eclano. Superbo con il pesce al forno, ma soprattutto con la pizza di scarola e alici della mattina della vigilia.

Costa d’Amalfi Tramonti bianco Per Eva 2008 Azienda Agricola San Francesco. E’ il bianco più ricercato e letto su questo blog, è il vino che al momento – dopo anche i vari assaggi di quest’anno – reputo migliore della comunque ottima offerta dell’azienda di Gaetano Bove in quel di Tramonti. Un bianco di rara eleganza e verticalità olfattiva, un vino da spendere a tutto pasto per esclusivo piacere delle papille gustative, che per’altro mai si stancheranno di lasciarsi andare all’adagio minerale che si diffonde ad ogni sorso. Dopo il Fiorduva, un altro capolavoro della divin costiera che però costa almeno tre volte meno del soave bianco di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo. Una bottiglia da non perdere insomma, bevetela pure bella fresca e sposatela per interesse, tanto, potete starne certi, finirà sicuramente lei prima di voi! Qui la recensione. Con il primo piatto ai frutti di mare, con il polpo all’insalata ma anche con la zuppetta di lumachine di mare.

Campania Aglianico Le Fole 2008 Cantina Giardino, perchè quando avrete voglia di tagliarvi la lingua con il tannino potete pure scegliervi uno qualunque dei Taurasi tanto reclamizzati ultimamente; Ma se invece, con tutto il ben di dio che c’è in menu per le prossime feste, punterete alla leggerezza, ecco il vino, la chicca che fa per voi. Perchè? Ci sono almeno tre ragioni: la prima – una figata pazzesca giocarvela con gli amici più colti – è che l’azienda, di Ariano Irpino, è una delle più alternative del momento, che fa viticultura sana e totalmente vocata alla naturalità degli interventi in vigna come in cantina; La seconda è che questo vino si lascia bere con una piacevolezza estrema senza confondervi mai le idee su ciò che state bevendo tanto è espressivo ed integro il frutto, e la terza – forse la ragione più importante – è che, almeno per quanto mi riguarda, l’ho trovato estremamente digeribile, cioè tanto piacevole da bere quanto da sostenere di pancia. Con la “pizza ripiena” della mattina della vigilia, con il primo piatto con ragù di polpo del cenone ma anche con la parmigiana di melanzane del pranzo di Natale.

Brunello di Montalcino Bramante 2005 Podere Sanlorenzo. Questo è davvero da non perdere se si ha voglia di mettere in tavola un grande rosso, pagando – in riferimento alla tipologia – un prezzo piccolo piccolo e che conserva tra le maglie del suo bel frutto tutto l’eccellente lavoro di un giovane e validissimo viticoltore ilcinese, Luciano Ciolfi, destinato ad un grande futuro. Trovate su queste pagine alcune tracce dell’azienda, e non mi nego di segnalarvi anche dove cercarlo poichè dalle nostre parti è un tantino difficile scovarlo. Un vino dal colore ciliegia che offre tutte le trasparenze del rosso più tradizionale di Montalcino, dal variegato ventaglio olfattivo e dal sapore asciutto, austero ma finissimo come pochi. Io ho subito avuto ben chiaro, tra le due o tre bottiglie destinate, cosa conservarmi come ultimo desiderio enoico dell’anno! Con il ragù di carne del pranzo di Natale ma non è osar troppo provarlo anche con la minestra maritata del pranzo del 26.

E con il dolce? Vi chiederete… beh, non v’è dubbio che siete degli insaziabili perfezionisti, ma vi tocca aspettare la prossima puntata. 😉

Ay, Celebris ’98 Gosset et sa fraicheur puissante!

12 settembre 2010

Quali sono le caratteristiche di uno champagne che ne fanno una Grande Cuvée? Ovvero, cosa ci affascina così tanto dal farcelo preferire tra le milionate di bottiglie di bollicine? 

Difficile un’unica risposta, ma tra le tante plausibili siamo certi di poter trovare quasi sempre quella che fa al caso nostro, da vestire per l’occasione: la storia, forse unica, per qualcuno invece il prestigio, o la costante qualità, la sua rarità; Come dimenticare la sottile eleganza di certe cuvée, o la loro eccezionalità, per il millesimo o per il blasone sfoderato da certi marchi, alcuni dei quali capaci di evocare epoche lontanissime nel tempo, ancora più semplicemente lo status symbol, il valore empirico di certe bevute, ma non di meno quello sostanziale, quasi pregnante di altre ancora.

Nel nostro piccolo, durante gli ultimi mesi abbiamo affrontato l’argomento champagne più volte, proponendo alcuni assaggi da non perdere, in qualche caso consigliando vini memorabili, esperienze uniche e piccole ma interessanti novità sul mercato italiano. Oggi invece è tempo di celebrazione, tra qualche ora infatti due nostri carissimi amici, Felice e Sabrina, convoleranno a giuste nozze: un momento, per me e Lilly che scriviamo queste pagine, di profonda commozione, perchè assieme a loro abbiamo camminato a lungo la stessa strada, e perchè per loro è il coronamento di un sogno, tutto meritato, che diventa finalmente realtà. A loro dedico questo bellissimo vino, bevuto tra l’altro più volte durante questo 2010 e finalmente proponibile per l’occasione giusta sulle pagine di questo blog.

