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Cruna DeLago, il bianco flegreo che sa di vento di mare e di terra ardente

5 Maggio 2020

Non sono tantissimi i vini bianchi italiani capaci di resistere al tempo senza subirne in maniera decisiva il peso degli anni, tra questi, di certo, è abbastanza improbabile trovarci menzione di una Falanghina dei Campi Flegrei.

Eppure non vi è territorio in Campania più dei Campi Flegrei che riesce a stupire e sa di potersela giocare ad armi pari con chiunque in questo preciso momento storico per il vino italiano, capace di tirare fuori vini sempre più autentici, snelli e agili nella beva ma anche ricchi di spiccata personalità, ancor più con qualche anno di bottiglia alle spalle. Grande merito va ad alcuni produttori che da anni lavorano duramente per migliorarsi, capaci di scrollarsi di dosso limiti colturali e vizi tecnici azzerando così stereotipi, errori e falsi miti.

Abbiamo alle spalle anni di visite, chiacchiere, approfondimenti, ripetuti assaggi, ci viene così d’obbligo avanzare l’idea che proprio la vendemmia duemilasedici da queste parti a Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Marano e sulle colline più prossime a Napoli ha per certi versi delineato uno spartiacque, una sorta di punto e a capo, una linea temporale dalla quale si è ripartiti spediti dopodiché nulla può essere più come prima, con i pro e i contro necessari, un’assunzione di piena responsabilità senza più sconti, nessuna scusa.

Un cambio di passo che qualcuno ha saputo anticipare, arduo e faticoso ma ormai ben avviato, indispensabile per non continuare a dilapidare un patrimonio vitivinicolo unico e irripetibile che aveva bisogno solo di essere approcciato con maggiore rispetto, conoscenza e capacità tecniche, dopo (troppi) anni di discontinuità e disattenzioni.

Una strada che la famiglia Di Meo cammina da tempo con grande senso di responsabilità, con Luigi ormai pienamente votato alla vigna e i figli Mattia, Salvatore e Vincenzo man mano avviati nella gestione della cantina, quest’ultimo tra i più giovani enologi campani in campo ma già con una decina di vendemmia alle spalle che gli hanno consentito di anno in anno di ”leggere” e comprendere sempre meglio tutto il potenziale delle sue vigne flegree.

Ne abbiamo piena testimonianza con un po’ tutte le etichette di La Sibilla, alcune delle quali vanno esprimendo vini flegrei tra i più buoni di sempre mai bevuti, tra queste senz’altro c’è il Cruna DeLago duemilasedici¤, verosimilmente tra i più costanti negli ultimi anni, avviato a marcare un benchmark ormai chiaro per tutto il territorio, risultato di un percorso lungo e ben definito oggi nei suoi obiettivi. Ci arriva così nel bicchiere un bianco dal colore oro cristallino, radioso, dal naso anzitutto orizzontale e complesso, pieno di sensazioni floreali e fruttate, sfumature eteree,  lungamente salmastro, un corredo aromatico che richiama vento di mare e terra ardente, capace di regalare sapori che risuonano energia, un sorso puntuto e sapido, fresco e minerale, un autentico richiamo al territorio flegreo.

Leggi anche Piedirosso Campi Flegrei Vigna Madre 2013 La Sibilla Qui.

Leggi anche Falanghina Campi Flegrei 2018 La Sibilla Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Il territorio in un bicchiere, a Natale più che mai…

16 dicembre 2019

Il territorio flegreo è da sempre ben inteso come la culla della Falanghina¤ e del Piedirosso¤, due varietali autoctoni straordinari che qui assumono caratteristiche e tipicità così uniche tanto dall’essere irripetibili altrove; vitigni per questo giustamente in primo piano negli ultimi anni e che continuano a riscuotere apprezzamenti e successo commerciale finalmente anche fuori regione. Ci proponiamo così di suggerirne qualche buona etichetta da portare in tavola (soprattutto) durante queste feste!

Un territorio in forte ascesa, una terra votata al vino nonostante le mille difficoltà ambientali, sociali, amministrative e che sta finalmente maturando quel salto di qualità estremamente necessario per ritagliarsi uno spazio importante nel mondo del vino. I numeri, quelli seri e chiari, ci consegnano una realtà circoscritta ma con un potenziale di crescita qualitativa incredibile, laddove le vigne più vocate siano giustamente indirizzate alla specializzazione e dove chi fa il vino continui con serietà, abnegazione ed umiltà ad investire per migliorarsi.

Con questo scenario, capace di lasciarci affermare con tutta certezza che finalmente dire Campi Flegrei non è più semplicemente vantare una viticoltura antica e astratta, vi offriamo un breve corollario delle migliori bottiglie passateci per mano quest’anno; nessuna classifica, ci teniamo a sottolineare, semplicemente, bicchiere alla mano, con questi nomi si può istruire un viaggio decisamente interessante attraverso alcune, se non le migliori, vigne flegree.

Falanghina Campi Flegrei Sintema 2017 Cantine Babbo. Sintema è un bianco dalla trama essenziale, dal profilo olfattivo tenue ma varietale, caratterizzato da sentori di macchia mediterranea e di agrumi, solare e fruttato. Il sorso è secco, fresco e coinvolgente, scivola in bocca sottilissimo, con un sorso che tira l’altro, ci pare uno di quei bianchi imperdibili come aperitivo rinfrancante, leggero ma dal guizzo vivace, buonissimo, da portare in tavola con i più classici antipasti di mare della cucina flegrea, pensiamo all’Insalata di mare con sconcigli, alle Fragaglie fritte ma anche con Alici in tortiera.

Falanghina Campi Flegrei 2018 Salvatore Martusciello. Sono anzitutto autenticità, freschezza e mineralità i tratti che più caratterizzano il Settevulcani di Gilda e Salvatore Martusciello, vino bianco dal colore paglierino, con un discreto corredo olfattivo perlopiù floreale e di frutta appena matura, agrumi e poi albicocca. Proviene da vecchie vigne dell’area più classica dei Campi Flegrei, il sorso è asciutto, sinuoso e persistente, fedelissimo alla tipologia, dal finale di bocca corroborante e piacevolmente sapido! Con il Sauté di Frutti di mare.

Falanghina Campi Flegrei 2016 di Contrada Salandra. Siamo in zona Coste di Cuma, qui i terreni sono perlopiù sabbiosi, di origine marcatamente vulcanica, ci ritroviamo quindi nel bicchiere una Falanghina duemilasedici verace e di grande personalità, dal colore paglierino luminoso e maturo, ampio al naso e vibrante al palato. Le uve di questo angolo dei Campi Flegrei sono coltivate a poche centinaia di metri in linea d’aria dal mare, sanno donare vini di personalità e caratterizzati da tanta freschezza, pienezza e sapidità, a questo giro, in questo vino, particolarmente centrate. Con il Salmone affumicato o con il Capitone fritto!

Falanghina dei Campi Flegrei Collina Viticella 2017 Carputo. Siamo a Quarto, nei pressi della ‘’Montagna Spaccata’’ sull’Antica via Consolare Campana costruita dagli antichi Romani per collegare il porto di Puteoli a Capua, proprio sul confine naturale che la divide da Pozzuoli da un lato e da Napoli (Pianura) dall’altro; qui c’è una collinetta particolarmente vocata che domina tutta la piana quartese. Da qui proviene il Collina Viticella 2017 dei Carputo, caratterizzato da un quadro di degustazione pieno di fascino e sostanza. Se sono di rarità assoluta i tredici gradi e mezzo in etichetta, esempio di come questa vigna sappia distinguersi nettamente in un territorio così frammentato ed eterogeneo, non è una sorpresa la complessità dei profumi floreali e fruttati e la puntuta freschezza che ne accompagna costantemente ogni sorso, tutto a favore della grande bevibilità del vino! Portatelo in tavola con i primi piatti al sugo di Vongole e/o Frutti di mare, anche ”macchiati” con pomodoro.

Campi Flegrei Falanghina 2018 Cantine del Mare. Siamo in dirittura di arrivo con le nuove etichette, il vino è pronto da qualche mese ed è buono come e più di prima, la nuova veste delle bottiglie è una ventata di freschezza che potrà solo fare bene alla piccola realtà montese di Alessandra e Gennaro Schiano. Dopo il buonissimo risultato con il duemiladiciassette, ancora un bianco che ha vivacità gustativa da vendere, invitante, fine e spiccatamente minerale, tra i più buoni e quadrati di sempre. Il naso è sottile e varietale, regala tratti balsamici molto gradevoli. Il sorso è fresco, giustamente puntuto, sapido, appagante. Tra qualche mese saprà essere ancora più espressivo, quando l’affinamento in bottiglia gli renderà maggiore piacevolezza ed equilibrio. Con il Fritto di Calamari della Vigilia di Natale.

Piedirosso Campi Flegrei 2017 di Cantine dell’Averno. Dalle vigne intorno al Lago d’Averno, nel comune di Pozzuoli, nasce questo delizioso vino che ci sentiamo di suggerire senza se e senza ma, proviamo a raccontarvelo partendo dalla bella luce del colore, rubino e trasparente, il naso è invitante e delicato, ha sentori lievi di gerani in fiore e melograno, un chiaro riverbero speziato, sottile ma preciso. Il sorso è leggiadro, secco e gustoso, armonico nel suo insieme, coinvolgente e appagante. L’annata duemiladiciassette si conferma davvero un millesimo fortunato da queste parti, bravi tutti coloro i quali ne hanno saputo fare tesoro tirandone fuori vini così tipici e varietali! Con il saporito Baccalà fritto e l’Insalata di rinforzo.

Piedirosso Campi Flegrei Riserva Tenuta Camaldoli 2016 Cantine Astroni. Non poteva mancare in questa breve lista della spesa un fuoriclasse, eccolo! Un rosso dalla forte impronta territoriale che in appena una manciata di vendemmie sta là a disegnare nuove traiettorie. Dopo un duemilaquindici in grande spolvero ancora un millesimo originale, dal respiro moderno e dal sapore contemporaneo, dal naso allettante e seducente, proteso all’ampiezza del frutto, profuma di melagrana e susina, di arbusti di macchia mediterranea cui segue, sottinteso, un sorso sottile e coinvolgente, pieno di nuovi cardini da scoprire di volta in volta nei prossimi mesi, anni, e un finale di bocca particolarmente gratificante. Uno di quei vini bonus da stappare a Natale con la ”fellata” di buoni Salumi e Formaggi di media stagionatura ma anche su carni rosse pregiate appena scottate, pensiamo ad una Tagliata di manzo con rucola e Grana.

Pér ‘e Palumm Campi Flegrei Agnanum 2018 Raffaele Moccia. Questo duemiladiciotto ha un bellissimo colore purpureo tutto suo, a tratti caratterizzato da toni scuri che si ritrovano immediatamente anche al naso, dapprima ermetico, al solito, ma che stilla man mano piccole sfumature invitanti, di frutto polposo e note speziate, anche terrose, che si fanno poi dense al gusto, nuovamente asciutto, persistente, saporito. Di quei rossi plastici da spendere su una ricca Zuppa di mare o uno Spiedo di pesci e molluschi arrosto.

Piedirosso Campi Flegrei Vigna Madre 2013 di La Sibilla. Vigna Madre nasce dalle vigne storiche che dominano l’orizzonte e guardano il mare sopra il promontorio di via Bellavista, a Bacoli. Sono ceppi perlopiù vecchi di 80 anni che da quando vengono seguiti palmo palmo da Luigi stanno dando uva di straordinaria concentrazione che Vincenzo, in cantina, con grande attenzione, misura e rispetto, sta interpretando alla grande facendone un bellissimo vino varietale e di evidenti grandi prospettive. Un rosso dal colore splendido, concentrato il giusto, rubino scuro. Il naso ben maturo, invitante, con un bouquet variopinto di piccoli frutti neri, ribes e melograno, macchia mediterranea, finanche spezie fini. Con gli ziti o le candele al ragù e ricotta di Natale e Santo Stefano.

Uno spumante metodo classico da uve Piedirosso, nei Campi Flegrei. Le voci su prove, affinamenti e sboccature varie girano da diversi mesi, nel merito abbiamo raccolto più di qualche indiscrezione sulle quali però vige ancora ovviamente il massimo riserbo. E’ doveroso invece riportare che non si va più rincorrendo (solo) il solito percorso che vede le cisterne di Falanghina, e già in qualche caso Piedirosso, raggiungere le autoclavi del trevigiano per poi ritornare, in bottiglia, sulle tavole flegree. A parlar delle prossime feste ci starebbe benissimo con la Minestra maritata di Natale oppure con il tradizionale Cotechino con le lenticchie dell’ultimo dell’anno.

Stiamo parlando di qualcosa forse meno ridondante ma proprio per questo, secondo noi, da valorizzare a prescindere dai numeri: si tratta di piccole produzioni di Metodo Classico che hanno come obiettivo da un lato soddisfare le tante richieste di mercato di bollicine (facili) da bere sopra tutto alle quali un po’ tutte le aziende si trovano a dover dare risposta negli ultimi anni, dall’altro poterle ricondurre ad un territorio di provenienza specifico dove, per quanto possibile, avvenga pure tutta la filiera. Più che di una rivoluzione diciamo che al momento si tratta di una piccola rivincita, non è detto che proprio in questi giorni ci si possa divertire con qualcosa di nuovo, buono e originale per festeggiare all’anno che verrà! 

Leggi anche Piccola Guida ragionata ai vini dei Campi Flegrei Qui.

Leggi anche Bere il territorio, per esempio I Campi Flegrei Qui.

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Non è Natale senza bere bene, non è Natale senza le nostre dieci bottiglie (+1) da portare in tavola durante le feste

9 dicembre 2019

Salvare il Natale da bevute sconsiderate è possibile! Quante magre figure si rischiano, e quanti dubbi ci assalgono: avrò scelto bene? Gli piacerà? E…  c-o-s-a  c-i  a-b-b-i-n-o  m-a-i alla cena della vigilia? E a Natale?

Auguri di Natale 2019 - L'Arcante

Sono queste domandone dalle risposte critiche, tanto più quando si spendono cifre blu per pesci e carni che quasi sempre rischiano di rimanerci… sullo stomaco, tanto la colpa, si sa, andrà al vino “troppo acido o alcolico”; proviamo allora a stigmatizzare le paure e le fisime mettendo in riga dieci etichette – +1 -, provate durante tutto quest’anno e che, tra le tante, meriterebbero un posto a tavola durante le prossime festività natalizie.

Asprinio d’Aversa Spumante Extra Brut I Borboni. L’azienda di Lusciano, in provincia di Caserta, rimane un riferimento assoluto per la denominazione e da sempre in prima linea nel lavoro di salvaguardia della produzione di Asprinio. Di quanto siamo innamorati del varietale e di questa denominazione è ben noto, e fa piacere che il numero di produttori in campo si stia allargando sempre di più a si stia puntando soprattutto sulla qualità; riteniamo fondamentale inoltre che non si disperda il patrimonio di esperienze delle famiglie storiche presenti sul territorio, proprio come nel caso dei Numeroso, capaci di regalarci sempre, tra gli altri, uno Metodo Charmat lungo dalle bolle fini, un vino spumante dal quadro aromatico lieve ma suggestivo, dal sorso seducente e vivace da spendere a tavola a tutto pasto.

