Posts Tagged ‘gambero rosso’
23 ottobre 2019
Napoli celebra i dieci anni dell’edizione partenopea dell’evento “Tre Bicchieri 2020 Gambero Rosso” con una serie di iniziative speciali. In occasione del più alto riconoscimento nella guida “Vini d’Italia”, Città del Gusto Napoli Gambero Rosso ha ideato un evento unico, che si svolgerà presso il MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Tra i più importanti musei di Napoli, il MANN vanta il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia ed è considerato uno dei più importanti musei archeologici al mondo.

Martedì 29 ottobre, dunque, la tappa napoletana dell’evento “Tre Bicchieri Gambero Rosso” si svolgerà in una location del tutto eccezionale, che ospiterà per l’occasione oltre ottanta produttori provenienti da numerose regioni d’Italia, operatori, esperti del settore, stampa e appassionati. Per l’occasione, oltre alla tradizionale degustazione delle etichette italiane premiate, si terranno due Masterclass organizzate da Città del Gusto Napoli, presso l’Hotel Costantinopoli 104, riservate ad operatori specializzati, che di fatto daranno il via al ciclo di Masterclass denominato “L’Italia nei Tre Bicchieri”, che di volta in volta vedrà momenti di approfondimenti dedicati alle principali denominazioni italiane.
Per l’edizione 2019 la prima Masterclass sarà dedicata alla Campania e sarà guidata da Stefania Annese, mentre la seconda Masterclass sarà dedicata ad Umbria e Toscana e sarà guidata da Lorenzo Ruggeri (info sulle Masterclass dedicate agli operatori: tel 329 9866587 – 392 0059528 – segreteria@miriadeweb.it). Infine alle ore 18.00 Masterclass aperta al pubblico su “I Premi speciali della guida Vini d’Italia 2020” guidata da Stefania Annese e Lorenzo Ruggeri. Alle ore 18 gli operatori avranno accesso esclusivo ai banchi d’assaggio delle aziende partecipanti che, a seguire, apriranno al pubblico.
L’evento sarà arricchito da uno speciale percorso food che vedrà protagoniste alcune delle migliori realtà dell’agroalimentare campano selezionate da Gambero Rosso. Il percorso organizzato da Città del Gusto Napoli è stato ideato dallo Chef Giovanni Pastore, già Chef di Città del Gusto Napoli, attualmente impegnato in esperienze internazionali alle Maldive e a Zanzibar, insieme agli allievi della Gambero Rosso Academy Napoli. Gli ospiti troveranno varie espressioni della cucina di Pastore, che si fonda su di una ricerca attentissima delle materie prime, insieme ai prodotti da forno d’eccellenza dei Fratelli Malafronte (3 Pani per la guida “Pane & Panetterie d’Italia” di Gambero Rosso), del casertano Forno Aspromonte (2 Pani per la Guida “Pane & Panetterie d’Italia” di Gambero Rosso) e di “Oltre ogni territorio” con i suoi taralli pugliesi. In abbinamento i prodotti caseari dell’azienda agricola irpina Carmasciando e di Alimentale, tutelati e garantiti dal Bollino Vero Filiera Sostenibile per le produzioni che difendono la biodiversità, l’ambiente, la sostenibilità e il lavoro delle aziende locali, ai banchi d’assaggio gestiti dai Maestri Assaggiatori ONAF.
A seguire, i Fratelli Malafronte proporranno al pubblico i loro panettoni natalizi di cui presenteranno l’intera collezione. Con loro il gelatiere Emilio Panzardi dell’omonima gelateria di Maratea, noto per le sue innovative ricette e per le produzioni di grande qualità (realizzate con numerosi presidi Slow Food), e Poppella con un esclusivo percorso di golosità. Leggi Qui e Qui altre informazioni sul programma completo.
Per informazioni e prenotazioni:
Tel. 338.1691727 – 333.4538337 – 351.1131700
oppure eventi.na@cittadelgusto.it
comunicazione.na@cittadelgusto.it.
Info per la stampa:
Miriade & Partners¤
Tel. 329.9606793 – 392.0059528
ufficiostampa@miriadeweb.it
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3 ottobre 2019

Possiamo dirci doppiamente felici per il TREBICCHIERI® che la Guida ai vini d’Italia del Gambero Rosso ha voluto assegnare al vino di Raffaele Moccia¤, anzitutto perché premia ancora quest’anno un vino dei Campi Flegrei, tra l’altro prodotto da una delle aziende che più apprezziamo e sosteniamo sin dai suoi primi passi, ma anche perchè potremmo avanzare l’idea che in qualche maniera l’avevamo preannuciato solo poche settimane fa, proprio Qui su queste pagine, tracciando di questo duemiladiciotto un vero e proprio elogio dell’imperfezione perché molto lo avevamo apprezzato.
Riportiamo più o meno letteralmente: ”in questo base duemiladiciotto di Agnanum non sfuggono infatti alcuni tratti distintivi tipici dei vini di Raffaele, il colore paglierino sempre un po’ più carico del solito, il naso ampio e ricco di maturità espressiva, di frutto e di sensazioni empireumatiche, vieppiù quel sapore deciso, anche impreciso, che rimanda però immediatamente al suo territorio più che al manuale del piccolo enologo”.
Non c’è che dire, se non ché, per dirla rifacendosi alle parole di Rita Levi Montalcini, né il grado di conoscenza tecnica né la capacità di eseguire e portare a termine con precisione chirurgica il compito intrapreso sono i soli fattori essenziali per la buona riuscita e la piena soddisfazione personale. Insomma, ancora complimenti a Raffaele e Viva i Campi Flegrei!
Leggi anche L’uva e il vino di Raffaele Moccia Qui.
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10 ottobre 2018

E’ una splendida notizia quella che giunge agli appassionati tutti! La prestigiosa Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso¤ ha assegnato allo splendido bianco di Cantine Astroni¤ il TreBicchieri® 2019.
Un grande traguardo per Gerardo Vernazzaro¤, amico di tante bevute e spesso ospite su queste pagine con i suoi brillantissimi post, ancor più un premio di enorme valore per tutta la famiglia Varchetta e per il territorio flegreo che ancora una volta vedono premiato il grande lavoro di rilancio in atto che non smette, con piccoli ma significativi passi, di stupire e conquistare consensi. Bene, bravi e avanti con forza!
Leggi anche Le Strade del Vino dei Campi Flegrei¤
Leggi anche Chiacchiere Distintive, Gerardo Vernazzaro¤
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Tag:Campi Flegrei Falanghina, cantine astroni, gambero rosso, TREBICCHIERI®, Vigna Astroni, vini d'italia 2019
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25 settembre 2016
Con il termine “garage wine”, “vin de garage”, si identificano generalmente micro produzioni. Sono bottiglie prodotte in un numero talmente esiguo che ci starebbero, per l’appunto, in un garage. Talvolta sono vini cult, per questo introvabili e prodotti perlopiù solo nelle migliori annate.

Gli echi del movimento “garagiste” negli ultimi dieci anni si sono di molto ridimensionati eppure Raffaele Moccia lo potremmo tranquillamente continuare a ben definire tale, cioè uno che fa “vin de garage”, vini prodotti in quantità tiratissime perciò considerati rari e preziosi.
Certo non oggetto di culto – o almeno non ancora – se non per l’impagabile contributo al valore del bere bene. Scoprire dove nasce il suo vino, con quanta enorme fatica coltiva la sua terra, gestisce il vigneto, vinifica e segue con cura maniacale ogni singolo gesto è pura emozione.
Eppure non ci sta a passare per idolo, un feticcio da sbandierare – immagine iconica tanto cara a certi soloni -, Raffaele è uomo di campagna, ha scarpe grosse e pensiero fino, sa cosa vuole la sua terra: buon lavoratore, buon seme, buon tempo, poco si preoccupa di altro. Un sentimento se vogliamo semplice ma capace di farci ritornare tutti con i piedi ben piantati per terra regalandoci tra mille difficoltà vini di grande autenticità.

Non che un premio lo faccia trasalire quindi, men che meno montare la testa, tutt’altro. Agnanum ne vanta già tantissimi di riconoscimenti, pur tuttavia il TreBicchieri® appena ricevuto per il suo Pèr ‘e Palummo 2015 è un premio molto importante per lui e per tutto il territorio flegreo, per la prima volta premiato con il massimo riconoscimento da una delle più importanti Guide ai Vini d’Italia per il suo vitigno più rappresentativo. In precedenza era successo solo ai Di Meo di La Sibilla¤ ma con il loro Cruna DeLago¤ Falanghina.

Altro gran capolavoro tirato fuori nel 2015 è il Vigna del Pino, il cru di Falanghina prodotto in appena mille bottiglie, senza tema di smentita il miglior bianco mai prodotto da queste parti negli ultimi anni. Non è semplicemente buono a bersi, in perfetta armonia ed equilibrio nonostante la giovane sfrontatezza, è didattico e rappresentativo, celebrazione di un varietale presente in molti territori in Campania e al sud che qui nei Campi Flegrei, in certi scorci metropolitani, tende ad acquisire complessità, ampiezza e profondità impressionanti e senza sovrastrutture talvolta dettate più dal manico che dallo spessore dell’annata. E’ un vino di 12 gradi e mezzo ricco di frutto, freschezza, abbondanza di sensazioni.

Il vino si sa è un progetto di lunga proiezione, non a caso Raffaele ha da poco ripreso alcuni terrazzamenti lungo tutto il costone che cinge l’Oasi del Parco degli Astroni di proprietà di alcuni parenti strappandoli così all’abbandono. Qui, dove tra un paio d’anni si riprenderà a raccogliere Piedirosso e Falanghina, sono stati rinvenuti, tra gli altri, alcuni ceppi centenari di diverse varietà misconosciute su cui presto partiranno progetti di ricerca e micro vinificazioni adhoc per trarne insegnamenti e prospettive. Tanto vale l’uomo, tanto vale la sua terra. Aspettiamoci quindi grandi cose, magari qualche buona bottiglia in più.
Campi Flegrei Per ‘e palummo Agnanum 2014¤.
L’uva e il vino di Raffaele Moccia¤.
Falanghina Vigna del Pino 2006 Raffaele Moccia¤.
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28 novembre 2014

Punteggio: 87 – due forchette
Cucina: 52
Cantina: 16
Servizio: 18
Bonus: 1
Bisogna un po’ conquistarselo, ma vale la pena. L’ambiente non ha eguali, interamente sul bianco, con arredi e mis en place raffinatissime, sedute ultra comode, splendide opere d’arte contemporanea, illuminazioni studiate, lume di candela e un mega plasma che trasmette rilassanti immagini del mare. Quando il clima lo consente si sta sulla fantastica terrazza panoramica (bonus). Il servizio – professionale e di classe – gira come un orologio, la lista dei vini – grazie al valente e appassionato Angelo Di Costanzo – elenca varie centinaia di referenze non banali e di valore, sia italiane che estere, ma anche se decidete di optare ‘semplicemente’ per aziende regionali resterete stupiti. La cucina, da diversi anni regno di Andrea Migliaccio, continua a regalare suggestioni mediterranee emozionanti in piatti di tecnica sicura e grandi materie prime: uovo cotto a bassa temperatura con pomodori canditi ricolma e spuma di Provolone del Monaco, fusilli al ferretto con genovese di coniglio carciofi e pecorino, tagliolini al limone con burrata asparagi di mare foglia di ostriche e gamberi crudi con foie gras mela verde e gin, pancia di maiale croccante con vellutata di cicerchie e involtino di scarola. Doveroso un assaggio di formaggi dal ricco carrello, prima di passare agli squisiti dessert: cheesecake all’amarena Nutella e sorbetto alla menta, e crema di nocciola affogata al caffè con salsa mou e gelato al cioccolato affumicato. Pani e piccola pasticceria super. (da I Ristoranti d’Italia 2015 del Gambero Rosso)
L’Arcante – riproduzione riservata
© da ristoranti d’Italia 2015 del Gambero Rosso Editore
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15 ottobre 2013

