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La critica gastronomica oggi, Marco Bolasco (Slow Food Editore) ci racconta il suo punto di vista…

15 ottobre 2010

Ricordo come fosse ieri ognuno dei suoi “superpanini” firmati Gambero Rosso Channel, dell’omonimo editore, il racconto appassionato di tante birre, artigianali o meno, da ogni dove, sulla rivista più trendy degli anni novanta; Indimenticabili poi i suoi reportage delle passeggiate per i vicoli e le piazze d’Italia alla riscoperta della cucina di strada prima, del miglior caffè poi. Marco Bolasco ha saputo come pochi guadagnarsi spazio e dare l’esempio, ai giovani cronisti, di come il talento e la voglia di fare possano affermarsi nel variegato mondo della critica enogastronomica. Da poco più di anno, dopo i tanti trascorsi al Gambero, è approdato a Slow Food in qualità di direttore editoriale: appena uscita la guida ai vini Slow wine, si attende quella delle Osterie d’Italia. 

Chi è oggi il critico gastronomico? Una persona che ha vissuto esperienze importanti che l’hanno formato, uno che ha girato, scoperto, conosciuto, non per forza capito. Le conoscenze tecniche, l’arte di cucinare possono essere relative, non l’onestà con la quale lo si racconta.

Quali secondo te i principi da non mancare mai per operare al meglio nel settore? L’umiltà è il centro di tutto, senza umiltà chi scrive non ha ragioni da esprimere.

Quali sono i parametri fondamentali con i quali costruire una recensione gastronomica? Il rispetto per il lettore innanzitutto; Esistono tante qualità, tecniche, morali che fanno di una penna un mezzo di enorme efficacia, ma il tutto deve essere finalizzato al rispetto del lettore.

In questi giorni usciranno le nuove guide edite da Slow Food Editore, sarà vera rivoluzione? Su Osterie d’Italia c’era ben poco da fare, il format è ben consolidato, abbiamo però voluto integrarla con alcuni accorgimenti che la renderanno certamente più fruibile: la mappatura geografica per esempio e l’inserto dei 50 ristoranti “di territorio”. Sul vino, al di là delle incomprensioni legate soprattutto alla comunicazione – dove ognuno ha voluto leggere solo ciò che gli faceva comodo leggere – si può dire che abbiamo prodotto una guida sicuramente innovativa, incentrata, come non capitava da tempo, sulle aziende, il territorio che rappresentano più che sui singoli vini prodotti. 

Guide e Classifiche: Marchesi asserisce che ne farebbe davvero a meno, molti giovani invece sembrano lavorare duro per entrarvi al più presto. Chi ha ragione? Certamente il rispetto verso certi esponenti della nostra cucina imporrebbe maggiore attenzione nel giudicare alcune esperienze, ma chi fa ciritica gastronomica non può astenersi dal raccontare, ed ove previsto, esprimere un giudizio. In alcuni casi ci si potrebbe anche astenere dall’esprimere un giudizio, ma si tratterebbe di una cortesia, nulla di più.

E’ risaputo della tua profonda ammirazione per la Spagna e per Barcellona in particolare, come spiegheresti una tale rivincita di una cucina, quella spagnola, definita da sempre “minore” rispetto a quella francese e italiana? Non ho mai voluto imporre un modello piuttosto che un altro, era invece opportuno invitare a guardare con maggiore attenzione ad una realtà, quella spagnola, in forte ascesa; Il duopolio Italia-Francia, per quanto solido, ha mostrato tanti punti deboli e tutti a vantaggio della dinamicità del fenomeno Spagna. Se un tempo poteva ritenersi una tendenza, oggi è una realtà incontrovertibile. 

Una domanda che forse senti girare spesso visto che oggi anche tu curi un blog-diario: si dice che sia “guerra” aperta tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Il mezzo ha una importanza relativa, i contenuti invece sono fondamentali. Nell’uno e nell’altro caso esistono riferimenti utili e validi.

Qual è l’ingrediente che non dovrebbe mai mancare in un piatto, e quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno? La pulizia, la capacità di lasciarne apprezzare l’integrità. Non amo invece le salse.

Se c’è, qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? Beh, la Ribollita della mia vicina di casa, insuperabile!

Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Alla Certosa di Maggiano, indimenticabile!

Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? Il fatto stesso di essere proposti è un buona trovata pubblicitaria. L’importante è che siano in tutto e per tutto espressione della propria cucina: proporre un menu con uno o due piatti di alta gastronomia a prezzi contenuti può solo giovare a chi si avvicina a certe realtà per la prima volta. Altrimenti, sarebbe decisamente inspiegabile.

La cucina di strada, ingredienti poveri, di cui spesso ti sei occupato in passato: è possibile replicarli efficacemente nei ristoranti cosiddetti gourmet? Non credo o almeno non in quei luoghi che non ne hanno piena percezione della tradizione storica. 

C’è un ristorante che secondo te vale la pena visitare almeno una volta nella vita? La Certosa di Maggiano, da Paolo Lopriore.

Se c’è invece, mi dai il nome di uno chef (se possibile italiano) che consiglieresti vivamente ai giovani di guardare con maggiore riferimento? Nessun dubbio, Gennaro Esposito!

 

Qui le interessanti risposte di Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.

Qui invece la bella intervista rilasciataci da Francesco Aiello.

Qui l’intervento di Luciano Pignataro, winewriter della prima ora e da oltre dieci anni collaboratore della guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso.

Chiacchiere distintive, la critica gastronomica con vista a sud: la parola a Luciano Pignataro

9 ottobre 2010

Luciano Pignataro, una bella laurea in Filosofia e giornalista professionista a  Il Mattino di Napoli dove da anni cura – tra le altre cose – una rubrica sul vino che ha fatto storia, sin dal 1994, sin dal grande rilancio della viticoltura campana e meridionale. E’ autore di numerose pubblicazioni di successo sul vino e sulla gastronomia tradizionale, con un occhio sempre rivolto soprattutto al Sud Italia; Il suo Wineblog è tra i più seguiti in Italia in materia, con numeri a dir poco impressionanti; Da oltre dieci anni collabora alla “guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso“. Per me, come per molti, Luciano ha, tra le tante, una grandissima qualità comune a pochi nel mondo della critica enogastronomica: quella di unire, saper mettere assieme, aggregare, alla costante ricerca di un confronto diretto, franco ma soprattutto leale. Non poteva mancare quindi un suo intervento in merito…

Chi è per Luciano Pignataro il critico gastronomico oggi? Il critico gastronomico è una persona molto difficile da formare perché serve tempo per affinare il palato, disponibilità per girare nei ristoranti, grande cultura umanistica generale, conoscenza dei prodotti e delle tecniche, capacità di usare la tecnologia web. Deve essere legato alle sue radici ma al tempo stesso non scadere nel campanilismo sterile, lavorare per il cliente e non per il ristoratore, avere rapporti cordiali e rispettare sempre chi lavora in questo settore. Credo che  in Italia ci siano pochissimi professionisti completi (Vizzari, Marchi, Fiammetta Fadda, Marco Bolasco, Cremona, Raspelli, Clara Barra, Bonilli, Davide Paolini, Carlo Cambi). Io stesso non mi sento e non sono un critico gastronomico perché mi mancano ancora i fondamentali all’estero e qualcuno al Nord, preferisco definirmi un giornalista specializzato di settore. Punto a diventare critico gastronomico puro, ma mi servono ancora una decina di anni di esperienza.

Quali sono i principi da non mancare mai, come operare al meglio? Il principi sono gli stessi dei degustatori di vino e, più in generale del giornalismo. Essere fedeli solo al proprio lettore e non tradire la fiducia dell’editore. Sul piano psicologico è buona regola non innamorarsi e non antipatizzare con nessuno, cercare di farsi capire quando si scrive e si parla e soprattutto, nel dare un punteggio, mai forzare in un senso o nell’altro, ma essere equilibrati. Se l’entusiasmo o la delusione staccano troppo dai giudizi di altri colleghi, chiedere ad altri di rifare il passaggio e fare la verifica. 

Una recensione, come nasce? Quali sono i paramentri fondamentali su cui si costruisce una sana critica gastronomica? Quando il critico fa una ispezione non deve mai annunciarsi in precedenza, deve pagare il conto e accettare al massimo un’attenzione non condizionante se riconosciuto. Evitare di giudicare lo stesso locale per due o tre edizioni consecutive, assolutamente non scrivere e premiare se ci sono rapporti che vanno al di là della semplice conoscenza. Questo vale anche per il vino. Intendo rapporti di parentela, di cumparaggio o anche semplicemente di amicizia intensa.

