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Champagne Terre de Vertus 1er Cru 2013 di Larmandier-Bernier, un manifesto di spiccata mineralità

20 dicembre 2019

C’è un grande lavoro dietro le bottiglie di Sophie e Pierre Larmandier, un lavoro che muove da principi e valori molto solidi e dalla volontà di produrre Champagne di grande personalità senza sovrastrutture o forzature inutili, orpelli che il più delle volte conducono ad emulare più che creare, seguire una scia anziché tracciare una strada.

L’azienda, per tutti gli appassionati non ha certo bisogno di particolari presentazioni, ha una storia antica che risale gli annali sino al lontano 1765, poi, come tante famiglie del vino champenoises ha vissuto alcuni alti e bassi di generazione in generazione sino ad arrivare ai giorni nostri con grande considerazione da parte della critica e degli appassionati di Champagne, nonché lanciatissima sul futuro prossimo a venire.

Le sue vigne si trovano nei migliori cru della Côte de Blancs, anzitutto a Vertus (Premier Cru) e Cramant, ma anche a Chouilly, Oger e Avize, tutti Grand Crus dell’areale più ambito della Côte; sostenitori a piè mani della Biodinamica, dal 1999 nelle terre di famiglia si fa viticoltura esclusivamente in maniera naturale e si usano per le vinificazioni solo lieviti indigeni. Tutti i processi produttivi rispettano un rigido protocollo aziendale votato alla salubrità, nessun collaggio, né filtraggio e i dosaggi, quando necessari, sono ridotti al minimo indispensabile. Il sale e la consistenza della materia, unita a tanta freschezza e ”cremosità” sono i tratti distintivi del Terre de Vertus duemilatredici.

Il colore è splendido, paglierino con riflessi appena dorati, le bolle sono fitte e persistenti, il naso è subito ricco di sfumature e piacevoli rimandi: sa di agrumi, pesca gialla, nocciola, ma anche di zenzero e crosta di pane. Il sorso appare tagliente, si fa spazio al palato dritto e insistente ma poi la bocca si fa setosa e delicata, sul finale sapida e gustosissima; così è proprio un gran bel bere, un manifesto di spiccata mineralità.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Pro e Contro

21 giugno 2011

Il rosso e il nero, il sole e la luna, l’alba e il tramonto. Chi per l’uno, chi per l’altro. Così il vino, di spessore o sottile. Spesso, diciamocelo, certe scelte sono dettate esclusivamente da pura vanità intellettuale, altre volte, giustamente, da un gusto personale imprescindibile, altre ancora, comprensibilissimo, la predilezione del momento.

Quindi un’imbarcata dinanzi ad un vino florido, ricco, abbondante, copioso, robusto, ci può stare. Perché un vino splendido rimane tale, sempre. Un rosso dal naso fittissimo, copioso, etereo, cioccolatoso; palato pieno, sano, sfarzoso, sontuoso ma al tempo stesso regale, significativo, tangibile, brillante, polposo, vigoroso, procace, fitto, più orizzontale che verticale, di gran soddisfazione comunque; solo corvina e rondinella per l’Amarone della Valpolicella 2007 Le Vigne di S. Pietro.

Per contro, la sottile, acuta, filiforme veste di questo splendido altro bicchiere. Primo naso fine, flessuoso, dapprima leggero, lieve, longilineo, poi quasi rarefatto, sagace e profondo, echeggiante passaggi aridi di gariga e note di macchia mediterranea e terra nera. No, affatto una beva difficile, asciutta sì, penetrante, fitta, stretta a note austere e minerali ma minuziose, pure, sofisticate: un vino, concedetemelo, micrometrico. Si parla di nerello mascalese e dell’ Etna rosso Archineri 2009 di Pietradolce.

A rischio di passare per qualunquista, oggi mi sento tanto pro quanto contro.


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