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Ambizione o arrivismo?

22 ottobre 2021

Abbiamo necessità di riappropriarci della “scoperta di sé”, quella cioè di individuare in se stessi i propri desideri e i propri principi autentici, liberi dalle influenze e dalle aspettative della società e dell’ambiente in cui viviamo che, pur con le migliori intenzioni, talvolta possono condurre fuori strada, o meglio, fuori dalla propria strada.

Ciascuno ha un proprio bagaglio di talenti, specialità, desideri, sogni, valori che lo rendono unico. Nutrire questa ambizione è doveroso, forse più che un diritto. E nulla va lasciato per strada, intentato. Attenzione però, ambizione non è arrivismo!

Se la persona porrà attenzione alla propria unicità, ricercando intenzionalmente ciò che la contraddistingue dagli altri, coglierà senz’altro ciò che ha bisogno di fare o di non fare per essere felice, vocato, si sentirà spinto in quella direzione, chiamato a compiere determinate scelte e a mettere in atto determinati comportamenti per riuscire nell’ambizione, per non restare ingabbiato nella propria comfort zone.

Ciò detto, la parola vocazione potrebbe apparire un concetto ridondante, magari lontano dalla vita quotidiana, dalla vita reale di ognuno, eppure, lasciando stare questioni filosofiche o astratte sarebbe bene precisare che la la vocazione riguarda il fare, quel qualcosa di estremamente utile e pratico funzionale a migliorarsi, crescere, andare avanti, per non lasciare nulla per strada, intentato. Ma attenzione, l’ambizione non sia arrivismo!

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Torniamo a lavorare per il nostro futuro!

31 dicembre 2020

A vent’anni il lavoro non lo scegli, lo fai e basta. Ne senti il bisogno, come l’acqua, per nutrire tutti i tuoi desideri.

Non ci pensi alla fatica, alle ore lavorate, alle rinunce, alle corse, ai momenti mancati e quelli persi che non ritorneranno. Ti fai bastare quello che hai perché è quello che ti serve.

Per quelli come me, per quelli della mia generazione, per tutti quelli cresciuti nel mio quartiere, il Rione Toiano a Pozzuoli, tra gli anni ’80 e ’90, il lavoro ha rappresentato una conquista preziosa che ha salvato in molti, ha reso possibile a molti lasciarsi alle spalle un’infanzia difficile e un’adolescenza a dir poco complessa, tra insidie e sbandate pericolose; certo io mi sono salvato molto prima, anzitutto grazie all’esempio di mio padre e alla mia famiglia: non c’è un giorno che comincia in cui non ho un pensiero di gratitudine per tutti loro!

Il mondo in cui vivi, soprattutto fuori dalla famiglia, ti porta facilmente a guardare ogni volta con occhi diversi la vita davanti. Gli anni passano, i tempi cambiano, mutano gli scenari, continui a non pensare alla fatica, alle ore lavorate, alle rinunce, alle corse, ai momenti mancati e quelli persi che non ritorneranno, assumono però via via peso e significati sempre più consistenti: dopo l’amore, quello della vita, arrivano magari i figli, nuovi progetti, ambizioni, sfide, sconfitte, fallimenti; aumentano talvolta le distanze, il vuoto, la solitudine, i silenzi e i sacrifici diventano significativi e le responsabilità superano di gran lunga i desideri. Ecco, capita che a trent’anni il lavoro che fai, quello che magari manco pensi di aver scelto, ti è entrato dentro, ha preso possesso della tua vita ed è pronto a farne quello che vuole.

E’ proprio in questo momento che si cresce, che si sposta avanti con forza il tempo, si abbattono barriere, si superano ostacoli solo apparentemente insormontabili, è qui che bisogna metterci tutta l’energia possibile per crescere, migliorarsi, senza porsi limiti, perché alzare l’asticella costa ma mai quanto restare fermi e impassibili davanti alla vita che scorre senza mai afferrarla, senza nemmeno provare a portarla dalla tua parte. Ed è il lavoro a permetterti tutto questo, di andare avanti, perché se non ci pensi più alla fatica, alle ore lavorate, alle rinunce, alle corse, ai tanti momenti mancati e quelli persi che non ritorneranno, è perché tutto ritorna, in un modo o in un altro tutto ritorna, perché tutto arriva a chi sa aspettare.

