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Quel che ho imparato, ancora una volta

30 ottobre 2020

Il mondo corre veloce, va avanti, tutto quello che ci gira intorno ci sembra inarrestabile, la società, le tecnologie, il lavoro tutto intorno a noi evolve e si trasforma continuamente. Non di meno chi lavora nel food&beverage sa molto bene cosa significa stare al passo coi tempi, chi sta in sala e in cucina, dietro a un banco, alla porta si nutre ogni giorno di nuove esperienze ed ha l’obbligo professionale di essere sempre all’altezza, per ciò non può restare fermo a guardare, perché altrimenti si resta indietro o peggio ancora, esclusi. La dimostrazione pratica è che c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare, o qualche conoscenza da migliorare o aggiornare.

Ecco perché negli ultimi mesi ho ripreso a studiare forte, ho ripreso con ferma volontà tutto il percorso fatto sino ad oggi, riletto voracemente libri consumati nel tempo dalla passione, convinto di trovarvi dentro risposte ed insegnamenti preziosi; ho rispolverato vecchi appunti di viaggio e nuovi scritti, i diari, i manuali e gli standards, mi sono cimentato con eventi formativi, webinar, corsi on line, qualcuno anche parecchio impegnativo, diciamo capace di schiarire certe idee: si evolve, anzitutto per noi stessi, non solo perché capita, talvolta, di avere la sensazione di “quel qualcosa” che ci manca, ma perché serve competenza, oggi più che mai è necessario fare la differenza, quale che sia il ruolo nel mondo food&beverage.

Se c’è un insegnamento che emerge perentorio in questo momento storico così particolare, che ha sostanzialmente messo un po’ tutti in riga più o meno sulla stessa linea di partenza, in particolar modo in ambito professionale, è proprio che è la competenza a fare la differenza!

© L’Arcante – riproduzione riservata 

Ogni “scarrafone” è bello a mamma soja…

10 luglio 2012

“Guardi, non perché voglia insistere, e nemmeno mi interessa cosa fanno gli altri, ma questo è il nostro capolavoro! Nasce dalla selezione dei migliori grappoli, ci portiamo in cantina appena 30 quintali, tutti raccolti a mano e scelti acino per acino, si potrebbe dire; le nostre vigne poi sono uno spettacolo, di 30 anni e collocate nella zona più vocata del territorio, a circa 300 (!) metri di altitudine con esposizione piena e aperta a sud, dove i terreni sono terribilmente sani e di natura particolarmente adatta al varietale”. 

“Ci facciamo una vinificazione attenta, coscienziosa, senza lieviti selezionati, a temperatura di cantina e senza intervento alcuno con tecnologia del freddo o chimica di sintesi o altro; i travasi sono fatti per caduta, senza forzature meccaniche e ci tengo a precisare che non procediamo a nessun tipo di trattamento, né per chiarificare o stabilizzare. E’ tutto naturale, per dirla! E ci tengo ad aggiungere ancora che in nessuna fase di lavorazione viene utilizzata solforosa o qualsiasi tipo di conservante. Insomma, come viene qua da noi il raboso, mi creda, da nessuna altra parte!” 

In effetti sì, un raboso così mi mancava proprio…


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