Punteggio: 88 – due forchette
Cucina: 52
Cantina: 16
Servizio: 18
Bonus: 2
Una cornice di fascino, dove si respira un’atmosfera di lusso discreto, classe, signorilità (bonus). L’ambiente, curato in ogni minimo dettaglio così come da volere del proprietario Tonino Cacace, trasuda raffinatezza e buon gusto, e trascorrere una pausa qui fa sentire indubbiamente privilegiati. Quando il clima lo consente, poi, mangiare all’aperto e’ un’esperienza bellissima (bonus). Il personale di sala e’ quanto di meglio ci si potrebbe augurare: professionalità, savoir faire, presenza impalpabile ma concreta al tempo stesso. La carta dei vini, seguita da Angelo Di Costanzo, uno dei migliori sommelier in circolazione in Italia, e’ una vera gioia da sfogliare e un’inesauribile miniera a cui attingere, ma se siete indecisi fidatevi di Angelo e non vi pentirete. Quanto alla cucina, Andrea Migliaccio sembra aver raggiunto una maturità stilistica sorprendente, con una padronanza di tecniche e una capacita’ di assemblare ingredienti e gestire i contrasti di sapori davvero stupefacente. Ne sono un esempio i nostri ultimi assaggi, in particolare il risotto ai ricci con colatura di alici acqua di pomodoro e friselle al finocchietto, il cotto e crudo di verdure con salsa allo yogurt di bufala, lo straordinario scampo marinato con timo al limone lingua di vitello salsa all’arancia e ravanelli, la guancia di vitello speziata con pappa di pomodoro e testina allo zenzero con crema di patate. Il tutto accompagnato da un’ottima e variegata scelta di pani. Per chiudere, semifreddo al limoncello con crumble Sacher bianca e sorbetto al basilico, squisita piccola pasticceria e un eccellente caffè. (da I Ristoranti d’Italia 2014 del Gambero Rosso)
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11 luglio 2013
Fine anni ’90, primi del 2000, anni di gran fermento. Qualcosa nel mio lavoro stava cambiando repentinamente. Poco più che ventenne avevo tra le mani una delle cantine¤ più fornite allora in circolazione dalle mie parti. E la fortuna di vederla girare a mille.
Con Michele e Nicola de La Fattoria del Campiglione¤ a Pozzuoli l’abbiamo scavata con le mani nude quella cantina; stagioni incredibili, dure, di gran sacrificio eppure indimenticabili e di grandi soddisfazioni. Qualcosa stava cambiando nel mio modo di vedere la sala e la gestione della cantina. Uscivano belle bottiglie, ‘importanti’ si dice, che meritavano maggiore attenzione e conoscenza. Era urgente, se non indispensabile, affiancare alle letture e alle bevute propedeutiche una formazione solida e prospettica. Visitare cantine, frequentare altre realtà, tavole da prendere ad esempio sembrava non bastare più. Volevo fare il sommelier.
Veniva Ferragosto, le ferie sino a settembre. L’aspettavano tutti per andarsene in Sardegna o in Spagna – ad Ibiza per dirne una -; io e Lilly partivamo per Guardiagrele per andare a mangiare ‘Pallotte case e ove’ da Peppino Tinari a Villa Maiella e fare una capatina alla scoperta di una nuova cantina, ci dicevano di un certo Gianni Masciarelli. Poi magari più su a conoscere l’estro di Moreno Cedroni a Senigallia. Da lì da Umani Ronchi, poi Lungarotti, Ercole Velenosi, ma anche Tenuta di Nozzole, Castello di Verrazzano, Ruffino, Badia a Passignano, Castello della Sala e bla bla bla… con gli occhi spalancati sempre grandi così!
Ci siamo andati pure noi in Sardegna, mica eravamo così scemi, ma una capatina da Sella&Mosca piuttosto che a bere torbato alla Cantina Cooperativa di Santa Maria La Palma o un Nepente ad Oliena era d’obbligo. Insomma: niente vacanze senza vino e cibo, senza appunti di viaggio. Così siamo ‘cresciuti’.
Poi c’era il Gambero Rosso¤. Quel Gambero Rosso. Era un riferimento assoluto. Sembra un’eternità tanto è cambiata l’epoca così repentinamente. Leggevo Cernilli¤, Sabellico, le scorribande catalane di Bolasco, le ‘sue’ birre, poi il Bastian Contrario Luciano Di Lello. Puntuale, ogni mese, ero lì in edicola. Non me ne perdevo una di uscita. E buttavo giù i miei appunti, le mie prime sensazioni delle cose che bevevo, di certe etichette, scoprendo termini e intuizioni a me nuovi, cercandone di capire il senso in quei bicchieri.
Così, la sera, delle decine di bottiglie ‘buone’ conservavo quelle due dita da assaggiarmi con calma a fine servizio. Mi prendevano per matto: a fine serata invece di andarmene a casa me ne stavo lì, nell’office, a farmi le ‘pippe mentali’. Taurasi ‘88 Mastroberardino la prima volta che provai un sussulto. Montevetrano ’97 il primo grande rosso capace a convincermi che sì, si poteva fare.
Provai a mandare qualche mia recensione alla rubrica ‘Scelti da Voi’: Spett.le Gambero Rosso – via A. Bargoni 8, 00153 Roma. E chi se lo scorda! Cernilli introduceva le recensioni sempre con un suo breve ‘cappello’, a Rosanna Ferraro toccava metterne qualcuna in fila per la pubblicazione. Un mese, poi due, quasi volevo rinunciare. Poi uscì la prima, la seconda, ricordo che una volta (o due mi pare) me ne pubblicarono addirittura più d’una: immaginatevi me, dieci, dodici anni fa, che buttavo giù quattro righe poi pubblicate sul Gambero Rosso…
Ecco, l’altro giorno giocando agli esploratori con Letizia, tra le vecchie cartine geografiche che usavamo per andarcene in giro ho ritrovato alcune vecchie recensioni che non ho mai spedito; credo perché preso ormai da altro, soprattutto dal lavoro una volta aperta l’enoteca, siamo nel 2002, che per almeno 5/6 anni non mi ha fatto più pensare ad altro che portare avanti la baracca.
Poco dopo, nel 2006, l’avvento del web, Luciano Pignataro ed il suo Wineblog¤. Altro tempo, altra esperienza, altra crescita. E non si finisce mai di imparare.
P.S.: scrive Rosanna Ferraro: ‘Quante ne ho lette di tue lettere! Eri diventato un “amico” anche se sconosciuto in un’epoca e con modi di comunicare che adesso sembrano jurassici. All’inizio ti credevo un po’ fuori di testa e pensavo che ti saresti stufato presto e invece… puntuali come cambiali ne arrivavano sempre. Sei stato fedele e costante oltre ogni immaginazione. E ogni volta ti miglioravi. Parola. Non so più quante tue recensioni ho pubblicato, ma tante. Una sorta di precursore degli attuali blogger, quando di “serial writer” (in positivo, ovviamente) ce n’erano pochi e niente!’
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10 gennaio 2013
Su Intravino, sopraggiunta la noia nel seguire il casino in cui è sfociata l’intelligente e puntuale riflessione lanciata invece da Jacopo Cossater¤ sull’editoriale di Eleonora Guerini apparso sullo scorso numero del Gambero Rosso, ho buttato un occhio al post di Ale¤ sullo scritto di Michel Bettane¤, anche questo pubblicato sul Gambero, sempre a riguardo dei vini cosiddetti “naturali”; una disamina, una riflessione, un allarme, un invito quelli di Bettane che invero non ho mai smesso di argomentare, sottolineare e riproporre sin da quando faccio il mio mestiere e, guarda un po’, senza necessariamente alzare barricate.

Auguriamo sinceramente agli appassionati di vino italiano di non dover subire in futuro ciò che sta accadendo in Francia: un’invasione di cattivi vini detti “naturali”, cioè i cosiddetti “senza zolfo”, con la complicità di numerosi sommelier, enotecari e giornalisti irresponsabili. Esiste certamente una viticoltura biologica e ne siamo contenti. Il successo di questa viticoltura viene dall’osservazione e dal rispetto degli equilibri naturali della vigna e soprattutto dal ritorno alla vita biologica dei suoli, che qualsiasi agronomo serio sa essere alla base di ogni viticoltura nelle nostre denominazioni di origine. Ma non possiamo avallare i danni provocati all’immaginario degli appassionati dai cattivi vinificatori, che pretendono di fare del vino naturale senza zolfo, e che vogliono spacciare la loro “bibita” per la verità del terroir!
I loro prodotti si riconoscono facilmente: i vini rossi puzzano, e tutti i vitigni e i territori finiscono per somigliarsi perché i cattivi lieviti indigeni con i quali sono realizzati, così avidi di cannibalizzare quelli buoni se il vinificatore li lascia fare, sono gli stessi in tutto il pianeta, i loro colori sono torbidi e instabili e mostrano una presenza eccessiva di gas carbonico che dà l’impressione di vino incompiuto. I vini bianchi sono – se possibile – ancora più cattivi: più o meno ossidati fin dalla nascita, e dunque nati morti, ne viene “gestita” a posteriori la decomposizione! Restiamo a bocca aperta davanti all’ingenuità di tanti ottimi chef che ormai non propongono nient’altro nelle loro carte dei vini, quando sono così attenti ai loro piatti e sarebbero i primi a essere desolati di proporci dei prodotti avariati! Che sia chiaro, alcuni dei più grandi vini del pianeta provengono da una produzione d’ispirazione biologica, ma chi li produce, cosciente delle loro responsabilità, perfeziona continuamente le loro vinificazioni con strumenti moderni e puliti, dalle presse ai serbatoi. Nelle denominazioni meno prestigiose poi ci sono decine di vignaioli rispettosi del suolo, della vigna, dell’uva e del vino, ma curiosamente si vedono in giro solo i produttori “spacconi”, che parlano meglio di quanto agiscano e i furbi, eccellenti manipolatori d’opinione, spesso amici degli enotecari e dei distributori. Sono molti allora i giovani ristoratori che diventano delle facili prede!
Tocca quindi ai clienti di fargli notare che quello che credono essere un vino più vicino alla “natura” non è altro che un vinaccio senza interesse se non quello di non far venire il mal di testa. Con la fortuna e della perseveranza è possibile produrre senza aggiunta di zolfo dei vini da bere giovani e sul luogo di produzione, dei vini semplici e fruttati molto piacevoli, ma allora si devono conservare in una cantina fresca e soprattutto non farli viaggiare! E per ogni cuvée riuscita, il vignaiolo si ritroverà con due o tre completamente sbagliate. Ma chi può permettersi di non venderle e assumersi la responsabilità dei propri errori?
Ora mi chiedo, dato per acclarato che niente e nessuno ci salverà mai da cattive bevute, e che questo non ce l’abbiano mai garantito nemmeno i cosiddetti vini convenzionali, ma è davvero così complicato che i vini naturali, oltre ad essere tutte quelle belle cose che raccontano di voler essere, siano anche semplicemente puliti e buoni da bere per tutti?
credits: Intravino¤, Gambero Rosso¤, Michel Bettane¤.
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13 ottobre 2012

Punteggio: 88 – due forchette
Cucina: 52
Cantina: 16
Servizio: 18
Bonus: 2
Locale d’eccezione all’interno di un albergo eccezionale. L’Olivo è senza dubbio un posto di lusso, frequentato da una clientela per gran parte internazionale e cosmopolita che ha disponibilità economiche non comuni e aspettative non comuni. Tuttavia la cifra stilistica di questa splendida struttura, e in fondo la ragione per la sua straordinaria fortuna, è sempre stata la solidità, la concretezza. Andrea Migliaccio interpreta con istintiva facilità questa filosofia: la sua è una cucina che trasforma ingredienti di assoluta qualità e li presenta in tavola con un’attenzione estetica inevitabile in un contesto come quello di un hotel in cui gli ospiti e opere d’arte abitano in egual modo gli spazi (bonus), ma ciascun piatto è, per l’appunto, solido e concreto. Di terra o di mare, le proposte dello chef sono tutte costruite a partire dalla centralità del gusto della materia prima e strutturate perché questo gusto giunga intenso alle papille. Uovo con mousse di provolone del Monaco puntarelle e pomodori canditi, risotto al basilico con seppie pomodori brasati e bottarga, merluzzo nero con spinaci pomodori secchi e spuma di whisky, solo per dare qualche indicazione dal menu. Servizio di altissima classe e professionalità, carta dei vini importante e ben costruita, “seguita” dall’ottimo sommelier Angelo Di Costanzo. Bonus per l’attenzione ai bambini, cui è dedicato un menu apposito. (da I Ristoranti d’Italia 2013 del Gambero Rosso)
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19 ottobre 2011

Punteggio: 87 – due forchette
Cucina: 52
Cantina: 16
Servizio: 18
Bonus: 1
Lo sapete, questo è uno degli alberghi più belli d’Italia. Il suo “Olivo” è di conseguenza un posto splendido (bonus), curato nei minimi dettagli, di grandissimo fascino e confortevole come pochi. Servizio attento, cortese e professionale, carta dei vini molto assortita e cantina da vedere. In cucina ora c’è Andrea Migliaccio, mano felice ed equilibrata, inventiva ben dosata e miscelata con la cucina regionale, per un risultato notevole nei piatti assaggiati. Trilogia di cotto e crudo di mare (gamberi, cappesante e palamita), carpaccio di cefalo e tartare di scampi con caviale e cuore di bue alla colatura, risotto al limone con gamberi rossi e bisque, spaghetti ai ricci, maialino croccante con scarola e zuppa forte, babà con zabaione, frutti di bosco e Ratafià. Tutti piatti esenti da critiche, che risultano soddisfacenti e meritevoli di una cena, come tutto il complesso che ritorna meritatamente nei punteggi alti dell nostra Guida. Sulla terrazza da quest’anno troverete il Bistrot Ragù, con vista magnifica sul mare, che offre la possibilità di fare una sosta più informale, sempre in questa incantevole, e impagabile cornice. (da I Ristoranti d’Italia 2012 del Gambero Rosso)
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27 settembre 2011
Sono anni che ci si scaglia contro le guide ai vini d’Italia per la loro immobile ripetizione, quel “copia e incolla” mai capace secondo molti di rappresentare chiaramente “i vini da non perdere” prodotti nelle vigne italiane. Eppure sembra che non si possa mai fare a meno di seguirle. Sembra.