Voglio salutare quest’anno e tutti i miei e i nostri carissimi amici con solo questo auspicio, che presto possiamo tutti riprenderci le nostre vite ma soprattutto il nostro posto nel mondo grazie al nostro lavoro!

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Professione Sommelier, Coravin è qui per restare, almeno per il prossimo futuro

1 dicembre 2019

Promette di lasciar bere qualsiasi vino al bicchiere, in qualsiasi momento ed in qualsiasi quantità, senza preoccuparsi di dover finire la bottiglia. E qui, sul sito di Coravin trovate tutte le informazioni necessarie, con diversi Tutorial, grazie ai quali esplorare tutto il potenziale di questo strumento che, vuoi per moda vuoi per l’apprezzabile intuizione, ha introdotto un nuovo modo di gestire la mescita al calice.

Il sistema consente di versare un bicchiere di vino da una bottiglia senza doverla stappare, addirittura lasciarla smezzata, anche per lungo tempo, senza che questi possa subire minimamente ossidazioni o perdita di gusto dovuti come si sa per il contatto con l’aria.

Come funziona? Senza andarci troppo lunghi, Coravin prevede che un ago penetri il tappo di sughero spillando il vino e insufflando contemporaneamente Argon, un gas inerte che si sostituisce al contenuto impedendo così all’aria ogni influenza e interazione con il liquido, tutto questo, volendo, senza nemmeno rimuovere la capsula. Tolto l’ago infatti, per effetto naturale il sughero tende richiudersi naturalmente e il vino è al sicuro.

Lo strumento oltre ad essere facile da maneggiare appare ben studiato anche da un punto di vista del design, così come centrata è la scelta dei colori disponibili dei vari modelli (in foto il mod. Two Elite) che in certi casi non passano certo inosservati senza però risultare stucchevoli.

Da un punto di vista pratico, fatte le dovute premesse della necessità di almeno qualche esercizio di prova giusto per prendere le ”misure” del suo utilizzo, Coravin è uno strumento che aggiunge al servizio del vino un passaggio di modernità certamente utile, non banale, senza nulla togliere però alla liturgia del servizio del vino al bicchiere al tavolo. Per dirla tutta, Coravin è qui per restare, almeno per il prossimo futuro!

Per quanto ci riguarda ci pare uno strumento utile e funzionale soprattutto per la gestione di quelle bottiglie di vino che si decide di avere in mescita ma che probabilmente si pensa di vendere al calice non così velocemente, non necessariamente vini di particolare pregio o di annate vecchissime, vini che però necessitano di particolare attenzione per garantirne, dal primo all’ultimo bicchiere servito, pienezza e integrità.

Abbiamo letto diverse opinioni e commenti di molti professionisti che in generale promuovono Coravin a meno di qualche obbiettiva riserva o perplessità. Tra queste ultime ecco la nostra opinione su quelle che abbiamo ritenuto più interessanti da osservare con la dovuta attenzione.

  • Una volta bucato il sughero, successivamente aver riposto la bottiglia in cantina, fuoriesce del vino dal sughero? Sì, se non si ha la pazienza di attendere che il sughero riprenda la sua pienezza e ci si precipita a riporla coricata, anche se questa evidenza può variare (molto) da sughero a sughero; tant’è può capitare, ma la quantità rilevata è talmente esigua che non ci è parso incida assolutamente sulla conservazione del liquido dentro la bottiglia che è al sicuro carezzato dall’Argon¤.
  • Il servizio, direttamente al commensale? Suggeriamo di gestire la mescita prima di arrivare al commensale, proprio come si fa quando si decanta un vino servendosi di un wine-guéridon; può capitare infatti, durante la mescita o al termine della porzione, di trovarsi dinanzi a dei piccoli spruzzi di vino che potrebbero creare un qualche imbarazzo, ma niente di che. Inoltre, gestire la mescita in questa maniera consente anche qualche istante di attesa prima del servizio all’ospite, tempo utile per far svanire dal bicchiere quella leggera velatura che appare sopra il vino dovuta proprio alla presenza di Argon, presenza che svanisce velocemente.
  • Costi, manutenzione, capsule Argon, è conveniente? Coravin, come già espresso in precedenza è uno strumento tecnico che aggiunge qualità al servizio del vino al bicchiere, pertanto parlare di costi, manutenzione e ricariche è da farsi in funzione del suo utilizzo commerciale pertanto tutti elementi di costo sono da ripartire intelligentemente sul prezzo al calice che si propone in carta; è uno strumento di facile manutenzione, essenziale diremmo – richiede perlopiù la pulizia dell’ago -, con una ricarica si possono fare sino 15/16 mescite. A tal proposito ci sentiamo di evidenziare che per servire l’ultimo calice rimane più utile aprire la bottiglia e versarlo direttamente in quanto la quantità di gas necessaria da insufflare potrebbe risultare eccessiva per versarne il solo bicchiere rimasto.  

