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Omaggio a Gillo Dorfles 2015, l’Aglianico secondo Peppino Pagano

1 Maggio 2019

Angelo Eugenio Dorfles, è stato un critico d’arte, pittore e filosofo triestino, scomparso lo scorso Marzo 2018 all’età di 108 anni. Accademico onorario di Brera e dell’Albertina di Torino, è stato membro dell’Accademia del Disegno di Città del Messico, nonché Fellow della World Academy of Art and Science e Dottore Honoris Causa del Politecnico di Milano e dell’Università Autonoma di Città del Messico. Nonché insignito dell’Ambrogino d’oro dalla città di Milano, del Grifo d’Oro di Genova e del San Giusto d’Oro della sua Trieste.

A lui che per tanti anni, durante l’estate, amava concedersi lunghe passeggiate tra i Templi ed il lungomare di Paestum, Peppino Pagano, suo carissimo amico, ha voluto dedicare il vino di punta della sua azienda di Giungano San Salvatore 1988¤, un Aglianico prodotto da uve di un clone cilentano disperso negli anni, dal grappolo piccolo e spargolo ma dalla grande ricchezza fenolica delle bucce che ha saputo impressionare positivamente sin dalla sua prima uscita con il duemilanove che raccontammo, tra i primi, proprio qui su queste pagine nel gennaio del 2015.

Il Gillo duemilaquindici, ancora una volta impreziosito da un’originale etichetta disegnata proprio dal Maestro Dorfles, ha ricchezza e voluttà già nello splendido colore rubino-viola, concentrato e quasi ancora porpora sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso è estremamente ampio e verticale, affianca alla tradizionale matrice varietale una certa giovialità che ne anticipa tanta vibrante sostanza in bocca.

All’assaggio sembra quasi di masticarlo, tanto è spesso, fitto, lungo. Quel velo porpora che tinge il calice pare ammantare con piacevolezza anche il palato, il sorso è corposo, carico di polpa di frutto e le spigolature sono ben attenuate dal sapiente uso del legno. E’ un rosso di caratura importante, con una tessitura considerevole, che punta a conquistare sin dal primo calice ma anche a poter sfidare il tempo senza alcun timore reverenziale nei confronti di altri grandi rossi regionali e italiani.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Paestum Aglianico Jungano 2010 San Salvatore

25 marzo 2013

Senza esagerare e perderci in troppi rivoli sempre complicati da navigare a vista diciamo che il Jungano incarna, è proprio il caso di dire, quel rosso di grande polpa che fa (quasi) sempre piacere ritrovare nel bicchiere: un aglianico del nostro tempo con tanta sostanza, tessuto e ciccia necessaria per stare in tavola, volendo, anche tutti i giorni.

Giungano, San Salvatore - foto A. Di Costanzo

E’ un vino di prorompente vivacità, anche immediato, di quelli che non hai bisogno del manuale d’istruzione per capire da dove cominciare. Ma attenzione però a non confondere questa chiarezza espressiva con la solita solfa di vini comuni a tutto tondo, anzi. Il Jungano 2010 è solo il primo giro di serratura che va spalancando le porte all’aglianico di questo sorprendente pezzo di terra sopra Paestum. Un rosso di gran carattere ma che sa toccare le corde giuste. 

Non ci metti molto a capirlo, è un rosso dal frutto incredibilmente piacevole, nero, teso, gioviale, che cede poco alla terziarizzazione, te ne accorgi tenendolo a lungo nel bicchiere, anche per un giorno intero: è un continuo riecheggiare di mora e rimandi balsamici che spiegano a pieno quanto potenziale possiede questo straordinario varietale quando sboccia stretto nella morsa di un terreno avido e minerale com’è da queste parti. Sapientemente interpretato.

