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Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso #1

7 giugno 2011

Premessa: il vino è storia e cultura, è arte e poesia, ma soprattutto è natura; è però – indiscutibilmente – anche scienza.Il naso. Fiori freschi bianchi, colorati, fiori appassiti e secchi, frutta fresca, matura, cotta e secca; profumi erbacei, vegetali, aromatici, speziati, pungenti o meno, ma anche minerali, tostati, animali; terragni, eterei.

Quando si parla di vino non si può non parlare anche di naso. Questi è uno strumento di precisione infallibile, o quasi; un software collegato ad un hardware ancora più complesso e potente qual è il cervello. Mille e più recettori differenti di cui ognuno di noi è capace al massimo di attivarne appena un centinaio, e a livello assai differente tra loro in quanto è scientificamente provato che esiste una predisposizione genetica all’olfazione, e che in ognuno matura e migliora solo attraverso un continuo allenamento e non di certo dall’oggi al domani. Le cellule nervose olfattive hanno inoltre la capacità di rigenerarsi con una certa frequenza tant’è che si può dire che in media ogni tre mesi abbiamo un naso del tutto “nuovo”; può capitare infatti che dopo uno shock, come ad esempio un forte raffreddore, per riacquistare una completa funzionalità dei recettori olfattivi dobbiamo attendere almeno 2-3 mesi.

Ma cosa sentiamo quando avviciniamo le narici al calice? Come anticipato, non tutti hanno la capacità di cogliere tutte le sfumature, il 50% degli individui per esempio non percepisce nemmeno il più semplice dei sentori, quello di violetta per esempio, o il succoso lampone (β-ionone); senza dire poi della fatica a ricordare il tabacco, l’amarena matura, figli di quel β-damascenone caratteristico dei vari Syrah, Gamay e non ultimo Pinot Nero? Una gran faticaccia! Tali composti varietali, tra l’altro presenti in tutte le varietà a bacca rossa, sono derivanti dalla degradazione dei carotenoidi ad opera della radiazione luminosa; ai fini strutturali non sono molto importanti per la loro espressione aromatica diretta, dato che difficilmente raggiungono concentrazioni superiori alla soglia di percezione, ma, anche a basse concentrazioni, sono in grado di funzionare come esaltatori di aromi primari fruttati. La loro concentrazione aumenta con l’aumento dell’esposizione dei grappoli alla luce, per questo motivo, non è blasfemico, ma scientificamente provato, poter ritrovare in dei vini bianchi prodotti da uve sovraesposte dei sentori che ci rimandano ai frutti rossi.

Altra molecola aromatica interessante è il 4-metilmercaptopentanone (4MMP), che appartiene alla famiglia dei tioli – il Sauvignon Blanc ad esempio -; questi, a basse concentrazioni corrisponde alla nota fruttata di frutto della passione, o all’erbaceo del bosso, mentre ad alte concentrazioni è spesso associato alla nota pungente della pipì di gatto – nota non sempre apprezzata – caratterizzante certi particolari sauvignon blanc della Loira, di Sancerre in particolare, dove sono state identificate per la prima volta, seppur presenti, in minor concentrazioni in molti altri vini europei. Le molecole aromatiche variano in base alla soglia di percezione che corrisponde alla quantità minima di una singola molecola che viene percepita da almeno il 50% di un campione in condizioni standard, la soglia può variare da qualche nanogrammo/litro fino ad alcuni milligrammi/litro per le molecole più pesanti.

Un altro fattore interessante da non sottovalutare, che incide talvolta non poco, è la pre-percezione che sovviene ad opera di altri sensi che partecipano all’analisi organolettica di un vino, come nel caso della vista; si, perché già il solo colore tende ad influenzare notevolmente la verbalizzazione; in un recente esercizio di degustazione, un bianco tra i più classici, colorato di rosso per l’occasione, ha condotto immediatamente tutti a riconoscere in quel vino aromi tipici di frutti e fiori rossi; altro esempio calzante è quello dell’idea che va maturando l’opinione pubblica della piccola cantina a confronto di una più grande, e non solo in relazione a termini numerici: una chiara pre-percezione di piccolo è bello e grande industriale; decisamente negativo per la seconda. Lo stesso vino inoltre – è noto – degustato in un posto evocativo, magari con il produttore presente, ha un sapore diverso da quello bevuto magari in altre occasioni meno suggestive: risulta decisamente più buono!

