Posts Tagged ‘san salvatore’

Paestum Aglianico Jungano 2010 San Salvatore

25 marzo 2013

Senza esagerare e perderci in troppi rivoli sempre complicati da navigare a vista diciamo che il Jungano incarna, è proprio il caso di dire, quel rosso di grande polpa che fa (quasi) sempre piacere ritrovare nel bicchiere: un aglianico del nostro tempo con tanta sostanza, tessuto e ciccia necessaria per stare in tavola, volendo, anche tutti i giorni.

Giungano, San Salvatore - foto A. Di Costanzo

E’ un vino di prorompente vivacità, anche immediato, di quelli che non hai bisogno del manuale d’istruzione per capire da dove cominciare. Ma attenzione però a non confondere questa chiarezza espressiva con la solita solfa di vini comuni a tutto tondo, anzi. Il Jungano 2010 è solo il primo giro di serratura che va spalancando le porte all’aglianico di questo sorprendente pezzo di terra sopra Paestum. Un rosso di gran carattere ma che sa toccare le corde giuste. 

Non ci metti molto a capirlo, è un rosso dal frutto incredibilmente piacevole, nero, teso, gioviale, che cede poco alla terziarizzazione, te ne accorgi tenendolo a lungo nel bicchiere, anche per un giorno intero: è un continuo riecheggiare di mora e rimandi balsamici che spiegano a pieno quanto potenziale possiede questo straordinario varietale quando sboccia stretto nella morsa di un terreno avido e minerale com’è da queste parti. Sapientemente interpretato.

Jungano 2010 - foto A. Di Costanzo

Non dimentichiamoci infatti la grande sostanza del progetto di Peppino Pagano che non si è certo lanciato in quest’avventura da sprovveduto, o solo per inseguire quella moda tanto cara – in tutti i sensi – agli imprenditori di successo in altri campi di fare vino per hobby. San Salvatore¤ è anzitutto un’azienda agricola a 360°, biologica non per manifesto ma per vocazione e che gira a palla sin dal suo debutto commerciale, non a caso in appena una manciata di vendemmie è già riuscita a smarcarsi proprio grazie alla forte personalità dei suoi vini bianchi¤ quanto più dei suoi due rossi¤.

Giungano, Greco Calpazio 2011 San Salvatore

20 febbraio 2013

Peppino Pagano lo racconta come fosse un piccolo gioiello di famiglia, anzitutto per averlo letteralmente strappato dalle grinfie di chi non vedeva tanto di buon occhio piantare greco da quelle parti.

Paestum Greco Calpazio 2011 San Salvatore.docx

In effetti quando nacque il progetto di San Salvatore¤ e si decise dove e cosa piantare, il greco era stato sì preso in considerazione ma solo in maniera puramente sperimentale; si pensava di mettere a dimora giusto un paio di filari per vedere cosa riuscissero a dare: “all’ultimo invece, preso dall’entusiasmo, ne piantai quasi un ettaro e mezzo – dice Peppino –, che oggi continua a regalarmi grandi soddisfazioni!”.

Il bicchiere conferma a pieno merito la bontà delle scelte; quella di farne un bianco fuori dal comune da queste parti, dove i più ricorderanno essenzialmente tanti buoni fiano¤ ma soprattutto quella di farne un vino bianco dall’approccio immediato, assai varietale e, quando l’annata lo permette, di grande freschezza gustativa. Così è paglierino luminoso il colore, naso di pera ed erbette, con un sorso coerente e giustamente sapido.

Sembrerebbe riportare a tavola quel piacere un po’ anni settanta ma sempre più contemporaneo di bere greco leggiadri e fragranti, senza tante sovrastrutture aromatiche o gustative che talvolta caratterizzano soprattutto quelli di provenienza Irpina, notoriamente terra d’elezione per il vitigno cui però rifarsi letteralmente suonerebbe arduo per non dire banale, poco efficace vista la statura di quelli più rappresentativi. Pure il 2012 provato dalle vasche – che arriverà verso primavera -, conferma di stare camminando la strada giusta.