Un elenco, in qualche caso infinito, che non sai mai se viene naturale dall’incredibile capacità di talune etichette di garantire tale costante qualità dal vederle sempre premiate anno dopo anno – anche in quelle annate cosiddette minori, addirittura in quelle secondo alcuni da bandire assolutamente dagli almanacchi, vedi il 2002 -, o più semplicemente una conveniente scelta editoriale per garantirsi quell’appeal imperdibile da parte del consumatore medio che ha bisogno fortemente del “solito nome” per comprare la tua guida piuttosto quella edita da altri.
Tant’è che produttori, cronisti, giornalisti (ivi compresi presunti tali), sommeliers, enotecari, bloggers eccetera non fanno altro in questi giorni che passarsi in rassegna le varie liste e spendere intere ore a scannarsi sul web; una faida senza peli sulla lingua tra commenti rancorosi e motivazioni delle più fantasiose “sul perché mai quel vino si e l’altro no”, o “è sempre lo stesso papocchio, ma daiii!”. Tutti, ma proprio tutti sentiamo quell’indomabile richiamo che ci spinge ad esserci, di dire pure magari “io quella guida non la comprerò mai e… bla bla bla” e, cosa assai comune, nemmeno rendersi conto di affermare talvolta tutto e il contrario di tutto pur di sputare sentenze.
Un dato cuorioso invece è che tutto ciò accade talvolta anche per vini che in alcuni casi non è nemmeno (più) possibile bere, a meno di imbattersi in qualche enotecaro o ristoratore sfigato; si perché vedete, parecchi di questi Trebicchieri, Supertrestelle, Eccellenze, 5Grappoli e – aspetto di essere smentito – Chiocciole che si voglia, sono già da tempo esauriti persino nelle stesse cantine che li producono. Mentre molti altri bisognerà addirittura aspettarli ancora a lungo prima di poterli trovare sugli scaffali o nelle carte dei ristoranti, in alcuni casi tanto di quel tempo da non ricordarsi nemmeno più che cavolo di premio abbiano ottenuto per costare così tanto! Qualcosa evidentemente non funziona…
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28 luglio 2011
Dall’Irpinia (!) una fresca ricetta estiva di mare (!!) di Francesco Spagnuolo, executive chef del Ristorante Morabianca del Radici Resort di Mirabella Eclano della famiglia Mastroberardino; un piatto di facile esecuzione, a cui guardare con grande attenzione nella scelta degli ingredienti e con decisa soddisfazione nel sottoporlo al giudizio degli amici.

Ingredienti per 4 persone:
Pulite e lavate i frutti di mare e lasciateli in acqua pulita per circa mezz’ora con un po’ di sale da cucina fino, così da spurgarli da sabbia o altre impurità; fate quindi indorare in una padella ampia uno spicchio d’aglio (che andrà poi tirato via) ed unitevi le cozze e le vongole; coprite la padella tenendola su fuoco vivo sino a che tutti i bivalvi non risultino ben aperti. A parte, frattanto, sbollentate i gamberi rossi e lavate e tagliate i fiori di zucca a julienne. Uno o due serviranno per decorare la i piatti.
Nota bene: i frutti di mare, così come i gamberi rossi, vanno sgusciati; volendo, conservatene integri magari solo una manciata di bivalvi, da usare come decorazione.
A questo punto passiamo al passaggio finale per definire la zuppa: versate in una padella alta dell’olio extravergine d’oliva, lasciatevi soffriggere l’altro spicchio d’aglio (che come prima andrà poi tirato via una volta insaporito l’olio) ed unitevi i frutti di mare e i gamberi rossi, sfumandoli con un po’ di vino bianco poco aromatico; infine i fiori di zucca. Quindi aggiungiamo un po’ di acqua madre di cottura dei frutti di mare, possibilmente passata al setaccio, che avremo in precedenza messo da parte; fate cuocere per circa 4-5 minuti, non di più. Una volta spenti i fuochi, lasciate intiepidire la zuppa e portatela in tavola già porzionata, in un piatto fondo, con le fettine di pane croccanti e, immancabile, un filo abbondante ancora di olio extravergine d’oliva.
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1 gennaio 2011
Rieccoci! Si riparte alla grande in questo 2011 con subito tanti appuntamenti a cui dedicare particolare attenzione, ma prima di tutto, senza voler essere troppo pallosi, eccovi un piccolo classico con il quale desideriamo sottolineare alcuni riferimenti che ci fanno pensare in positivo per quest’anno appena arrivato. Non è una classifica, solo il piacere – sincero – di ringraziare alcune persone per quello che fanno e sono capaci di trasmettere e dunque una sottolineatura a persone, cose, eventi, fatti che non ci sono risultati indifferenti. Così è se vi pare. Buon anno a tutti!

Rosanna Petrozziello. Moglie, mamma, sommelier, vignaiola di finissime intuizioni sotto l’egida di suo marito Piersabino Favati nonchè – da qualche tempo sempre più ferrata – abile tecnico di cantina grazie agli insegnamenti del suo consulente Vincenzo Mercurio. Potrei anche fermarmi qui, perchè di certe persone basta dire anche meno, per lasciarne carpire il valore umano e morale, ed il suo brillante futuro in questo più o meno meraviglioso mondo del vino. Ci tengo però ad aggiungere solo un ulteriore considerazione, rifacendomi ad una delle più leggere ma al tempo stesso efficaci battute di Totò: in un mondo costellato di mille e più primedonne “tutte pittate*” che sgomitano per ottenere un primo piano, ebbene, come chiosava il più nobile dei comici napoletani ne Il Turco Napoletano, “in questo negozio, fra tanti fichi secchi, un po di poesia non guasta mai”, e Rosanna, con il suo solare splendore, forgiato da sani e saldi principi di un tempo che fu, non guasta davvero no, e guai a chi se ne dimentica! (*) pittate, truccate
Gerardo Vernazzaro, mai senza Emanuela Russo però. E sì, perchè Gerardo è un tipo giusto, che sa il fatto suo, cresciuto come me nella cruda periferia napoletana ma che ha saputo leggere e vivere il presente senza mai rinunciare al suo futuro, ai suoi sogni, pur nella loro reale dimensione, senza cioè voli pindarici. Gerardo fa vino, e seguirlo nel suo lavoro, correre cioè tra le vigne, camminare con lui tra le vasche e rincorrere i suoi ideali nelle bottiglie è, credetemi, uno spasso; Perchè più del valore della fatica, del sacrificio della costruzione, condividere una bevuta con lui significa riuscire a cogliere di un vino”l’essenza” che vuole manifestare, più del territorio che si arroga la presunzione di rappresentare, il suo ideale. E mai compagno di bevute mi fu più gradito!
Teletubbies, sono off topic, lo so, ma aspetto da sei mesi di inserirli in qualche modo in un mio post; Senza di loro non so proprio come farei. Dei quattro, chi mi fa scompisciare è Dipsy, con il suo cappello sempre alla moda ed i suoi balli originalissimi, anche se, per amor del vero, sono quasi costretto a tifare sempre per Po e Laa-Laa, Letizia poi di quest’ultima è follemente invaghita. E che dire poi di Tinky Winky, il più grande (e grosso) della ciurma che se ne va in giro sempre con una borsa rossa (della serie ci fa o ci è?). Tutti protagonisti di storie incredibili alla luce di un sempre splendente Sole-bambina, un po come le mie giornate da quando sono diventato padre, altro che sommelier…
Carmine Mazza. In un tempo in cui Napoli e la sua provincia esprime tutto quello di cui mai ci si potrebbe innamorare ogni tanto salta fuori qualcosa di buono. Il Poeta Vesuviano non è solo un ristorante, prendiamolo come un avamposto di modernariato culinario nella popolosa e popolata provincia napoletana. Torre del Greco non è poi così lontana e andare da Carmine, nella foto con la deliziosa compagna Amalia, val bene il viaggio; Perchè Carmine ha voglia di fare e lo si vede in ognuno dei suoi piatti, ha talento da coltivare e motivazioni da preservare, insomma, il poeta va ascoltato!
La Francia. Credo di aver letto tutto il possibile sulla vitienologia francese e di non essermi mai fatto mancare il tempo per approfondire e cercare di capire: un mondo infinito, altro che bordò e burgogn! La cosa più curiosa è che più ci entri nei dettagli del vigneto Francia e più ne ami, ti appassionano, le mille sfumature più che le poche, solide architetture di un paese del vino straordinariamente ricco di cultura enoica. Così l’approccio dello scorso giugno al sogno borgognone diviene solo l’appetizer di una sì forte motivazione di cominciare quel viaggio fantastico che non si pone mete bensì obiettivi: vivere le terre di Francia.
Pasquale Torrente. Mi dicono che una volta capitato a Cetara si rischia di rimanerci secco, di cetarite o giù di lì. Aggiungono però che trattasi di un male buono, che si insinua dapprima nella mente ma che non perde tempo di rapirti l’anima. Cetara è un borgo marinaro tra i più suggestivi della costiera, vissuto da gente che praticamente si conosce tutta, tra questi c’è Pasquale. Di lui ho incontrato prima la sua fama, di persona per bene appassionata del buono e lento della vita nonchè gran cultore di amicizia. Poi il suo lavoro, di chef e patron dello storico ristorante “Al Convento” e quindi la sua persona: schietta, sincera, onesta, disponibile, trasparente. Un signore, si direbbe. Quanti come lui? Ne conosco solo alcuni altri, e comunque meno bravi con la sciabola!
Angelo Gaja gira che ti rigira te lo trovi sempre davanti, ma anche no. E’ indubbio che sia un personaggio tra i più ambìti della nomenclatura enologica italiana, tra i pochi, pochissimi a cui va indiscutibilmente concesso il merito di aver creato un aspettativa sempre crescente sui suoi vini. Vuoi per passione, vuoi per critica, i vini di messer Barbaresco – checchè se ne dica – sono sempre un riferimento certo della vitienologia italiana, un caposaldo che sai di avere e di potertelo giocare – con tutti – a tuo piacimento. A lui, come forse a nessun altro, è concesso di apparire e sparire dalla scena a suo piacimento, lui come nessun altro ha maturato, soprattutto negli ultimi anni, quella sottile capacità di essere massmediologo senza esserlo, a volte senza nemmeno proferire parola, lasciando semplicemente parlare i fatti. Altre volte, quando proprio gli girano, ci ha abituato invece a sonore prese di posizioni, più o meno condivisibili, proprio come i suoi vini. Un riferimento Angelo Gaja, meno male che c’è!
Annalisa Barbagli. Il suo vecchio profilo sul sito del Gambero Rosso, per il quale ha collaborato sino a poco meno di un paio d’anni fa, la descriveva come “una persona pratica che vive l’impegno della casa (la spesa, il bucato, le pulizie, il cucinare ecc.) come un tutt’uno da fare all’insegna della massima professionalità”. Ed in verità dalle sue pubblicazioni si è sempre respirato quel non so che di vero che molti tentano – invano – di replicare costantemente nelle ultime uscite culinarie. Negli ultimi tempi non si riesce nemmeno più a contarli i vani tentativi di imitazione, ma chi come noi è cresciuto con La cucina di casa e si è ritrovato in quelle mille e più ricette che ha quasi tutte “vissute”, non v’è tubo catodico che tenga: che se le cuociano e mangino pure tra loro, il mio manuale di cucina è differente!
In ultimo, i miei primi dieci anni di Ais. E sì, son passati dieci anni; Era il 2001 quando mi sono avvicinato all’associazione italiana sommelier, per vocazione e non ripiego; Per molti dei miei amici/colleghi del tempo, quella rimane una “classe di ferro”, per altri addirittura mai più ripetuta. A me basta pensare di aver percorso, anche con alcuni di questi, un bel pezzo di strada professionale, appassionati e mai piegati all’arroganza di chi, nel tempo, ha preferito mettere avanti la scadenza mensile della sua prossima rata del mutuo alle ragioni, umane e morali, di un associazione che fortunatamente rimane un riferimento assoluto per la qualificazione e l’affermazione professionale dei comunicatori del vino, in Italia come nel resto del mondo. L’anno appena messo alle spalle ci ha consegnato una bella ventata di rinnovamento e tanti, tantissimi buoni propositi, a livello nazionale ma anche regionale qui in Campania: staremo a vedere cosa succederà, anche perchè, di cose da cambiare pare che ce ne fossero, chi vivrà vedrà!
Così la mia Arca l’anno scorso. (A. D.)
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1 novembre 2010
“Non è una fortuna da poco quella di potersi occupare professionalmente (o almeno provarci) della propria principale passione. Nel mio caso è un vero e proprio privilegio al quadrato, perchè mi viene data la possibilità di raccontare storie e bottiglie che nascono nella mia regione, quella Campania che vive nel presente un’avventura elettrizzante almeno quanto affascinanti sono le sue radici millenarie. Perchè al netto di ogni retorica e nella maniera più asciutta possibile, non c’è dubbio che la Terra Felix celebrata da Plinio e Tito Livio sia oggi uno dei laboratori a più alto indice di dinamismo e gradimento nel panorama vitienologico italiano”.