In definitiva, Coravin può essere ritenuto uno strumento moderno, utile e funzionale, uno strumento che messo a disposizione di Sommelier professionali, abili e capaci aiuta certamente a gestire con maggiore efficienza il servizio di certi vini al bicchiere in quei luoghi che fanno della mescita una proposta centrale, vieppiù suscitare la giusta curiosità da parte dell’appassionato che al giorno d’oggi è sempre più informato, attento ed esigente ma anche giustamente incuriosito e attratto dalle moderne tecnologie al servizio del vino!

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Degustatio Praecox

6 ottobre 2016

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Capita talvolta di aprire una bottiglia e rimanere spiazzati dal suo profilo organolettico. Capita per vini giovanissimi non ancora “pronti”, più spesso per quei vini stipati per lungo tempo: il naso arranca “muto”, il sorso pare avere qualche problema, talvolta disarmonico, può darsi pesante.

Attenzione! Prima della cattiva idea di sparare a zero talvolta basta aspettare un po’, a certi vini basta davvero poco per rivelarsi invece pienamente espressivi. Qualcun’altro farà un po’ più fatica, e allora bisognerà dargli più tempo, anche un giorno o due se necessario. E’ così che si nutre la passione, così ci si rifà la bocca su preconcetti e pregiudizi.

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I Sommelier italiani sono i più bravi del mondo!

20 luglio 2014

Ricevere complimenti fa sempre piacere, ancor più quando qualificano l’intera categoria professionale italiana.Italian Sommeliers - L'ArcanteSpesso i nostri ospiti arrivano qui a Capri dopo un giro più o meno lungo nei più importanti ristoranti italiani ed europei. La Costiera e Capri sono quasi sempre le ultime tappe prima di rientrare a casa. Così durante la cena non manca mai di scambiare due chiacchiere su dove sono stati prima, come sono stati trattati, cosa abbiano mangiato di particolare, i vini, lo chef, il sommelier.

Viene fuori un dato sopra tutti che riempie di soddisfazioni i tanti che si fanno un mazzo così da nord a sud, da Alba a Ragusa passando per Milano, Roma, Napoli: i sommelier italiani sono riconosciuti tra i più bravi del mondo!

‘…ne sanno una più del diavolo, e molto spesso ne sanno molto più dei loro colleghi di New York o Londra dove spesso hanno paraocchi o se ne stanno sulle loro, freddi e altezzosi. Per non parlare di quanto gli italiani ne sanno dei vini del mondo rispetto a quanto questi conoscono dei meravigliosi vini italiani; non si tratta solo di poca considerazione dei vini prodotti nel vostro paese, si sa che nel mondo il vino è anzitutto quello francese, ma è una questione soprattutto di cultura più che di bravura. In Italia, con un bravo sommelier, riesci a parlarci di quasi tutto, altrove non sanno nemmeno dove sta Constantia’.

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Il bel ricordo di una sera di mezza estate e l’amarezza che ahimè poco o nulla è cambiato

16 giugno 2014

Il 16 giugno di 6 anni fa, era il 2008¤, in una fresca serata a Cerreto Sannita mi veniva consegnato il titolo di Primo Sommelier della Campania¤. Fu per me una enorme soddisfazione.

Angelo Di Costanzo, Primo Sommelier Campania 2008

Più del bellissimo ricordo di quel giorno, ripensando al pianto di quella notte in macchina mentre rientravamo a Napoli, mi viene però in mente il dolce e l’amaro del nostro mestiere: le soddisfazioni, piccole o grandi che siano arrivano, è vero, ma quanta fatica in più senza riferimenti, qualcuno che ti guida, crede in te, ti sostiene: si rischia continuamente di perdere la bussola.

La formazione dei professionisti di domani viene ancora considerata una questione assai marginale, qui al sud in particolare; associazioni ed enti diciamo così ‘promozionali’ non mancano, spesso però si sovrappongono talvolta in chiaro contrasto, sono molto attente a fare proseliti ma il più delle volte solo per istituire corsi e bevute più o meno memorabili dietro il pagamento di laute quote di partecipazione.

