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Serralunga d’Alba, vien di notte con le stelle e… un fresco bicchierino di bianco Montanaro

21 ottobre 2011

Stanotte ho dato un’occhiata lì fuori affacciandomi alla finestra; poi, per niente convinto della vista – cercavo le stelle, avevo a tiro solo rami di querce -, mi sono deciso a scendere giù; ho passeggiato qualche minuto, mi sono seduto su una panchina, ci sarò stato mezz’ora, quanto è bastato a far pace con la mia anima (mentre dal nulla sbucava un cervo!).

Il bianco Montanaro di Giulio Bongiovanni è molto più di un intruglio che ricorda il Vermouth – ricordate? E’ quel vino liquoroso ottenuto miscelando vini bianchi secchi, solitamente dal sapore neutro, con alcol puro, zucchero, assenzio ed altre piante aromatiche -, quello di una volta però, quello che aveva come base il miglior vino moscato e che faceva scintillare gli occhi già solo al primo sorso. Fu Ippocrate, il padre della medicina, tra i primi ad aromatizzare il vino con l’assenzio, aggiungendovi zucchero e alcol puro per renderlo ancora più dolce, quindi morbido diremmo oggi noi, e inebriante. Lui era solito utilizzarlo per purificare il corpo dei suoi pazienti, come vermifugo, ma vista l’euforia che manifestava la bevanda ed il suo gusto piacevole, ben presto questo intruglio divenne liquore pregiato, e nei secoli a venire destinato a palati sempre più raffinati.

Della ricetta tradizionale del Vermouth si conoscono più o meno i principali aromi utilizzati: di sovente genziana, zenzero, vaniglia, assenzio, maggiorana, melissa, timo, salvia, luppolo, sambuca, camomilla, finocchio, zafferano, melograno, garofano o chiodi di garofano, ma come la storia racconta ognuno ha poi maturato negli anni una propria unica ed irripetibile ricetta. Nel bianco Montanaro, tra i pochi “segreti” rivelati, oltre a recuperare il moscato come vino base, c’è che le erbe e le spezie non vengono lasciate in infusione diretta – cioè immerse nell’alcol -, ma in maniera indiretta, in sospensione; ovvero, in un contenitore con chiusura ermetica vengono poggiate su di una griglia e di tanto in tanto irrorate con l’alcol che, per caduta, viene raccolto alla sua base. Così per almeno 40 giorni. Altro segreto poi, lasciare i contenitori al sole al mattino e rimetterli al fresco in cantina alla sera.

Il risultato? Un vino delizioso e ammaliante, dal colore canarino luminoso. Al naso è fulgido, intensamente aromatico, officinale, speziato, finemente ammandorlato. Il sorso è asciutto, e nonostante il buon tenore alcolico e l’aggiunta di zucchero risulta assai fresco e avvolgente, anche se rotondo e caldo, efficace e piacevolmente secco sul finale di bocca. Un vino davvero adorabile, bevuto così freddo come l’ho apprezzato io rimane formidabile pure da solo, quando servito come aperitivo; ancor più se, con un pizzico di fantasia, un po’ di estro, giustamente miscelato ad una bollicina d’autore. Chissà che non sia da spingere come una buona idea…

Alba, di Montanaro e della grappa dell’Alchimista

18 ottobre 2011

“S’ci l’è foll!”. Questo è un matto, per dirla alla maniera albese. E a pensarci bene Giulio Bongiovanni non fa proprio niente per smentirsi, per apparire alla mano, anche più di quanto in realtà lascerebbe intuire d’essere. “L’è così, prendere o lasciare!”. Noi, naturalmente, prendiamo…

La grappa, o “il sole d’uva imbottigliato” per dirla con Paolo Monelli, ha avuto in Alba il suo più autorevole precursore in Francesco Trussoni, maestro di alambicchi, detto l’alchimista, che nel 1885 si mise in testa di fare la prima grappa di Barolo, la prima monovitigno della storia. Una storia proseguita negli anni trenta sotto l’egida di Mario Montanaro, suo genero, che contribuì in maniera sostanziale a delineare l’attuale fama di cui gode la distilleria di Gallo d’Alba, nel cuore delle Langhe. Da poco più di un ventennio la Distilleria Montanaro è passata nelle mani di Giulio Bongiovanni, altro maestro artigiano langarolo di primissimo piano. Un gran personaggio!

Le vinacce arrivano in distilleria, quindi selezionate tra quelle ritenute di pregio, adatte quindi agli standards di casa, e quelle meno funzionali destinate magari a lavorazioni di tipo industriale, del tipo per tirarne fuori alcol puro o utilizzate come combustibile bionaturale. Ma la materia prima non è altro che un mezzo per arrivare al cuore della lavorazione, l’ispirazione necessaria per godere di tutti i segreti di una distillazione che conserva un’arte antica e mistica, infinatamente preziosa. Vengono quindi stoccate in silos di cemento da dove man mano vengono confluite, attraverso un nastro trasportatore, alle caldaie in rame.

Le “cotte” durano all’incirca un ora, e le caldaie, praticamente, si autoalimentano grazie alla pressione e al vapore da loro stesse prodotti. Sono infatti collegate tra loro due a due, alimentandosi a vicenda; esauritasi una “cotta”, attraverso l’apertura/chiusura di determinate valvole se ne fa entrare in funzione una seconda coppia, e così via sistematicamente. L’impianto è rimasto praticamante immutato, salvo piccoli ammodernamenti, sin dalla sua creazione nel 1927.

Giulio Bongiovanni, come detto è da poco più di vent’anni proprietario della distilleria Mario Montanaro. Qui è un’istituzione, lo dipingono come uno tosto e dal carattere ruspante, “ruvido”; a me è sembrato un tizio che la sa davvero lunga, un piacere ascoltare i suoi aneddoti, e poi, quel suo bianco Montanaro poi…

Dalle caldaie, attraverso una serie innumerevole di tubi e tubicini, il primo fiore distillato fa un giro piuttosto virtuoso spostandosi in tre diversi locali della distilleria, passando dallo stato liquido a quello gassoso almeno un paio di volte durante il suo “cammino”, così da liberarsi anche del benché minimo residuo sgradevole allo scopo di ottenere acqueviti o grappe purissime.

Il ragno invece, è un complesso sistema di tubicini e microfiltri che s’incrociano apparentemente caotici in una piccola caldaietta che sembra essere la destinazione finale del nettare dell’alchimista. Qui tutto è in rame: poco prima, in una caldaia poco più grande (se ne scorge uno scorcio nella foto, in alto a destra) il liquido viene “intiepidito” e “valorizzato” prima di venire fuori, purissimo, a circa 80 gradi. Praticamente una bomba. Da qui, la raccolta del distillato, tutto sigillato secondo normativa dalle punzonature della Guardia di Finanza; poco dopo il via libera, dritto all’infernot.

Qui riposa il meglio della produzione, dove vi rimane per almeno una dozzina d’anni prima di finire nelle bottiglie di acqueviti o grappe Montanaro. Qui però vi è anche dell’altro, infatti in alcune di queste botti giacciono anche acqueviti e grappe di almeno quarant’anni che concorrono al patrimonio aziendale, che è davvero importante, con alcune partite che arrivano sino al 1960. Non so voi, ma il fascino dell’alchimista mi attira non poco…

Distilleria Dott. Mario Montanaro
Via Garibaldi, 6
12051 Alba Fraz. Gallo (CN)
Tel. 0173/262.014
Fax: 0173/231.378
www.distilleriamontanaro.com
distilleriamontanaro@distilleriamontanaro.com
 

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