Giungano, Spumante Brut Rosé ’10 San Salvatore

15 gennaio 2013

Vi fosse ai giochi olimpici una categoria Triatlon per gli imprenditori, Peppino Pagano punterebbe a giocarsi il titolo sino all’ultimo colpo; su quel podio poi, ci starebbe volentieri solo sugli scalini più alti.

Spumante Brut Rosé San Salvatore

Il suo successo più evidente è da sempre quello nel ramo turistico-alberghiero. Patròn di due strutture a Paestum, il Savoy Beach Hotel¤ ed il confinante Esplanade¤, una decina d’anni fa ha cominciato ad occuparsi anche dell’allevamento di Bufale da latte. Così, negli stessi anni, si convince anche a riprendere l’attività in campo agricolo e vitivinicolo, imprese che a lungo hanno caratterizzato la storia di famiglia prima che arrivassero in Cilento dal natìo areale vesuviano. 

Senza entrare troppo nel merito, cosa che farò volentieri con calma nei prossimi giorni, dico subito che Pagano è chiaramente un personaggio sorprendente, di grande energia, vulcanico si direbbe, nonché padrone di una capacità comunicativa fuori dall’ordinario; impressionano oltretutto la scioltezza e la cognizione di causa con le quali passa dal disquisire di ospitalità, ristorazione e architettura a pratiche e normative di profilassi zootecniche piuttosto che agronomia ed enologia: “Senza curiosità e voglia di imparare, crescere, non si può fare impresa” chiosa sorridente. 

Invero, su queste pagine trovate già qualche buon appunto a riguardo dell’azienda agricola San Salvatore¤, realtà che seguo con particolare attenzione sin dai suoi primi passi. I bianchi Trentenare e Pian di Stio¤, o il rosato Vetere¤ tanto per dire, sono quelli di cui subito raccontammo; ma ci tornerò su volentieri, per fare il punto della situazione, dopo due anni, con importanti conferme nel bicchiere, dall’aglianico a qualche buona novità; a partire da questo Spumante Brut Rosé 2010, dal gradevole colore cerasuolo tenue, intriso di piacevoli rimandi di frutta rossa e con una impronta che sa di aglianico a tutto tondo, di gran carattere ma che non vuole strafare né scimmiottare alcunché. Appena 3.300 bottiglie quest’anno, sboccate dopo 18 mesi di maturazione sui lieviti: “se tutto va bene diverranno 6.600 il prossimo anno, ma non una in più per il futuro”, precisa Peppino. Poco ma buono!     

Paestum Fiano Pian di Stio 2010 San Salvatore

6 giugno 2011

Un anno fa l’esordio, ne raccontava in maniera compiuta l’amico Luciano Pignataro sul suo seguitissimo wineblog; qualche settimana più tardi un primo assaggio, poi ancora non mi sono fatto sfuggire l’occasione di metterci la bocca (qui e qui) alla ricerca di altre conferme, ma soprattutto per coglierne quella sana variazione sul tema aglianico/fiano/Cilento che l’azienda San Salvatore sembra aver colto nel segno!

L’azienda dell’anno? Perché no! In verità non mi stupirebbe affatto visto anche l’incredibile consenso dei suoi finissimi vini; un piccolo gioiello? Possiamo tranquillamente affermarlo; nato nei dintorni di Capaccio/Paestum, a Stio, è da considerarsi pura merce rara, rarissima visti pure gli ultimi tempi. Il progetto è sano e serio, e guarda lontano, messo su da uno dei personaggi più vulcanici dell’imprenditoria alberghiera campana, quel Peppino Pagano che di certo non ha deciso di mettersi in gioco per fare di questa avventura una mera comparsata.

L’occasione per ribadire ancora una volta quanto sia imperdibile l’assaggio dei vini dell’azienda San Salvatore è questo Pian di Stio 2010, prodotto con uve coltivate secondo agricoltura biologica e che esprime tutte quante le facce di una terra di rara bellezza, il Cilento, sospesa tra il cielo e il mare e capace di imprimere ai suoi frutti un imprinting inconfondibile. Del fiano di questa parte della Campania, si dice che abbia una vocazione ben precisa – fresca, impulsiva, immediata – e che non debba ambire a sfidare il tempo, ovvero senza nutrire ambizioni di reggerlo; questione questa – secondo taluni – tutto appannaggio del fiano di Avellino. Un altro punto sul quale ritornare sicuramente, possibilmente con argomenti più forti, e con calma.