Sturm und Drang, tempesta e impeto, è il motto, il vessillo, l’anima pulsante che ha alimentato il romaticismo, un periodo fondamentale per la nostra cultura occidentale, l’evoluzione del pensiero che lascia posto al sentimento, un momento epocale contraddistinto da un’esplosione di passionalità, di individualismo, di irrazionalità e di riaccostamento all’arte. Ecco in poche righe cos’è per me il Celebris Vintage Extra brut ’98, un vino che lascia alle spalle, quando insistono, tutti i preconcetti sullo champagne, che apre impetuosamente un varco significativo nella lettura gustolfattiva di questo straordinario figlio di una terra eccezionale, tanto unica e rara quanto imprevedibile e sfuggente, un vino che non esito definire a tratti, sovversivo!

Possiede un profilo organolettico affascinante questo Celebris Vintage Extra brut ’98, sin dal colore, sfoggiando una tinta a sfumature dorate brillanti, molto avvenenti; le bollicine, finissime, sembrano venire fuori dal fondo del calice impilate di giustezza. Il naso ha complessità da vendere e non tarda a manifestarlo: è subito ampio e fragrante, vira immediatamente dalle iniziali note agrumate alle più sgranate ma finissime nuances di mandorla tostata e paglia secca. In bocca è fresco, la vivacità dell’anidride carbonica pare defilata e composta, mai cuvée di Chardonnay e Pinot Nero fu animata da un simile equilibrio, sempre in grande evidenza: il gusto è assai avvolgente e lungamente persistente, il frutto sembra quasi masticarlo tanto ricco ed onesto appare. Insomma, il Celebris come il classico a cui fare appello quando si tratta di sottolineare l’eccezionalità di un avvenimento, le cosiddette occasioni speciali. Ops! M’è scappato un luogo comune!

Anacapri, Krug in Capri

18 luglio 2010

La grandeur di Krug e l’eleganza del Capri Palace Hotel&Spa: incontro perfetto per una notte di mezza estate. Venerdì 23 luglio la celebre maison di champagne sarà protagonista con le sue speciali cuvèe da sempre apprezzate e rinomate in tutto il mondo: si comincia alle 19.30 con un incontro “ravvicinato” nella cantina dell’albergo, La Dolce Vite, dove Romain Cans, Manager per Krug, racconterà la storia e lo stile inconfondibile della maison che coniuga armoniosamente opulenza e freschezza, potenza e finezza.

La serata continuerà poi al ristorante L’Olivo con un’inedita cena a quattro mani preparata in abbinamento alle preziose bollicine di Reims da Oliver Glowig, resident chef e 2 stelle Michelin e dallo chef ospite Tim Raue dell’omonimo Ristorante in Berlino, già fondatore al celeberrimo MA (sempre a Berlino) di una delle sole 4 Krug rooms al mondo.

In degustazione in cantina e successivamente alla cena di gala a L’Olivo, Krug Grande Cuvée, Krug Cuvée Vintage ’98, Krug Rosé raccontati dai neo Krug Ambassadors al Capri Palace Angelo Di Costanzo e Giovanni Guida, “professionisti del vino che si sono distinti particolarmente nel loro lavoro di comunicazione e promozione della qualità degli Champagne di casa Krug. 

Da segnalare infine tra i protagonisti della serata anche Francesca e Gaetano Verrigni, titolari dell’Antico Pastificio Rosetano, unico in Italia ad utilizzare per i formati della loro pasta l’esclusiva  trafilatura in oro.

Il Menu

Gambero rosso, infusione di rosolio, shiso-zenzero-litchi e baiser di lamponi e pepe Pondicherry – Tim Raue con Krug Rosé

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Fusilloro Verrigni al nero di seppia con ostriche, pomodorini del Vesuvio e oro – Oliver Glowig con Krug Grande Cuvée

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Scorfano cotto in olio di zenzero, crema di cinque spezie, fondo di piedi d’anatra e nocciole e uva marinate – Tim Raue con Krug Cuvée Vintage ’98

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Spuma di caprino con fragoline di bosco – Oliver Glowig con Krug Grande Cuvée 

Per informazioni e prenotazioni:
Ristorante L’Olivo
Capri Palace Hotel & Spa
Via Capodimonte, 14 Anacapri. 
Tel. 081 978 0225
olivo@capripalace.com
www.capripalace.com
Ufficio Stampa
dipunto studio
www.dipuntostudio.it

Champagne, la bella stagione delle bollicine

31 Maggio 2010

Il vino più affascinante? Certamente lo Champagne! L’area viticola più famosa tra le più famose al mondo? E’ indubbio che si tratta della Champagne!

Per qualcuno icona del “bien vivre”, per qualcun altro sinonimo di ricchezza, per altri mera ostentazione di finezza ed eleganza mai appartenuta. Comunque vada non v’è nulla nel mondo del vino che abbia tanto valore simbolico come una bottiglia di Champagne, quella precisa etichetta o più semplicemente una flûte. Questo da sempre, e pare si perpetuerà per molti anni ancora nonostante in numeri diano in calo un consumo arrivato ormai a cifre esorbitanti che solo la fortissima crisi economica su certi mercati (soprattutto oltre oceano) ha accennato a frenare.

Appena qualche accenno su quella che è un area viticola di splendore unico, situata a circa 150 chilometri a nord-est di Parigi. Attualmente operano nella Champagne più o meno 15.000 viticoltori che coltivano e forniscono le uve a circa 110 maison che si occupano poi della loro lavorazione ed “elevazione” sino a dare vita al nettare tanto ambito dai ricchi e potenti quando amato dale persone più comuni.