Spumante Metodo Classico Rosé Brut 50Mesi 2013 – Terrazze dell’EtnaL’azienda di Nino Bevilacqua è una splendida realtà di circa 40 ettari nel comune di Randazzo, più precisamente in località Bocca d’Orzo, sull’Etna, con vigne collocate tra i 650 e i 900 metri s.l.m.. Il Rosé Brut 50Mesi viene fuori da una cuvée di Pinot Nero al 90% e Nerello Mascalese per la restante parte a saldo. Ha una bellissima veste rosa tenue, è brillante e vivace, la spuma è densa e le bollicine sono abbastanza fini, il naso sa anzitutto di erbette, agrumi e piccoli frutti rossi, il sorso è asciutto, ben fresco, piacevolmente vibrante e coinvolgente. Dopo l’esordio di qualche anno fa, la strada tracciata appare davvero entusiasmante, provatelo con piccoli assaggi di mare.

Falanghina dei Campi Flegrei 2018 – La Sibilla. Un bianco terragno e autentico che profuma di terra vulcanica, dal sorso schietto e vibrante, capace di accompagnare degnamente tutta la cena della vigilia con tutte le sue prelibate preparazioni di mare fredde a calde; un calice appagante quello dei Di Meo, che torniamo a raccomandare non senza un pizzico di orgoglio per aver visto nascere, crescere, affermarsi una delle più belle realtà flegree che si appresta a mettere alle spalle i suoi primi 20 anni di straordinaria resilienza.

Falanghina del Sannio Serrocielo 2018 – Feudi di San GregorioSerrocielo nasce dalla migliori uve provenienti dai vigneti del Sannio – area tra le più vocate in Campania per il vitigno -, condizione questa che anche in presenza di annate particolarmente complesse, come ad esempio la  scorsa duemiladiciassette, consente di fare scelte importanti e mirate alla sola qualità. E’ questo un bianco democratico, capace di conquistare immediatamente gli appassionati alle prime armi e i palati più attenti ed esigenti. L’impronta olfattiva è graziosa, netta ed immediata, ha carattere tipicamente varietale e suggestivo di piacevoli sentori floreali e frutta a polpa bianca. Il sorso è asciutto e gradevole, rinfranca il palato ed accompagna con piacevole sostanza tutti i buoni piatti di mare della cucina delle feste.

Calabria igt Zibibbo Benvenuto 2017 – Cantine Benvenuto. E’ un bianco profumatissimo, insolito e per questo inconfondibile per il suo tratto aromatico e spiazzante, per il sorso secco e il corpo nerboruto. Va detto che a primo acchito non è un vino proprio semplice da abbinare a tavola ma vale la pena provarlo e raccontarlo, proprio durante queste festività perchè al naso diverte ed invita a giocare con i riconoscimenti (bergamotto, pesca, sandalo) e ogni sorso poi non lascia certo indifferenti, anche in questo caso si tratta di una pietra miliare da salvaguardare e consegnare in mani davvero appassionate.

Fiano di Avellino Clos d’Haut 2017 – Villa Diamante. Ma che bei vini provengono da questo pezzo d’Irpinia, sempre coinvolgenti, unici, straordinari! Dobbiamo dire di un duemiladiciassette piacevolissimo questo di Diamante Renna-Gaita, invitante e seducente al naso quanto caratterizzato da particolare freschezza, sapidità ed avvolgenza al palato. E’ incredibile quanto sia facile tirarvi fuori chiarissimi riconoscimenti di nespola ed albicocca, di solito un po’ forzati in certe degustazioni ma qui espressi in maniera quasi disarmante, così come i sentori di mango e ananas subito sospinti da gradevoli note balsamiche e fumé. Il sorso è franco, sapido, avvolgente, regala una bevuta decisamente ben al di sopra dei canoni di un’annata non proprio felicissima per la denominazione.

Penisola Sorrentina Gragnano Ottouve 2018 – Salvatore Martusciello. Non può assolutamente mancare sulle tavole di questi giorni di festa, a Natale soprattutto; il Gragnano è il vino della gioia e della spensieratezza, con quel suo colore porpora vivace, quella soffice corona di spuma evanescente, dal naso vinoso e sfacciatamente fruttato, conserva il sapore asciutto e ammiccante della tradizione popolare nobilitato dalla frutta rossa croccante, dal lampone e i ribes neri. E’ di prossima uscita l’annata duemiladiciannove ma la grande qualità in bottiglia non faccia temere una bottiglia dell’annata precedente, in questo momento ancor più succosa e polposa.

Chi ha vissuto e può raccontare a suo modo gli ultimi quindici/vent’anni di viticoltura nei Campi Flegrei sa bene che era necessario solo attendere e continuare a stimolare vignaioli e produttori nel fare meglio, il successo dei vini flegrei, presto o tardi, sarebbe arrivato; la distanza che li separava dal resto del mondo del vino, quel gap soprattutto di mentalità, certi difetti dei vini, originati soprattutto da una cattiva gestione del vigneto, della vinificazione o dell’affinamento, talvolta proposti addirittura come tipicità, sono stati per anni un fardello pesantissimo da portarsi dietro ma finalmente sono da considerarsi (quasi) del tutto superati. Ecco allora che non possono mancare anche due belle ”sorprese” di quest’anno da proporre soprattutto sulla ricca tavola del giorno di Natale.

Piedirosso Campi Flegrei 2017 – Cantine del Mare. Ne abbiamo scritto a lungo di Cantine del Mare e ne riscriviamo ancora volentieri oggi davanti a questo splendido Piedirosso. Il colore è rubino vivace, luminoso come fosse sacro fuoco, il naso è ancora timido, quasi sussurrato, con tanto ardore dentro, se ne coglie al palato tutta la velleità di farsi largo e lungo tra i suoi migliori pari, niente più legno, solo frutto: vibrante, polposo, teso. E’ ormai da qualche mese in bottiglia, praticamente a due anni dalla vendemmia, prontissimo per arrivare in tavola!

Piedirosso Campi Flegrei 2017 – Mario Portolano. Siamo a Toiano, in un’area periferica del comune di Pozzuoli, cuore della denominazione di origine controllata Campi Flegrei; anche qui il Piedirosso regna sovrano, sempre più sorprendente questo vino che si sta facendo apprezzare per le sue caratteristiche organolettiche uniche e rare che ne fanno uno dei rossi campani più ricercati e apprezzati negli ultimi anni. Anche qui vengono fuori vini di particolare carattere, e questo duemiladiciassette ne rappresenta forse una delle prime punte di eccellenza. Veste di un bel rubino dal tono gioviale, il naso è fitto e intriso di sensazioni floreali e fruttate dolci e invitanti, sa di violetta e piccoli frutti rossi, poi un accenno speziato, il frutto è carnoso, ben espresso, il sorso è gradevole e morbido e dal finale di bocca misurato e sapido.

Terre del Voltuno igt Casavecchia Centomoggia 2015 – Terre del Principe. Peppe Mancini e Manuela Piancastelli con il duemilaquindici ne hanno tirato fuori forse uno tra i migliori di sempre, capace di lasciare a bocca aperta tanto fragoroso è il frutto esaltato in maniera ineccepibile (anche) dal legno, dalla misura del suo impiego, capace di esaltare e affinare una grande materia viva. Ha un colore rubino-porpora e al naso è intenso, avvolgente, profuma anzitutto di more e mirtilli cui s’aggiungo per distacco spezie e balsami. Il sorso è pronunciato, fitto e saporito, tredici gradi di assoluto piacere per le papille gustative.

Champagne Blanc de Blancs – Alain Thiénot. E’ l’Asso di Cuori da giocare nel momento più opportuno durante le feste. Si tratta di un vino composto per l’80% di vini Riserva ai quali viene aggiunto un 20% di vini dell’annata. Stiamo parlando di Chardonnay provenienti dagli areali maggiormente vocati di Avize e Vertus sul versante sud della Cote des blancs e più a nord da Villers-Marmery, verso la Montagna di Reims, qui dove Alain Thiénot, da oltre 30 anni tira fuori grandi vini per le sue cuvée più prestigiose tra le quali il millesimato Vigne aux Gamins e l’assemblaggio di millesimati Cuvée Stanislas.

Uno Champagne davvero notevole, di colore giallo paglierino brillante, una volta nel bicchiere è subito invitante e coinvolgente, la spuma è delicatissima, le bolle fini e regolari, intense, persistenti. Al naso rivela immediatamente tutta la sua anima vivace e intrigante, vi si colgono sentori di agrumi di limone e pompelmo, caratteristiche note floreali e di pasticceria. Il sorso è asciutto e generoso, teso il giusto, con carbonica misurata e un finale di bocca freschissimo e sapido.

Detto questo, ci auguriamo che arrivino serene festività per tutti voi, Buon Natale e che l’anno che verrà possa essere, finalmente, un buon anno davvero!

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Bacoli, è già una bella storia il Piedirosso Campi Flegrei Vigna Madre 2013 di La Sibilla

24 ottobre 2019

Abbiamo a lungo raccontato del prezioso lavoro in campagna di Luigi Di Meo, una tra le più belle persone che abbiamo incontrato nella nostra vita nel mondo del vino, e con lui Restituta, la moglie, e i figli Vincenzo, Salvatore e Mattia che animano una delle più suggestive e apprezzabili aziende agricole e vitivinicole dei Campi Flegrei.

Ci siamo ritrovati innanzi a questo piccolo fuoriclasse non più tardi di una settimana fa, davanti alla pizza nel ruoto di Lilly – leggi Qui – e in tutta onestà abbiamo lungamente dibattuto quale fosse riuscita più buona, se la pizza o la bevuta.

Alla distanza, non fosse altro perché il ruoto è finito in men che non si dica, il vino ci è sembrato emergere di più regalandoci una gran bella esperienza, piena di ricordi, rimandi, sfumature. Vigna Madre duemilatredici (!) nasce dalle vigne storiche che dominano l’orizzonte e guardano il mare sopra il promontorio di via Bellavista, a Bacoli. Sono ceppi perlopiù vecchi di 80 anni che da quando vengono seguiti palmo palmo da Luigi stanno dando uva di straordinaria concentrazione che Vincenzo, in cantina, con grande attenzione, misura e rispetto, sta interpretando alla grande facendone un bellissimo vino varietale e di evidenti grandi prospettive.

Il colore era splendido, concentrato il giusto, rubino scuro. Il naso ben maturo, invitante, con un bouquet variopinto di piccoli frutti neri, ribes e melograno, macchia mediterranea, finanche spezie fini. Un sorso ricco di stoffa e polpa, succoso e profondo, un vino bevuto probabilmente nel suo miglior momento possibile, a ben 6 anni dalla vendemmia, davvero un piccolo gioiello.

Il Vigna Madre vide la sua prima uscita sul mercato con l’annata 2011, finì per la verità in bottiglia con le vesti di una pregiata selezione del Piedirosso ”base” con la menzione Vigne Storiche¤. Vestito di tutto punto fa certamente tutto un’altro effetto, ma per fortuna nostra la sostanza non cambia, anzi, ci ispira ancora di più quanto bel frutto e quanta profondità è capace di esprimere il Piedirosso dei Campi Flegrei quando fatto come Dio comanda.

Leggi anche Cartoline dai Campi Flegrei, o della Falanghina 2018 di La Sibilla Qui.

Leggi anche La grande bellezza del Piedirosso dei Campi Flegrei 2017 di La Sibilla Qui.

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Cartoline dai Campi Flegrei, o della Falanghina 2018 di La Sibilla

12 agosto 2019

Possiamo dire di conoscere la famiglia Di Meo da oltre quindici anni, di seguire appassionatamente la loro storia vitivinicola sin dai primi esordi a cavallo degli anni ’90 e duemila. Abbiamo imparato ad apprezzarne, prima che i vini, la levatura umana e la profonda dedizione nella salvaguardia e la difesa della terra con una viticoltura sostenibile, buona, pulita, giusta.

Valori che ne hanno fatto sin dagli esordi un papabile riferimento assoluto, non un contorno di cronaca enoica che in quegli anni contava sul territorio pochissimi attori riconoscibili e forse solo uno o due capaci di scaldare veramente gli animi di chi si avvicinava ai vini flegrei con una qualche aspettativa in più che non fosse una semplice e fugace bevuta.

Dopo tre lustri abbondanti, oggi Luigi si dedica completamente (”finalmente!”, dice) alla cura del vigneto, tra i più belli e curati dei Campi Flegrei, mentre Vincenzo, il primogenito, ha ormai pieno controllo della cantina e di tutte le fasi tecniche di produzione; poi c’è Salvatore, che sostiene il lavoro del fratello e si occupa perlopiù dell’accoglienza in cantina, dove muovono decise i primi passi anche le loro giovani mogli con al fianco l’ultimogenito di famiglia, il giovanissimo Mattia. A fare da faro, da sempre, c’è Restituta, la mamma.

Godiamo di questo Campione di verace Falanghina dei Campi Flegrei duemiladiciotto affacciati, di sera, su uno dei panorami più belli di questa terra, sul Canale di Procida. Lo stretto lembo di mare che separa questa parte di costa flegrea dalle splendide isole di Procida e Ischia, trafficatissimo e perennemente spazzato dai venti, pare lo scenario liquido perfetto per ricordare, come un déjà-vu, gli ultimi 20 anni di storia di questo territorio: così piccolo, sovra-urbanizzato e disordinato, talvolta fin troppo vivace, eppure capace di conservare una così profonda memoria di tradizione e lentezza contadina, pura resistenza.

Ecco, con il profumo autentico di terra vulcanica che ne anticipa il sorso, così schietto e vibrante, ci congediamo dal calice e dalla vuota bottiglia non senza un pizzico di orgoglio per aver visto nascere, crescere, affermarsi una delle più belle realtà flegree che si appresta a mettere alle spalle i suoi primi 20 anni di straordinaria resilienza. Che dire, ad maiora semper!

Leggi anche Piccola Guida ragionata ai vini dei Campi Flegrei Qui.

Leggi anche altro riguardo La Sibilla su questo sito Qui.

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Nessuna scusa, niente sarà più come prima

18 febbraio 2019

Mentre i numeri del vino continuano a registrare alcuni dati per certi versi allarmanti sui consumi in continuo calo e fissano con sempre maggiore evidenza quali siano le tipologie di vino maggiormente ricercate e bevute – è sempre più forte la tendenza soprattutto alle bollicine -, non vi è dubbio che alcuni vini sembrano avvantaggiarsi rispetto ad altri grazie a caratteristiche uniche che gli consentono di smarcarsi velocemente e lanciarsi, finalmente, senza particolari ansie da prestazione, tra le braccia dell’appassionato di turno.

Non vi è territorio più dei Campi Flegrei che sa di potersela giocare ad armi pari. Grande merito va a taluni produttori che da anni lavorano duramente per migliorarsi e che sono stati capaci di scrollarsi di dosso limiti tecnici e colturali azzerando stereotipi finalmente superati. Negli ultimi sei mesi di visite, chiacchiere, approfondimenti, assaggi ripetuti, ci viene d’obbligo avanzare l’idea che la vendemmia duemilasedici a Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Marano e sulle colline più prossime a Napoli ha per certi versi delineato uno spartiacque, una sorta di punto e a capo, una linea temporale dalla quale ripartire dopodiché nulla sarà più come prima, con i pro e i contro necessari, un’assunzione di piena responsabilità senza più sconti.