Così Paolo De Cristofaro, responsabile Campania del Gambero Rosso, ci ha presentato il Galà del vino campano andato in scena alla Città del Gusto di Napoli. Così ha introdotto la conferenza stampa, devo dire una delle poche alle quali abbia partecipato con grande piacere e con aspettative puntualmente tutte rispettate, davvero interessante e con spunti di confronto e riflessione da non perdere di vista. Tra i relatori, oltre a Luigi Salerno, direttore generale di GRH intervenuto per un saluto formale, non ha fatto mancare il suo apporto Daniele Cernilli, da sempre deus ex machina di tutto l’ambaradàn Gambero. Con loro, in rappresentanza delle varie anime consortili della regione Nicola Venditti, Michele Farro, Salvatore (Tani) Avallone nonchè Carlo Flamini direttore del Corriere Vinicolo, intervenuto anche per nome e per conto del presidente dell’Unione Italiana Vini Lucio Mastroberardino. Assenti, come quasi sempre avviene in momenti di confronto intelligente e costruttivo, pur essendo state invitate per tempo, le istituzioni, impegnate come conviene far sapere in questi casi, in impegni inderogabili.
Cernilli ci ha tenuto a sottolineare come ancora una volta il lavoro della guida del Gambero sia da prendere in seria considerazione come uno strumento di profonda analisi, in questo caso riferito specificatamente alla Campania, dei cambiamenti e della evoluzione in corso nel mondo del vino. “Qualcuno ci ha tenuto a evidenziare, non poco, come alla base di una guida ai vini rispettabile, oltre alla valutazione dei campioni, sia imprenscindibile visitare le cantine, conoscere i luoghi, le persone: bene, noi del Gambero lo facciamo da ben 24 edizioni, altri hanno appena iniziato a farlo”. Capito l’antifona? Ci consegna poi alcuni dati significativi, come già anticipato da De Cristofaro, di una Campania in gran fermento: sono circa 210 le aziende che hanno partecipato alle selezioni per la guida 2011, di cui solo 102 vi hanno avuto accesso, ben 1019 i vini degustati con 53 entrati a pieno diritto nelle finali da cui sono stati estrapolati i 19 premiati con il prezioso “tre bicchieri“.
Molto interessante, seppur a tratti poco chiaro, l’intervento di Carlo Flamini. Piuttosto lucida mi è apparsa la disamina sulla situazione critica delle istituzioni regionali, che continuano a latitare da impegni assunti nonostante l’urgenza di un intervento riorganizzativo in materia vino ormai imprenscindibile. Bene anche lo sprone indirizzato sprattutto ai consorzi di migliorare e crescere in bene visto che in altre regioni, non certo più vocate della Campania, alcune buone cose sono venute proprio dal comparto consortile (vedi Alto Adige, ndr); Meno efficace invece, secondo mio modesto parere, l’intervento in merito al confronto Campania-Veneto quale viatico di riflessione sulla qualità del brand, dove l’utile punto di vista sulla migliore capacità di concretizzare le risorse e le opportunità offerte dal mercato, certamente a vantaggio dei padani, non trova riscontro sul fatto storico e numerico, visto che da un lato c’è una regione, la nostra, che pur con tutti i limiti ha teso fortemente a specializzarsi sui vitigni autoctoni invece che dare campo libero ai vitigni internazionali, cosa questa assai in voga per le terre a nord del Po, soprattutto in quelle aree a vocazione zero, e ciò è servito non poco, a rimanere in prima linea per esempio sul mercato del vino all’estero, dove i vini veneti occupano 1/3 dell’export italiano (!). Inoltre, la stessa, ha numeri da paura in fatto di produzione, che la pongono costantemente ai primi posti in Italia per volumi, e con, tra i tanti, un vino come “il prosecco” a far da traino praticamente a tutto il comparto enoico regionale.
Molto utili alla dissertazione degli argomenti gli interventi di alcuni produttori profondamente impegnati, ognuno nella propria realtà, nella salvaguardia del buon nome della viticoltura campana. Nicola Venditti per esempio, ci ha tenuto col fiato sospeso per tutto il suo intervento, loquace ma quanto mai efficace, soprattutto nel chiarire alcuni luoghi comuni che vogliono il Sannio-Beneventano un luogo dimenticato da Dio. Produttore di larghe vedute e finissime intuizioni, Nicola era però in rappresentanza del Consorzio di Tutela Samnium, laddove si sta lavorando alacremente per ottenere l’abrogazione di ben quattro denominazioni a favore dell’istituzione di un’unica doc “Sannio” ricadente su tutto il territorio così favorendo invece la nascita di due sole docg di riferimento per l’Aglianico del Taburno e la Falanghina del Sannio, per rendere più facile l’indentificazione territoriale da parte del consumatore e allo stesso tempo salvaguardare le peculiarità di questi due vitigni sì presenti in tutta la Campania ma qui nettamente distinguibili dalle altre espressioni regionali. La sferzata di Michele Farro, presidente del Consorzio di Tutela vini Campi Flegrei, ha in seno il sapore dolce di un’animo ancora in lotta e tutto l’amaro della constatazione, ben ha fatto a sottolinearlo, “che quando è indispensabile, come nel caso di una vetrina come questa messa a disposizione dal Gambero Rosso, che le istituzioni siano presenti per un confronto aperto e chiaro, si preferisce latitare, vanificando l’impegno di chi strenuamente cerca di trovare una via di uscita da una crisi senza fine”. A conferma che un territorio come quello flegreo, pur affermandosi sempre più da un punto di vista enologico per le grandi qualità dei suoi vini, soffre oltremodo di una insistente mancanza di istituzioni capaci di agire seriamente al fine di uno sviluppo integrato del settore agricolo in sintonia con un territorio dalle risorse archelogiche, turistiche, ambientali ineguagliabili eppure sistematicamente abbandonate a se stesse. Sulla stessa linea di principio si è mosso anche Tani Avallone, storico produttore di Falerno del Massico, che non lo manda certo a dire: “[…] e seppur in provincia di Caserta non esista crisi di mercato dell’uva, poichè chi produce è quasi sempre esso stesso vignaiolo, non ci si può esimere dal constatare l’assoluta inadeguatezza degli enti preposti, e dove esistano progetti, come l’istituo regionale della vite e del vino, tutto viene lasciato giacere in un desolante silenzio di intenti e di vedute!”
Ecco, mi piacerebbe che gli eventi legati al vino, di tanto in tanto, non sempre, riuscissero a mostrare del mondo del vino anche questo aspetto, di certo non secondario, in un ambiente troppo spesso raccontato e rappresentato come luogo ideale per lo struscio d’autore, la passerella edotta a cui tra l’altro molti non riescono proprio a negare la propria presenza. Bene, forse anche per questo mi è piaciuto – molto – incontrare in questa occasione tante persone non note, ma anche amici vecchi e nuovi che non vedevo, vista la mia poca frequentazione dei salotti, da molto, moltissimo tempo!
A Paolo De Cristofaro, e a tutta la sua ciurma, i miei più sentiti complimenti per un evento a dir poco centrato e non di meno, funzionale!
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19 ottobre 2010
Galà del vino campano
Seminari tematici sulle cinque province
Grande banco di assaggio con 43 etichette e 34 produttori campani
Domenica 31 ottobre alle ore 16 incontro-presentazione dell’evento, poi l’apertura del grande banco d’assaggio con 43 etichette in degustazione per 34 aziende. Dalle ore 18.30 ogni ora un salotto tecnico con brevi seminari tematici per fare il punto sulle cinque province campane.
Un filo rosso di qualità che ha pochi eguali in altre zone d’Italia, come sottolinea Eleonora Guerini, curatrice della Guida insieme a Marco Sabellico e a Gianni Fabrizio: Per quanto sia innegabile che in tutto il sud, da diversi anni, sia in atto nel mondo del vino una vera e propria rivoluzione culturale, e di conseguenza qualitativa, è da sottolineare come la Campania svetti per la capacità di raggiungere livelli di eccellenza assoluta. Questo credo dipenda fortemente dalla presenza di terroir di valore, che solo una mentalità legata alla quantità aveva tenuto sopiti. Ora, grazie anche a produttori seri, capaci e appassionati, le potenzialità iniziano a esprimersi compiutamente e danno voce a caratteri decisi e inimitabili, forti di vitigni, che da sempre albergano in regione, unici e di grande fascino. Il Fiano diventa sempre più appuntito, il Greco ha virilità più snella, gli Aglianico non guardano più all’eccesso come a un fine da perseguire. C’è ancora molta strada da fare ma le possibilità sono evidenti, come dimostrano alcuni fari enologici, esempi perfetti cui far riferimento.
Parallelamente al banco d’assaggio verrà predisposto un salotto tecnico che ospiterà ogni ora brevi seminari tematici, con il coinvolgimento dei produttori. Sono programmati quattro incontri, uno ogni ora dalle 18:30 alle 21:30, e in ciascun appuntamento i principali collaboratori di Gambero Rosso faranno il punto della situazione su quanto emerso, fra punti di forza e di debolezza, nelle cinque province campane. In ogni incontro, inoltre, saranno proposti in degustazione guidata tutti i due bicchieri colorati di Vini d’Italia 2011, raggruppati secondo i seguenti spunti:
Ore 18:30
- Il punto della situazione in provincia di Caserta
- In degustazione
- “Gli esordienti: le etichette per la prima volta in finale Gambero Rosso”
Ore 19:30
- Il punto della situazione in provincia di Napoli e Salerno
- In degustazione
- “Gli under 15: i due bicchieri colorati sotto i 15 euro in enoteca”
Ore 20:30
- Il punto della situazione in provincia di Benevento
- In degustazione
- “Peccati di gioventù: i finalisti con prospettive di felice evoluzione nel tempo”
Ore 21:30
- Il punto della situazione in provincia di Avellino
- In degustazione
- “I veterani, classici dell’eccellenza campana”
La partecipazione ai seminari tematici è libera e gratuita, previa prenotazione, fino ad esaurimento posti. Per le prenotazioni rivolgersi alla Segreteria Organizzativa di Miriade & Partners (Tel. 392/9866587 – email: info@galavinocampano.it)
Ecco i 43 vini in rappresentanza di 34 aziende in degustazione presso il grande banco d’assaggio aperto al pubblico di appassionati, giornalisti ed operatori, predisposto a partire dai vini valutati con due bicchieri colorati e Tre Bicchieri sulla guida Vini d’Italia 2011 di Gambero Rosso.
Amarano di Montemarano (Avellino) con il Taurasi Principe Lagonessa ’06, Boccella di Castelfranci (Avellino) con il Taurasi Sant’Eustachio ’06, Cantina dei Monaci di Santa Paolina (Avellino) con il Greco di Tufo ’09, Cantine dell’Angelo di Tufo (Avellino) con il Greco di Tufo ’09, Colli di Lapio di Lapio (Avellino) con il Fiano di Avellino ’09, Contrade di Taurasi di Taurasi (Avellino) con il Taurasi Riserva ’05, Di Prisco di Fontanarosa (Avellino) con il Greco di Tufo ’09 e il Taurasi ’06, Ferrara Benito di Tufo (Avellino) con il Greco di Tufo ’09 e il Greco di Tufo Vigna Cicogna ’09, Feudi di San Gregorio di Sorbo Serpico (Avellino) con il Fiano di Avellino Pietracalda ’09, il Greco di Tufo Cutizzi ’09 e l’Aglianico del Vulture ’07, Galardi di Sessa Aurunca (Caserta) con il Terra di Lavoro ’08, Grotta del Sole di Quarto (Napoli) con il Campi Flegrei Piedirosso Montegauro Riserva ’07, Guastaferro di Taurasi (Avellino) con il Taurasi Primum Riserva ’06, I Favati di Cesinali (Avellino) con il Greco di Tufo Terrantica Etichetta Bianca ’09, Il Cancelliere di Montemarano (Avellino) con il Taurasi Nero Né Riserva ’05, La Rivolta di Torrecuso (Benevento) con l’Aglianico del Taburno Terra di Rivolta Riserva ’07, Marisa Cuomo di Ravello (Salerno) con il Costa d’Amalfi Ravello Bianco ’09 e il Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva ’09, Masseria Felicia di Sessa Aurunca (Caserta) con il Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo ’07, Mastroberardino di Atripalda (Avellino) con il Taurasi Radici ’06 e il Taurasi Radici Riserva ’04, Molettieri Salvatore di Montemarano (Avellino) con il Taurasi Vigna Cinque Querce Riserva ’05, Montevetrano di San Cipriano Picentino (Salerno) con il Montevetrano ’08, Nanni Copè di Vitulazio (Caserta) con il Sabbie di Sopra il Bosco ’08, Perillo di Castelfranci (Avellino) con il Taurasi ’05, Picariello Ciro di Summonte (Avellino) con il Fiano di Avellino ’08, Pietracupa di Montefredane (Avellino) con il Fiano di Avellino ’09, il Greco di Tufo ’09 e il Cupo ’08, Rocca del Principe di Lapio (Avellino) con il Fiano di Avellino ’09, San Francesco di Tramonti (Salerno) con il Costa d’Amalfi Bianco Pereva ’09, Sanpaolo di Torrioni (Avellino) con il Fiano di Avellino Montefredane ’09, Terre del Principe di Castel Campagnano (Caserta) con il Casavecchia Centomoggia ’08, Urciuolo di Forino (Avellino) con il Taurasi ’06, Vadiaperti di Montefredane (Avellino) con il Fiano di Avellino Aipierti ’08 e il Greco di Tufo Tornante ’09, Villa Diamante di Montefredane (Avellino) con il Fiano di Avellino Vigna della Congregazione ’08, Villa Matilde di Cellole (Caserta) con il Falerno del Massico Bianco Caracci ’08, Villa Raiano di San Michele di Serino (Avellino) con il Fiano di Avellino Ventidue ’09 e Volpara di Sessa Aurunca (Caserta) con il Falerno del Massico Rosso Ri Sassi ’07.
Appuntamento quindi, a tutti gli amici del Diario Enogastronomico di un Sommelier, domenica 31 ottobre alla Città del gusto di Napoli, Via Coroglio 104/57. Noi ci saremo!
Maggiorni info
Ufficio Stampa: 320/4332561
stampa@galavinocampano.it
www.galavinocampano.it
Città del gusto Napoli
Via Coroglio 104/57 – Napoli (Zona Bagnoli)
Telefono: 081/198 08 900-902
Fax 081/ 198 08 911
Sito Internet: www.cittadelgusto.it
Email: napoli@cittadelgusto.it
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15 ottobre 2010
Ricordo come fosse ieri ognuno dei suoi “superpanini” firmati Gambero Rosso Channel, dell’omonimo editore, il racconto appassionato di tante birre, artigianali o meno, da ogni dove, sulla rivista più trendy degli anni novanta; Indimenticabili poi i suoi reportage delle passeggiate per i vicoli e le piazze d’Italia alla riscoperta della cucina di strada prima, del miglior caffè poi. Marco Bolasco ha saputo come pochi guadagnarsi spazio e dare l’esempio, ai giovani cronisti, di come il talento e la voglia di fare possano affermarsi nel variegato mondo della critica enogastronomica. Da poco più di anno, dopo i tanti trascorsi al Gambero, è approdato a Slow Food in qualità di direttore editoriale: appena uscita la guida ai vini Slow wine, si attende quella delle Osterie d’Italia.