Gli attuali “confini” regionali della Champagne sono ancora oggi delimitati dalla classificazione voluta dall’INAO nel 1927. Questa classificazione in senso generale avvenne innanzitutto per dare un proficuo valore commerciale alle migliori aree interessate e negli anni a seguire si è lavorato alacremente per far sì che proprio in queste aree, naturalmente particolarmente vocate, si concentrassero le migliori parcelle di vigne che oggi danno vita a vini di straordinaria opulenza e soprattutto eccezionale longevità. Questi vigneti corrispondono sempre ai comuni o parte di essi e sono oggi classificati in tre categorie, Grand Cru, Premier Cru e Cru. Ad oggi sono solo 17 i comuni che si possono fregiare della definizione Grand Cru, 41 i Premier Cru e i restanti 255 del distretto come Cru. Tra i 17 Grand Cru della Champagne vi sono nomi spesso ricorrenti nelle degustazioni che vengono fuori in giro per il mondo, non si può non ricordare Bouzy, Ambonnay, Verzy, Verzenay, Montagne de Reims; Aÿ, Chouilly, Cramant, Avize, Oger e senza ombra di dubbio Mesnil-sur-Oger, probabilmente il più ambito, avete presente Krug¤ o Salon?

Ecco quindi di seguito le prime note sparse di assaggi “rubati” in questa prima parte di stagione, una passione smodata, nutrita senza freni!

Taittinger Cuvée Prestige Rosé, il più buono degli Champagne rosé sino ad oggi bevuti, è il vino del cuore, dallo straordinario rapporto prezzo-qualità, lo Champagne da non far mai mancare nella propria cantina. Da uve Chardonnay e Pinot Nero, ha un colore che ricorda i petali di rosa, splendenti, bollicine sottili e finissime, un naso avvincente, floreale e fruttato di lamponi, in bocca è secco e lungamente minerale, da inebriarsi infinitamente.

Mandois Blanc de Blancs 2004. Una piccola etichetta, uno di quei vini che ha ancora bisogno di tempo per raggiungere una propria espressione autentica, piacerà sicuramente a chi cerca nelle bollicine acidità spinte, rustiche ed è alla spasmodica ricerca abbinamenti soprattutto per stemperare le note iodate dei crudi di mare. Possiede un discreto ventaglio olfattivo, non lunghissimo ma offre senz’altro un’ottima piacevolezza al palato, da riassaggiare tra qualche mese.

Bollinger Special Cuvée, un classico di sempre. Blend di Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier rappresenta una continuità ineffabile, ottimo vino da sbicchierare come aperitivo ma anche ideale per poter pasteggiare. Non offre spunti olfattivi particolarmente complessi, soprattutto a chi ama di Bollinger la Grande Année, ma state certi che se avete bisogno di uno Champagne per non sbagliare di questa etichetta vi potete fidare! Bel colore paglierino carico, tendente al dorato, bollicine piuttosto intense seppur non proprio finissime. Palato gradevolissimo.

Bruno Paillard Réserve Privée Blanc de Blancs. Champagne d’autore, di prim’ordine. Fragrante, avvenente, impulsivo e sinuoso nella beva. Chardonnay in purezza delle migliori parcelle confluito in quello che è nato come un gioco di piacere personale ed oggi condiviso dai migliori palati dei clienti più esigenti. Un grande Champagne per dare un valore aggiunto ad un appuntamento importante o più semplicemente per dare lustro al proprio piacere: “ma sì, ce le siamo meritate!”

Gosset Grand Réserve Rosé. Arriverà il Celbris ’98¤, conservo la recensione nel “cassetto” delle bozze del blog, aspetto però un riassaggio per avere conferme della non comune intensità e complessità olfattiva riscontrata in questo vino. Per il momento accontentiamoci di questo rosè dal bellissimo colore rosa tenue, profumato di caramella al lampone e saporito ed arcigno solo come il Pinot Noir sa esprimere. Buono a tutto pasto, specialmente su carni bianche e formaggi! 

Pommery Noir. Il marchio soffre di una distribuzione poco felice, quindi viene percepito – secondo me – in malo modo. Poi, sarò sincero, non posso nasconderlo, di recente nemmeno l’Apanage, uno dei loro must, mi ha fatto impazzire quando l’ho bevuto; però gli concedo volentieri comunque un passaggio tra queste mie note di degustazione. Mettiamola così, uno Champagne alla stessa stregua di una media bollicina franciacortina, sia chiaro, il prezzo (sui 33-35 euro in enoteca) non si discosta poi tanto da quest’ultima, però non è certamente quello che ci si aspetta da un vino elaborato con uve provenienti da aree delle più vocate della regione. Rimandato ad un nuovo assaggio.

Mumm de Cramant. Davvero ottimo questo Chardonnay in purezza proveniente dalle vecchie vigne di Cramant, uno dei Gran Cru della Champagne. Colore integro, paglierino tenue, bollicine finissime seppur non intensissime. In bocca è secco, piuttosto fresco ed abbastanza lungo, chiude su di un finale nocciolato e burroso davvero gradevole. Costa più o meno quanto uno dei più commerciali Champagne che si possano trovare in enoteca, da segnare in agenda!