Ritornando alle molecole, altro elemento davvero interessante è 2-metossi-3-isobutilpirazina (IMBP) che è di sovente responsabile del carattere vegetale avvertito nei vini; il vegetale va distinto dall‘erbaceo che è generato invece da altre molecole aldeidi ed alcoli a 6 atomi di carbonio (esanale – esenale), che si formano con l’eccessivo maltrattamento dell’uva in fase di lavorazione (cattiva vendemmiatrice, cattiva pigiadiraspatrice, eccessiva pressatura). Fortunatamente la concentrazione di tali molecole è spesso inferiore alla loro soglia di percezione pertanto hanno un’influenza limitata. Il carattere vegetale è dunque da associare nella maggior parte dei casi alle pirazine piuttosto che agli esenoli. Il carattere vegetale, spesso riscontrato nel cabernet sauvignon, franc, merlot e sauvignon blanc, corrisponde al peperone verde, all’ortica, alle fave crude, ha una soglia di percezione di 15 nanogrammi/litro e la sua concentrazione diminuisce con l’avanzare della maturità dell’uva. Quindi in generale tutte le uve a bacca rossa se non ben mature generano vini vegetali. Il vegetale come già anticipato, si degrada con l’esposizione diretta alla luce, ma è anche presente nei vini prodotti da uve provenienti da zone calde dove la vigna non è stata opportunamente gestita (parete fogliare troppo espansa, eccessivo ombreggiamento dei grappoli) o l’annata è stata eccessivamente fredda e piovosa. In alcune zone viticole impossibilitate ad eliminare “il carattere vegetale” a causa delle avverse condizioni climatiche in cui si opera, si è addirittura arrivati a sbandierare questo “difetto” quale tipicità del territorio quando non peculiarità di quel determinato prodotto.

Stessa cosa è avvenuta ed avviene ancora in parte in alcune zone viticole per un’altra categoria di molecole odorose: i fenoli volatili (divisi in vinil-fenoli ed etilefenoli) di origine microbica prodotti dal lievito Brettanomyces. I vinil-fenoli che corrispondono a note farmaceutiche, di medicinali, di cerotto sono più presenti nei vini bianchi; mentre gli etilfenoli associati all’odore di sudore di cavallo, alla stalla, sono più presenti nei vini rossi. I fenoli sono sempre negativi, perché coprono l’aroma del varietale! In un viaggio di alcuni anni fa fatto in Spagna nella zona della Rioja buona parte delle cantine visitate presentavano vini con altissime concentrazioni di etilfenoli, questi per loro erano “vini tipici”, quegli aromi di stallatico ci venivano enunciati come markers del territorio, ma in realtà erano solo frutto dell’inquinamento delle botti da loro utilizzate ad opera del Brettanomyces. C’è da aggiungere che le molecole fenoliche purtroppo creano assuefazione, e dopo un certo tempo se si ha un inquinamento ambientale sarà difficile identificarle soprattutto per chi lavora da anni in quella stessa cantina.

Qui “Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso” – parte seconda.

Qui l’articolo in versione integrale  su www.lucianopignataro.it.

Professione Sommelier, il Sauvignon blanc

9 agosto 2010

Diamo ufficialmente il benvenuto su questo blog a Gerardo Vernazzaro¤, giovane enologo napoletano tra i più preparati e attivi della nouvelle vogue nonchè mio Amico di Bevute. A lui, una pagina dedicata nella rubrica IL VINO DEGLI ALTRI, dalla quale ci illustrerà tecnicamente cosa e come nasce ciò che ci ritroviamo a raccontare nel bicchiere. Questo è L’Arcante¤ diario enogastronomico, una passione in grande crescita! (A.D.)

Il Sauvignon blanc (detto anche Blanc Fumé) è un vitigno a bacca bianca, proveniente originariamente dalla zona francese di Bordeaux. Il nome deriva dalla parola francese sauvage (“selvaggio”), aggettivo dovuto alle sue origini di pianta autoctona del sud-ovest francese. Grazie alla sua capacità di adattamento, è coltivato estensivamente in Francia, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, California e Sud America, con una piccola quota anche in Italia. È impiegato (fino ad un massimo del 30%) anche nella produzione di uno dei più famosi vini dolci al mondo, il Sauternes.

A seconda del clima, le uve sauvignon possono dare vini con sentori erbacei o di frutta fresca. In ogni caso i vini risultanti sono destinati ad un veloce consumo, dato che l’invecchiamento superiore ad alcuni anni, non dà effetti migliorativi sulle caratteristiche organolettiche nella maggior parte dei casi. Hanno generalmente un aroma caratteristico che li distingue da tutti gli altri vini, generalmente poco marcato nel mosto, ma decisamente singolare che si sviluppa in particolar modo nel corso della fermentazione alcolica.

I vini prodotti da uve sauvignon presentano un vasto ventaglio aromatico in cui i principali descrittori sono il peperone verde, il bosso, la ginestra, l’eucalipto, la gemma di cassis, il rabarbaro, la foglia di pomodoro, l’ortica, il pompelmo, il frutto della passione, la scorza di agrumi, l’uva spina, il frullato di asparagi, la ginestra e la pietra focaia. Le migliori bottiglie di alcuni vini, dopo qualche anno di affinamneto sviluppano sentori di affumicato, pietra focaia e perfino di tartufo.