Jungano 2010 - foto A. Di Costanzo

Non dimentichiamoci infatti la grande sostanza del progetto di Peppino Pagano che non si è certo lanciato in quest’avventura da sprovveduto, o solo per inseguire quella moda tanto cara – in tutti i sensi – agli imprenditori di successo in altri campi di fare vino per hobby. San Salvatore¤ è anzitutto un’azienda agricola a 360°, biologica non per manifesto ma per vocazione e che gira a palla sin dal suo debutto commerciale, non a caso in appena una manciata di vendemmie è già riuscita a smarcarsi proprio grazie alla forte personalità dei suoi vini bianchi¤ quanto più dei suoi due rossi¤.

Omaggio a Gillo Dorfles

18 gennaio 2013

Gillo Dorfles è un critico d’arte, pittore e filosofo triestino. Il prossimo 12 aprile compirà 103 anni. Tra le varie è Accademico onorario di Brera e dell’Albertina di Torino, membro dell’Accademia del Disegno di Città del Messico, nonché Fellow della World Academy of Art and Science e Dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell’Università Autonoma di Città del Messico. È stato insignito dell’Ambrogino d’oro dalla città di Milano, del Grifo d’Oro di Genova e del San Giusto d’Oro della sua Trieste.

Paestum Aglianico Gillo 2009 Az. Agr. San Salvatore - foto A. Di Costanzo

A lui che ancora oggi, d’estate, ama concedersi lunghe passeggiate tra i Templi ed il lungomare di Paestum, Peppino Pagano ha voluto dedicare il suo vino di punta. Un aglianico che, alla sua prima uscita col 2009, viene fuori con una tessitura impressionante, confermando il millesimo tra i più fortunati per i rossi di questo pezzo di terra cilentana. Che, invero, m’aveva già colpito positivamente con il secondo vino aziendale uscito già due anni fa, il Jungano.

Il Gillo duemilanove, impreziosito tra l’altro da un’originale etichetta disegnata proprio da Dorfles, mostra però i muscoli; alla ricchezza e voluttà del colore e del naso affianca tanta sostanza in bocca che sembra, all’assaggio, di masticarlo quasi, tanto è spesso, fitto, lungo. Stupendo il colore viola, e quel velo porpora che tinge il calice. Dei profumi ci potremmo stilare un vademecum del varietale; del sorso, copioso, carico di polpa, insaziabile, un vero e proprio manifesto, punta di diamante di tutta una tipologia. Un rosso di caratura importante che punta a sfidare il tempo ma che vuole anzitutto lasciarsi bere con soddisfazione sin da ora. E ci riesce ampiamente.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Giungano, Spumante Brut Rosé ’10 San Salvatore

15 gennaio 2013

Vi fosse ai giochi olimpici una categoria Triatlon per gli imprenditori, Peppino Pagano punterebbe a giocarsi il titolo sino all’ultimo colpo; su quel podio poi, ci starebbe volentieri solo sugli scalini più alti.

Spumante Brut Rosé San Salvatore

Il suo successo più evidente è da sempre quello nel ramo turistico-alberghiero. Patròn di due strutture a Paestum, il Savoy Beach Hotel¤ ed il confinante Esplanade¤, una decina d’anni fa ha cominciato ad occuparsi anche dell’allevamento di Bufale da latte. Così, negli stessi anni, si convince anche a riprendere l’attività in campo agricolo e vitivinicolo, imprese che a lungo hanno caratterizzato la storia di famiglia prima che arrivassero in Cilento dal natìo areale vesuviano. 

Senza entrare troppo nel merito, cosa che farò volentieri con calma nei prossimi giorni, dico subito che Pagano è chiaramente un personaggio sorprendente, di grande energia, vulcanico si direbbe, nonché padrone di una capacità comunicativa fuori dall’ordinario; impressionano oltretutto la scioltezza e la cognizione di causa con le quali passa dal disquisire di ospitalità, ristorazione e architettura a pratiche e normative di profilassi zootecniche piuttosto che agronomia ed enologia: “Senza curiosità e voglia di imparare, crescere, non si può fare impresa” chiosa sorridente. 