Taittinger Grand Crus Prelude. E’ la maison che vanta il vigneto “in corpo unico” più esteso della Champagne e questo già la dice lunga sulla vocazione e la tradizione di casa Taittinger. E’ tra le pochissime, se non l’unica tra le grandi griffe ad aver conservato una propria autonomia rispetto ai grandi gruppi finanziari che di tanto in tanto razzolano marchi e proprietà sulla regione champenois, ed anche questo è un particolare che non va trascurato visto che si traduce costantemente in una conservazione di un rapporto prezzo-qualità di indiscusso surplus rispetto ai diretti concorrenti. E’ prodotto con le migliori uve provenienti dai Grand Cru di proprieà, Pinot Nero e Chardonnay di spessore per un vino invitante, dal naso orientaleggiante e dal sapore tanto austero quanto piacevolmente bilanciato. Da non dimenticare!

Mesnil-sur-Oger, Il Clos ’98 di Krug

17 marzo 2010

Il marchio Krug è sinonimo di prestigio, rara eleganza, inarrivabile succulente piacere della gola; può più una flute di champagne Clos du Mesnil che mille letture di esperti, masters of wine o millantati tali per comprendere l’essenza del messaggio che un vino del genere vuol lanciare, insidiare, lasciar comprendere, anche dal più comune dei mortali in cerca di brividi di gola: è la leggerezza.

Leggerezza necessaria per godere al meglio e sino in fondo di un vino, per coglierne il piacere di beva più alto, per rimanere conquistati da tutti gli aspetti di una analisi gusto-olfattiva ed analitico-descrittiva. Ci sono Champagne che brillano per colore e perlage, per la finezza, persistenza delle bollicine, altri per complessità di profumi, verticalità, e per consistenza di palato, ci sono taluni a volte che esaltano una grassezza di gusto imponente, quasi spiazzante. Ebbene, il Clos ne riassume, concentrando, esaltando, imponendo, ognuna di tutte queste caratteristiche traducendole però, consegnandole all’avventore anche meno educato, con uno stile inconfondibile, leggiadro, ficcante, deliziosamente sorprendente. Insomma, un grandissimo vino!

Clos du Mesnil nasce da una meticolosa selezione di chardonnay 100% di appena 2 ettari di proprietà nella Cote des Blancs tutti intorno al comune di Mesnil sur Oger, negli anni divenuto il Grand Cru più ricercato e prezioso di tutta la Champagne, e grande merito di questa affermazione è certamente legato indissolubilmente alla maison Krug. L’areale è suddiviso in 15 parcelle che vengono seguite passo passo sino alla vendemmia distintamente in maniera da rappresentare ognuna di esse una espressione propria dell’eterogeneità dei vari microclimi presenti sul territorio.

Lo stile è quello fortemente imposto dal terroir, le circa 250 degustazioni che supera questo vino prima dell’assemblaggio finale non sono altro che l’espressione della sua grandezza, della sua grande capacità di evoluzione nel tempo, il Clos du Mesnil infatti, sin dalla sua acquisizione era destinato a “fortificare” le cuvèe degli altri champagne di casa Krug, la Grande Cuvèe in particolare, ma già dai primi approcci Henry e Remy Krug con il loro papà si resero conto di una straordinaria materia prima tale da stravolgere gli equilibri prestabiliti. Nasce così uno dei vini più ricercati e desiderati di sempre, per molti il mito fatto bollicine!

Il ’98 è stata una annata piuttosto calda in Champagne tale da lasciar pensare di non assemblare il Clos ma di destinarlo alle altre cuvèe; Krug è forse la maison meno avvezza a millesimare i suoi vini a meno che non si paventino risultati di eccellenza straordinari, solo quattro infatti le vendemmie da cui sono nati vini millesimati negli anni novanta, il ’90, il ’95, il ’96 ed appunto il ’98. Il colore è scintillante, paglierino compatto con bollicine tutte in fila finemente, persistenti. Il primo naso è dolcissimo, di quelli da rimanerci le narici natural durante, sottili sentori di crema pasticcera, burro di cacao, cioccolato bianco cremosissimo, vaniglia, intensissimo e finissimo. In bocca è secco, piacevolissimo, l’acidità è palpabile ma ben distribuita, a tratti masticabile, la godibilità di questo champagne è da manuale, una bevibilità straordinaria nonostante una spina dorsale importante.

Un vino di cui innamorarsi, purtroppo non sempre alla portata, anzi tutt’altro, ma certamente indelebile nella memoria degustativa tale da sconvolgere i precedenti, creandone dei nuovi! Da bere fresco, non freddo, in calici da vino tradizionali, su tutto quello che merita la vostra attenzione!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Bar-sur-Seine, Champagne cuvée “D” Devaux

5 marzo 2010

Da buon napoletano, a sentir parlar di vedove non può che farmi rabbrividire. Da discreto sommelier (così dicono) però, mi sono abituato al tema, non fosse altro che per certe straordinarie bottiglie della più famosa delle vedove del vino, la prestigiosa Grande Dame Cliquot-Ponsardin, che negli anni mi sono passate tra le mani. A quanto pare però le veuves nel mondo del vino, dello champagne in questo caso, sembrano continuare a mietere successi, allegramente, ottenendo spesso, come appare, anche risultati eccezionali.

Nel 2006, quando ho incontrato per la prima volta questa etichetta sulla mia strada ero molto scettico, è già difficile scardinare le mie convinzioni in materia di bollicine d’autore, figuriamoci poi con uno champagne, misconosciuto com’era, e mai sentito prima di allora; Ma il fascino della scoperta e del confronto hanno sempre un certo peso nel convincermi all’approccio con un vino, così dopo un giusto tempo di meditazione mi sono avvinghiato alla flute, piuttosto assetato, scoprendo, devo ammetterlo, una piacevole sorpresa. L’occasione in verità era delle più propizie, un pranzo (in)formale domenicale alla tavola di Sud dove “les patronnes” Marianna Vitale e Pino Esposito mi hanno concesso l’opportunità di portarmene un paio di boccie da condividere con i miei ospiti. Ebbene, la Cuvée “D” si è rivelato un gran bel vino, uno Champagne davvero degno di nota e senz’altro meritevole di essere annoverato tra le più piacevoli delle esperienze “brillanti” di questo inizio anno.  