Chi è oggi il critico gastronomico? Una persona che ha vissuto esperienze importanti che l’hanno formato, uno che ha girato, scoperto, conosciuto, non per forza capito. Le conoscenze tecniche, l’arte di cucinare possono essere relative, non l’onestà con la quale lo si racconta.
Quali secondo te i principi da non mancare mai per operare al meglio nel settore? L’umiltà è il centro di tutto, senza umiltà chi scrive non ha ragioni da esprimere.
Quali sono i parametri fondamentali con i quali costruire una recensione gastronomica? Il rispetto per il lettore innanzitutto; Esistono tante qualità, tecniche, morali che fanno di una penna un mezzo di enorme efficacia, ma il tutto deve essere finalizzato al rispetto del lettore.
In questi giorni usciranno le nuove guide edite da Slow Food Editore, sarà vera rivoluzione? Su Osterie d’Italia c’era ben poco da fare, il format è ben consolidato, abbiamo però voluto integrarla con alcuni accorgimenti che la renderanno certamente più fruibile: la mappatura geografica per esempio e l’inserto dei 50 ristoranti “di territorio”. Sul vino, al di là delle incomprensioni legate soprattutto alla comunicazione – dove ognuno ha voluto leggere solo ciò che gli faceva comodo leggere – si può dire che abbiamo prodotto una guida sicuramente innovativa, incentrata, come non capitava da tempo, sulle aziende, il territorio che rappresentano più che sui singoli vini prodotti.
Guide e Classifiche: Marchesi asserisce che ne farebbe davvero a meno, molti giovani invece sembrano lavorare duro per entrarvi al più presto. Chi ha ragione? Certamente il rispetto verso certi esponenti della nostra cucina imporrebbe maggiore attenzione nel giudicare alcune esperienze, ma chi fa ciritica gastronomica non può astenersi dal raccontare, ed ove previsto, esprimere un giudizio. In alcuni casi ci si potrebbe anche astenere dall’esprimere un giudizio, ma si tratterebbe di una cortesia, nulla di più.
E’ risaputo della tua profonda ammirazione per la Spagna e per Barcellona in particolare, come spiegheresti una tale rivincita di una cucina, quella spagnola, definita da sempre “minore” rispetto a quella francese e italiana? Non ho mai voluto imporre un modello piuttosto che un altro, era invece opportuno invitare a guardare con maggiore attenzione ad una realtà, quella spagnola, in forte ascesa; Il duopolio Italia-Francia, per quanto solido, ha mostrato tanti punti deboli e tutti a vantaggio della dinamicità del fenomeno Spagna. Se un tempo poteva ritenersi una tendenza, oggi è una realtà incontrovertibile.
Una domanda che forse senti girare spesso visto che oggi anche tu curi un blog-diario: si dice che sia “guerra” aperta tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Il mezzo ha una importanza relativa, i contenuti invece sono fondamentali. Nell’uno e nell’altro caso esistono riferimenti utili e validi.
Qual è l’ingrediente che non dovrebbe mai mancare in un piatto, e quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno? La pulizia, la capacità di lasciarne apprezzare l’integrità. Non amo invece le salse.
Se c’è, qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? Beh, la Ribollita della mia vicina di casa, insuperabile!
Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Alla Certosa di Maggiano, indimenticabile!
Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? Il fatto stesso di essere proposti è un buona trovata pubblicitaria. L’importante è che siano in tutto e per tutto espressione della propria cucina: proporre un menu con uno o due piatti di alta gastronomia a prezzi contenuti può solo giovare a chi si avvicina a certe realtà per la prima volta. Altrimenti, sarebbe decisamente inspiegabile.
La cucina di strada, ingredienti poveri, di cui spesso ti sei occupato in passato: è possibile replicarli efficacemente nei ristoranti cosiddetti gourmet? Non credo o almeno non in quei luoghi che non ne hanno piena percezione della tradizione storica.
C’è un ristorante che secondo te vale la pena visitare almeno una volta nella vita? La Certosa di Maggiano, da Paolo Lopriore.
Se c’è invece, mi dai il nome di uno chef (se possibile italiano) che consiglieresti vivamente ai giovani di guardare con maggiore riferimento? Nessun dubbio, Gennaro Esposito!
Qui le interessanti risposte di Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.
Qui invece la bella intervista rilasciataci da Francesco Aiello.
Qui l’intervento di Luciano Pignataro, winewriter della prima ora e da oltre dieci anni collaboratore della guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso.
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9 ottobre 2010
Luciano Pignataro, una bella laurea in Filosofia e giornalista professionista a Il Mattino di Napoli dove da anni cura – tra le altre cose – una rubrica sul vino che ha fatto storia, sin dal 1994, sin dal grande rilancio della viticoltura campana e meridionale. E’ autore di numerose pubblicazioni di successo sul vino e sulla gastronomia tradizionale, con un occhio sempre rivolto soprattutto al Sud Italia; Il suo Wineblog è tra i più seguiti in Italia in materia, con numeri a dir poco impressionanti; Da oltre dieci anni collabora alla “guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso“. Per me, come per molti, Luciano ha, tra le tante, una grandissima qualità comune a pochi nel mondo della critica enogastronomica: quella di unire, saper mettere assieme, aggregare, alla costante ricerca di un confronto diretto, franco ma soprattutto leale. Non poteva mancare quindi un suo intervento in merito…

