Capita una sera a cena Salvo Foti, ti viene così di scendere giù in cantina e prendere una vecchia bottiglia di asprinio da bere con lui che tanto sembra appassionarsi alla storia di questo antico quanto poco conosciuto vitigno. Ed è subito grande intesa.

Ne rimane rapito Salvo Foti, lui che in Sicilia, col carricante – altro ostico bianco ritrovato -, sta facendo cose più che egregie; ma più di tutti appare sorpreso (anche se non troppo) proprio lui, Carlo Numeroso, vigneron dalla “capa tosta” e patron, col cugino omonimo, de I Borboni di Lusciano. “Le avevamo messe via in ricordo della fondazione della cantina che si inaugurava proprio quell’anno; finalmente stavamo a casa nostra, in questa splendida struttura che abbiamo recuperato dall’abbandono di troppi anni”.
Asprinio d’Aversa Vite Maritata 1998, ben quattordici anni fa. Una vita fa che però nel bicchiere sembra appena ieri. Il colore fisso nel tempo, appena paglierino, luminoso, vivo. Quel naso poi farebbe innamorare chiunque: verticale, appena sporco d‘idrocarburi ma fluttuante, tra il minerale e la macchia mediterranea, poi delicato sino a rinvenire sentori di fiori gialli e spezie dolci. Ma con un sorso dritto, profondo, una stilettata franca e materica. Anima indolente appena adolescente, smaliziata, irreprensibile.

Così le idee prendono forza, il progetto si arricchisce, la memoria storica ha qualcosa da raccontare e tramandare nel tempo, oggi, finalmente, non più per caso, per riconoscenza, ma per lanciare nel futuro un messaggio che arriva da lontano, da molto lontano con una chiarezza inequivocabile, più autentico che mai, vero e unico quanto sa esserlo solo l’asprinio: non è un vino per vecchi, non è un vino da bere con malinconia, solo per ricordare il tempo. L’asprinio d’Aversa è un vino inesorabile quando giovane, fresco, incalzante, allegro ma sa pure invecchiare bene, incredibilmente bene, ricco, sfrontato, complesso e, soprattutto, maledettamente riconoscibile.

Con queste premesse è nato e si farà il Santa Patena 2011, sul mercato il prossimo aprile 2013 e che promette di essere davvero una bella sorpresa per tutti gli appassionati di bianchi di spessore e carattere; viene da circa 2 ettari di vigna coltivati sul versante napoletano della dop Asprinio d’Aversa, a Santa Patena appunto, nel comune di Giugliano; si tratta di un vigneto allevato a sylvoz, sistema già ben collaudato da oltre trent’anni nelle vigne dei Numeroso a Lusciano, da cui si sono selezionati circa 25 quintali d’uva per 15hl di vino finito: 12 gradi, con una acidità iniziale pari a 13g/l ma che poi si è ridotta ad oggi a circa 8g/l, tutto lavorato in acciaio e tutt’ora in affinamento sulle fecce fini.
Il bicchiere dovrà attendere un po’ per rivelarsi in tutto e per tutto ma ha già tanto da raccontare, tant’è che naso, colore e sapore non spostano di una sola virgola il ricordo del varietale che qui pare farsi assai più avvincente e materico del Vite Maritata pari annata. Ciò che più mi piace però in questo momento nel confronto, è che non si possa assolutamente parlare di un mero “esperimento” ma bensì di un normale, se vogliamo coraggioso, tentativo di alzare semplicemente l’asticella qualitativa di un vino, l’asprinio, che merita sicuramente maggiore spazio nelle carte dei vini dei ristoranti e nei taccuini dei degustatori più appassionati, sia quando spumante che vino fermo.
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