Invero, su queste pagine trovate già qualche buon appunto a riguardo dell’azienda agricola San Salvatore¤, realtà che seguo con particolare attenzione sin dai suoi primi passi. I bianchi Trentenare e Pian di Stio¤, o il rosato Vetere¤ tanto per dire, sono quelli di cui subito raccontammo; ma ci tornerò su volentieri, per fare il punto della situazione, dopo due anni, con importanti conferme nel bicchiere, dall’aglianico a qualche buona novità; a partire da questo Spumante Brut Rosé 2010, dal gradevole colore cerasuolo tenue, intriso di piacevoli rimandi di frutta rossa e con una impronta che sa di aglianico a tutto tondo, di gran carattere ma che non vuole strafare né scimmiottare alcunché. Appena 3.300 bottiglie quest’anno, sboccate dopo 18 mesi di maturazione sui lieviti: “se tutto va bene diverranno 6.600 il prossimo anno, ma non una in più per il futuro”, precisa Peppino. Poco ma buono!     

Paestum Fiano Pian di Stio 2010 San Salvatore

6 giugno 2011

Un anno fa l’esordio, ne raccontava in maniera compiuta l’amico Luciano Pignataro sul suo seguitissimo wineblog; qualche settimana più tardi un primo assaggio, poi ancora non mi sono fatto sfuggire l’occasione di metterci la bocca (qui e qui) alla ricerca di altre conferme, ma soprattutto per coglierne quella sana variazione sul tema aglianico/fiano/Cilento che l’azienda San Salvatore sembra aver colto nel segno!

L’azienda dell’anno? Perché no! In verità non mi stupirebbe affatto visto anche l’incredibile consenso dei suoi finissimi vini; un piccolo gioiello? Possiamo tranquillamente affermarlo; nato nei dintorni di Capaccio/Paestum, a Stio, è da considerarsi pura merce rara, rarissima visti pure gli ultimi tempi. Il progetto è sano e serio, e guarda lontano, messo su da uno dei personaggi più vulcanici dell’imprenditoria alberghiera campana, quel Peppino Pagano che di certo non ha deciso di mettersi in gioco per fare di questa avventura una mera comparsata.

L’occasione per ribadire ancora una volta quanto sia imperdibile l’assaggio dei vini dell’azienda San Salvatore è questo Pian di Stio 2010, prodotto con uve coltivate secondo agricoltura biologica e che esprime tutte quante le facce di una terra di rara bellezza, il Cilento, sospesa tra il cielo e il mare e capace di imprimere ai suoi frutti un imprinting inconfondibile. Del fiano di questa parte della Campania, si dice che abbia una vocazione ben precisa – fresca, impulsiva, immediata – e che non debba ambire a sfidare il tempo, ovvero senza nutrire ambizioni di reggerlo; questione questa – secondo taluni – tutto appannaggio del fiano di Avellino. Un altro punto sul quale ritornare sicuramente, possibilmente con argomenti più forti, e con calma.

Adesso però c’è questo vino, dal bellissimo colore paglierino, luminoso e invitante. Il primo naso è uno schiaffo balsamico, ad occhi chiusi pare camminare una gariga, dove la terra arida si alterna a cespugli sempreverdi di erica, corbezzolo, ginestra. Ha bisogno di tempo, e lentamente si scopre anche fruttato, croccante – turgido -, con una complessità ed una persistenza olfattiva indimenticabili. In bocca è ficcante, regala un sorso di pregevole finezza, intensità e persistenza: le papille gustative si perdono e si ritrovano tra l’austerità dell’acidità e la graditissima sapidità, anch’essa lunga e persistente. Un bianco, non uno qualunque, per oggi e per domani, memorabile sin da ora, ma capace di stupire ancora e ancora tra qualche tempo. Un fuoriclasse insomma! Intelligente ed insolita la scelta di metterlo in bottiglie da mezzo litro, belle da vedere e funzionali ad una bevuta più sobria del solito; ah dimenticavo!, e a portata di tutte le tasche!