Chi è per Luciano Pignataro il critico gastronomico oggi? Il critico gastronomico è una persona molto difficile da formare perché serve tempo per affinare il palato, disponibilità per girare nei ristoranti, grande cultura umanistica generale, conoscenza dei prodotti e delle tecniche, capacità di usare la tecnologia web. Deve essere legato alle sue radici ma al tempo stesso non scadere nel campanilismo sterile, lavorare per il cliente e non per il ristoratore, avere rapporti cordiali e rispettare sempre chi lavora in questo settore. Credo che in Italia ci siano pochissimi professionisti completi (Vizzari, Marchi, Fiammetta Fadda, Marco Bolasco, Cremona, Raspelli, Clara Barra, Bonilli, Davide Paolini, Carlo Cambi). Io stesso non mi sento e non sono un critico gastronomico perché mi mancano ancora i fondamentali all’estero e qualcuno al Nord, preferisco definirmi un giornalista specializzato di settore. Punto a diventare critico gastronomico puro, ma mi servono ancora una decina di anni di esperienza.
Quali sono i principi da non mancare mai, come operare al meglio? Il principi sono gli stessi dei degustatori di vino e, più in generale del giornalismo. Essere fedeli solo al proprio lettore e non tradire la fiducia dell’editore. Sul piano psicologico è buona regola non innamorarsi e non antipatizzare con nessuno, cercare di farsi capire quando si scrive e si parla e soprattutto, nel dare un punteggio, mai forzare in un senso o nell’altro, ma essere equilibrati. Se l’entusiasmo o la delusione staccano troppo dai giudizi di altri colleghi, chiedere ad altri di rifare il passaggio e fare la verifica.
Una recensione, come nasce? Quali sono i paramentri fondamentali su cui si costruisce una sana critica gastronomica? Quando il critico fa una ispezione non deve mai annunciarsi in precedenza, deve pagare il conto e accettare al massimo un’attenzione non condizionante se riconosciuto. Evitare di giudicare lo stesso locale per due o tre edizioni consecutive, assolutamente non scrivere e premiare se ci sono rapporti che vanno al di là della semplice conoscenza. Questo vale anche per il vino. Intendo rapporti di parentela, di cumparaggio o anche semplicemente di amicizia intensa.
E’ capitato, non di rado, di sentire che alcuni critici gastronomici non sappiano nemmeno cucinare un uovo al tegamino: ecco, può essere questo deleterio ai fini di una critica affidabile? Saper cucinare aiuta sicuramente a capire meglio un piatto, come anche fare esperienza lavorativa dentro una cucina professionale, ma non è una conditio sine qua non per un critico. L’esperienza palatale è quella davvero decisiva. E’ personale e non si può ereditare.
Guide e Classifiche: Marchesi da tempo ne farebbe davvero a meno, molti dei giovani invece sembrano scalpitare non poco per entrarvi al più presto. Chi ha ragione? Le Guide servono ai ristoratori per farsi conoscere, ma la gestione del quotidiano in un ristorante non è risolta da un punteggio. Era vero ieri e lo sarà sempre di più: conta il lavoro e la professionalità. Per questo all’inizio bisogna sempre essere prudenti su una novità, bisogna aspettare almeno due o tre anni per vedere cosa succede prima di iniziare a consacrare una cucina. La polemica di Marchesi è solo un malinconico episodio crepuscolare di un grande. Purtroppo non l’unico.
Le Guide servono però soprattutto ai lettori che le comprano, non dimentichiamolo mai. Sono loro i veri giudici del nostro lavoro.
Una domanda che ti viene fatta sempre più spesso, e che ti vede protagonista in prima persona: la “guerra” tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Purtroppo ho una età che mi consente di dire di aver già partecipato al dibattito su chi vincerà tra tv e cartaceo. Ora c’è questa nuova competizione. Nessuno si pone il problema su chi vincerà tra web e tv! Sono mezzi espressivi diversi, ma si integrano alla perfezione se ben gestiti. Oggi il cartaceo conta ancora molto, resta la consacrazione, ma il web aiuta a monitare la realtà.
In ogni caso conta la qualità di chi scrive o parla, su questo non ci sono dubbi. Sono i contenuti che fanno la differenza.
Qual è l’elemento che non dovrebbe mai mancare in un piatto? L’acidità. E’ l’elemento che lo rende comprensibile anche fuori dal territorio di origine. Non a caso le cucine che opprimono l’acidità sono quelle dei fast food e degli autogrill. Un grande piatto senza acidità non può essere ricordato. La salivazione in bocca è la condizione per mangiare bene. Dall’antipasto al dolce.
Quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno? Dipende dai periodi storici. Io sono oppresso in questi anni da ricotte e burrate mischiate con il pesce fresco: il piatto diventa sempre un troiaio insopportabile.
Qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? L’arancino di riso e verza, pomodori secchi e acciughe di Marianna Vitale. Da mangiare a carriola. Io che ho sempre detestato riso e verza :-).
Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Nel 2010 quello al Mosaico da Nino Di Costanzo.
Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? E’ il futuro. L’idea di entrare in un posto e magiare solo due cose è ancora poco italiana, ma credo sia una delle poche abitudini sane che possiamo importare dagli anglosassoni. Io più di tre, quattro piatti non riesco a metabolizzare mentalmente. Un po come i vini: più di dieci/dodici diventano ingestibili per l’emozione.
C’è un ristorante che secondo te vale la pena visitare almeno una volta nella vita? Quello che ancora non si è visitato.
Se c’è invece, mi dai il nome di uno chef (se possibile italiano) che consiglieresti vivamente ai giovani di guardare con maggiore riferimento? Due: Massimo Bottura e Gennaro Esposito.
La cosa che mi piace di più di quello che sta venendo fuori da queste interviste è proprio la pluralità di vedute, in alcuni casi contrastante, espressa dai vari intervistati: quantomeno possiamo esser certi di una critica più che viva e protesa al futuro. Grazie mille! (A.D.)
Qui le interessanti risposte di Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.
Qui invece la bella intervista rilasciataci da Francesco Aiello.
Qui l’intervento di Marco Bolasco, curatore delle guide Slow Food Editore.
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8 ottobre 2010
Francesco Aiello è un vero e proprio “globe trotter”, tra l’altro uno di quelli che rispecchiano appieno, mio modestissimo parere, la linea del basso profilo ed altissime prestazioni. Lo conosco più o meno da un decennio, la mia stima per lui, come il girovita (il mio), in questi anni non ha fatto altro che lievitare; Quasi quarant’anni, studi classici alle spalle+una laurea in Economia Master all’università Bocconi di Milano in Organizzazione e gestione aziendale, si occupa e scrive di economia e turismo e, da più di dieci anni, si occupa – guarda un po! – di enogastronomia. Non lascia trapelare altro, ci tiene a che si dica solo che collabora con una guida ai ristoranti nazionale, in più scrive di cibo, prodotti tipici ed ospitalità per alcuni magazine italiani ed importanti pubblicazioni specializzate inglesi ed americane. Anche a lui abbiamo rivolto qualche domandina…

Allora Francesco, chi è il critico gastronomico oggi? In senso stretto dovrebbe essere (mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo) un professionista della comunicazione con una solida preparazione teorica su tutto quello che ruota intorno al mondo del cibo, dalle materie prime alle tecniche. Assolutamente indispensabile una significativa esperienza, da costruire con frequentazioni dirette nel corso del tempo, di ristoranti e cucine, possibilmente del mondo. Una infarinatura della storia delle tradizioni gastronomiche più significative non dovrebbe fare troppo male.
Come ci si comporta, quali sono i principi da non mancare mai? Gli stessi che sono alla base della professione giornalistica con un supplemento di curiosità e di accuratezza, in considerazione del fatto che si scrive di qualcosa, il cibo appunto, di cui tutti in un modo o nell’altro hanno esperienza diretta.
Come nasce una recensione, quali sono i parametri fondamentali su cui si costruisce una sana critica gastronomica? Inutile nascondere che il rischio più pericoloso è quello della eccessiva soggettività. La percezione di un ristorante o di un piatto è inevitabilmente influenzata dal bagaglio di esperienze di ciascuno di noi e talvolta anche dalle preferenze. Ma qui entra il gioco la professionalità che consente di esprimere un giudizio, o anche solo di raccontare una cena, con un accettabile grado di obiettività, a prescindere dai gusti personali o dagli eventuali rapporti di consuetudine con cuochi e ristoratori. L’invito a tenere distinti ciò che è buono (concetto molto meno soggettivo di quanto solitamente si pensi) da quello che piace, può apparire talmente banale da essere superfluo. A tal proposito il confronto con i colleghi più esperti è essenziale.
E’ capitato, non di rado, di sentire che alcuni critici gastronomici non sappiano nemmeno cucinare un uovo al tegamino: ecco, può essere questo deleterio ai fini di una critica affidabile? Per recensire una mostra di Hopper bisogna saper dipingere come il pittore statunitense? Ovviamente no, ma riuscire a tenere il pennello in mano ed avere qualche dimestichezza con il realismo applicato alla tavolozza dovrebbe aiutare. Lo stesso per coloro che si occupano di critica gastronomica, ai quali conoscenze dirette del mestiere di cuoco dovrebbero servire a comprendere meglio il lavoro altrui, piuttosto che a dare consigli su improbabili varianti ai piatti altrui, come pure talvolta si sente in giro. Personalmente esaspererei anche il concetto chiedendo a chi ne ha la voglia e la possibilità di passare una settimana all’anno nella cucina (o anche in sala) di un buon ristorante decentemente organizzato.
Guide e Classifiche: alcuni grandi chef, Marchesi in testa, vanno maturando l’idea che ne farebbero davvero a meno, molti dei giovani invece sembrano scalpitare non poco per entrarvi al più presto, chi ha ragione? Su questo punto bisogna chiarirsi: le guide e le classifiche o si accettano sempre o mai, a prescindere da come sei valutato. Detto questo, sono dell’idea che ci sono alcuni cuochi, e Marchesi è certo tra questi, che hanno fatto la storia della gastronomia, almeno italiana, e che potrebbero essere sottratti al vincolo della valutazione: cappello, forchetta o stella che sia. Si tratterebbe di un omaggio non tanto ai protagonisti, quanto alla chiarezza espositiva e di interpretazione della gastronomia contemporanea. Giusto per ristabilire la debite proporzioni tra attori e comparse, sennò finisce che di notte tutti i gatti sono neri ….
Quanto ai giovani, dato per scontato il non trascurabile contributo alla notorietà che le guide danno soprattutto nella fase iniziale, sarebbe il caso che si concentrassero su coloro che si siedono ai loro tavoli tutte le sere.
Lo so, non è originalissima come domanda, ma ci sta bene: la “guerra” tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Al momento non saprei, anche se per esperienza credo che a fare la differenza non sia lo strumento ma le finalità. A tal proposito se il web utilizza il sistema di controlli e di filtri, formali e sostanziali, propri dei media tradizionali, alla fine potrà anche prevalere, visto che dalla sua ha velocità e la capacità di raggiungere i destinatari a costi bassi. Tuttavia credo che molte delle polemiche attuali nascono da un equivoco di fondo: quello di confondere la critica gastronomica con il racconto illustrato di un ristorante. Ad oggi sul web vedo prevalere questa seconda categoria.
Quale secondo te l’ingrediente che non dovrebbe mai mancare in un piatto? In generale l’equilibrio tra le diverse componenti. Per me, invece, il tartufo bianco.
Uno invece del quale si potrebbe fare volentieri a meno? La presunzione, di chi cucina e di chi critica. Se poi sparisse anche il filo d’olio a crudo, dubito che qualcuno ne sentirebbe la mancanza.
C’è un piatto che più ti ha entusiasmato? Impossibile rispondere per chi ogni anno fortunatamente assaggia qualche centinaio di grandi piatti
L’esperienza indimenticabile? Sicuramente la prossima ….
Alcuni grandi ristoranti ”gourmet” hanno pensato a menu in versione “light” per contenere i prezzi, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? Un conto sono i ristoranti che, sulla scorta di quanto avviene da tempo in Francia, a pranzo propongono un menù del mercato o con piatti più semplici ad un costo accessibile. Ha un senso ed una convenienza sotto il profilo economico, sia per il cliente sia per il ristoratore. Discorso diverso è per chi pretende di fare grande ristorazione low cost. Non ho mai subito il fascino del “pauperismo gastronomico” e mi riesce difficile immaginare grandi menù costruiti a colpi di variazioni di alici, frattaglie o verdure, magari con lo stesso ingrediente, rigorosamente ”povero”, che si ripete dall’antipasto al dolce. Alla lunga l’esperienza insegna che, tranne poche eccezioni, non funziona.
Un ristorante da visitare almeno una volta nella vita? Il Louis XV di Alain Ducasse a Montecarlo.
Quale il talento affermato (se possibile italiano) a cui i giovani potrebbero guardare con maggiore riferimento? Molti di quelli che oggi hanno più di sessant’anni e che negli ultimi tre decenni hanno costruito le basi della moderna cucina italiana.
Qui l’intervista a Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.
Qui l’intervento di Luciano Pignataro, winewriter della prima ora e da oltre dieci anni collaboratore della guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso.
Qui l’intervento di Marco Bolasco, curatore delle guide Slow Food Editore.
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7 ottobre 2010
E’ tempo di guide, ai vini d’Italia, ai ristoranti d’Italia e bla bla bla. La critica alla critica enogastronomica, come accade per il calcio, fa proseliti e nutre al tempo stesso detrattori a centinaia di migliaia – ma che dico! – a milionate, che però di volta in volta non disdegnano di vestire i panni di osservatori noncuranti, poi analisti, poi ancora lettori più o meno attenti, eppure compratori quasi certi: appassionati, fighetti gourmandise, operatori del settore, fedelissimi all’idea che la critica enogastronomica sia uno sport inutile che costa – a volte – troppo, eppure leggere il proprio nome sulle pagine delle guide in uscita ogni anno continua a non avere prezzo, anzitutto in termini di soddisfazione professionale! Insomma, c’è chi va asserendo che le guide ci hanno proprio rotto e chi al tempo stesso urla “ma che ipocriti che siamo, ma se ogni anno non vediamo l’ora che escono..!”.
Detto questo, in previsione delle imminenti uscite delle guide gastronomiche abbiamo cercato tra queste l’opinione di alcune tra le firme più apprezzate, fatto quindi alcune domande a chi le guide le fa veramente e a chi della critica gastronomica (in alcuni casi non solo) ne ha fatto il suo lavoro, in maniera brillante, obiettiva, professionale. Iniziamo questa nuova serie di “Chiacchiere distintive” con Clara Barra che ringrazio sentitamente per la disponibilità mostrata e per la sincerità con la quale ci ha risposto; Giornalista professionista, è al Gambero Rosso dai primi anni novanta, con Giancarlo Perrotta cura la Guida ai Ristoranti d’Italia (Qui le eccellenze dell’edizione 2011).