Adesso però c’è questo vino, dal bellissimo colore paglierino, luminoso e invitante. Il primo naso è uno schiaffo balsamico, ad occhi chiusi pare camminare una gariga, dove la terra arida si alterna a cespugli sempreverdi di erica, corbezzolo, ginestra. Ha bisogno di tempo, e lentamente si scopre anche fruttato, croccante – turgido -, con una complessità ed una persistenza olfattiva indimenticabili. In bocca è ficcante, regala un sorso di pregevole finezza, intensità e persistenza: le papille gustative si perdono e si ritrovano tra l’austerità dell’acidità e la graditissima sapidità, anch’essa lunga e persistente. Un bianco, non uno qualunque, per oggi e per domani, memorabile sin da ora, ma capace di stupire ancora e ancora tra qualche tempo. Un fuoriclasse insomma! Intelligente ed insolita la scelta di metterlo in bottiglie da mezzo litro, belle da vedere e funzionali ad una bevuta più sobria del solito; ah dimenticavo!, e a portata di tutte le tasche!

L’estate in rosa, drink pink made in Campania

30 Maggio 2011

L’estate è alle porte. Converrebbe, come del resto avviene da sempre in Francia, accantonare per qualche tempo i grandi rossi – due/tre mesi, non di più – e pensare di dare più ampio respiro, oltre ai soliti noti ed insoliti bianchi, ai vini rosati (o rosé, che fa più chic!). A cercarne bene ultimamente se ne trovano di molto interessanti. In Campania così come altrove in Italia.Vi propongo quindi, in due uscite, una breve selezione maturata discorrendo delle bottiglie che più mi hanno conquistato in questo primo scorcio di stagione. Quest’anno, come nei programmi, ho continuato a dare ancora più spazio al bere rosa nei miei precetti, assaggiando e provandone parecchi, proponendoli oltretutto  in carta anche con una nuova posizione, nelle primissime pagine, cosicché da renderli tutti subito individuabili da parte dell’avventore appassionato alla tipologia; giuro che prima o poi la mia carta dei vini ve la presento, frattanto però eccovi tra le etichette prescelte, quelle che ritengo più interessanti e meritevoli della vostra attenzione.   

Aglianico del Taburno Rosato Le Mongolfiere a San Bruno 2010 Fattoria La Rivolta. Pensi al Taburno e la mente corre subito ad aglianico opulenti e indelebili; cominciamo col dire invece che questo rosato rappresenta ancora un colpo a segno per la splendida azienda di Paolo Cotroneo, riesce a coniugare forza evocativa e freschezza da vendere; prodotto da sole uve aglianico, del Taburno appunto, è vibrante ed efficace dal primo naso all’ultimo goccio calato nel bicchiere. Interessante anche in virtù del fatto che si propone non solo sul breve ma anche capace di reggere discretamente il tempo, anche un paio d’anni; buono da bere anche su piatti importanti. Il nome rievoca un episodio realmente accaduto a Torrecuso nel giorno di S. Bruno che vide piombare in Fattoria, in contrada La Rivolta, praticamente sbucate dal nulla, due mongolfiere planate dal cielo per toccare con mano – si disse – le splendide colline ammirate dall’alto. 

Campania Rosato Pedirosa 2010 La Sibilla. Eh sì, mi piace vincere facile; del resto quando si gioca in casa le probabilità di portare a casa il risultato sono sempre più alte. Piedirosso dei Campi Flegrei vinificato sapientemente in bianco con una brevissima macerazione del mosto sulle bucce, sicuramente uno dei più riconoscibili in riferimento al varietale; offre un naso rispettoso dei cardini classici del vitigno e della tipologia, inizialmente soave poi man mano più ampio e complesso: floreale passito, fruttato dolce e minerale, quasi sulfureo; la beva è carezzevole, giustamente secca, breve ma efficace. Da spendere sulla più gustosa delle zuppe di pesce del golfo. A trovarne naturalmente (di zuppa di pesce buona, intendo)!