Dunque alcuni sentori più vegetali, altri più floreali per finire con quelli più evoluti e di tipo minerale. Fino a poco tempo fa si ignoravano quasi completamente i composti volatili responsabili di queste differenti note (tioli volatili). Si sapeva solamente, grazie ai lavori di autori come Augustyn ed Allen, che il carattere di peperone verde del sauvignon è dovuto a metossipirazine, in particolare all’isobutilmetossipirazina. Questo odore vegetale piuttosto sgradevole è molto marcato nei mosti e nei vini quando la maturità dell’uva è insufficiente, esso è anche tipico dei vini di Cabernet provenienti da vendemmie non molto mature o prodotte da vigneti troppo vigorosi la cui alimentazione in acqua ed azoto è eccessiva. Le metossipirazine non rappresentano dunque gli aromi più tipici e ricercati dei vini di Sauvignon.

Gli enologi sanno chiaramente che i profumi caratteristici sono talvolta difficili da ottenere ed in seguito da mantenere nei vini. Soprattutto nei climi caldi il Sauvignon è un vitigno difficile da vinificare. Il materiale vegetale (clone), terroir, maturazione dell’uva, data di vendemmia, condizioni di estrazione dei succhi, ceppo di lievito responsabile della fermentazione alcolica, metodi di affinamento sono tutti fattori che ne possono influenzare l’espressione aromatica. Infine, anche nelle zone di produzione più vocate, la qualità aromatica dei vini Sauvignon è irregolare da un’annata all’altra e da una vasca all’altra. Per tutto questo insieme di motivazioni è importante fare un piccolo approfondimento sulla natura chimica degli aromi tipici di questo vitigni e sui meccanismi e fattori che li possono influenzare.

La prima molecola scoperta come composto caratteristico dell’aroma di Sauvignon è il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one (4MMP) identificato nel 1993. Questo mercaptocetone, che possiede uno spiccato odore di bosso e di ginestra, è olfattivamente molto attivo, la sua soglia di percezione in soluzione modello è di 0,8 ng/l. Il suo ruolo nel vino è indiscutibile dato che il suo tenore nei Sauvignon tipici può raggiungere i 40 ng/l.

In seguito sono stati identificati nel Sauvignon molti altri tioli volatili odorosi da parte di T. Tominaga e D. Dubourdieu tra il 96 ed il 98: l’acetato di 3-mercaptoesan-1-olo (3MHA), il 4-mercapto-4-metilpentan-1-olo, il 3-mercaptoesanolo-1-olo (3MH) ed il 3-mercapto-3-metilbutan-1-olo. L’acetato di 3-mercaptoesan-1-olo è il responsabile di un odore complesso che evoca non solamente il bosso, ma anche la scorza di pompelmo ed il frutto della passione. La sua soglia di percezione è di 4 ng/l ed in certi sauvignon ne possiamo trovare alcune centinaia di ng/l. Anche il 3-mercaptoesanolo ha un aroma che richiama quello del pompelmo e del frutto della passione. La sua soglia di percezione è dell’ordine di 60/ ng/l ed è sempre presente nel sauvignon con tenori che raggiungono qualche centinaio di ng/l, a volte perfino alcuni mg/l.

In definitiva il ruolo organolettico del 4-mercapto-4-metilpentan-1-olo, con odore di buccia di agrumi, è più limitato. La sua concentrazione nei vini supera raramente la sua soglia di percezione (55 ng/l) tuttavia questo valore può essere raggiunto in qualche vino. Il 3-mercapto-3-metilbutan-1-olo, con odore di pera cotta, è molto meno odoroso, la sua soglia di percezione è di 1500 ng/l, valore che non viene mai raggiunto nei vini.

Gerardo Vernazzaro, enologo e viticoltore a Cantine Astroni¤.

C’è davvero ben poco da aggiungere a questo post, da rileggere più e più volte per chi volesse capirne di più su questo particolare vitigno d’oltralpe, se non un paio di considerazioni personali. Da un punto di vista strettamente “commerciale” il sauvignon non gode certo dello stesso successo che ha fatto dello chardonnay una icona dell’internazionalizzazione omologazione del gusto mondiale, e questo è dovuto più che al suo gusto “eccentrico” alla sua limitata capacità di acclimatarsi in vigna; non manca però di un certo appeal soprattutto se considerato alla giusta maniera ed abbinato, a tavola, ai piatti giusti: pesci mediamente grassi, primi piatti iodati, carni succose, formaggi giovani a pasta molle, anche erborinati. La seconda considerazione è quasi una soffiata: molti, qua e la nel mondo, sono soliti usare piccole quantità di sauvignon come “saldo” negli uvaggi di vini bianchi generalmente poco espressivi, spesso non menzionandolo nemmeno, proprio per la sua capacità di “sostenere” una certa carica aromatica senza stravolgere oltremodo, a piccole dosi, l’equilibrio gustativo. 🙂

Consiglio, a chi volesse masticare di riconoscimenti di molecole presenti nel vino, di riprendere questa lettura sui ‘difetti del vino’¤ (A.D.).

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