Chi è il critico gastronomico oggi? Il critico gastronomico dovrebbe essere sempre (quindi non solo oggi) una persona che cerca di orientare il cliente nella scelta di un ristorante o di un prodotto.
Come si muove e quali sono i principi da non mancare mai? Massimo rispetto per il lavoro degli altri e massima buona educazione (leggi niente foto per esempio) quando si visitano i locali.
Come nasce una recensione, quali sono i paramentri fondamentali su cui si costruisce una sana critica gastronomica? Il Gambero Rosso come è noto è l’unica guida che esprime un giudizio articolato in più voci (cucina, cantina, servizio), cosa di grande utilità a mio avviso perché così ogni lettore individua facilmente il locale adatto per la propria esigenza, ragion per cui sarebbe un errore leggere solamente il punteggio unitario.
E’ capitato, non di rado, di sentire che alcuni critici gastronomici non sappiano nemmeno cucinare un uovo al tegamino: ecco, può essere questo deleterio ai fini di una critica affidabile? Direi di no, un palato fino non necessariamente deve saper cucinare.
Guide e Classifiche: alcuni grandi chef, Marchesi in testa, vanno maturando l’idea che ne farebbero davvero a meno, molti dei giovani invece sembrano scalpitare non poco per entarvi al più presto, chi ha ragione? Le guide dovrebbero essere prese per ciò che sono, un utile strumento di servizio per un’ampia fascia di pubblico, e quindi non vissute come un prodotto editoriale destinato a pochi eletti gourmet che sono comunque una minoranza rispetto a chi fruisce del ristorante abitualmente. Inoltre vale la pena ricordare che la guida è “ristoranti d’Italia” non “cuochi d’Italia”, bisogna stare quindi molto attenti a non esagerare nel rendere i cuochi delle star.
Lo so, non è originalissima come domanda, ma ci sta bene: la “guerra” tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? C’è spazio per tutti e ciascuno dei due ha i propri estimatori, personalmente ritengo i blog autoreferenziali e abbastanza deleteri per la ristorazione.
Qual è l’ingrediente che secondo te non dovrebbe mai mancare in un piatto? L’equilibrio.
Quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno… Oggi come oggi l’uovo di Paolo Parisi cotto a bassa temperatura, non se ne può più! Senza per questo nulla togliere ovviamente alla bontà delle uova di Paolo che stimo moltissimo.
Qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? Ce ne sono molti, troppi, e anche “datati”, ma cito in ordine sparso: Ravioli di grano saraceno con astice tartufo e fegato grasso di Vissani, la maionese espressa di Lorenzo a Forte dei Marmi, l’insalata “21 31 41” di Enrico Crippa, la terrina di anguilla e foie gras di Fabrizia Meroi, un’inarrivabile scaloppa di fegato grasso all’uva di Paracucchi, il soufflé al limone de La Caravella di Amalfi, i risotti de Il Gambero di Calvisano, sicuramente ne dimentico qualcuno e chiedo scusa.
Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Forse all’Ambasciata di Quistello, uno spettacolo per tutti i sensi.
Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? Ha invece molto senso, specie per consentire ai giovani di poter andare nei grandi ristoranti.
C’è un ristorante che consiglierebbe di visitare almeno una volta nella vita? Dire uno solo mi mette in imbarazzo, spero mi comprenderete… 🙂
Se c’è invece, uno chef (se possibile italiano) a cui i giovani potrebbero guardare con maggiore riferimento… Salvatore Tassa de Le Colline Ciociare di Acuto, a mio avviso spesso sottostimato perché unisce genio a determinazione, volontà, umiltà e tanto tanto coraggio.
Qui l’intervista a Francesco Aiello.
Qui l’intervento di Luciano Pignataro, winewriter della prima ora e da oltre dieci anni collaboratore della guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso.
Qui l’intervento di Marco Bolasco, curatore delle guide Slow Food Editore.
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5 agosto 2010
Ovvero, ho sempre amato scrivere, sbevazzare, ca(r)pire.

Ma ve lo immaginate un sommelier che parla di andamento vendemmiale, propensioni evolutive in bottiglia e recensisce, tra i primi, vini appena agli esordi divenuti nel tempo veri e propri “must” della nomenclatura purista campana? Bene, per gli increduli, ecco cosa accadde, oggi (più o meno), quattro anni fa sul sito dell’amico Luciano Pignataro, tra i primi a consegnare ai lettori del web le mie elucubrazioni etiliche. Qualche anno prima già passavano di tanto in tanto sulle pagine del Gambero Rosso curate da Daniele Cernilli alcune “appassionate” recensioni di un “giovanotto flegreo tanto prolisso quanto fecondo” (di schede tecniche, ndr); Ma qui era n’altra cosa, i passi erano pesanti, sospinti dalla curiosità del confronto ed indubbiamente piuttosto entusiasmanti…
“La prossima stagione delle guide che inizierà da qui a breve (in verità, qualcuno è già sulla scena) sembra promettere grandi auspici alla viticoltura campana e del Sud in generale. In passato ci si è spesso lamentati del poco coraggio mostrato da alcune testate nazionali nel premiare giovani emergenti (altre volte aziende affermate ma poco inclini a giudizi programmati) ma ad oggi le premesse per gratificazioni di ampio respiro fanno percepire che ne vedremo delle belle. […] In linea generale sono rimasto molto ben impressionato dalla capacità di alcuni di superare una complicata annata ‘05 che comunque fa registrare buonissimi risultati per talune etichette date troppo anticipatamente per disperse.
Capitolo Primo. Il Fiano di Avellino nelle espressioni di Benito Ferrara (!), di Marsella e di Mastroberardino mostra come terroir, competenza e conoscenza del vitigno possano comunque rispettare la autenticità del vino senza snaturarlo a causa di una annata difficile, e sottolineo che parlasi di tre aziende che non sono sicuramente sullo stesso piano per struttura aziendale e volumi d’affari; Buono ancora il Colli di Lapio ‘05 ed una piacevole scoperta il Fiano di Manimurci, profondo ma ancora poco equilibrato. […]
Capitolo Secondo. Aspettative molto più convincenti dal Greco di Tufo che sembra proprio uscire meglio da questa annata che soprattutto nell’interno ha causato non pochi problemi. Sempre affascinato dal Vigna Cicogna di Benito Ferrara, che trovo a tutt’oggi il miglior Greco assaggiato, sono rimasto colpito dal ”G” di Roberto Di Meo, molto complesso nei profumi e persistente nel sapore asciutto ed austero. Ottimo come sempre il Greco di Macchialupa, la materia prima è di ottimo livello, inviterei però Giuseppe Ferrara ed Angelo Valentino ad osare nel proporci anche una versione più affinata, i numeri gli consentirebbero di non avere fretta di uscire, ma si sa come vanno certe cose. […]
Capitolo terzo, dedicato alla Falanghina, che sembra tra i vitigni bianchi campani quello uscito meno peggio dalla vendemmia 2005. Buone le versioni dell’area beneventana dalla più semplice proposta dalla Cantina del Taburno che continua ad essere un riferimento validissimo ad espressioni più “consistenti” di aziende come Aia dei Colombi, Fattoria La Rivolta e Nifo Sarrapochiello. Buona e tradizionale la Falanghina dei Mustilli e di Ocone; Sembrano ormai rispettare una esigenza di “globalizzazione” invece le Falanghine di Mastroberardino, Feudi San Gregorio e Villa Raiano, a dire il vero davvero buone, pulite, ruffiane ma personalmente troppo vicine a tanti altri “vini banana” presenti sul mercato. In Costiera sembra vivere un periodo magico Marisa Cuomo, che non stupice più soltanto per un superbo Fiorduva ma anche il Fuore bianco ‘05 ed il Ravello ‘05 risultano di grande complessità e pulizia oltre che di profondità, insomma Falanghina e Biancolella alla massima espressione. [..]

Sembrano presentarsi con molti buoni numeri invece i prodotti dei Campi Flegrei, vini molto corretti spesso anche nel prezzo abbastanza centrato, che si esprimono pur nella semplicità con schiettezza e personalità. Luigi Di Meo continua il suo personale percorso di crescita, consegna al mercato una Falanghina ‘05 consistente, complessa e minerale e continua in piccole dosi a proporre un cru – Il Cruna DeLago – che uscirà prossimamente, di buon valore sperimentale. Ottime le versioni di Le Vigne di Parthenope, fresca e profumata di pesca e di Cantine Astroni, quest’ultima davvero dall’ottimo rapporto prezzo-qualità. Costante la qualità della Falanghina della famiglia Martusciello quest’anno rivoluzionata anche nell’immagine, buone le interpretazioni di Michele Farro (fresca e serbevole) e di Raffaele Moccia, la Falanghina Agnanum di quest’ultimo è davvero un gran prodotto, longevo ed armonico nel tempo, il 2005 è ancora in vasca mentre si sta appena proponendo sul mercato la versione 2004.
Pensieri e parole certamente spesi bene. Chi volesse trova Qui l’articolo completo originale “Guide – i bianchi campani sulla scena” pubblicato l’8 Luglio 2006.
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27 luglio 2010

Il Mosaico di Mare di Oliver è certamente uno dei piatti più riusciti in carta a L’Olivo, giocato sull’accostamento mare-terra offre un percorso di colori, profumi e sapori dalle forti tinte emozionali. E’ un piatto che amo alla follia e che mi permette come pochi un abile gioco di abbinamenti!
1 – Scampo crudo con mela verde.
2 – Gambero rosso con salsa di pomodoro giallo.
3 – Alici alla colatura di Cetara con ricotta e lattuga di mare.
4 – Cappasanta con salsa di limoni di Capri e caviale nero Calvisius.
5 – Palamita su brunoise di verdurine cotte e crude.
6 – Ostrica Belon con barbabietola, aceto di lamponi ed erba cipollina.
7 – Tagliatelle di seppie con peperoni dolci e piccanti.
8 – Terrina di polpo, calamaretto ripieno di pancetta in salsa di pomodoro.
9 – Trippa di baccalà con bottarga di muggine ed asparagi di mare.
Abbimamenti consigliati: non sono solito accostare vini alle ricette dei piatti che compaiono su questo blog, ma qui vado spedito su Champagne brut Millesime 2004 Taittinger per chi vuole lasciare spazio alla sinfonia dei sapori, oppure il Trebbiano d’Abruzzo 2003 di Valentini per chi non riesce a stare lontano dal cuore, mentre il Rosalice 2009 di Maria Felicia Brini è per chi degli abbinamenti riesce, ogni tanto, a fregarsene ampiamente.
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11 Maggio 2010

No, non mi sono sbagliato, c’è un’altro protagonista in questa storia ed è, con il Vesuvio, il simbolo di Napoli nel mondo: la pizza, la più grande passione, assieme al vino naturalmente, di Ciro Potenza, napoletano di Salita Tarsia, classe ’83, giovane e dinamico sommelier di Palazzo Petrucci, a Napoli unico ristorante Stella Michelin. L’Arcante ci ha fatto quattro chiacchiere, distintive come sempre di bravi sommeliers che lavorano per affermare la propria passione e professionalità!
Allora Ciro, entriamo subito nel vivo della chiacchierata. Come nasce la tua passione per la sommellerie? Mia nonna è irpina, di Frigento. I miei primissimi ricordi legati al vino sono dell’infanzia, quando andavamo in campagna a trovarla, per me era bellissimo stare in mezzo al verde con i panorami irpini e le viti a fare da sfondo. Ma il vino arriverà solo più tardi, io vengo da una famiglia di pizzaioli e le prime esperienze di lavoro le ho avute in bottega con mio padre, ero fortemente affascinato dalla pizza, più che un alimento, un rito, un’arte dalla storia antica. A 16 anni incontrai Enzo Coccia (Pizzeria La Notizia, tra le migliori a Napoli) ed iniziai a collaborare con lui. Da li gli studi sulla storia, le materie prime, i primi corsi di formazione, le consulenze: alla fine mi ritrovai un vero e proprio “artigiano pizzaiolo”. Nel 2006 attratto sempre più dai giochi di abbinamento che con lo stesso Enzo provavamo a fare in pizzeria, mi iscrissi ai corsi dell’ Ais di Napoli, un ottimo viatico per la mia formazione.
Quale il momento in cui ha capito di poter avere un futuro nell’ambito della sommellerie? Ci sono stati una serie di eventi favorevoli. In primis l’aver ottenuto un ottimo risultato al corso, subito dopo l’incontro con il Gambero Rosso. Ricordo che la Città del Gusto era stata inaugurata da pochi mesi, cercavano un giovane sommelier ed io avevo da poco finito il corso, feci il colloquio e mi scelsero; Era il 2008. Poi la partecipazione al master sulle acquaviti “la ricerca dell’eccellenza” organizzato dall’AIS e dalla distilleria Bonaventura Maschio, e la borsa di studio vinta come primo classificato per il sud. Subito dopo l’esperienza al Gambero ci fu l’incontro con la proprietà del ristorante Palazzo Petrucci che era in cerca di un sommelier. Sin dal primo momento c’è stata grande intesa sia con Lino Scarallo, lo chef, che con tutto lo staff del ristorante. Quando si dice al posto giusto al momento giusto!