Il rischio ormai conclamato è di finire a produrre pezzi di carta fini a se stessi buoni giusto per riempire le pareti di casa e qualche curricula. Insomma, titolifici¤ lontani anni luce dal mondo del lavoro.

La distanza si allunga sempre più. Non entro nel merito della questione, non ho nessuna intenzione di alimentare polemiche sterili, il paese sta attraversando un momento tremendo, in molti devono sbarcare il lunario e lo capisco pure, il dato di fatto però è chiaro: a pochi sta a cuore la faccenda, pochi investono seriamente sulla formazione, soprattutto sembra mancare del tutto il contatto con la realtà lavorativa. E chi può, quei pochi, pochissimi talenti ormai rimasti in giro si vedono costretti a scappare via altrove, talvolta persino dall’Italia. Ahinoi!

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Appunti e virgole per il 2014

4 gennaio 2014

Col nuovo anno ci si prepara belli carichi ad affrontare un anno intenso di lavoro; tra le prime tante cose si ha che fare con molte scartoffie piene zeppe di appunti, numeri, dati da cui trarre indicazioni sul da farsi. Qua e là qualche parola sottolineata o segnata col rosso.

Programmazione. Le aziende ci passano notti insonni ma è ormai un parolone vuoto caduto in disgrazia. Sommelier, ristoratori, agenti un tempo orgogliosi di poter contare su una programmazione coi fiocchi oggi vivono praticamente alla giornata.

Prodotto in assegnazione. Ai bei tempi non è che avesse mai avuto un senso sensato ma per molti era un appiglio per suscitare languore ed acquolina. Certe aziende se ne crogiolavano, alcuni rappresentanti avevano imparato a farne arma letale. Caduto in disuso è ormai prassi dire semplicemente ‘non so se è ancora disponibile’.

Premiato col Tre Bicchieri. ‘Datemi un Tre Bicchieri e ci solleverò il mondo’. Non è ancora dato sapere chi fu il primo a dirlo ma certo per anni ci hanno marciato in molti. Un riconoscimento è un riconoscimento ed è giusto goderselo fino in fondo e quale che sia l’opinione che si ha di questa o quella guida poco importa, mai nessun premio ha mai portato con se una carica di adrenalina tale come quello del Gambero. Checché se ne dica per anni è stato manna dal cielo per molte aziende, rappresentanti e, diciamolo a chiare lettere, per enotecari e sommelier di ogni dove.

Rapporto Qualità-Prezzo. Questo sconosciuto. Per molti appena in piazza bastava guardare cosa facesse il vicino per determinare i propri prezzi, certe volte appena qualche centesimo in meno per sentirsi ‘avanti’ o 50/60 in più non tanto per essere temerari ma più semplicemente per autoreverenza: ‘perché io valgo’. Nessuna indagine di mercato particolare, studio dei costi, del mercato, del proprio prodotto, niente. Tuttalpiù ci avrebbe poi pensato il 10 a 2 o il 6+4 a rimettere le cose a posto.

‘Titolifici magari anche redditizi, i cui attestati valgono però molto poco…’

25 novembre 2013

Rilancio volentieri un post scritto stamattina da Daniele Cernilli qui¤ su Doctor Wine, un pezzo che tocca argomenti da sempre a me cari e più di una volta affrontati anche qua su queste pagine.

Quella del ‘todos sommelieros’ è ormai realtà conclamata, un rischio a lungo sottovalutato (o poco attenzionato) negli ultimi anni perché alle prese in larga parte a fare i conti con la cassa anziché con un mercato del lavoro sempre più in crisi e alla ricerca di figure specializzate e, soprattutto, disposte a lavorare e crescere seriamente in ambito professionale e non soltanto per un servizio o due la settimana come dopolavoro (molto ben retribuito in seno al Gruppo Servizi dell’Associazione).

Per essere chiaro: è curioso come gente che fa altro per campare, lavora in banca, fa l’assicuratore, talvolta c’ha addirittura il posto fisso fa regolarmente il ‘sommelier’ quando nei ristoranti si grida¤ da tempo alla mancanza di personale qualificato. Certo nulla in contrario che ciò possa accadere ma se continuiamo solo in questa direzione cosa ne sarà della professione? Manco a farlo apposta, proprio questa questione è stata al centro di un piacevole quanto accorato confronto avuto mercoledì scorso a Milano con il presidente dell’Ais Maietta.