Un colore splendente, giallo oro vivace, dalle bollicine fini ed intensamente persitenti; All’olfatto, il primo naso si è dapprima offerto su note di lievito e di crosta di pane, poi aprendosi ci ha regalato sensazioni estrememente eleganti e gradevoli di agrumi, frutta secca, nocciola, polvere di caffè. Un ventaglio olfattivo eccitante e costantemente persistente, sublime, di qualità decisamente superiore.
In bocca un soffio di freschezza, si apre secco, abbastanza caldo, a tratti citrino prima di congedarsi con una vena decisamente cremosa, avvolgente, finissima, quasi vellutata, chiudendo con una piacevolissima sapidità. E’ uno champagne importante, esaltato da piatti altrettanto importanti, giocati su ingredienti di sostanza ma proposti con grande equilibrio e leggerezza: l’abbiamo sorseggiato, in sequenza, con Polpo e Polpessa croccanti su insalata di puntarelle (!), poi sulla cheese cake di baccalà (già divenuto un classico) ed infine sulle succulenti linguine con porri e salsiccia pezzente (da non perdere!). Marianna non poteva che deliziarci, proponendoci, tra gli altri, alcuni dei suoi ultimi piatti, ma la signora vedova Devaux non poteva rallegrarci con meglio!

Note: la Cuvée “D” di Devaux è uno Champagne prodotto con Uve Pinot Noir al 65% e Chardonnay per il restante 35% e mai “sboccato” prima dei 5 anni prima della commercializzazione. E’ Distribuito in Italia da MG-Villa Sandi, costa, in enoteca, sui 60 euro.

A Natale e Capodanno, bollicine buone buone

18 dicembre 2009

E’ indubbio che uno dei piaceri sublimi delle tavole di questi giorni è legato alle bollicine, di cui, proprio nei prossimi giorni se ne stapperanno a milioni e che vedrà come da tradizione il suo apice nella notte di capodanno quando per salutare il vecchio ed accogliere, ricolmi di speranza e buoni auspici il nuovo anno, si faranno fuori milioni di bottiglie di vini spumanti, champagne e tutto ciò che possiede un tantino di anidride carbonica tanto da far saltare un tappo. Più che una lezioncina su quale migliore bollicina scegliere, mi è parso interessante farvi vedere quale il risultato visivo di una o più specifiche modalità di lavorazione grazie alle quali queste o quelle bollicine arrivano poi nel bicchiere.

Bollicine abbastanza intense, ma grossolane, che non hanno cioè una certa continuità ed uniformità. Questo è il risultato di speciali vini frizzanti, ma potrebbe esserlo anche di vini spumanti prodotti con metodo Charmat breve o con tecniche poco oculate ed uve non particolarmente vocate. Il vino, il più delle volte, risulterà appena fragrante al naso, con note erbacee ed una piacevole freschezza gustativa oltre che una beva decisamente leggera quando non appena acida. Questa caratteristica, fatte naturalmente le dovute eccezioni, è  riscontrabile in alcuni vini bianchi secchi prototipo come il pignoletto frizzante emiliano, il muller thurgau o lo chardonnay della Valdadige. Vini piacevoli, in certe stagioni dell’anno, vedi l’estate quando appaiono ideali, ma non certo caratterizzati da bollicine di particolare pregio e finezza.

Bollicine fini ma poco persistenti, è una delle caratteristiche più comuni di vini spumanti prodotti con Metodo Martinotti (o Charmat lungo) o Metodo Marone-Cinzano, con uve particolarmente vocate e vinificate con la giusta attenzione e spumantizzazione. Il primo vino che vi deve venire in mente è il Prosecco spumante, quello di Conegliano Valdobbiadene ma anche quello meno conosciuto della d.o.c. Montello e Colli Asolani. E’ un timbro visivo gradevole, il colore cristallino si riflette solitamente nelle bollicine che sono sì fini ma risultano poco persistenti e formano una corona di spuma nel bicchiere mediamente consistente. E’, come detto, una peculiare caratteristica del prosecco spumantizzato come di altri che hanno fatto la storia delle bollicine made in Italy, pensate per esempio anche agli Asti Moscato d’Asti vivaci o spumanti che siano – quando si preferisce il dolce al brut o all’extra dry, ai vini prodotti nell’Oltrepò Pavese prima dell’avvento, anche qui, della ricerca e del successo sui metodo classico. Ma non sono da trascurare le interessanti e tradizionionalissime bollicine dello storico Asprinio d’Aversa campano e tutta quella serie di vini spumanti venuti fuori negli ultimi anni sulla scia del sempre più crescente appeal che le bollicine hanno sui palati italiani; penso alla Falanghina e al Greco di Tufo, per prendere ad esempio strade assolutamente (o quasi) sconosciute sino a pochissimo tempo fa, dove alcune interessanti etichette non mancano certo di stupire anche il palato più fine ed attento, ma anche a quelle “nicchie” di sempre come la ribolla gialla friulana o la vernaccia di serrapetrona (rosso) . 