Lacryma Christi del Vesuvio Rosato Vigna Lapillo 2009 Sorrentino. Benny Sorrentino non accetta compromessi, cosicché i suoi vini, quelli impressi nel fuoco dei lapilli vulcanici del monte Somma e nell’hinterland vesuviano, riposano almeno sei mesi prima di uscire sul mercato. Questo rosato duemilanove ha un colore piuttosto insolito per la tipologia, ricco e compatto, il vino è intriso di note di frutta rossa polposa e sbuffi di macchia mediterranea, si concede con un sorso intenso, ricco, minerale, che infonde al palato freschezza e consistenza. Ottimo lavoro direi, e gran bella beva; nasce da un marriage di piedirosso con una piccola percentuale di aglianico, lo consiglio di sovente sui carpacci di pesce o sul risotto agli agrumi, ma si può tranquillamente pensare di berlo anche con le carni, purché non stracotte o troppo sugose.

Paestum Aglianico Rosato Vetere 2010 San Salvatore. Poco o altro da aggiungere alla recensione già passata su queste pagine qualche settimana fa, se non l’efficace controprova avuta da allora dai numerosi clienti a cui l’ho proposto che hanno molto apprezzato soprattutto l’impostazione frutto/carattere voluta da Peppino Pagano e, naturalmente sottintesa, da Riccardo Cotarella. Aglianico di gran levatura allevato nei dintorni di Cannito, in pieno Cilento; anche in questo caso un vino polivalente, da non pensare di bere solo sul pesce, pur raccomandandone l’uso su quello grigliato.

Roseto del Volturno 2010 Terre del Principe. Pallagrello e casavecchia, non poteva essere altrimenti in casa di Manuela Piancastelli e Peppe Mancini, abituati come sono – e come ormai ci aspettiamo che facciano – a fare le cose per bene e nei modi e nei tempi giusti. Ritorno volentieri a raccontare di loro, in verità l’avrei potuto anche fare prima, conservo infatti diversi appunti su una mini verticale di Vigna Piancastelli, ma aspetto di limarne qua e là alcuni concetti, ne scriverò quindi a tempo debito. Adesso spazio a questo delizioso vino uscito per la prima volta l’anno scorso e riproposto in gran forma con il 2010. Il colore è forse il più bello tra quelli presentati in questa batteria: ricco, luminoso, invitante. Il naso è un po’ sfuggente ma non manca certo sui fondamentali sentori floreali e fruttati; non facile da cogliere a freddo ma molto interessante la sottile linea speziata che si insinua non appena si alza di qualche grado la temperatura di servizio; ma, sia chiaro, pensateci solo per gioco: questo vino, come tutti gli altri raccomandati qui, beveteli belli freschi, l’estate è alle porte e vestire di rosa il vostro bicchiere sta a significare anche mettere per un po’ da parte le fisime dei sbevazzatori col termometro!

Una o due annotazioni in chiusura. E’ chiaro che la Campania può cimentarsi con buona capacità sulla tipologia, a patto però che non corra nella direzione sbagliata. Leggi banalizzazione ed omologazione. Per fare un buon vino rosato bisogna partire da un progetto serio e meticoloso, che guardi nel tempo ad una prospettiva certa e non solo al momento commerciale favorevole; quindi anzitutto uve sane e atte a tale scopo, poi tutto il resto che non sto nemmeno a sottilineare. Oltre ai vini segnalati in questo post vi sono altri che meriterebbero di essere raccontati ma ai quali era opportuno mettere avanti chi non avesse ancora avuto spazio su questo blog. Bene per esempio anche il Rosato di Tenuta San Francesco, e restando in tema tintore, pure quello di Alfonso Arpino di Monte di Grazia seppur ancora troppo scomposto nella fase gustativa: it needs time!

Qui il drink pink made in Italy.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: