Ancora Bordeaux, stavolta però “rive droite”, per un passaggio di primissimo piano tra le eccellenze d’oltralpe; siamo a Saint-Emilion e nel bicchiere ci godiamo uno Chateau Figeac 2004 davvero avvincente, in grande spolvero!
Lo chateau: Figeac è a Saint-Émilion, la rive droite di Bordeaux, una delle più ambìte delle appellation del bordolese. Numeri alla mano, quello della famiglia Manoncourt – Thierry è scomparso appena un anno fa a 92 anni – è il vigneto più grande dell’areale con i suoi 40 ettari piantati quasi in egual misura con cabernet sauvignon (35%), cabernet franc (35%) e merlot (circa il 30%). Di molto ridimensionato rispetto alla sua origine, ben più estesa e dalla cui spartizione, per vicissitudini ereditarie e/o finanziarie susseguitesi negli anni, ne hanno beneficiato in parecchi, ha conservato tuttavia intatto il grandissimo fascino di uno dei luoghi più vocati del bordolese. Qui, contrariamente alla consuetudine che vuole il merlot predominante negli assemblaggi, questi vi è presente per appena un terzo dell’uvaggio; il vino viene solitamente lasciato maturare esclusivamente in legni nuovi. Per quanto possa valere la classificazione – qui davvero poco se non nel merito puramente commerciale -, Figeac viene annoverato come un premier grand cru classé, seppur ancora di classe B nonostante la lunga battaglia (persa) di una riqualificazione in classe A.
La vigna: poco da dire, se non che il terreno qui è eccezionalmente caratterizzato dai cosiddetti graves de feu, letteralmente ciottoli di fuoco, collocati all’estremità nord-occidentale della denominazione, al confine con Pomerol. L’areale è suddiviso perlopiù in cinque microaree ben definite, due delle quali partoriscono oggi quel fenomeno chiamato Cheval Blanc, mentre le restanti tre, Le Moulins, La Terrasse e L’Enfer ricadono ancora nel dominio di Figeac.
Il vino: è palese quanto sia disdicevole appassionarsi a certi vini, apparentemente tutti uguali di anno in anno come se nulla mutasse di millesimo in millesimo; in realtà così non è: qui, più che altrove, l’annata incide notevolmente sull’imprinting del vino, e si fa sentire e come. Questo duemilaquattro pare calzare perfettamente lo stile dello chateau, meno – dicono – quello dell’appellation: Figeac, con questo uvaggio, se vogliamo atipico, è storicamente forse il meno rappresentativo dei vini di Saint-Émilion, ma quasi sempre estremamente fedele alla migliore delle interpretazioni dell’annata; così con questo millesimo, con un vino complesso, di nerbo e freschezza gustativa da vendere, tannini particolarmente eleganti.
Il colore è ricco, rubino vivo e poco trasparente; il primo naso è emblematico, frutti rossi croccanti, prugna e mirtillo in grande evidenza e note eteree, più di quelle balsamiche e speziate, piacevolissime, che richiamano tra l’altro un sentore piuttosto caratterizzante, sottile ma insistente, di brodo di carne. Al palato è asciutto, quasi arido, con un ritorno di frutta secca e spezie molto gradevole; il tannino non è aggressivo, per nulla invadente, ma non manca di sfoderare una certa vivacità gustativa, soprattutto sul finale di bocca quasi vibrante, di ottima fattura. In definitiva, un rosso di grande efficacia, con una spina dorsale importante ma tannino finissimo ed elegante e, non ultimo, una beva a dir poco gratificante dal primo all’ultimo sorso.
Curiosità: Château Figeac produce anche un secondo vino, La Grange Neuve de Figeac; non è da confondere invece con Château La Tour Figeac o con lo Château La Tour du Pin Figeac con i quali non ha, oggi, nulla a che spartire. Pensate inoltre che in tutta la Francia vi sono almeno 150 chateaux che in un modo o in altro recano nel proprio nome la parola Figeac, molti dei quali proprio nei dintorni di Saint-Émilion.