Giungano, Paestum Aglianico Rosato Vetere 2010

4 Maggio 2011

Ne racconterò, appena possibile, in maniera più approfondita e dettagliata, di tutti gli assaggi dei vini prodotti da questa nuova (notevole per potenzialità!) realtà cilentana nata dalla sapienza imprenditoriale di uno dei più noti albergatori di Paestum, tale Peppino Pagano, ma soprattutto dall’immensa passione che questi nutre per la sua terra ed i suoi frutti.

San Salvatore è a Stio, con cantine a Giungano, due dei luoghi più incontaminati e suggestivi del Parco del Cilento; chi volesse può sin da adesso approfondirne la conoscenza, vi è, qui e qui, un doppio passaggio dell’amico Luciano Pignataro che, come sempre, più di tutti – e come nessun altro –  ne racconta in maniera più che esaustiva; quella dei Pagano è un’azienda agricola a tutti gli effetti – qui si allevano infatti bufale da latte e si coltiva la terra in tutte le sue sfaccettature – e come detto promette di essere una delle realtà più importanti da non perdere di vista nei prossimi anni venturi.

E’ incredibilmente sorprendente come tutta la produzione esprima livelli altissimi di qualità, a partire dalla spiccata mineralità del Fiano Trentenare 2010, un igt Paestum – che mi ha letteralmente conquistato, forse oltre le aspettative e comunque più di tutti gli altri vini – per arrivare al succoso ed indolente Aglianico Jungano 2009, che si apre, tra l’altro, ad una prospettiva di evoluzione molto interessante. Eccellente anche il cru Pian di Stio 2010, un fiano prodotto con uve coltivate e certificate biologiche, confezionato in bottiglie da mezzo litro, che esprime un caratterino, una complessità niente male per una tipologia, il fiano, quello di queste terre intendo, spesso annoverato – e liquidato senz’altro troppo in fretta – come tra le espressioni del varietale in Campania potenzialmente meno capace di reggere il tempo. L’aspettiamo, chi vivrà, vedrà.

Mi è piaciuto molto questo Vetere 2010, da uve aglianico coltivate in località Cannito, più di ogni rosato assaggiato sino ad ora per questo millesimo; più del beneamato Monte di Grazia di Alfonso Arpino, più del pur ottimo Roseto del Volturno di Terre del Principe, del Crote dalle bellissime colline di Castelfranci, del Pedirosa di casa mia di Luigi Di Meo, giusto per citarne alcuni; mi ha colpito particolarmente per la sua integrità, per la sua quasi perfetta corrispondenza naso-bocca, assai difficilmente riscontrabile nella tipologia. Mi spiego meglio: spesso il rosé è un vino che nasce per completare la gamma, ancor più spesso nasce dagli “scarti” di produzione, talvolta da incomprensibili manie “di poter far tutto” ad ogni costo (per il consumatore), così da offrire quasi sempre vini che hanno naso ma poco palato, o peggio, pochissimi profumi e corpo da mattonella di terracotta.

Ebbene, senza entrare troppo nella fenomenologia roséista che, ribadisco, merita sì molta più attenzione di quanto gli si riesca a dedicare, ma attenzione che vada giustamente ponderata per non farne l’ennesimo “nuovo che avanza” per tutti i gusti; tanto si sa quanto siano diventati bravi, certi soloni, a sfasciare tutto; è questo un vino che mi sento di consigliare spassionatamente; bello il colore lampone, vivace, il naso è un concentrato di frutta fresca, dolce, sottile e persistente, una ventata di primavera di erbe e fiori appena sbocciati. In bocca è secco, sobrio ma di buon spessore, giustamente lungo e sapido, rinfrancante. Ci ritorni volentieri su, un secondo sorso, poi un terzo; frattanto la serata ha preso tutta un’altra piega, e non conta, a questo punto, se vi capiterà di vedere un bufalo aggirarsi tra le vigne; state tranquilli, non è l’effetto dell’alcol, siete a casa di Peppino Pagano!