Bollicine fini e persistenti, è questo il marchio di fabbrica dei grandi spumanti italiani e dei migliori Champagne delle più prestigiose maisons, quando per spumanti italiani s’intendono quelli che hanno una storia, una tradizione, una cultura propria e tipica di denominazioni, per esempio, come Trentodoc o Franciacorta, tradotte spesso, più semplicisticamente, come metodo classico e basta. Difficile pensare allo Champagne come termine generico di bollicine francesi piuttosto che icona di una specifica area viticola storicamente vocata e legata a produzioni di grande slancio e prestigio internazionale.  In Italia, negli anni, soprattutto negli ultimi 20, vi sono piccole aree che hanno trovato, nel tempo, una propria identità espressiva in materia spumantistica, ma quelle maggiormente rappresentative continuano a rimanere quelle definite dalle due denominazioni sopracitate, che nulla tolgono a microproduzioni di qualità venute fuori nelle langhe piemontesi piuttosto che nelle vigne di San Severo in Puglia, ma che indubbiamente riescono meglio a dare voce, quantomeno in senso numerico, alla solida tradizione spumantistica italiana che non si può non tener ben in mente quando si sceglie una bella bottiglia da stappare.

Sono quindi generalmente bollicine fini e persistenti quelle che si sprigionano numerose esaltando la brillantezza di un giallo paglierino intenso anche con venature dorate, sinonimo spesso di lunga permanenza del vino base sui lieviti e di grande qualità e compattezza delle uve vinificate. Sono questi vini di alto profilo organolettico, che regalano profumi deliziosi e sapori intensi, che hanno percorso già tanta strada in evoluzione in bottiglia e che aspettano solo di essere aperte. E’ vero, sono questi vini che possono durare una vita, ma la loro grandezza sta anche nella capacità di condensare il meglio di sè già nel momento in cui il Maitre Caviste da il via libera alla sua commercializzazione. 

Scegliete quale bollicina avete piacere di incontrare nel vostro bicchiere, sarà piacere visivo e biglietto da visita da conservare bene nella memoria. Il futuro merita sempre, quantomeno, un brindisi di auguri!

Altro che bollicine, Giulio Ferrari e basta!

1 dicembre 2009

L’Italia delle bollicine ha il suo manifesto, è il Giulio Ferrari della più nota azienda spumantistica italiana nel mondo assieme forse solo alla Guido Berlucchi di Borgonato.

Il suo vero nome è Trento Riserva del Fondatore Giulio Ferrari ma negli anni, come per l’amico più ambito e stimato, è divenuto più semplicemente “il Giulio”.  Un breve escursus storico è utile per capire dove e come nasce il mito, fortemente voluto da un uomo, Giulio Ferrari per l’appunto e dal suo sogno di creare in Italia un vino ispirato al migliore Champagne di Francia. Enologo capace e rigoroso, già allievo della prestigiosa Scuola di Viticoltura di Montpellier, nel 1902 Giulio diede il là all’opera Ferrari che lo porta sin da subito a concentrare la sua attenzione su poche, selezionatissime bottiglie e dal costo anche impegnativo. Nel 1952 Bruno Lunelli, titolare della mescita di vini più conosciuta di Trento, rilevò la Ferrari da Giulio, che continuò a lavorare in cantina fino alla sua morte. Nei decenni a seguire i figli di Bruno Lunelli Gino, Franco e Mauro, condurranno l’azienda Ferrari sino ai giorni d’oggi, sinonimo di soli Spumanti Metodo Classico con il lustro come detto di essere tra i marchi storici italiani più riconosciuti nel mondo ed in materia di bollicine il più famoso ed apprezzato assieme a pochissimi altri.

Il Giulio è prodotto da sole uve chardonnay allocate perlopiù nell’areale di Maso Pianizza dove si è deciso verso fine anni sessanta di avviare questo grande lavoro di valorizzazione territoriale con l’uscita della Riserva del Fondatore che vedrà la luce qualche anno più tardi con il millesimo 1972. Nasce così uno dei pochi vini spumanti italiani concretamente capace di resistere al carattere, spesso longevo e soprendente, dei migliori e prestigiosi Champagne. Almeno dieci anni il periodo di maturazione sui lieviti in bottiglia, un carattere distintivo comune a nessuna altra bollicina italiana, e già questo la dice lunga sulla qualità del terorir e della materia prima che arriva dalle vigne in cantina. Ma veniamo al vino, anzi ai vini, poichè è questa l’occasione per appuntare anche alcune impressionanti bevute che mi ha regalato questo meraviglioso vino durante tutto il 2009.

Giulio Ferrari 2000. Bellissimo il colore oro brillante, di buona consistenza e con un perlage finissimo ed intenso come la spuma davvero invitante. Le bollicine che si sprigionano dal fondo del calice sembrano sartoriali e diligenti, senza sbavatura alcuna, persistenti. Il primo naso è fragrante, delizioso, burroso, note di vaniglia e di cioccolato bianco su tutto, poi sentori fruttati dolci, marmellata di albicocca, miele di acacia. In bocca è secco, di buona struttura, acidità sorprendente ma per niente invadente, equilibrata da una materia eccelsa che profonde bevibilità e carattere sino all’ultimo sorso. Una compensazione gustolfattiva senza sbavature, naso invitante, palato armonico ed equilibrato, compagno di viaggio di abbinamenti eccelsi e piatti d’autore, penso alla Trippa di Baccalà di Oliver Glowig ma anche ad elementi più semplici ma di carattere come può essere un parmigiano reggiano stravecchio o un succulento Speck dell’Alto Adige.