E’ capitato, non di rado, di sentire che alcuni critici gastronomici non sappiano nemmeno cucinare un uovo al tegamino: ecco, può essere questo deleterio ai fini di una critica affidabile? Saper cucinare aiuta sicuramente a capire meglio un piatto, come anche fare esperienza lavorativa dentro una cucina professionale, ma non è una conditio sine qua non per un critico. L’esperienza palatale è quella davvero decisiva. E’ personale e non si può ereditare.

Guide e Classifiche: Marchesi da tempo ne farebbe davvero a meno, molti dei giovani invece sembrano scalpitare non poco per entrarvi al più presto. Chi ha ragione? Le Guide servono ai ristoratori per farsi conoscere, ma la gestione del quotidiano in un ristorante non è risolta da un punteggio. Era vero ieri e lo sarà sempre di più: conta il lavoro e la professionalità. Per questo all’inizio bisogna sempre essere prudenti su una novità, bisogna aspettare almeno due o tre anni per vedere cosa succede prima di iniziare a consacrare una cucina. La polemica di Marchesi è solo un malinconico episodio crepuscolare di un grande. Purtroppo non l’unico.

Le Guide servono però soprattutto ai lettori che le comprano, non dimentichiamolo mai. Sono loro i veri giudici del nostro lavoro.

Una domanda che ti viene fatta sempre più spesso, e che ti vede protagonista in prima persona: la “guerra” tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Purtroppo ho una età che mi consente di dire di aver già partecipato al dibattito su chi vincerà tra tv e cartaceo. Ora c’è questa nuova competizione. Nessuno si pone il problema su chi vincerà tra web e tv! Sono mezzi espressivi diversi, ma si integrano alla perfezione se ben gestiti. Oggi il cartaceo conta ancora molto, resta la consacrazione, ma il web aiuta a monitare la realtà.

In ogni caso conta la qualità di chi scrive o parla, su questo non ci sono dubbi. Sono i contenuti che fanno la differenza.

Qual è l’elemento che non dovrebbe mai mancare in un piatto? L’acidità. E’ l’elemento che lo rende comprensibile anche fuori dal territorio di origine. Non a caso le cucine che opprimono l’acidità sono quelle dei fast food e degli autogrill. Un grande piatto senza acidità non può essere ricordato. La salivazione in bocca è la condizione per mangiare bene. Dall’antipasto al dolce.

Quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno? Dipende dai periodi storici. Io sono oppresso in questi anni da ricotte e burrate mischiate con il pesce fresco: il piatto diventa sempre un troiaio insopportabile.

Qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? L’arancino di riso e verza, pomodori secchi e acciughe di Marianna Vitale. Da mangiare a carriola. Io che ho sempre detestato riso e verza :-).

Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Nel  2010 quello al Mosaico da Nino Di Costanzo.

Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? E’ il futuro. L’idea di entrare in un posto e magiare solo due cose è ancora poco italiana, ma credo sia una delle poche abitudini sane che possiamo importare dagli anglosassoni. Io più di tre, quattro piatti non riesco a metabolizzare mentalmente. Un po come i vini: più di dieci/dodici diventano ingestibili per l’emozione.

C’è un ristorante che secondo te vale la pena visitare almeno una volta nella vita? Quello che ancora non si è visitato.

Se c’è invece, mi dai il nome di uno chef (se possibile italiano) che consiglieresti vivamente ai giovani di guardare con maggiore riferimento? Due: Massimo Bottura e Gennaro Esposito.

La cosa che mi piace di più di quello che sta venendo fuori da queste interviste è proprio la pluralità di vedute, in alcuni casi contrastante, espressa dai vari intervistati: quantomeno possiamo esser certi di una critica più che viva e protesa al futuro. Grazie mille! (A.D.)

Qui le interessanti risposte di Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.

Qui invece la bella intervista rilasciataci da Francesco Aiello.

Qui l’intervento di Marco Bolasco, curatore delle guide Slow Food Editore.


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