Un cambio di passo faticoso ma ormai necessario, indispensabile per non continuare a dilapidare un patrimonio vitivinicolo unico e irripetibile che aveva bisogno solo di essere approcciato con maggiore rispetto, conoscenza e capacità tecniche, dopo (troppi) anni di discontinuità e disattenzioni. Ne abbiamo piena testimonianza con alcune delle etichette più buone di sempre mai bevute, tra queste la Falanghina Cruna DeLago duemilasedici dell’azienda La Sibilla¤, probabilmente il vino tra i più costanti negli ultimi anni quasi a marcare un benchmark finalmente tangibile, frutto di un percorso lungo e ben definito oggi nei suoi obiettivi. Un bianco dal colore cristallino, dal naso orizzontale e complesso, intriso di sapidità e mineralità. 

Agnanum-falanghina-campi-flegrei-2015-Raffaele-Moccia - foto L'Arcante

Segnali forti ci erano arrivati da Raffaele Moccia¤, a più riprese sorprendente nelle sue versioni base e in qualche caso altisonante con il Vigna del Pino, il suo capolavoro, il cru di Falanghina prodotto in appena mille bottiglie, senza tema di smentita spesso nelle sue uscite il miglior bianco mai prodotto da queste parti negli ultimi anni, con questo duemilasedici a segnare decisamente il passo. Non è semplicemente buono a bersi, è la celebrazione di un varietale presente in molti territori in Campania e al sud ma che qui nei Campi Flegrei, in certi scorci metropolitani, dove la terra è vulcanica, conquista complessità, ampiezza e profondità impressionanti, senza sovrastrutture. Un bianco ricco di frutto, freschezza, abbondanza di sensazioni.

Ce l’ha ripetuto spesso Gerardo Vernazzaro¤ che il lavoro in cantina non ha bisogno di magheggi e artefizi particolari se in campagna si fa bene ciò che si deve. Quando il frutto che arriva in cantina è integro, sano, vieppiù figlio di un’annata equilibrata è solo da maneggiare con cura ed attenzione e da “lavorare” il meno possibile. Così ne viene fuori un vino pienamente espressivo, prorompente nella sua vivacità gustativa, un bianco dal naso intrigante, orizzontale ma che sa andare in profondità e suggerisce frutta polposa e sentori di macchia mediterranea e note iodate. Il suo Vigna Astroni duemilasedici regala un sorso fresco, sapido e minerale, giustamente caldo, definito perciò continuamente coinvolgente.

Ci siamo innamorati delle vigne e dei paesaggi di Bacoli e Monte di Procida. Delle terrazze e dei costoni scoscesi con vista mare, dove la vigna è un patrimonio straordinario e regala scenari di una bellezza unica che lentamente ritornano alla natura. Via Bellavista, su ai ‘Pozzolani’, i Fondi di Baia, via Panoramica a Monte di Procida dove da vigne a strapiombo sul mare nascono vini bianchi con caratteristiche olfattive decisamente interessanti, con una notevole impronta sapida e capaci, tra l’altro, di attraversare il tempo con discreta disinvoltura.

Ce lo ha raccontato con i suoi vini Gennaro Schiano¤, ce lo consegna da qualche anno ad ogni vendemmia con questa etichetta, il suo vino base, per dire, qui del duemilasedici, un bianco che ha vivacità da vendere, è invitante, fine e minerale, tra i più buoni ed equilibrati di sempre. Il naso è sottile e varietale, offre sensazioni di frutta e tratti mediterranei molto chiari, sa di sorbe, nespola e biancospino. Il sorso è fresco, giustamente sapido, appagante, sa pienamente di questa terra di mare. Nessuna scusa quindi, niente potrà essere come prima, ci si aspetta solo grandi vini per il futuro!

Leggi anche Piccola Guida ragionata ai vini dei Campi Flegrei Qui.

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L’Arcante su il Napolista, questi gli articoli pubblicati nell’ultimo mese

19 gennaio 2019

Dallo scorso Ottobre, dopo qualche settimana dall’inizio della stagione calcistica 2018/2019 alcuni nostri contributi sono pubblicati sul giornale on line ilNapolista¤ dove ogni settimana proviamo a raccontare qualcuna tra le buone etichette campane prendendo spunto dai profili e dalle storie dei calciatori del Napoli¤, il nostro Napoli che continua ad incantare in Italia¤ e in Europa.

Lo facciamo alla nostra maniera, in modo semplice e spigliato cercando di offrire qualche buono spunto per bere meglio (almeno) alla domenica. E i calciatori, anzitutto quelli del Napoli, con le loro gesta in campo, le loro storie ci danno la misura per suggerire l’etichetta del giorno.

Questi che seguono sono gli articoli pubblicati nell’ultimo mese che vi riassumiamo in pochi passaggi essenziali, se vi va dategli una occhiata e scriveteci pure cosa ne pensate, diteci la vostra ne saremmo davvero felici.

#9 Piotr Zielinski, il Campione sospeso, tra Sogno di Rivolta e Terra di Rivolta di Fattoria La Rivolta Leggi Qui.

#10 Fabiàn Ruiz, un sorso di Jungano 2014 di San Salvatore Leggi Qui.

#11 Josè Callejon un vero lusso, come il Terra di Lavoro 2013 di Galardi Leggi Qui.

#12 Dries Mertens. Belga, napoletano, folle, dolce e ruffiano come il Passio 2012 di La Sibilla Leggi Qui.

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Falanghina Domus Giulii 2011 La Sibilla

14 gennaio 2019

E’ un vino con il quale continuiamo ad avere una certa distanza emozionale, convinti l’uno dell’altro di non piacerci abbastanza. Non riuscendo a perderci di vista, le ragioni del cuore sono tante e profonde, ci rasserena l’idea, ad ogni nuovo assaggio, che qualche anno è passato ma non invano.


Cento per cento Falanghina dei Campi Flegrei. Per la verità il vitigno si sa è diffusissimo in Campania ma sembra avere proprio qui nei comuni a ridosso della provincia di Napoli il suo terroir migliore – suoli vulcanici, microclima temperato con sole a mezzogiorno, il mare dentro –, che unito alle basse rese contribuisce ad esaltarne la spiccata vivacità e l’antica sgraziata tipicità.

Domus Giulii viene fuori da una selezione dei migliori grappoli provenienti da alcune vigne vecchie coltivate tra i comuni di Bacoli e Pozzuoli dalla famiglia Di Meo. Vincenzo, enologo giovanissimo ma con merito sin da subito pienamente immerso nelle responsabilità produttive della realtà famigliare flegrea, ne volle “sperimentare” anni fa con la dumeilaotto una versione decisamente diversa dal solito, un bianco macerato ed affinato sulle fecce fini. Luigi, pur restìo all’idea, lo lasciò fare, così, tanto per capire.

L’originalità con la quale questi vini tendono ad esprimersi è spesso figlia di un lungo percorso di maturazione, le macerazioni sono più o meno lunghe sulle fecce fini a cui talvolta si susseguono particolari passaggi di affinamento (anfore ecc.) e/o invecchiamento; ciò naturalmente premette una grande qualità della materia prima, quindi la certezza di un gran lavoro in vigna, oltre che un’abile capacità di intelligere il terroir di provenienza, col rischio, talvolta accade, di passare come una trovata estemporanea.

Non di meno, certe particolarità come il tono ombroso del colore – qui spiazzante -, i profumi eterei, il gusto quantomeno lontano dal solito, necessitano di una certa esperienza da parte dell’appassionato di turno o quantomeno una certa predisposizione per esser colte come marcatori di autenticità e non come un mero esercizio di stile fine a se stesso, talvolta addirittura deleterio per la tipologia se non per il produttore. Non a caso sono spesso vini prodotti senza i lacci delle denominazioni in cui ricadono le vigne di provenienza.

Venendo a noi, questo duemilaundici ha un bel colore oro cangiante, tendente all’ambra, quasi fulvo. Si sta con un vino di sette anni nel bicchiere, non so se rendiamo l’idea. Il primo naso è buccioso, poi si fa speziato, e di frutta secca; sa di uvetta, tè e camomilla, di scorzette d’agrumi e albicocca candite, il tono è un po’ iodato ma pulito e franco. Il sorso è subito materico, sulle prime un po’ spiazzante ma di buon carattere e discreta acidità e persistenza, anche qui pulito e senza sbavature, anzi, intriga profondamente e lascia la bocca piacevolmente ammantata di vino e di sale. Inutile negarglielo ancora un passo avanti rispetto agli esordi, restiamo  ideologicamente ancora lontani, però, forse, finalmente equidistanti, Domus Giulii rimane una valida alternativa espressiva che continueremo senz’altro a scrutare con sufficiente interesse.

Leggi anche Falanghina Domus Giulii 2009 Qui.

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La grande bellezza del Piedirosso dei Campi Flegrei 2017 di La Sibilla

8 gennaio 2019

Scrivere e raccontare di vino e dei suoi protagonisti non può essere mero esercizio di stile, né può limitarsi alla scarna lettura delle analisi dei numeri di questa o quell’annata prodotta. Vieppiù la tentazione di provarne alcuni e pensare così di saperne su tutti, l’inciampo è dietro l’angolo, ci si perde il meglio e si corre il rischio di farsi ridere dietro. 

Campi Flegrei Piedirosso 2017 La Sibilla - foto L'Arcante

Della 2017 si è detto praticamente tutto e il contrario di tutto: difficile, complessa, per qualcuno dannata per altri semplicemente da dimenticare. Vero è che l’annata è stata per molti particolarmente stressante, non solo nei Campi Flegrei, l’assenza prolungata di piogge unita al caldo torrido estivo ha rischiato di presentare in vendemmia un conto salatissimo, ma qui pare abbia creato meno problemi che altrove. Questo pezzo di terra sembrerebbe baciato da Dio oppure, più semplicemente, chi coltiva sapienza raccoglie saggezza.

Per la verità qualche passo falso lo abbiamo colto, eppure pare vi sia parecchio da salvare di questo millesimo che promette vini generosi e godibilissimi, che sia tanto o poco, magari anche autoreferenziale, ci basta. Questo Piedirosso duemiladiciassette riesce a rappresentare al meglio la distanza siderale che c’è tra chi fa vino e chi coltiva la terra e ne fa uva da vino, scoperchiando il vuoto da dove fuoriescono i fantasmi di chi si gratta il pancino tra una raccolta e l’altra e continua a credere che pure gli asini possano comunque volare. 

La grande bellezza di questo vino sta tutta nella sua disarmante armonia espressiva: il colore rubino è netto pur se un po’ ombroso. Al naso viene subito fuori con un profumo di piccoli frutti rossi e neri, di quelli ricchi di polpa, con la buccia spessa che quando schioccano in bocca infondono dolcezza ad ogni morso, quella sensazione piacevolissima che chiude con un sottofondo che sa lievemente di terra e sottobosco, tutto molto, molto coinvolgente. Il sapore è squillante, morbido e gustoso, con un ritorno di mora e amarena scura sul finale di bocca che conferma tutta la bontà del lavoro di Luigi in vigna e di suo figlio Vincenzo in cantina. Da qui, dai Campi Flegrei non poteva mancare ancora uno squillo d’amore imperdibile!

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Leggi anche il Naso, i Napoletani e l’apologia del Piedirosso #1 Qui.

Leggi anche il Naso, i Napoletani e l’apologia del Piedirosso #2 Qui.

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Stanno tutti bene ma non tutto va bene

4 gennaio 2019

Nelle ultime settimane abbiamo passato in rassegna un bel po’ di assaggi delle ultime annate prodotte dalle nostre parti qui nei Campi Flegrei, dobbiamo dire in larga parte tutti i vini si sono rivelati davvero molto interessanti e proiettati nel futuro con l’approccio giusto per franchezza, freschezza e leggerezza  espressiva. Non mancano certo piccoli capolavori¤, ma questi solo il tempo li rivelerà del tutto. E’ proprio il caso di dire che stanno tutti bene.

Di alcuni ve ne abbiamo già dato conto¤, e non può che farci piacere notare come certi nomi¤ apparentemente sottovalutati negli ultimi anni, vadano rapidamente recuperando lustro e ritornino in mente anche alla critica più gettonata, ne siamo molto felici, ciò non può che fare bene al racconto di un territorio straordinario che ultimamente pare però un po’ avaro di nuovi protagonisti.

Nelle prossime settimane ne racconteremo delle belle, frattanto invece, tronfi di averci messo le mani tra i primi e certi di non aver mai smesso si sostenere, spronare, scrivere di tutti i produttori coinvolti ci viene quasi spontaneo far notare – lo sappiamo è un fatto di una banalità unica – come l’apprezzamento quasi unanime dei vini dei Campi Flegrei¤ non vada suscitando in nessun modo almeno un pizzico di orgoglio per le Amministrazioni e gli Enti Locali che poco o nulla fanno per la salvaguardia delle aree vocate e dei luoghi in prossimità di vigneti e cantine. Posti che dovrebbero richiamare enoturisti a frotte o quantomeno suscitare un certo rispetto ambientale ma che invece versano il più delle volte nel totale degrado ed abbandono, come dire Coscienza Ambientalista zero!

Condurre qui degli appassionati, un gruppo qualsiasi di enostrippati per alcuni è diventata una partita persa a tavolino, senza nominare tutte le difficoltà di chi deve accogliere clienti, importatori, giornalisti non senza disagio. Un territorio ampio e complesso quello flegreo, ne riconosciamo le difficoltà, il più delle volte definito odiosamente da molti “un conurbio suburbano”, cela però anche  bellezze e paesaggi suggestivi e struggenti, spesso misconosciute persino da chi ci vive figuriamoci cosa ne possa sapere chi lo visita e ne subisce superficialità e disinteresse pubblico. Peggio è, talvolta, intorno a quelle cosiddette ”vigne metropolitane” che dovrebbero rappresentare oasi di cultura e valori da preservare ad ogni costo, degli avamposti a salvaguardia di un patrimonio dal valore inestimabile ma che, ahinoi, rischiano di divenire spot di propaganda e niente di più. Questo non va per niente bene!

Senza andare troppo in là sognando modelli tipo “La Strada del Vino dell’Alto Adige¤” ci sentiamo in dovere di ricordare a questi signori Amministratori e rappresentanti di Enti Locali che ci sono voluti oltre vent’anni di grandi sacrifici in vigna e in cantina per portare in bottiglia vini degni di raccontare una storia credibile, dalle origini fortissime e uniche, i protagonisti di questa lunga maratona li conosciamo tutti, dalla famiglia Martusciello¤ ai vari Varchetta, Babbo, Farro, dai Palumbo ai Quaranta, Zasso o i Carputo sino agli ultimi Moccia¤, Di Meo¤, Schiano e Fortunato, ecco non lasciamoli soli, mai più soli. 

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I Campi Flegrei e i suoi vent’anni di doc: passato il Santo non è mai iniziata la festa, perché?

12 agosto 2015

Come più volte ho scritto, lo scorso ottobre 2014 la doc Campi Flegrei ha compiuto 20 anni¤, un traguardo molto importante per una piccola denominazione e per un territorio per lunghi anni devastato dalla speculazione edilizia che proprio grazie al successo di critica e di mercato dei suoi vini ha visto molti ritornare all’agricoltura e sulla strada del rilancio della viticoltura.

Pozzuoli, Lago d'Averno, Vigneto Storico Mirabella - Piedirosso Campi Flegrei

Auspicavo, con l’uscita sul mercato della vendemmia 2014, un maggior riguardo per questo avvenimento, quantomeno a un motus capace di unire e rendere maggiore forza e consapevolezza alle decine di produttori che lentamente vanno ritagliandosi con orgoglio e finalmente senza più pregiudizio ruoli da protagonisti in giro per l’Italia e in minima parte anche nel mondo.

Esempi in tal senso non mancano, dai piccolissimi Raffaele Moccia¤ e Giuseppe Fortunato¤ per molti appassionati divenuti vere icone pop, a Cantine del Mare¤, ai Di Meo¤ del Cruna DeLago 2013, primo vino flegreo a strappare il TreBicchieri2015¤ sino a quelli un po’ più grandicelli Farro e Cantine Astroni¤ sempre molto attivi¤, con questi ultimi in piena rampa di lancio e assai propositivi. E con tutta una stregua di nuovi che si stanno affacciando ora sulla scena ma sembrano pieni di entusiasmo, penso ai fratelli Mirabella di Cantine dell’Averno¤ o ai Daniele di Le vigne di Cigliano.

Tant’è, poco o nulla è stato fatto, come se tutti fossero alle prese con altro di meglio da fare. Vero è che il momento economico non è certo dei più felici ma l’intero comparto appare, come non mai, avvitato su sterili personalismi, con poca voglia di stare veramente assieme e forse un’unica grande consapevolezza: sopravvivere alla giornata, prendere per buono quello che viene. Quando viene. E non basta sentirsi un po’ tutti orfani del delicato momento di riflessione della famiglia Martusciello¤, da sempre motore dei Campi Flegrei. Insomma, il Santo è passato e la festa non è mai iniziata, perché?

Le strade del vino dei Campi Flegrei

Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei

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Bacoli, Per ‘e Palummo 2004 La Sibilla. Il sapore della storia e la scoperta del tempo

26 febbraio 2014

Quanto vale una bottiglia come questa? Non ha prezzo, ovvio. E ce ne sono ancora solo quattro e non sono su piazza. Reca in fondo all’etichetta ‘CrunaDeLago’, che a quel tempo distingueva entrambe le etichette doc di falanghina e piedirosso.

CrunaDeLago, vigneto La sibilla - foto A. Di Costanzo

Bastano poche parole per descrivere la splendida sorpresa di questa bottiglia. A quasi dieci anni di distanza mi sembra di ricordare proprio tutto di quell’anno, il 2004, forse per questo quando Vincenzo mi ha permesso di scegliere una bottiglia dalla piccola cantina storica non ci ho pensato su due volte. Lui, un po’ timoroso di andare così indietro nel tempo ha subito messo le mani avanti. L’ho immediatamente rassicurato: ‘guarda che di quell’anno ne ho vendute un sacco, gli ho detto, sta sicuro che papà fece un gran lavoro!’.

Campi Flegrei Per 'e Palummo 2004 La Sibilla - foto A. Di Costanzo

La grande bellezza di questo vino sta tutta nell’armonia: pure il colore lo è, un po’ ombroso, giustamente segnato dal tempo. Al naso invece viene fuori ancora tanto frutto, macerato e balsamico, dolce, con un sottofondo che sa di terra,  di china e sottobosco, ma molto latenti. Il sapore è ancora integro, affatto seduto, asciutto con un ritorno di prugna e liquirizia sul finale di bocca che conferma tutta la bontà del lavoro di Luigi sin dai suoi primi passi. E quell’anno, me lo ricordo come fosse ieri, ne vendemmo a secchiate!

1994-2014, 20 anni dalla doc Campi Flegrei

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Bacoli, segnatevi questo: Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna Madre 2012 La Sibilla

25 febbraio 2014

La Sibilla è un vero gioiello, personalmente sono davvero felice di quanto vengano apprezzati i loro vini perché sono, è proprio il caso di dire, frutti di un duro lavoro partito nel 1997. Conoscendoli da una quindicina d’anni, avendone seguito passo passo tutte le fasi di crescita, posso dire, senza timore di essere smentito che se lo meritano proprio.

Vincenzo Di Meo - foto A. Di Costanzo

Sul prezioso lavoro in campagna di Luigi ci torneremo su più in là, adesso ci sono circa 7 ettari di vigne da governare e così come sono dislocati sul territorio, con tutte le varianti del caso, credetemi, non è impresa da poco; come vale la pena raccontarvi più dettagliatamente di tante altre belle cose che bollono in pentola e che faranno della piccola azienda flegrea sempre più un punto di riferimento senza eguali nei Campi Flegrei.

Bacoli, La Sibilla, bottaia - foto A. Di Costanzo

Mi preme invece raccontarvi subito di questo piccolo fuoriclasse che tra qualche settimana potrete anche voi avere nel bicchiere. Il Vigna Madre 2012 nasce dalle vigne storiche che dominano l’orizzonte e guardano il mare da questo promontorio di via Bellavista. Ceppi perlopiù vecchi con una età media di quasi 80 anni che da quando vengono seguiti in vigna da Luigi stanno dando uva di straordinaria concentrazione che Vincenzo, in cantina, con grande attenzione e rispetto sta interpretando alla grande facendone un bellissimo vino varietale e di grandi prospettive.

Vigna Madre 2012 La Sibilla - foto A. Di Costanzo

Il colore è splendido, ricco, purpureo. Il naso è avvenente, ci trovi subito tutta la dolcezza dell’uva pienamente matura, un bouquet vivissimo, macchia mediterranea, sentori di spezie tanto invitanti quanto sottili e piacevoli. Ha stoffa e polpa, un sorso succoso e profondo, certo un po’ di bottiglia gli renderà ancor più complessità e finezza ma così com’è mi sembra già buonissimo.

Addendum: il Vigna Madre ha vissuto una piccola anteprima l’anno scorso quando una parte del 2011 finì in bottiglia con le vesti di una pregiata selezione del ‘base’, ‘Vigne Storiche’¤ appunto, che oggi si fa bello, vestito di tutto punto e racconta quanto bel frutto e quanta profondità sa esprimere il piedirosso dei Campi Flegrei quando fatto come Dio comanda.

1994-2014, 20 anni dalla doc Campi Flegrei

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Io amo|Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei

3 febbraio 2014

Come già ho avuto modo di scrivere il 2014 sarà l’anno della falanghina e del piedirosso dei Campi Flegrei, a 20 anni dall’istituzione della denominazione di origine controllata, il 3 ottobre del 1994.

Angelo Di Costanzo Sommelier dell'anno L'Espresso 2014 - foto L'Arcante

Se mi chiedessero quale azienda e quale vino meritino un po’ più di attenzione direi di buttare un occhio qui: eccovi una Piccola Guida che dovreste tenere presente per farvene un’idea. Quasi tutte, previo appuntamento, fanno accoglienza e vendita diretta in cantina.

Agnanum – Raffaele Moccia
Contrada Astroni 3, Napoli
Tel. 0813417004
http://www.agnanum.it
info@agnanum.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Agnanum, Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle Volpi, Falanghina dei Campi Flegrei Vigna del Pino.

Az. Agricola Monte Spina – Antonio Iovino
Via San Gennaro Agnano 63, Pozzuoli
Tel. 0815206719
iovino.an@tiscali.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Gruccione.

Cantine Astroni
Strada Comunale Sartania 48, Loc. Pianura – Napoli
Tel. 0815884182
http://www.cantineastroni.com
info@cantineastroni.com
Di particolare pregio: fuori doc Spumante Astro brut, Falanghina dei Campi Flegrei Colle Imperatrice, Piedirosso dei Campi Flegrei Colle Rotondella.

Cantine del Mare
Via Cappella IV traversa 5, Monte di Procida
Tel. 0815233040
http://www.cantinedelmare.it
info@cantinedelmare.it
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei, fuori doc Spumante Brezza Flegrea brut

Cantine Farro
Via Virgilio 30-36, Bacoli
Tel. 0818545555
http://www.cantinefarro.it
info@cantinefarro.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei Le Cigliate.

Cantine Grotta del Sole
Via Spinelli 2, Quarto
Tel. 0818762566
http://www.grottadelsole.it
info@grottadelsole.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Riserva Montegauro, Falanghina dei Campi Flegrei Coste di Cuma.

Contrada Salandra
Via Tre Piccioni 40, Pozzuoli
Tel. 0818541661
http://www.dolciqualita.com
dolciqualita@libero.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei.

La Sibilla
Via Ottaviano Augusto 19, Loc. Fusaro – Bacoli
Tel. 0818688778
http://www.sibillavini.it
info@sibillavini.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Vigne Storiche, Falanghina dei Campi Flegrei Cruna DeLago.

Va detto che ci sono sul territorio altre aziende che lavorano con dedizione e tanta attenzione: tra queste vanno certamente ricordate Carputo di Quarto, tra le prime, subito dopo Grotta del Sole a imbottigliare vino doc, Cantine Federiciane Monteleone, poi Matilde Zasso a Pozzuoli, Masseria del Borro a due passi da Napoli e, più recentemente, Cantine Babbo, Cantine dell’Averno, Cantine Di Criscio, Il Quarto Miglio, Colle Spadaro. Quest’ultima da qualche tempo vende  vino esclusivamente presso l’azienda in Contrada Spadari a Pianura.

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Quasi dimenticavo, a proposito del Piedirosso dei Campi Flegrei Vigne Storiche 2011 La Sibilla

14 gennaio 2014

Il bel post sul cru di piedirosso dei Di Meo pubblicato ieri da Franco Ziliani qui¤ su Vino al Vino mi ha fatto tornare in mente che avevo anch’io qualcosa da dire in merito tenuto però distrattamente in coda da tempo.

Piedirosso dei Campi Flegrei Vigne Storiche 2011 La Sibilla

Anzitutto un bel cambio di passo, atteso devo dire e finalmente tangibile anche sul piedirosso, dopo alcuni anni di discontinuità quasi a sottolineare la vocazione principalmente bianchista dell’azienda La Sibilla¤, ma anche i primi frutti del lungo viaggiare del giovanissimo Vincenzo in giro per vigne e cantine in Italia e per il mondo a vedere cose e fare esperienza la cui mano sicura è sempre più evidente.

A quanto racconta Ziliani, così in maniera entusiastica, è bene solo aggiungere una piccola raccomandazione, un consiglio più che altro per chi legge: fate attenzione alle etichette poiché in attesa di un restyling che li differenziasse per bene, a causa della necessità di ‘uscire’, per il 2011 sia il piedirosso ‘base’ che questo, il cru ‘Vigne Storiche’ appunto, sono in giro praticamente con la stessa veste grafica se non fosse che il secondo reca in alto a destra dell’etichetta un piccolo adesivo simbolo dell’associazione ‘Viticoltori del Tempo’ che ha, grazie al progetto diretto da Raffaele Beato dell’Osservatorio Appenino Meridionale dell’università di Salerno, selezionato tutta una serie di vini che nascono da vigne cosiddette ‘monumentali’ di particolare pregio storico.

Non che il vino ‘base’ non sia degno di attenzione, ma questo qui ha sicuramente una marcia in più, una maggiore ampiezza e tensione degustativa che ne fa davvero un piccolo gioiello del rosso flegreo tanto amato dagli appassionati.

1994-2014, 20 anni di doc Campi Flegrei

Snapshot of a territory 2013|I Campi Flegrei

29 luglio 2013

Una vibrante, conviviale, interessante serata¤ in compagnia di vecchi e nuovi amici con nel bicchiere tante belle anime di una splendida terra. La mia.

I produttori - foto L'Arcante

Brava Karen Phillips¤ a pensare questa¤ bella iniziativa, a coinvolgere i quattro produttori presenti e, nonostante sia caduta a fine luglio quando in molti sono già con la valigia sulla porta, le tante persone appassionate che vi hanno preso parte.

Tralasciando il racconto di ognuna delle realtà che Luigi e Vincenzo Di Meo, Raffaele Moccia¤, Gerardo Vernazzaro e Francesco Jr Martusciello¤ rappresentano, di cui trovate su queste pagine già ampio riscontro e cronaca, queste che seguono sono le mie impressioni riguardo il senso compiuto di una inizativa del genere e i vini là in degustazione quella sera, non senza una doverosa puntualizzazione: a La Sibilla è andata in scena una suggestiva – speriamo definitiva – presa di coscienza di quanto valore abbia la risorsa agricola (vitivinicola) nei Campi Flegrei; al contempo, l’interessante rincorsa a ritroso nel tempo da un lato conferma quante sorprese riservino i vini di questa terra sospesa tra cielo e mare, grazie anche a bottiglie dalla solida impronta territoriale, ognuna con una propria precisa personalità, dall’altro non smette di ricordarci che certe ‘riletture’ vale sì la pena ‘sentirle’ ma non debbono divenire un dogma.

Karen Phillips, le sue foto, La Sibilla - foto L'Arcante

Mi spiego meglio: vini come il Domus Giulii 2009¤ di Vincenzino o il Vigna del Pino¤ 2003 di Raffaele, come pure il Coste di Cuma 2007 aperti l’altra sera sono stati, a loro modo, una piacevole e gradita sorpresa. Buccioso e profondo il primo, empireumatico e dannatamente sapido quello di Moccia, perfetto (!) – è proprio il caso di sottolinearlo – il cru dei Martusciello nonostante i cinque anni alle spalle.

Continuo però a pensare che la Falanghina dei Campi Flegrei debba rimanere un vino comprensibile già al primo naso, sin dal primo sorso, direi già solo a sentirne il nome: che quando lo bevi sia il cuore a richiamare adrenalina, piacere, divertimento e non la testa a doversi scervellare su cosa, perché, come.

Certo il tempo ci sta insegnando a non temerlo, il tempo. Va bene. E certi assaggi dicono che sì, si può osare, ma attenti però a non perdere la bussola e a non confondere oltremodo gli appassionati che già faticano tanto ad orientarsi davanti a uno scaffale o con una carta dei vini tra le mani. Quando la trovano la Falanghina dei Campi Flegrei sugli scaffali o in una carta dei vini. Insomma, godiamoci tutto il meglio possibile ma rimaniamo concentrati sul pezzo¤, please!

Luigi Di Meo, Raffaele Moccia, Gerardo Vernazzaro, Francesco Jr Martusciello - foto L'Arcante

Colle Imperatrice 2012 Cantine Astroni¤. Invitante e pieno di verve il bianco di Gerardo¤, è sgraziato e coinvolgente, non smette un attimo di stuzzicare le papille gustative. Si colgono sentori agrumati dolci e pietra focaia, il sorso è fresco e sapido.

Agnanum 2011 Raffaele Moccia. Non ne sbaglia una Raffaele di bottiglie, quella vigna è un gioiello e i suoi vini perle d’autore. Francamente sono rimasto rapito anche dalla duemiladodici portata in anteprima, che è ancora in vasca e uscirà solo in autunno. Naso sempre sugli scudi, sorso ‘verace’ e lungo, chiusura quasi salina. Una bella esperienza anche la 2003, un po’ monocorde al naso ma dal sorso ancora vibrante e ricco di sfumature.

Coste di Cuma 2007 e 2011 Grotta del Sole. Bello il regalo di portare in degustazione la 2007, la prima annata con bottiglia ed etichetta nuove, la prima a segnare il definitivo cambio di passo sull’uso dei legni con un convinto ritorno all’acciaio e bottiglia come valore aggiunto. Il vino perfetto l’altra sera, esempio lampante di quanto si sia continuato a lavorare duro e bene nonostante i successi¤ e i numeri. Il duemilaundici invece è appagante e minerale, assolutamente pronto da bere e l’estrema godibilità non fa che rassicurarti.

Cruna DeLago 2011 La Sibilla¤. E che dire ancora di questo meraviglioso bianco, che è buono? Che da solo vale il viaggio in cantina? Certo, anche. Vincenzo Di Meo sta lavorando duro per essere all’altezza, Luigi in campagna ha ripreso a fare quello che gli è sempre piaciuto fare, stare dietro ad ogni filare e portare in cantina la migliore uva possibile. E i risultati ci sono tutti!

Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso #2

7 giugno 2011

Una faccenda simile a quella descritta nel finale del post precedente, che vuole cioè difetti originati da una cattiva gestione del vigneto o della vinificazione nonché dell’affinamento, proposti ed insidiati nell’immaginario collettivo come tipicità, è stata per anni propinata raccontando del nostro piedirosso dei Campi Flegrei, che ha, guarda caso, una spiccata tendenza sia alla riduzione, durante le fasi di lavorazione in cantina e, se le uve raccolte non godono di perfetta maturazione, al vegetale.

I napoletani e l’apologia del piedirosso. Per lungo e troppo tempo abbiamo sentito affermare che la puzzetta del piedirosso è un tratto caratteriale tipico del vitigno, o del territorio: affatto! Il carattere vegetale poi, come detto, è riconducibile solo ed esclusivamente ad una non corretta maturità dell’uva, derivante da una non ottimale gestione del vigneto (pirazine), mentre la riduzione è dovuta dalla produzione di idrogeno solforato (uova marce) e metantiolo (acqua stagnante, straccio bagnato) ad opera del lievito, sia esso indigeno o selezionato, quando è in condizioni di particolare stress per carenza di ossigeno o per carenza di azoto. I suoli vulcanici composti principalmente da sabbie sono terreni sciolti, poveri di azoto, tale macroelemento è indispensabile per il corretto metabolismo del lievito, quindi avendo valori di azoto prontamente assimilabile (APA) bassi – in media tra 80-120 mg/l quando solitamente ne occorrono circa il doppio -, non è difficile decifrare quale fosse l’origine del male di certi piedirosso sempre troppo sospesi tra l’inferno ed il purgatorio. A questo aggiungiamoci certe pratiche enologiche che definire scorrette è poco, dalla cattiva gestione dell’ossigeno, o un eccesso di anidride solforosa in fase di ammostamento, alla noncuranza delle uve in fase di pre-lavorazione con il doppio effetto negativo di produzione di esenoli – note erbacee – e l’eccessiva produzione di feccia vegetale che tende a sottrarre ossigeno al lievito. Bisogna fare pertanto attenzione quando si parla di tipicità e soprattutto di territorio. Il territorio negli ultimi quarant’anni ha subito notevoli trasformazioni, per di più il clima è cambiato, le buone pratiche di campagna abbandonate e le stalle, quelle vere, scomparse.

Il sovescio per esempio, veniva applicato sistematicamente in tutte le vigne del circondario flegreo, e qualcuno ancora riesce a mantenere, con non poca fatica, questa tradizione; consiste nel seminare in autunno leguminose, in modo particolare favino e lupinella, per interrarle poi in primavera; un sistema naturale atto ad arricchire il terreno anzitutto di azoto, ma anche di ferro grazie alla congiunta semina del rapestone. Il letame proveniente dalle stalle, stabulato e maturato, arricchiva il suolo di sostanza organica e carbonio, aumentandone così capacità di scambio cationico (C.S.C), cioè la capacità intrinseca del terreno di rendere disponibile i macro e i microelementi all’apparato radicale delle piante. Il letame, inoltre, ripristinava ogni anno la carica batterica del suolo fondamentale per rendere “vivo” il terreno.

Anziani contadini delle mie parti di sovente mi raccontano che il vino piedirosso presentava al tempo colore rubino brillante e spesso gradazioni alcoliche sostenute e buona struttura tannica, ovviamente il tutto in zone vocate e in particolare da vini prodotti con uve da viti vecchie.

Oltretutto le temperature erano più fresche e di conseguenza anche l’acidità era più alta ed il Ph più basso, ciò era molto interessante per tutte le ricadute microbiologiche e chimico-fisiche e per la capacità del vino di tenere nel tempo. Inoltre, il mosto veniva fermentato in tini di legno aperti con grande disponibilità di ossigeno per i lieviti indigeni, aspetto di fondamentale importanza per quanto detto prima. Infine, l’affinamento, anzi, a quel tempo era un mero stoccaggio in previsione di un trasporto che avveniva generalmente in fusti di castagno e ciliegio, non certo quindi per velleità ma per necessità; tra l’altro, il ciliegio a poco alla volta andava sostituito nel corso del tempo dal castagno, a causa della sua elevata porosità e quindi incidente sulla diminuzione di quantità di vino. In ogni modo anche questi legni conferivano tipicità al prodotto.

Il castagno, se ben stagionato, conferiva struttura e probabilmente al primo passaggio anche una nota amarognola e mentolata, con il tempo di sicuro il suo contributo migliorava perché meno aggressivo e comunque restava la capacità di ossigenare il vino attraverso il cocchiume e le doghe, cosa sicuramente positiva per l’evoluzione. Il ciliegio, fintanto che è stato presente nella filiera, in perfetto equilibrio con il castagno, donava dolcezza e frutto. Oltre a queste perdite naturali che hanno definito in passato la cosiddetta tipicità del piedirosso, un forte aggravio lo si è avuto dall’introduzione dell’acciaio in cantina. Il vitigno, si può dire quindi, è vittima del mal d’acciaio. Essendo l’acciaio un contenitore inerte, non traspirante, incide notevolmente sulla tendenza che ha il vitigno alla chiusura ed alla riduzione, talvolta irreversibile se non si ha l’accortezza di gestire bene i travasi, oppure adoperando la tecnica della micro ossigenazione; il per e’ palummo vinificato in acciaio è come un uomo stretto da una morsa al collo, che ha non poche difficoltà a respirare.

Come si evidenzia da quest’ultimo breve periodo, tante cose sono cambiate, ma una appare chiaramente non mutata nel tempo, la fretta del napoletano. Il napoletano è fast, comprende poco o nulla della cultura Slow, vive di precarietà da secoli e l’aforisma Carpe Diem pare cucitogli addosso in maniera calzante: poco, maledetto e subito!

Così per il vino, un prodotto da consumare subito, entro l’anno. Per fortuna oggi c’è qualche segnale di cambiamento, c’è qualcuno, qualche mosca bianca che inizia a rallentare ad andare più Slow, a sperimentare quell’arte di “saper attendere” anche sulla produzione dei vini. Questi segnali sono più che evidenti nell’ultimo decennio, tangibili nelle aziende storiche flegree come pure in quelle piccole realtà venute fuori negli ultimi tempi; di questi ci sono alcuni piedirosso, nomi e cognomi alla mano, La Sibilla, Contrada Salandra, Agnanum, dei quali godere appieno, e nessuno di questi caratterizzato, pur rappresentati come espressioni tipiche del territorio, da quella “tipica puzzetta” fastidiosa e certamente ben lontana, per quanto detto, dal varietale e dai Campi Flegrei; evidentemente quindi tutti lavorati bene e figli della scienza e di una enologia pulita. Si, perché dietro ad ognuna di queste aziende c’è un bravo enologo: a Bacoli, a La Sibilla c’è il giovane e bravo enologo di famiglia Vincenzo Di Meo, Giuseppe Fortunato di Contrada Salandra si avvale dei preziosi consigli di Antonio Pesce, che tra l’altro con i vini delle sabbie vulcaniche ha grande dimestichezza, mentre Raffaele Moccia, Agnanum, ha potuto beneficiare dell’imprinting iniziale dello start-up del vulcanico, competente ed estroso Maurizio De Simone.

In definitiva, il piedirosso incarna forse anche la marginalità di Napoli, a volerlo dire con una espressione greca usata nelle scritture apocalittiche, Napoli e il piedirosso si trovano sempre Parà ta éscheta ovvero prossimi ai limiti estremi, vicini alle cose ultime, sull’orlo dell’abisso, in bilico, sempre a un passo dalla resurrezione ma anche ad un passo dal precipizio. Infatti, uno dei grandi problemi irrisolti di questo vitigno è la scarsa produttività e quindi la definizione di un modello viticolo moderno, capace di esaltarne le peculiarità limitandone le avversità; intanto i contadini, proprio per questo motivo lo stanno estirpando, sostituendolo nella migliore delle ipotesi con la falanghina, di certo più plastica e generosa; quindi è d’obbligo lanciare un appello al mondo della ricerca, della produzione e della comunicazione, per lavorare uniti al fine di preservare il valore assoluto di questo straordinario vitigno, l’orgoglio agricolo nonché ancora di salvezza, rinascita viticola della nostra città. Save the piedirosso!

 Qui “Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso” – parte prima.

Qui l’articolo in versione integrale  su www.lucianopignataro.it.

L’estate in rosa, drink pink made in Campania

30 Maggio 2011

L’estate è alle porte. Converrebbe, come del resto avviene da sempre in Francia, accantonare per qualche tempo i grandi rossi – due/tre mesi, non di più – e pensare di dare più ampio respiro, oltre ai soliti noti ed insoliti bianchi, ai vini rosati (o rosé, che fa più chic!). A cercarne bene ultimamente se ne trovano di molto interessanti. In Campania così come altrove in Italia.Vi propongo quindi, in due uscite, una breve selezione maturata discorrendo delle bottiglie che più mi hanno conquistato in questo primo scorcio di stagione. Quest’anno, come nei programmi, ho continuato a dare ancora più spazio al bere rosa nei miei precetti, assaggiando e provandone parecchi, proponendoli oltretutto  in carta anche con una nuova posizione, nelle primissime pagine, cosicché da renderli tutti subito individuabili da parte dell’avventore appassionato alla tipologia; giuro che prima o poi la mia carta dei vini ve la presento, frattanto però eccovi tra le etichette prescelte, quelle che ritengo più interessanti e meritevoli della vostra attenzione.   

Aglianico del Taburno Rosato Le Mongolfiere a San Bruno 2010 Fattoria La Rivolta. Pensi al Taburno e la mente corre subito ad aglianico opulenti e indelebili; cominciamo col dire invece che questo rosato rappresenta ancora un colpo a segno per la splendida azienda di Paolo Cotroneo, riesce a coniugare forza evocativa e freschezza da vendere; prodotto da sole uve aglianico, del Taburno appunto, è vibrante ed efficace dal primo naso all’ultimo goccio calato nel bicchiere. Interessante anche in virtù del fatto che si propone non solo sul breve ma anche capace di reggere discretamente il tempo, anche un paio d’anni; buono da bere anche su piatti importanti. Il nome rievoca un episodio realmente accaduto a Torrecuso nel giorno di S. Bruno che vide piombare in Fattoria, in contrada La Rivolta, praticamente sbucate dal nulla, due mongolfiere planate dal cielo per toccare con mano – si disse – le splendide colline ammirate dall’alto. 

Campania Rosato Pedirosa 2010 La Sibilla. Eh sì, mi piace vincere facile; del resto quando si gioca in casa le probabilità di portare a casa il risultato sono sempre più alte. Piedirosso dei Campi Flegrei vinificato sapientemente in bianco con una brevissima macerazione del mosto sulle bucce, sicuramente uno dei più riconoscibili in riferimento al varietale; offre un naso rispettoso dei cardini classici del vitigno e della tipologia, inizialmente soave poi man mano più ampio e complesso: floreale passito, fruttato dolce e minerale, quasi sulfureo; la beva è carezzevole, giustamente secca, breve ma efficace. Da spendere sulla più gustosa delle zuppe di pesce del golfo. A trovarne naturalmente (di zuppa di pesce buona, intendo)!

Lacryma Christi del Vesuvio Rosato Vigna Lapillo 2009 Sorrentino. Benny Sorrentino non accetta compromessi, cosicché i suoi vini, quelli impressi nel fuoco dei lapilli vulcanici del monte Somma e nell’hinterland vesuviano, riposano almeno sei mesi prima di uscire sul mercato. Questo rosato duemilanove ha un colore piuttosto insolito per la tipologia, ricco e compatto, il vino è intriso di note di frutta rossa polposa e sbuffi di macchia mediterranea, si concede con un sorso intenso, ricco, minerale, che infonde al palato freschezza e consistenza. Ottimo lavoro direi, e gran bella beva; nasce da un marriage di piedirosso con una piccola percentuale di aglianico, lo consiglio di sovente sui carpacci di pesce o sul risotto agli agrumi, ma si può tranquillamente pensare di berlo anche con le carni, purché non stracotte o troppo sugose.

Paestum Aglianico Rosato Vetere 2010 San Salvatore. Poco o altro da aggiungere alla recensione già passata su queste pagine qualche settimana fa, se non l’efficace controprova avuta da allora dai numerosi clienti a cui l’ho proposto che hanno molto apprezzato soprattutto l’impostazione frutto/carattere voluta da Peppino Pagano e, naturalmente sottintesa, da Riccardo Cotarella. Aglianico di gran levatura allevato nei dintorni di Cannito, in pieno Cilento; anche in questo caso un vino polivalente, da non pensare di bere solo sul pesce, pur raccomandandone l’uso su quello grigliato.

Roseto del Volturno 2010 Terre del Principe. Pallagrello e casavecchia, non poteva essere altrimenti in casa di Manuela Piancastelli e Peppe Mancini, abituati come sono – e come ormai ci aspettiamo che facciano – a fare le cose per bene e nei modi e nei tempi giusti. Ritorno volentieri a raccontare di loro, in verità l’avrei potuto anche fare prima, conservo infatti diversi appunti su una mini verticale di Vigna Piancastelli, ma aspetto di limarne qua e là alcuni concetti, ne scriverò quindi a tempo debito. Adesso spazio a questo delizioso vino uscito per la prima volta l’anno scorso e riproposto in gran forma con il 2010. Il colore è forse il più bello tra quelli presentati in questa batteria: ricco, luminoso, invitante. Il naso è un po’ sfuggente ma non manca certo sui fondamentali sentori floreali e fruttati; non facile da cogliere a freddo ma molto interessante la sottile linea speziata che si insinua non appena si alza di qualche grado la temperatura di servizio; ma, sia chiaro, pensateci solo per gioco: questo vino, come tutti gli altri raccomandati qui, beveteli belli freschi, l’estate è alle porte e vestire di rosa il vostro bicchiere sta a significare anche mettere per un po’ da parte le fisime dei sbevazzatori col termometro!

Una o due annotazioni in chiusura. E’ chiaro che la Campania può cimentarsi con buona capacità sulla tipologia, a patto però che non corra nella direzione sbagliata. Leggi banalizzazione ed omologazione. Per fare un buon vino rosato bisogna partire da un progetto serio e meticoloso, che guardi nel tempo ad una prospettiva certa e non solo al momento commerciale favorevole; quindi anzitutto uve sane e atte a tale scopo, poi tutto il resto che non sto nemmeno a sottilineare. Oltre ai vini segnalati in questo post vi sono altri che meriterebbero di essere raccontati ma ai quali era opportuno mettere avanti chi non avesse ancora avuto spazio su questo blog. Bene per esempio anche il Rosato di Tenuta San Francesco, e restando in tema tintore, pure quello di Alfonso Arpino di Monte di Grazia seppur ancora troppo scomposto nella fase gustativa: it needs time!

Qui il drink pink made in Italy.

Cantine Aperte 2011, viaggio nei Campi Flegrei

27 Maggio 2011

Domenica prossima 29 Maggio torna in tutta Italia come consuetudine Cantine Aperte, appuntamento decisamente imperdibile per tutti gli irriducibili del vino; ma anche una occasione ghiotta per coloro che desiderando avvicinarsi ad esso preferirebbero farlo entrandovi dalla porta principale, quella che conduce direttamente dalla vigna alla cantina; ecco, quale migliore occasione di questa!

Il calendario eventi in regione è molto fitto, la Campania tra l’altro si propone sempre con grande entusiasmo in questo giorno facendo di questa iniziativa uno dei momenti più attesi dell’anno da parte degli appassionati. Qui sul portale del Movimento Turismo del Vino trovate centinaia di opportunità sparse in regione ed oltre, senza però voler far torto a nessuno, noi abbiamo deciso di proporvi tre interessanti itinerari tutti flegrei, di particolare suggestione e che, volendo, con un po’ di impegno, si possono anche facilmente inanellare l’uno all’altro, giusto per non farsi mancare nulla. A tutti voi, che sia una giornata speciale tra le splendide vigne e cantine flegree, agli amici di sempre, a cui tocca faticare, un “in bocca la lupo!” ed un caloroso augurio di buon lavoro!

Presso Cantine Astroni va in scena “Il Risorgimento di Enotria: cibo, vino e arte per brindare all’unità d’Italia”. Dalle ore 10:30 alle ore 17:00 saranno proposte ad intervalli regolari passeggiate tra le vigne con visite guidate ai vigneti dell’azienda, con vista panoramica della Riserva Naturale del Cratere degli Astroni (orari visite 11.00, 12.15, 15.30). Quindi visita in cantina durante le quali lo staff di Cantine Astroni illustrerà il progetto aziendale, nonché le principali lavorazioni vinicole svolte dall’azienda (orari visite 11.30, 12.45, 16.00). Infine tre diversi Laboratori di Degustazione, “Il Verde, il Bianco e il Rosso” alla ricerca dell’Unità/diversità d’Italia. Qui il programma nei dettagli.

Cantine Astroni
Via Comunale Sartania, 48
Loc. Astroni 80126 (Na)
tel. 081 5884182
info@cantineastroni.com
www.cantineastroni.com

Presso Grotta del Sole invece dalle ore 10.00 sino alle 17.00 è in programma “La falanghina sin dal tempo di Roma”: mostra con le immagini dello scavo della Villa del Torchio, sita proprio a Grotta del Sole, illustrata per l’occasione dalla dr.ssa Costanza Gialanella, Sopr. Arch. delle Province di Napoli e Caserta e dall’archeologa dr.ssa Michela Ascione; il programma della giornata prevede inoltre costanti visite dell’azienda, del vigneto nonché degustazioni guidate dei vini prodotti. Qui il programma completo. Da non perdere il pranzo in vigna a cura dei diplomandi in indirizzo “Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera” dell’IPSAR Petronio di Pozzuoli, coordinati dalla Prof. Elisabetta Cioffi, con desserts curati per l’occasione dal laboratorio Cake Art (per il pranzo è obbligatoria la prenotazione per telefono a via mail a info@grottadelsole.it).

Grotta del Sole
via Spinelli, 2
80010 Quarto (Na)
Tel. 081 8762566
info@grottadelsole.it
http://www.grottadelsole.it

A Bacoli, la famiglia Di Meo de La Sibilla, propone dalle 10.00 del mattino una sana scampagnata garibaldina tra le vigne e gli orti nella parte occidentale di Baia, nel cuore dei Campi Flegrei. Accompagnati dai contadini e custodi della famiglia, gli avventori saranno guidati attraverso un percorso naturale tra mirabili luoghi e filari di storici vitigni sino al suggestivo panorama sui porti di Cuma e Miseno, testimonianza della presenza della Domus Giulii in Baia. Alle ore 13.00 cicerchiata imperdibile innaffiata da falanghina e piedirosso dei Campi Flegrei. Posti limitati, prenotazione obbligatoria a Tina Di Meo al 329 6007476 oppure via mail a info@sibillavini.it. 

Cantina La Sibilla
Via Ottaviano Augusto, 19
80070 Bacoli (Na)
Tel. 081 8688778
info@sibillavini.it
www.sibillavini.it

Giungano, Paestum Aglianico Rosato Vetere 2010

4 Maggio 2011

Ne racconterò, appena possibile, in maniera più approfondita e dettagliata, di tutti gli assaggi dei vini prodotti da questa nuova (notevole per potenzialità!) realtà cilentana nata dalla sapienza imprenditoriale di uno dei più noti albergatori di Paestum, tale Peppino Pagano, ma soprattutto dall’immensa passione che questi nutre per la sua terra ed i suoi frutti.

San Salvatore è a Stio, con cantine a Giungano, due dei luoghi più incontaminati e suggestivi del Parco del Cilento; chi volesse può sin da adesso approfondirne la conoscenza, vi è, qui e qui, un doppio passaggio dell’amico Luciano Pignataro che, come sempre, più di tutti – e come nessun altro –  ne racconta in maniera più che esaustiva; quella dei Pagano è un’azienda agricola a tutti gli effetti – qui si allevano infatti bufale da latte e si coltiva la terra in tutte le sue sfaccettature – e come detto promette di essere una delle realtà più importanti da non perdere di vista nei prossimi anni venturi.

E’ incredibilmente sorprendente come tutta la produzione esprima livelli altissimi di qualità, a partire dalla spiccata mineralità del Fiano Trentenare 2010, un igt Paestum – che mi ha letteralmente conquistato, forse oltre le aspettative e comunque più di tutti gli altri vini – per arrivare al succoso ed indolente Aglianico Jungano 2009, che si apre, tra l’altro, ad una prospettiva di evoluzione molto interessante. Eccellente anche il cru Pian di Stio 2010, un fiano prodotto con uve coltivate e certificate biologiche, confezionato in bottiglie da mezzo litro, che esprime un caratterino, una complessità niente male per una tipologia, il fiano, quello di queste terre intendo, spesso annoverato – e liquidato senz’altro troppo in fretta – come tra le espressioni del varietale in Campania potenzialmente meno capace di reggere il tempo. L’aspettiamo, chi vivrà, vedrà.

Mi è piaciuto molto questo Vetere 2010, da uve aglianico coltivate in località Cannito, più di ogni rosato assaggiato sino ad ora per questo millesimo; più del beneamato Monte di Grazia di Alfonso Arpino, più del pur ottimo Roseto del Volturno di Terre del Principe, del Crote dalle bellissime colline di Castelfranci, del Pedirosa di casa mia di Luigi Di Meo, giusto per citarne alcuni; mi ha colpito particolarmente per la sua integrità, per la sua quasi perfetta corrispondenza naso-bocca, assai difficilmente riscontrabile nella tipologia. Mi spiego meglio: spesso il rosé è un vino che nasce per completare la gamma, ancor più spesso nasce dagli “scarti” di produzione, talvolta da incomprensibili manie “di poter far tutto” ad ogni costo (per il consumatore), così da offrire quasi sempre vini che hanno naso ma poco palato, o peggio, pochissimi profumi e corpo da mattonella di terracotta.

Ebbene, senza entrare troppo nella fenomenologia roséista che, ribadisco, merita sì molta più attenzione di quanto gli si riesca a dedicare, ma attenzione che vada giustamente ponderata per non farne l’ennesimo “nuovo che avanza” per tutti i gusti; tanto si sa quanto siano diventati bravi, certi soloni, a sfasciare tutto; è questo un vino che mi sento di consigliare spassionatamente; bello il colore lampone, vivace, il naso è un concentrato di frutta fresca, dolce, sottile e persistente, una ventata di primavera di erbe e fiori appena sbocciati. In bocca è secco, sobrio ma di buon spessore, giustamente lungo e sapido, rinfrancante. Ci ritorni volentieri su, un secondo sorso, poi un terzo; frattanto la serata ha preso tutta un’altra piega, e non conta, a questo punto, se vi capiterà di vedere un bufalo aggirarsi tra le vigne; state tranquilli, non è l’effetto dell’alcol, siete a casa di Peppino Pagano!  

Passio 2007 La Sibilla, m’è dolce la falanghina

27 febbraio 2011

Conosco Luigi Di Meo ormai da un decennio, negli anni ho imparato ad apprezzare una persona di grandissima levatura umana, semplice, appiccicato alla sua terra tanto che non la lascerebbe mai sul vero senso della parola.

E’ schivo, tanto profondamente restìo ad apparire che ha atteso la maggiore età di due dei suoi tre figli (prima Vincenzo e poi Salvatore, l’ultimogenito è invece il piccolo Mattia) come una manna dal cielo così da poter mandare loro in giro per fiere ed eventi a promuovere e raccontare i loro vini e l’antica storia di fatica contadina che questi  rappresentano, lasciando per se il duro lavoro in campagna con la quale dice di aver un legame profondo tutta una vita. Tra l’altro Vincenzo, il giovanissimo primogenito, è già un validissimo enologo,  oggi detiene lui le redini in cantina, ed è uno degli allievi più stimati di Roberto Cipresso, winemaker di grido ormai internazionale che ha trovato proprio nelle vigne flegree della famiglia Di Meo tanto materiale di studio e sperimentazione.

Il Passio è un vino bianco passito dolce prodotto con uve falanghina dei Campi Flegrei; l’annata duemilasette succede alla già felice duemilacinque, ma non si può dire certo che la gestazione di questo vino non sia stata lunga ed alquanto complessa, durata quasi cinque anni. Cinque vendemmie durante le quali appariva impossibile far quadrare il cerchio. Prima alcune copiose precipitazioni tartariche, poi una partita di tappo difettosi, poi ancora un cattivo andamento climatico ci hanno tenuto col fiato sospeso su un vino al quale sembrava mancare sempre qualcosa per poter gridare «eureka!». Qui però ha avuto giocoforza la caparbietà di Luigi, e soprattutto di Tina, la moglie a cui si deve la ferrea volontà di riuscire in questo vino che ci consegna, ahimè solo in rarissime annate, un nettare prelibato che ha pochissimi rivali in Campania se non lo straordinario passito Eleusi di Villa Matilde di Maria Ida e Tani Avallone. Le uve del Passio provengono da una minuziosa selezione di grappoli surmaturi di un piccolo vigneto proprio nei pressi dell’azienda, lasciati appassire in cantina su di uno apposito stenditoio, fatto di falangi – pali generalmente utilizzati come sostegno per le viti – e fil di ferro, tanto artigianale quanto evocativo di tempi antichi e suggestivi.

La pigiatura avviene con il tradizionale sistema di vinificazione in bianco a temperatura controllata dopo la quale segue un percorso di affinamento in barriques di legno di rovere ed una prolungata  maturazione in bottiglia che alla fine conterà quasi 30 mesi; un percorso tanto lungo quanto necessario per definire un profilo organolettico a dir poco sorprendente. Il vino si presenta con un bellissimo colore oro antico, cristallino, con buona consistenza nel bicchiere. Il primo naso è particolarmente intenso ed avvincente, su note olfattive di fieno, albicocca secca e miele d’acacia, continua poi su sensazioni eteree, quasi smaltate, caratteristiche proprio della lunga elevazione del vino in legno e bottiglia. Il sorso è dolce, avvolgente, ricco e di notevole persistenza gustativa, chiude con un buon apporto di acidità che ben equilibra l’alto contenuto zuccherino. Un vino dolce importante, per occasioni importanti, da spendere su desserts cremosi e alla frutta oppure sulla tradizionale pasticceria secca; da servire in piccoli calici a tulipano ad una temperatura intorno ai 12 gradi. Sono davvero poche le bottiglie prodotte, appena una manciata, un migliaio, destinate certamente ai migliori ristoranti italiani, altrimenti non vi resta che fare un salto in cantina, che consiglio vivamente di visitare.

Questo articolo è stato pubblicato questa settimana su Pozzuolidice nella rubrica di enogastronomia dove troverete tra l’altro anche ricetta delle Chiacchiere di Carnevale della nostra Ledichef, nonché nuovi spunti per imparare “a leggere” il vino.

Bacoli, Falanghina Domus Giulii ’08 La Sibilla

29 dicembre 2010

I Campi Flegrei offrono sempre nuovi spunti di riflessione e degustazione, così dopo l’exploit che si sta vivendo sul versante rossista con la sempre maggiore specializzazione di coloro i quali hanno creduto e valorizzato il piedirosso anziché lanciarsi in rincorse empireumatiche internazionali, è davvero piacevole notare come anche la falanghina sia non poco attenzionata e riferimento di interessanti lavori in corso.

Così dopo l’intuizione di Gerardo Vernazzaro (Cantine Astroni) che con il suo Strione ha introdotto anche in terra flegrea la “sperimentazione” di una versione più spinta di falanghina, cioè lungamente macerata sulle bucce, eccovi un’altra chicca proposta questa volta da una delle aziende più amate e dinamiche del territorio, La Sibilla di Luigi e Tina Di Meo che con i figli Vincenzo e Salvatore vanno ritagliandosi un posto di primissimo piano nella spledida iconografia viticolturale non solo locale.

Questa variazione sul tema falanghina, ci tengo a precisare, non è di quelle per la quale vado perdendo la testa, e chi mi conosce sa bene che non ne faccio certo un mistero; invero, durante tutto quest’ultimo anno, armato dell’idea di scardinare definitivamente quello che ritenevo un mio evidente limite culturale sulla tipologia in generale, mi ci sono dedicato abbastanza, sino a maturare, per adesso, l’idea che no, non ci sono al momento – tolti alcuni, pochi grandi classici friulani/sloveni – vini bianchi macerati per cui mi strapperei i capelli.

E’ bene ribadire infatti, che, se culturalmente certi vini appartengono ad un ideale del tutto condivisibile, da un punto di vista strettamente degustativo, vini del genere, soprattutto quando bianchi, hanno necessità di un approccio  piuttosto disinvolto a quel che verrà poi nel bicchiere: generalmente, riferendomi anzitutto ad un appassionato medio, sono questi vini che per almeno 2/3 dell’esame organolettico più classico – quello per esempio di sovente utilizzato dai sommeliers – sovvertono, a volte stravolgendoli, buona parte dei canoni estetici nonchè le più basilari aspettative olfattive.

Infatti, l’originalità con la quale questi vini tendono ad esprimersi, è spesso figlia di lunghissime macerazioni sulle fecce fini quando non di particolari passaggi di affinamento (anfore ecc.) e/o invecchiamento; ciò naturalmente premette grande qualità della materia prima, quindi la certezza di un gran lavoro in vigna, oltre che finissima capacità di intelligere il terroir da parte del vignaiolo di turno; ma il vino, come spesso può accadere, rischia di passare come una boutade estemporanea piuttosto che un serio riferimento di qualità. Ecco quindi che, una tale concentrazione di colore e particolarità di profumi abbiano necessità – da parte dell’avventore di turno – di una certa esperienza degustativa o quantomeno apertura mentale, per poter esser colti come marcatori di autenticità e non come un frainteso esercizio di stile, fine a se stesso, se non addirittura deleterio per la tipologia, quando soprattutto denominata.

Il Domus Giulii 2008 nasce da una piccola vigna di falanghina, poco più di un ettaro, allocata in località pozzolani al Fusaro, nei pressi di Bacoli, che la famiglia Di Meo, dopo praticamente un quarto di secolo di esproprio, si è vista riconsegnare in gestione dalla soprintendenza ai beni archeologici. Il nome infatti trae evidente origine dalla vicina villa di Giulio Cesare, una delle tante dimore flegree degli imperatori romani tanto innamorati di questa terra quanto – è indubbio pensarlo – delusi dai loro posteri per come l’hanno poi ridotta e sacrificata all’altare dell’ignavia.

E’ un vino certamente atipico, come già accennato, fuori cioè dai soliti canoni estetici ed odorosi a cui siamo felicemente abituati con il vitigno più diffuso nei Campi Flegrei. Il colore è oro pallido, la vivacità è evidentemente sacrificata alla concentrazione che è il primo dei tanti segnali da leggere per meglio apprezzare tutte le sfumature che questo vino è capace di offrire. Il primo naso è vinoso, marcato fortemente da quel sentore buccioso tipico dei vini che subiscono lunghe macerazioni sulle fecce fini. E’ importante bere questo vino alla sua giusta temperatura di servizio, più vicina ai 14° che ai 12° spesso raccomandati per i vini bianchi di maggiore struttura. Un bianco di grande estrazione, dal quale vengono fuori sentori molto interessanti, mela annurca, uva spina, scorza d’arancia candita, e lasciandolo respirare a lungo, persino note di mais e di polvere di zenzero. I sei mesi di macerazione offrono un frutto polposo e decisamente persistente, in bocca è morbido, rotondo, non certo tannico come comunque si può essere indotti a pensare, il tempo ha in verità ben levigato persino la discreta acidità di cui il vitigno non ha mai mancanza. Un vino da bere adesso, per compiacere magari piatti di pesce piuttosto speziati o formaggi mediamente stagionati.

Ad oggi, il Domus Giulii è ancora in affinamento in bottiglia, verrà commercializzato, con molta probabilità solo nei prossimi giorni di fine gennaio e, data l’esigua quantità a disposizione per questo millesimo, sarà inizialmente acquistabile solo recandosi in cantina al Fusaro: poco più di 600 le bottiglie, presumibilmente classificate come igt Campania e non come d.o.c. Campi Flegrei; un vino simbolo del grande lavoro di ricerca e sperimentazione, in maniera del tutto autonoma, che questa azienda sta maturando negli ultimi anni, iniziato dieci anni orsono con il coraggioso studio avviato sui vitigni minori – leggi per esempio marsigliese – e parallelamente votato all’assoluta fedeltà alla valorizzazione della falanghina che ha trovato, già da un paio di vendemmie, la massima espressione di questo pezzo di terra flegrea nel loro ottimo Cruna DeLago, come poche altre etichette della denominazione, vero e proprio vessillo di tipicità territoriale!

Bere il territorio, per esempio i Campi Flegrei

24 dicembre 2010

Un territorio in forte ascesa, una terra votata al vino che nonostante le mille difficoltà, ambientali, sociali, amministrative sta maturando quel salto di qualità estremamente necessario per ritagliarsi uno spazio importante nel mondo del vino. I numeri, quelli seri e chiari, ci consegnano una realtà con un potenziale di crescita incredibile, laddove le vigne più vocate sono giustamente indirizzate alla specializzazione e dove chi fa il vino ha ben compreso che il tempo delle farse è finito e che il consumatore, quello attento, quello più esigente, non si accontenta più della denominazione ma ha voglia di conoscere e capire cosa c’è dietro una etichetta. Ecco, con questo scenario, capace di lasciarci affermare con tutta certezza che finalmente dire Campi Flegrei non è più semplicemente vantare una viticoltura astratta, vi offriamo un breve corollario delle migliori bottiglie passateci per mano in quest’ultimo anno; Ci teniamo a sottolineare che, con questo elenco, non ci si vuole certo arrogare la pretesa di una infallibile lista di vini, ma potete stare certi che, bicchiere alla mano, con questi nomi si può istruire un viaggio decisamente entusiasmante attraverso alcune, se non le migliori, vigne flegree.

 Malazè spumante di Falanghina Cantine Babbo. Camminare le vigne dello Scalandrone a Pozzuoli può risultare addirittura salutare, pare infatti che salire e scendere le ripide rive dei costoni che incorniciano da un lato il lago d’Averno e dall’altro il piccolo salmastro lago Fusaro risulti un esercizio fisico non indifferente. Malazè, il cui nome trae ispirazione dalla tradizione marinara flegrea (è la traslazione dialettale della parola magazzino) è prodotto da uve falanghina dei Campi Flegrei con il tradizionale metodo charmat: esprime un vino franco, leggero e gradevole al naso quanto nella beva, sottile e beverino è ideale come aperitivo. Una dritta, provatelo come base spumante per offrire ai vostri ospiti un leggiadro Kyr! € 10,00

Brezza Flegrea spumante di Falanghina Cantine del Mare, altro lavoro ben riuscito sulla spumantizzazione della falanghina. Qui la materia prima proviene da una delle aree viticole più vocate dei Campi Flegrei e meno conosciuta ai più, le coste di Monte di Procida, molte terrazze delle quali a strapiombo sul mare del canale di Procida. Gennaro Schiano, noto imprenditore del luogo, ha deciso di occuparsi a tempo pieno dell’azienda, coadiuvato dal giovane e bravo enologo Gianluca Tommaselli, e questo spumante rimane il fiore all’occhiello della sua produzione: naso assai fragrante, frutta a polpa bianca e reminescenze minerali per un vino dalla beva vivace e baldanzosa e mai stancante, a dirla tutta, un piccolo capolavoro di equilibrio gusto-olfattivo. € 14,00

Falanghina dei Campi Flegrei 2009 Antonio Iovino. A Pozzuoli, a due passi dal centro storico, c’erano un tempo terre vocatissime alla viticultura, con gli anni lasciate sventrate dalle due più grandi sciagure che possano capitare al mondo, lo sciacallaggio dell’uomo innamorato pazzo del cemento, e peggio, l’idiozia di chi dovrebbe amministrare la nostra vita sociale. Tantè che le coste d’Agnano, quelle che nel cuore della città s’innalzano dal mare del golfo sino al vulcano Solfatara, celano ancora pezzi di terra, letteralmente strappati alla speculazione, che continuano ad offrire frutti prelibati. Antonio Iovino, da almeno un decennio cura le sue vigne cercando di risanare queste ferite, ne vengono fuori vini leggiadri e ricchi in minerali. Piacevolissimo iniziare un pasto con un vino di tal piacevolezza: naso erbaceo, a tratti sulfureo e palato fresco, lievemente citrino con piacevoli sfumature salmastre. € 8,00  

 Falanghina dei Campi Flegrei Colle Imperatrice 2009 Cantine Astroni, i Campi Flegrei, terra dei fuochi. Si potrebbe dire, altra zona, altro vulcano; Le uve provengono in buona parte da una vigna di circa dodici anni allocata a circa 230 m/slm sulla collina degli Spadari a Pianura, in cantina il vino viene lavorato solo in acciaio e dopo circa tre mesi di affinamento sulle fecce fini finisce in bottiglia. Una vigna in città quindi, a due passi dal cratere spento degli Astroni, il polmone della città di Napoli. Un vino dalla graffiante verve gustativa e dalla beva composta, acidità particolarmente interessante quasi subito smorzata dalla giustezza sapida,  ideale compagno a tutto pasto per i palati più esigenti. € 8,00  

Falanghina dei Campi Flegrei Coste di Cuma 2008 Grotta del Sole, ancora un salto tra le maglie di una terra unica e rara. L’azienda non ha bisogno certo di presentazioni, la famiglia Martusciello rimane la memoria storica dei Campi Flegrei e questo vino, il Coste di Cuma il suo testimone più fedele; Nato per la verità sull’onda dell’entusiasmo dei bianchi passati in legno di metà anni novanta, ha superato brillantemente le prime fasi di una non precisa identità territoriale esprimendo nell’ultimo lustro uno dei più convincenti lavori sul vitigno flegreo, e questo grazie anche al pregevole lavoro dell’enologo Francesco Jr Martusciello. Dai profumi deliziosi di fiori bianchi e frutta a polpa gialla impregnati di note salmastre, regala sempre una beva di discreta consistenza e profondità. Perfetto su tutti i piatti di pesce salsati, non disdegna accostamenti azzardati come formaggi freschi e carni bianche, anche grigliate. € 13,00

Campania rosato Pedirosa 2009 La Sibilla, bere leggero non significa per forza di cose bere vini inconsistenti, tutt’altro. Se tra i bianchi, conosciuto come vitigno per vini leggiadri e risoluti, la falanghina è capace anche di esprimere vini di indubbio carattere, il piedirosso tra le uve a bacca nera è forse il più convincente e poliedrico dei vitigni campani. Luigi Di Meo, con il figlio Vincenzo, sono ormai un riferimento nei Campi Flegrei, e quando si parla di falanghina non si può certo dimenticarsi di loro. C’è poi un insolito ed avvincente studio-sviluppo sul vitigno marsigliese, giunto ormai al decennale di sperimentazione nonchè alla quinta vendemmia, che ne fanno veri e propri fautori di un nuovo “illuminismo” territoriale. Così, dopo alcuni anni passati ad aggiustare il tiro, anche questo rosato prodotto da uve piedirosso sembra esprimersi con una veste nuova e, fatte le dovute proporzioni, decisamente appassionante. Dal colore buccia di cipolla, offre un naso piacevolmente floreale ed un gusto asciutto e delicatamente persistente, perfetto per chi vuole bere leggero ma non si accontenta per questo di bere vini bianchi. € 8,00

 Piedirosso dei Campi Flegrei 2008 Contrada Salandra, ci siamo occupati proprio nelle ultime settimane di questo piccolo produttore flegreo. Giuseppe Fortunato con la moglie Sandra iniziano finalmente a raccogliere i frutti tanto appassionatamente seminati negli ultimi anni. Dalle vigne in conduzione biologica di Cuma-Licola vengono fuori poche bottiglie di fresca e beverina falanghina nonchè di questo sorprendente e delizioso piedirosso: ai più, il colore rubino-granato ricorderà subito i pinot nero dell’Alto Adige ma il naso timbrato da nuances floreali e così marcatamente minerali è assolutamente figlio della sua terra flegrea. Un rosso da spendere a tutto pesce giocando intelligentemente con la temperatura di servizio, da comprare e bere e da serbare per le prossime migliori occasioni dove leggerezza ed unicità siano argomenti topici. € 10,00

 Piedirosso dei Campi Flegrei Agnanum Viticoltori Moccia, bere i vini di Raffaele Moccia è come succhiare dal seno di una mamma, dove il vino sta al latte e il seno per i Campi Flegrei. Non poteva chiudersi altrimenti questa carrellata dedicata a “bere il territorio flegreo”, un invito che ci sentiamo di fare, oggi più che mai, con la consapevolezza che questa terra sia veramente capace di stupire i suoi avventori, anche i palati più esigenti, con vini – questi vini – straordinariamente evocativi e di qualità indubbiamente superiore. Il per e’palummo di Raffaele è un vino delizioso, che offre un colore purpureo, vivo, caratterizzato da buona concentrazione; Al naso, superate le prime note di evidente riduzione, in molti casi una caratteristica peculiare del varietale, dei vini di Raffaele in particolare, già dopo qualche minuto si riescono ad apprezzare un susseguirsi di sfumature piuttosto invitanti che evidenziano un frutto polposo e speziato, quasi terroso. In bocca è fresco, asciutto, avvincente ed avvolgente pur rimanendo sempre leggiadro e godibilissimo dal primo all’ultimo sorso. Una scoperta per taluni, la storia per altri. € 10,00

I prezzi sono indicativi e riferiti a quelli probabili in enoteca, rilevati non più di due settimane fa. ( A. D.)

Napoli, Campi Flegrei Piedirosso Agnanum 2009

3 novembre 2010

Conosco Raffaele Moccia da oltre un decennio, ho camminato a lungo con lui ogni palmo della sua vigna ad Agnano, alle pendici del cratere spento degli Astroni; esperienza per certi versi cruda, per la fatica che impieghi a farlo ma soprattutto per il rammarico nel constatare come molti altri non hanno saputo, come lui, conservare la vigna preferendogli invece cemento e lamiere come se piovessero dal cielo.

Dai declivi dei terrazzamenti ti accorgi quanto duro lavoro serva qui per portare avanti la vite, in un lembo di terra letteralmente strappato alla periferia napoletana e chissà a quale scempio condonabile; ogni due passi nel risalire la collina sono più o meno un metro netto regalato alla natura, un gesto del tutto estraneo al contesto che gli scorre velocemente sotto il naso. I rumori assordanti di uno dei quartieri più popolosi di Napoli sono ad un tiro di schioppo, ma risalendo la china, una volta arrivati qui, appaiono quasi del tutto assorbiti dal moto lento che la natura stessa esige ed impone.

Tre ettari e mezzo strappati alla città dicevamo, piantati perlopiù a piedirosso – qui per tradizione detto per e’palummo – e falanghina per la parte che interessa la produzione vinicola di Agnanum; ma, qua e là tra i filari, alcuni dei quali ultra centenari, non mancano altre varietà a bacca bianca tradizionalmente presenti, in maniera certamente minore, su tutto il territorio flegreo, come la catalanesca, la biancolella e la gesummina, utilizzate però in questo caso dal papà di Raffaele per suo ludico diletto. E poi l’immancabile marsigliese, vitigno a bacca rossa dalle origini certamente francesi (si paventa una somiglianza col Tannat), di sovente utilizzata altrove come “varietà tintoria”. La stessa, recentemente, pur in maniera solo ufficiosa, è stata fortemente valorizzata dal buon lavoro della famiglia Di Meo de La Sibilla della vicina Bacoli, che ne ha fatto, con il suo cru Marsiliano, un gran bel vino, rilanciando la prospettiva di un modo nuovo per leggere i Campi Flegrei con una scrittura pur estranea alla doc locale.