Giulio Ferrari 1997. Grande millesimo, grande Giulio! Il colore è solo un po’ più pronunciato, il giallo oro tende lievemente all’antico ma la brillantezza è comunque eccellente, le bollicine sono estremamente fini seppur meno numerose e persistenti rispetto al 2000. Il primo naso anch’esso esprime subito note terziarie, il gioco olfattivo qui va dapprima su spezie orientali, ginger innanzitutto, poi di nuovo sentori vegetali e floreali disidratati, poi di nuovo vanigliati. In bocca è secco, abbastanza caldo, l’acidità presente è poco meno incisiva rispetto alla bevuta precedente, è equilibrato e nel complesso armonico in piena forma e godibilità. Va verso l’adolescenza con una maturità accentuata e perspicace. Appena una spanna sotto il 2000.

Giulio Ferrari 1994. Un’altro millesimo eccellente per tirare fuori la Riserva del Fondatore; il colore è giallo oro con nitidi riflessi oro antico, ciò che salta subito agli occhi è una minore espressività della trama delle bollicine pur fini e presenti, ma poco intense e persistenti, come la spuma. Il primo naso è evoluto, subito dolce, quasi tostato. Il ventaglio olfattivo non è ampissimo, rimane di qualità ma abbastanza risoluto su di una trama delicata, comunque apprezzabile. In bocca è secco, caldo, possiede una carica acida abbastanza contenuta ma che non manca di donare ancora carattere e verve gustativa. Il vino avvinghia il palato con una costante piacevolezza, una profonda mineralità concede una beva scorrevole, ancora a tratti impulsiva, lunga ed equilibrata. Finale quasi masticabile, scioglievolezza di burro di cacao, sensazione nitida di mandorla tostata. Viaggia verso la maggiore età con la consapevolezza di aver fatto già molta strada, nutre certamente poche ambizioni ma sa di essere un talento puro!

Qui¤ la recensione del Giulio Ferrari 2001.

Difficile, come detto, pensare alle bollicine italiane senza tirare in ballo Ferrari ed in particolare il suo Giulio, ma negli ultimi anni la crescita qualitativa degli spumanti italiani, penso in primis alla Franciacorta, nell’Oltrepò Pavese piuttosto che nella mia Campania, nella stessa denominazione Trento d.o.c. non può essere lasciata passare inosservata o banalizzata. Si sono fatti grandi passi in avanti che non si possono negare, profondere attenzione e rispetto verso aziende che in giro per l’Italia hanno investito seriamente nella ricerca e nello sviluppo di una possibile e migliore identità spumantistica non può essere negato, soprattutto, quando come molto spesso accade, si vanno a valorizzare espressione originali di un vitigno, di un territorio che non possono mancare nella cultura di ogni buona storia enologica.

L’annata 2000 di questo vino è il nostro vino spumante dell’anno.

Clos des Goisses 1996, applause!!

24 novembre 2009

La ricerca dello champagne preferito non ha fine, ci sono esempi storici, camei indimenticabili di imperatori e re follemente innamorati di questo o di quello champagne; governatori,  papi e starlettes capricciosi sino all’inverosimile tanto da meritarsi dediche di intere cuvèe.

Perché stupirsi allora quando a marcare il visibilio più totale è l’annata del cuore, quella da non far mai mancare nella propria cantina, quel vezzo tanto prezioso che caratterizzava tanto la molto beneamata Madame Pompadour, fiera devota al suo Moet del 1746 quanto l’ineffabile James Bond, vinto solo dal fascino del suo Bollinger RD. Il Clos des Goisses è il gioiello di casa Philipponat, uno champagne molto particolare, non per tutti o almeno per coloro che pensano e credono che le bollicine d’oltralpe siano solo un vezzo per viziati e sedicenti imbonitori. Questo cru Nasce a Mareuil sur Ay, in un vigneto-giardino bellissimo che costeggia gli argini del fiume Marna, un climat da cartolina, una veduta da perderci il fiato. Il ’96 come molte delle precedenti annate è stato prodotto con un blend di pinot noir e chardonnay, con il principe dei vitigni a baca rossa prevalere per il 70%  e solo in minima parte affinato il legno.

Il 1996 è uno champagne di rara personalità, ha un colore paglierino brillante, scintillante, possiede una trama di bollicine fitte ed eleganti, persistenti, infinite, cloni a se stesse. Il primo naso è una spruzzata di agrumi, di spezie orientali: buccia limone, pompelmo, poi ginger, foglia di thè e cannella. Un ventaglio assai fine e fitto, complesso e persuasivo, avvincente, inebriante; il gusto è secco, intenso, abbastanza caldo, per niente morbido, spiccatamente citrino: taglia il palato in profondità, una volta mandato giù il primo sorso, per 3,4,5 secondi hai solo il piacere di chiudere gli occhi ed immaginare bevute simili, un confronto decente, una prospettiva futura, così ti convinci di berne ancora, di ricercare altre sensazioni. Ti accorgi così di navigare a vista, speri in un punto di riferimento che non c’è, torni a metterci il naso dentro, lo riassaggi, esprimi una doverosa contropinione sulla sua fittezza di acidità, gli concedi più o meno un ventennio per smussarla e per goderne ancora: cavolo ma è il Clos des Goisses di Philipponnat, punto e basta!