Chi è, se c’è, il tuo modello professionale, chi ti ha aiutato a migliorare nella tua crescita professionale? Sicuramente la mia famiglia ed i miei affetti. Ringrazio ancora Enzo Coccia per avermi sempre incoraggiato nonostante mi avviavo a fare un salto nel buio cambiando completamente lavoro, ma anche e soprattutto un amico, Paolo De Cristofaro; Al Gambero di Città della Scienza ho collaborato per un anno, e lui che è un grande comunicatore mi ha aiutato molto a crescere.
Cosa ti piace dell’ambiente in cui lavori, cosa possiede di speciale? Sono a Palazzo Petrucci da poco più di un anno, qui ho trovato un gruppo di lavoro molto affiatato ed una proprietà davvero sensibile, mi hanno aiutato molto ad entrare subito in sintonia con tutto l’ambiente. E poi ho la possibilità di lavorare a stretto contatto con Lino Scarallo, cosa per me molto esaltante,
Com’è la tua carta dei vini? Come scegli di acquistare i vini e come li proponi ai tuoi ospiti? La mia carta è in continuo movimento, cerco sempre di aggiornarla con nuove proposte. Attualmente sono circa 500 le etichette, con grande spazio alla Campania; A breve ci sarà il completamento della cantina che stiamo allestendo in un adiacente locale storico. I vini che acquisto sono soprattutto quelli che piacciono a me e che certamente posso abbinare alla nostra cucina. Al tavolo invece, cerco sempre di coinvolgere i miei ospiti proponendo nuove esperienze, magari stuzzicando la loro curiosità.

Il vino del cuore e quello che desideri di bere prima o poi? È difficile sceglierne uno, ritengo il Fiano e l’Aglianico due vitigni di grandissimo spessore. Poi mi piace tantissimo il Verdicchio, i Sauvignon della Loira e del Friuli, alcuni Champagne, blanc de blancs in particolare, i Riesling tedeschi, il Pinot Nero in Borgogna ed alcune interpretazioni dell’Alto Adige. Amo tanto anche i Super Tuscans ed i rossi delle Langhe. Al sud guardo sempre con interesse al Vulture, all’Etna ed al Carignano in Sardegna. Nutro grande passione per i vini da dessert, indistintamente! Il vino che desidero bere? Uno di quei vini che sfidano il tempo, capaci di emozionare e lasciare il segno.
Il nostro lavoro è di grande sacrificio, rimpianti o che cosa avresti voluto cambiare? Rimpianti no, ma se potessi tornare indietro frequenterei l’istituto alberghiero, sicuramente più attinente al mio percorso.
Il tuo rapporto con l’ais, c’è qualcosa che potrebbe fare di più l’associazione per te? La mia esperienza con l’AIS è stata felicissima, purtroppo non ho molto tempo da poter dedicare alla vita associativa, ma cerco di essere presente alle rassegne, a volte anche solo per mezz’ora! Per me anche la semplice chiacchierata con un collega può essere un momento di crescita .
Gli amici, la famiglia, come concili il lavoro, con tutto questo? I momenti da poter dedicare a se stessi ed ai propri affetti sono sempre di meno, ma ho la fortuna di avere una compagna fantastica, che ha capito quanto sia importante per me questo mondo, ed è sempre pronta a sostenermi. C’è poi il gruppo storico di amici, tanti studiavano a Napoli come fuori sede, cerchiamo di incastrare i giorni liberi e di vederci.
Le tue aspettative, cosa ti auguri per il futuro? Per un giovane come me la voglia di sapere è quasi ossessiva e spero di poter soddisfare la mia curiosità, mi piacerebbe conoscere il vino nell’anima così come ho fatto in passato con la pizza, ci vorrà del tempo, visto la vastità dell’argomento e la dinamicità di questo settore, ma sono paziente! Mi auguro infine di poter seguire sempre le mie passioni, e di poterle esprimere al meglio.
Bene, grazie Ciro per la bella chiacchierata, ad maiora!
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23 novembre 2009
E’ domenica mattina, ancora alle prese con i ringraziamenti per gli auguri per il mio compleanno appena trascorso quando mi imbatto sul promemoria di oggi che mi dice: Sud!

Oggi si va fuori, proprio dietro l’angolo di casa, più o meno, mi metto al telefono e chiamo per prenotare il tavolo nel ristorante di Marianna Vitale e Pino Esposito a Quarto. Arriviamo perfettamente in orario, sono circa le due, ci accoglie Stefania che ci accompagna al nostro tavolo; Pino ci saluta con calore, quel “vi aspettavamo” più che un accoglienza doverosa suona come un grande attestato di stima, potenza della rete.
Il menu nel complesso è esaustivo, cinque antipasti, altrettanti primi piatti e secondi, una deliziosa proposta di desserts; sono tentato dal “degustazione”, 6 piatti con due antipasti e due primi, un secondo ed un dessert a libera scelta dalla carta, davvero encomiabile per il prezzo (35 euro!), ma decidiamo con Lilly di scegliere à la carte.
Ci arrivano in sequenza il tortino di scarole, pane croccante e polpo su passatina di fagioli cannellini e ristretto di piedirosso (nella foto di M. Alaimo), un piatto dall’armonia disarmante, poi la lasagnetta di lingua di vitello con friarielli e tartufi di mare, che vuoi o non vuoi merita un applauso oltre che per la bontà, per l’intuizione e per il coraggio nel proporla e una cheesecake di baccalà profumato al finocchietto con ceci e pomodori confit, un gioco di tendenze dolci, acidità e sapidità ancora a favore delle prime ma di riuscita appetibilità.
I due primi sono due esecuzioni esemplari di innovazione e tradizione, le linguine con astice e cicerchie dei Campi Flegrei (quelle di Luigi Di Meo de La Sibilla) e gli ziti lardiati al sugo di coniglio, quest’ultimo più leggero (e digeribile) di quanto appaia citato in carta. Segue il trancio di lampuga in guazzetto di frutti di mare e broccoli e il Baccalà fritto in pastella, sapori nitidi di un mare vivo, non poi così distante da quella vista sul golfo di Pozzuoli dove Pino e Marianna avevano sognato di aprire il loro Sud prima di scegliere Quarto. Chiudiamo con un delizioso cremoso al caffè ed un morbido di “ricotta&pera” convincente, ci lasciamo poi persuadere dall’assaggio della crostatina al cioccolato fondente meringata, chiusura ad hoc per un pranzo della domenica da Diario enogastronomico.

Dalla carta, sinceramente esaustiva nella proposta, ho scelto di bere dapprima un tradizionale Greco di Tufo Novaserra 2007 di Mastroberardino, ma non convinto del tutto dalla bottiglia (lievissimo “tappo”) con la comprensione di Pino abbiamo optato per un solido e fresco Fiano Colli di Lapio di Clelia Romano. Intelligente l’offerta del benvenuto con l’Asprinio d’Aversa brut di Grotta del Sole (così si fa, territorio!) accompagnato da una interessante amouse bouche, pancetta arrostita su quenelle di ricotta e passatina di friarielli. L’ambiente è molto curato, caldo nonostante i colori apparentemente freddi, la tavola è apparecchiata in maniera elegante, moderna ma non eccentrica, a guardarsi intorno risulta molto interessante il sobrio passaggio fotografico che gira tutt’intorno la sala; il servizio è gestito molto bene dallo stesso Pino e dalla brava Stefania, attenta, puntuale (talvolta oltremodo), assolutamente professionale nei tempi e nei modi con i quali si propone agli avventori. Questo è Sud, quello che ci piace cercare e trovare nei piatti, condividere!!
Nota aggiuntiva del 28 Febbraio 2010: torniamo con piacere alla tavola di Pino e Marianna per un pranzo domenicale, con noi alcuni amici. Scopriamo l’inedito di nuovi piatti tra quelli già divenuti un classico della proposta di Sud, come la cheesecake di Baccalà o desserts come la crostatina meringata piuttosto che il cremoso alla liquirizia; aggiungiamo alla lista dei ricordi più saporiti, Polpo e Polpessa croccanti su insalatina di puntarelle, un modo elegante e composto di proporre “la frittura”, con materia prima freschissima, cottura biondissima ed insalata perfettamente condita. Da plauso le linguine con porri e salsiccia pezzente, connubio intenso ed armonico di aromaticità, tendenza dolce e succulenza, davvero un piatto intelligente, semplice nella sua essenza, ma perfettamente eseguito ed integrato in un menù degustazione che rimane, nella sua interezza, sempre su standards elevatissimi e a prezzi favorevolissimi.
La carta dei vini ha subìto qualche ritocco in positivo, la presenza di alcune verticali di vini campani sta a dimostrazione del fatto che si vuole crescere anche in cantina, opportuno però rivedere, di questi, alcuni ricarichi, un po’ troppo fuori mercato. Il servizio ricevuto, nonostante il locale fosse pieno, conferma, se ce ne fosse stato bisogno, le ottime attitudini di Pino e Stefania: garbati, presenti, disponibili. Da segnalare infine gli ottimi pani serviti, quello con le alghe veramente delizioso!
Nota aggiuntiva del 12 Marzo 2010. Ancora a Sud: la voglia di farlo scoprire ad alcuni amici a cui era ancora sfuggente era tanta. Ci sediamo di venerdì sera in un clima da sold out, le prime avvisaglie si hanno con la frenetica corsa di Pino e Stefania, che lo aiuta in sala, ad aprire la porta agli ospiti. Siamo raccomandati, o più semplicemente, avendo la carrozzina della bimba, ingombranti, otteniamo quindi lo stesso tavolo della volta precedente: comodo, a prima vista sulla cucina e però latente al vocìo che man mano si alza alle nostre spalle.
Tra le conferme, innanzitutto gli standards sempre costanti del servizio, si dispensano sorrisi, educazione, disponibilità. Proviamo oltre ai consolidati piatti citati nelle precendenti recensioni, ancora tre novità: Spaghettoni cacio e pepe con bianchetti, perfetto equilibrio tra l’aromaticità del condimento e la fragranza dei freschi bianchetti, grassezza e succulenza del cacio unita magistralmente alla sottile speziatura del pepe; ottime anche le fettucce con il coniglio ed olive nere sploverate di mandorle, anche qui esaltazione, quasi didattica, di tutti gli elementi componenti il piatto: cottura della pasta al bacio, coniglio saporito, condimento essenziale, avvolgente e non stucchevole.
Marianna sembra rincorrere nei suoi piatti oltre la perfetta coniugazione dei sapori che li compongono, anche i colori, ognuna delle sue preparazioni esprime una cromaticità che non passa inosservata, lampante ad esempio quando ci si ritrova davanti la sua cheesecake di baccalà, una girandola di colori prima che di profumi e sapori nitidi. Deliziose le costine di agnello, fuori carta e proposte scottate in padella con un semplice contorno di broccoli: anche la semplicità pare acquisire maggior fascino tra i fuochi di Sud. Questo è tutto, cronaca di una costante ascesa, a cui ogni buon appassionato della buona cucina vorrà partecipare!
Ristorante Sud
Via SS Pietro e Paolo n° 8
Quarto (Napoli)
tel. 081.0202708
www.sudristorante.it
Aperto la sera, domenica e festivi a pranzo
Chiuso il lunedì
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