Il per e’palummo 2009 di Raffaele, giuro, sarà un vino sorprendente per molti, a patto però di armarsi di una santa pazienza certosina. Eh si, perché i vini di Agnanum, pur caratterizzati da una bevibilità unica, vanno aspettati a lungo, lasciati respirare, “aprirsi”, concedendogli cioè il giusto tempo di ossigenazione, a conferma di una storia agricola pregnante, un millesimo, questo 2009, particolarmente interessante in terra flegrea ed una artigianalità espressa al massimo dai particolari, con il piedirosso più della falanghina. Un vino dal colore purpureo, vivo, caratterizzato da buona concentrazione; il primo naso va lasciato sfumare, le prime note di evidente riduzione possono rappresentare in molti casi una caratteristica peculiare del varietale, ma già dopo qualche minuto si riescono ad apprezzare un susseguirsi di sfumature piuttosto invitanti, a tratti atipiche, che dopo poco tempo vanno evidenziando un frutto sì polposo ma soprattutto note speziate e terrose molto particolari, direi quasi ficcanti.

Mentre il naso va maturando una sua linearità a tempo debito, il palato non ha bisogno di lancette per lasciare traccia della sua essenza: è subito intenso, fresco, asciutto quanto basta, un vino avvincente ed avvolgente pur mantenendosi leggiadro e godibilissimo dal primo all’ultimo sorso, offrendo alle papille gustative un costante esercizio ricognitivo di un frutto integro e sempre in primo piano. Raffaè, a dire che buono è buono, anzi direi eccellente, ma niente niente ti sono scappati due o tre grappoli di marsigliese in questo piedirosso?

Falanghina, dieci etichette sulla bocca di tutti ovvero da non far mancare nella vostra cantina..!

21 settembre 2010

E’ il bianco dell’estate 2010! E’, senza dubbio alcuno, lo stupore per i palati più fini in cerca di un easy to drink finalmente convincente, è la protagonista assoluta delle nostre e vostre tavole, è letteralmente, una escalation di il, lo, la che più di uno schiaffo all’Accademia della Crusca sembra essere la conferma di un paradosso tutto italiano: versatilità unica e decisamente rara per un unico vitigno, che fa, di una tra le uve più coltivate in Campania, a seconda della vocazione territoriale (o se vogliamo delle esigenze di mercato) adesso un vino spumante, poi fermo, degno di nota pur quando macerato o all’evenienza dolce frutto passito: insomma, ogni volta decisamente fuori dall’ordinario, una vera potenza al servizio della bevibilità e, dato non trascurabile, per tutte le tasche 🙂 !

Astro brut spumante di Falanghina s.a. Cantine Astroni, rimane una delle interpretazioni più gradevoli e corroboranti del vitigno spumantizzato con il metodo charmat. Le uve sono in parte flegree ed in parte beneventane, la beva danza sull’equilibrio minerale delle prime e sulla acidità delle seconde: una bottiglia, in due, va via più veloce della luce: quanto valgono 8 euro?

Brezza Flegrea spumante di Falanghina s.a. Cantina del Mare. Ad oggi è la bollicina che più mi ha impressionato tra quelle pensate in terra flegrea. Siamo sulle coste a strapiombo sul mare di Monte di Procida, il vino di Pasquale Massa e Gennaro Schiano ha personalità e complessità da vendere, davvero una bella sorpresa anche per i palati più preparati alla tipologia, da tutto pasto. Da € 15

Campi Flegrei Falanghina Cruna DeLago 2008 La Sibilla, Ne ho raccontato, ampiamente, in un precedente post, continuo a pensare che negli anni l’azienda di Luigi Di Meo e Tina Somma e questo vino in particolare, vanno delinendosi un ruolo nei Campi Flegrei tanto rilevante quanto, per esempio, Sandro Lonardo a Taurasi: autentica espressione territoriale! Da € 15

Campi Flegrei Falanghina Vigna del Pino 2006 Agnanum. Raffaele Moccia è viticoltore ad Agnano, se non fosse per lo storico ippodromo fareste fatica anche a capire dove sia, a Napoli, Agnano. Molti, negli anni, lo hanno identificato come un vignaiolo di città, lui continua a preferire definirsi più semplicemente un agricoltore, come a voler sottolineare, semmai ce ne fosse bisogno, il suo legame con la terra di origine, che non ammette – dice – specializzazioni, richiede solo tanta fatica, sacrifici; Quei 3 ettari e mezzo di vigna sono la stessa terra solcata nel tempo dal nonno e dal padre, e oggi, con viva speranza, sogna di consegnarla, un giorno, nelle mani del nipotino. I vini di Raffaele gli assomigliano, sono terra vulcanica e frescura notturna, sono crudi ed imperfetti come cruda ed imperfetta è la realtà che circonda le sue vigne. Ma sono vini veri, seri, “fatti con l’uva”, direbbe se fosse qui al mio fianco nel dettarmi cosa scrivere. Il cru Vigna del Pino ’06 ha avuto tempo per aggiustare il tiro, la pulizia olfattiva non è mai stato il suo forte, e forse nemmeno il colore, oggi bello carico, un po sopito, ma se volete avere idea di come e cosa può esprimere una falanghina dei Campi Flegrei negli anni, segnatevi in agenda questo vino, vi aprirà la mente: è figlio di frutti selezionati e trattati come perle, il timbro gustativo è maturo ma di ficcante acidità, pieno, salino, evocativo! Da € 14 (ma non ne troverete in giro, ndr).

Falanghina Beneventano 2008 Poggi Reali (Guido Marsella). La verità, diciamocela, è che proprio non ci va giù che un produttore, vigneron d’avanguardia in terra di fiano di avellino vada predicando il mercato con vini che non appartengono alla sua vocazione. Così per rimpinguare il listino, oltre ad un mediocre Greco di Tufo, il buon Guido si è inventato con il marchio Poggi Reali questa falanghina che invece va detto, è davvero deliziosa, affiancandola al suo già famoso fiano di Summonte. Cercatela e bevetene, è un vino che merita l’assaggio, bello da vedere, docile al naso, asciutto e piacevolmente acido al palato. Da € 12

Sannio Falanghina Via del Campo 2008 Quintodecimo. Siamo alle solite, il sommelier che non riesce a far altro che parlar bene del professor Luigi Moio: ebbene si! Sfido chiunque a non riconoscere nei vini di Quintodecimo un determinato senso di appagamento gustolfattivo. Anche su questa falanghina, raffinata esecuzione il cui nome va all’indimenticata sonata di Fabrizio De Andrè, dove aleggia l’anima nobile di un vigneron che insegue il proprio ideale, non è forse il maggiore conoscitore in circolazione del varietale?“[…] e ti sembra di andar lontano, lei ti guarda con un sorriso, non credevi che il paradiso fosse solo lì, al primo piano sorso […]”. Da € 28

Roccamonfina Fiorflòres 2009 Tenuta Adolfo Spada, Ernesto Spada è un gran signore, con il fratello Vincenzo hanno preso molto sul serio un mestiere che in realtà nasce dalla voglia di mettersi in gioco, guardare con occhi diversi un’antico pallino familiare, il desiderio del papà Adolfo di fare a Galluccio un grande vino, ed il Gladius se ancora non lo è poco gli manca. Il Fiorflòres invece è appena sbocciato, un passo avanti – mi dicono – alla falanghina+fiano Flòres che aveva esordito appena un paio di vendemmie fa ed accantonata (solo per il momento?) per far spazio a questo cru 100% falanghina con origini, e timbro organolettico, flegrei. Dal colore paglierino tenue, ha naso lieve ma fine, in bocca mostra una bella spalla acida ed un finale decisamente piacevole, con qualche mese in più di bottiglia si potrà goderne pienamente il frutto, per cui aspetto e spero. Da € 9

Sant’Agata de’ Goti Falanghina 2009 Mustilli, imbattibile per leggerezza e bevibilità, rimane, assieme a pochi altri, il vino di riferimento per la tipologia in Campania. La storica azienda di Sant’Agata dei Goti, che ha letteralmente inventato la falanghina come vino da tavola di qualità offre puntualmente, ad ogni vendemmia, una interpretazione assoluta della sua falanghina. Dal colore sempre cristallino, ha un ventaglio olfattivo pronunciato e schietto, in bocca è secco, fresco e sul finale si evidenzia una delicata amarognola. Pochi i vini bianchi da pesce come questo! Da € 8

Taburno Falanghina Adria 2009 Torre dei Chiusi. Domenico Pulcino lavora in maniera essenziale, fermo nel sostenere i principi dettati dai suoi predecessori ed è indiscutibilmente un ottimo interprete della sua terra. Il Taburno ha da tempo trovato i suoi protagonisti assoluti, i volumi della Cantina del Taburno, le visioni di Libero Rillo (ricordate la falanghina “2001”?), la costante crescita di Fattoria La Rivolta e via via sino a dare spazio e degno lustro ai nuovi arrivati, Nifo Sarrapochiello e per l’appunto l’azienda Torre dei Chiusi. Falanghina di gran nerbo questa di Domenico, spiccatamente varietale al naso ed incalzante nella beva, un vino pulito, buono e non di meno di giustissimo prezzo! Da € 8

Roccamonfina passito Eleusi 2006 Villa Matilde. Non poteva mancare, in questo breve viaggio nel mondo della falanghina, una segnalazione ad hoc versione dulcis in fundo. Sia chiaro, in molti si sono cimentati negli anni nella tipologia, ed i risultati di eccellenza non si sono certo fatti attendere, si pensi ad esempio al beneventano Jocalis dei fratelli Pascale di Aia dei Colombi o magari al particolarissimo Passio di La Sibilla nei Campi Flegrei, però l’Eleusi di Tani e Maria Ida Avallone rimane il bianco dolce di maggiore riferimento in regione, costanza ed affidabilità sul varietale sui generis. Dal colore ambra cristallino, naso soavemente incentrato su frutta secca, scorze di agrumi e di albicocca candita e malto d’orzo. Come da manuale l’acidità che ritorna appena dopo la deglutizione ad infondere equilibrio e compostezza. Da € 21 (0,375)

Questo vino è il nostro vino dolce dell’anno.

Nota a margine: come sempre nessun voto, solo esperienze tangibili di bevute sul campo e constatazioni tra i tavoli, ma cosa insolita, vi indichiamo per tutte le etichette segnalate il prezzo; Non lo facciamo spesso perchè ci sono tante variabili (distribuzione, regione, enoteca o ristorante, ecc…) che incidono sul prezzo finale al consumatore, pertanto quello segnalato qui – in enoteca – è da ritenere puramente indicativo. A voi, una volta bevuti, l’ardua sentenza; Per saperne di più sul varietale, potete leggere qui la radiografia del vitigno.

Bacoli, Cruna DeLago 2008 La Sibilla

13 luglio 2010

“Guardi avrei proprio voglia di lasciarmi consigliare da lei un bel vino campano, qualcosa che mi possa far cambiare idea ed opinione a riguardo: deve sapere che lì, su al nord, non è che si beva benissimo, ci sono certi soloni, tutti matti per lo sciardonnè, ma per me che amo il sud rimane comunque piuttosto difficile trovare dei vini della vostra regione che mi entusiasmino in modo particolare, ma è possibile che avete solo Cantine Sociali..?”

Carlo Bernini (nome puramente di fantasia, ndr) si è dimostrato un ospite molto gradito. Avvocato in Cassazione, spalle larghe, almeno quanto il bacino e sessant’anni nemmeno a vedergli la carta d’identità, viso tondo tendente al paffuto, dagli occhi azzurri, semi chiusi; persona però distinta, appena un po sfacciata, curiosa, insomma uno di quei clienti che pagheresti per avere alla tua tavola, e non solo per le belle bottiglie che ti lascia decidere di aprire, e nemmeno per la lauta mancia che ti offrirà alla fine per ringraziarti, stavolta con gli occhi ben aperti, azzurri, lucidi, soddisfatti per avergli riservato una piacevole serata: la tua soddisfazione, la grande soddisfazione l’avrai ottenuta invece da quelle poche parole, tra le mille venute fuori durante la cena, che ha saputo far entrare, esprienza alla mano, con le sue osservazioni, con le sue puntualizzazioni, con i suoi aneddoti, nella tua mente, prepotentemente, parole che mai dimenticherai!

L’avvocato Bernini ne ha viste tante in vita sua, e ne ha districate troppe per fidarsi ciecamente: “mi sono occupato di frodi alimentari e di vino per circa un ventennio, e credimi mio bel sommelier, la purezza delle tue parole, il tuo racconto mi affascinano, ma non mi convincono, ho bisogno di più”. Avvocato mi lasci dire, che brutta opinione che s’è fatto del vino, lasciamo stare le mie chiacchiere, facciamo che a parlare sia il bicchiere, io le faccio bere due-tre cosette, lei, alla fine, mi deciderà cosa val la pena pagare e cosa no, ci stà? “Intraprendente…”.

Così dopo una ouverture leggiadra a base di Biancatenera di Tramonti (Monte di Grazia bianco ’09) confido che sia il Cruna DeLago di Luigi e Restitua Di Meo a scalfire la mistica  pervasione del vino nostrano agli occhi dei transumanti avventori dell’alta langa. “Un vino delizioso, ti dà l’impressione di volerti piacere per forza ma non è ruffiano, non ammicca in maniera insolente, dico bene?”  Dice bene, essere se stesso è un suo tratto caratteriale. Il vitigno di cui è composto, la Falanghina dei Campi Flegrei ha la capacità di conquistare i palati senza sciolinare false pretese, offre vini sinceramente franchi, austeri e sottili al naso, asciutti e minerali, profondi al palato. Il vino che ne viene fuori è di solito vivo come la storia millenaria imprigionata nelle centinaia di enclavi di monumenti che ne costellano il territorio tutto, da Pozzuoli a Bacoli, ed il Cruna DeLago è una delle sue massime interpretazioni: giallo splendente, intriso di profumi di glicine e pino mediterraneo, quello delle coste di Agnano, austero proprio come l’anima dei suoi vignaioli, legati alla propria terra più che a se stessi, un nettare asciutto e minerale come le falde ardenti del vulcano Solfatara, salmastro non per evoluzione ma per finissima vocazione.

Ecco avvocato, mi sono tenuto defilato, niente nomoni, non le ho nemmeno raccontato della crescita inimmaginabile, il successo del Fiano di Avellino e del Greco di Tufo, e le ho servito il Fiorduva solo perchè così come richiesto dal dotto’ Impresacchi: ma mi dica, le sono piaciuti i vini? “Angelo, ho molto apprezzato, vorrei tanto conoscere di questo Alfonso Arpino, come si fa ad allevare vigne di cent’anni? E poi i Campi Flegrei, pensare alla Falanghina con questa profondità così mediterranea non mi era mai capitato prima, oggi ho scoperto due bei vini!

E’ solo l’inizio mio caro Avvocato, questa è la mia terra e non ha confini!


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