A questo punto sarebbe opportuno buttare giù un paio di piatti adatti ad avvicinare cotanta ricchezza organolettica, ecco allora che mi vengono a mente un paio di esperienze, una recentissima che è la lasagnetta di lingua di vitello in guazzetto di Tartufi di mare di Marianna Vitale del ristorante Sud di Quarto, l’altra mi appartiene per convenzione: la scacchiera di mare di Oliver Glowig (qui), forse il piatto più emozionante (qui conta poco essere di parte) mangiato nel 2009 assieme alla creme brulée di baccalà di Francesco Sposito di Taverna Estia.

Campania, piccole bollicine crescono

18 novembre 2009

Nell’epoca in cui viviamo la comunicazione è divenuto un fattore fondante del successo di un prodotto, di un marchio, di una azienda; no, non scopriamo certo l’acqua calda, in effetti “la pubblicità – si è sempre detto – è l’anima del commercio” ed in ogni stagione negli ultimi cento anni si è fatta prima pudica, poi elegante persuasione sino a divenire insidiosa al punto di vestire troppo spesso l’arroganza dell’invadenza. Oggi più che di pubblicità, termine ormai relegato al linguaggio popolano si è sempre propensi a parlare di comunicazione, “perché con la comunicazione s’intende lanciare un messaggio che è molto più complesso, spesso originale, della banale pubblicità”. Non solo quindi manifestare la bontà di un prodotto, l’intuizione di una idea,  l’identità di un marchio da lanciare o consolidare e invitare al suo acquisto, ma rendere tutti questi, attraverso un linguaggio minuzioso, magari supportato da una proposizione anche visiva, una parte integrante di una esperienza unica del destinatario di turno, insomma un momento culminate del proprio vivere quotidiano, magari di una passione, di un piacere che potrà essere a lungo condizionato tanto da modificarne le abitudini.

Ecco come si può arrivare a pensare di stravolgere le abitudini di operatori professionali ed appassionati consumatori, come si possa pensare di proporre in alternativa al Prosecco di turno la Falanghina o l’Asprinio d’Aversa spumanti, come avviare una lenta conversione alla valorizzazione di progetti interessanti sul primo, diffusissimo vitigno che sembra trovare con la spumantizzazione un’anima intrigante, deliziosamente appagante, una espressione per niente banale e sul secondo che grazie all’impegno di pochi viene costantemente reso salvo dall’estinzione. Un lento progredire che possa condurre all’idea che sia il Prosecco a divenire una valida alternativa di Asprinio e Falanghina, non fosse altro per la soddisfazione di chi ama rallegrarsi con le bollicine autoctone campane e per la buona pace dei redattori delle varie guide ai ristoranti che proprio non ne possono più di ritrovarsi a Sorrento come a Pozzuoli, a Paestum come a Caserta o Ischia sempre costantemente serviti come “calice di benvenuto” il Prosecco (spesso uno dei più mesti) o magari un Oltrepò Pavese Pinot Nero vinificato in bianco e quando gli va bene una flute di Franciacorta: nessuno, o quasi (poiché le eccezioni vi sono sempre) che pensi che uno spumante di Falanghina (quindi Asprinio d’Aversa o Greco di Tufo) possa essere un buon viatico di accoglienza quantomeno in tono alla propria tavola spesso proposta come tradizione della enogastronomia campana.

Un percorso sicuramente non facile, che passa innanzitutto dalla qualità dei prodotti proposti dalle aziende, che non si può negare, ce la stanno mettendo tutta per migliorare i propri vini, raccogliendo e vinificando le uve con le caratteristiche più adatte alla tipologia e qualificando sempre di più la propria esperienza investendo in risorse umane avvalendosi di consulenti specialisti (quasi sempre proprio provenienti dalla scuola enologica di Conegliano, nda) ed in tecnologia di cantina, con gli spumanti quanto mai essenziali per proporre un vino di qualità e rispettoso delle caratteristiche organolettiche della tipologia. Investimenti onerosi che servono necessariamente per fare il salto di qualità e garantire una filiera inattaccabile.

Una buona dose di entusiasmo in questa direzione non guasterebbe, soprattutto da parte di chi come gli operatori del settore, sommeliers, enotecari, ristoratori, distributori spesso decidono le sorti di un vino piuttosto che di un altro; non senza le dovute osservanze: i parametri della qualità devono essere integerrimi, quelli dei costi discussi seriamente e serenamente al fine di trovare un giusto equilibrio (spesso ricarichi assurdi sino al 300% sulle bollicine allontanano da certe scelte) ma soprattutto l’intelligenza di non prendere per partito preso posizioni assolutistiche, i vini spumanti da vitigni autoctoni campani non vanno contrapposti ostinatamente ai vari modelli italiani e soprattutto d’oltralpe, Champagne in testa. Sono questi, vini la cui storia è inattaccabile, la cui origine di valore straordinario e di qualità certamente superiore da prendere per modello per valorizzazione dei terroirs espressi e non da scimmiottare con interpretazioni storpiate che hanno portato negli anni a vinificare di tutto purchè frizzante.

Il valore aggiunto per le nostre bollicine autoctone campane oltre al prezzo quasi sempre alla portata di tutti, risiede nella capacità di comunicare il nostro territorio con schiettezza e semplicità non senza rimanere affascinati dalla storia di una viticoltura eroica (penso ai vigneti di Asprinio ad alberata dell’aversano, ai terrazzamenti di Falanghina di Monte di Procida ecc…) capace solo qui, attraverso questi vini di imprimere un marchio indelebile di una terra unica e straordinaria. Valori, schiettezza e sincerità che non dovrebbero mai mancare anche nei comunicatori del vino. Prosit!


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