> Doctor Wine 2013 http://www.doctorwine.it

Senza una donna che ti sta dietro non sei niente

14 ottobre 2013

Ogni volta, negli ultimi anni, più o meno in Aprile. Questa mattina si riparte, comincia la stagione a Capri. Le borse sono pronte, le ultime cose me l’ha sistemate con cura iersera. Al treno (per arrivare al porto) mi accompagnano lei e Letizia. E’ una levataccia ma preferisce che sia così.

E’ una mattinata carica di tensione e scandita da quiete e silenzi. Le parole certe volte sono mute, non le senti, ma non per questo puoi pensare di non ascoltarle: sono lì e rimbalzano nel vuoto come sassi contro il muro.

Non sono l’unico certo, e non sarò l’ultimo. Accade che metti da parte la famiglia, l’amore, gli amici per il lavoro. Il tuo preziosissimo lavoro. T’illudi di portarli con te per non rimanerci male, per darti coraggio ed in fondo per sentirti con la coscienza a posto. Non è affatto così.

Quanto costa tutto questo? Non ha prezzo, e tutto il tempo che gli levi non lo recupererai mai. Ecco perché senza una donna che ti sta dietro, che ti sostiene, che ti ama, che cresce i tuoi figli nonostante te, non sei niente!

Credi di essere bravo? Fatti avanti, non temere

13 ottobre 2013

Hai saputo di Letizia¤? Mamma mia che botta di vita…

Capri? Che dire, mi piace, ci sto bene e mi sento al centro di un progetto stimolante e proiettato con forza e determinazione in avanti. Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo, significativo. E poi c’è un bel gruppo di lavoro, solido, ambizioso e consapevole degli obiettivi (quelli possibili e quelli impossibili pure).

La seconda stagione volge al termine, la cantina comincia a prendere una certa forma; i numeri ci dicono che abbiamo fatto un gran lavoro quest’anno ma credo ci voglia ancora un po’ di tempo per vederne a pieno i frutti, pian pianino però si farà: anzitutto la Campania, prima di tutto la Campania – giochiamo in casa cavolo! -, poi va bene anche tutto il resto. E la Francia. Altro obiettivo importante è alleggerirla al più presto di quei vini ormai un po’ ‘fuori tema’ (i superqualchecosa) che poco c’entrano con la nostra cucina. Magari ci teniamo solo quelli storici, buoni, ricercati. Uno o due anni ancora e ci siamo: bisogna venderli però, non possiamo mica regalarli…

Fronte caldo il web. Da un po’, con una certa frequenza, scrivo sul blog di Luciano Pignataro¤, ormai un riferimento; mi piace e mi aiuta molto a confrontare il mio modo di vedere il mio lavoro col mondo del vino e con la gente, almeno quella che gira in rete. Ho iniziato pure a tenere qualche degustazione¤ qua e là; altra situazione importante questa, altri stimoli, ancora idee a confronto. Poi ci sono i pensieri e le parole che sto provando a mettere on line anche sul mio blog, qui su L’Arcante. Pare che la cosa funzioni, mi rilassa, mi diverte e viene pure seguita.

P.S.: tutte le guide quest’anno parlano di noi, tutti plaudono al nostro lavoro, L’OLivo è sulla bocca di tutti e il Riccio ha fatto un boom! pazzesco. Oliver¤ però ha deciso di lasciarci, desidera mettersi in proprio. In rampa di lancio c’è Andrea. E’ il 2010.

Pare ci siano diverse specie di sommelier…

10 ottobre 2013

Mi sono messo in testa di fare i concorsi. Sono ormai tanti anni che frequento (poco per la verità) l’ambiente napoletano dei sommelier e non mi convince. C’è qualcosa che non va, che non mi spiego. Pare che il professisonista, sia esso ristoratore o altro venga sistematicamente ignorato. Tagliato fuori.

Ai corsi, ai Master, ciarlano di professionalità e formazione esemplare. Si riempono la bocca con paroloni ridondanti, programmi inappuntabili ma poi a decidere le sorti della professione è sempre la stessa gente che pensa solo ed esclusivamente a battere cassa facendo corsi e servizi; gente che – incomprensibilmente – tiene i fili del sistema ma fa tutt’altro nella vita: lavora in banca, fa l’assicuratore, il farmacista, il rappresentante di profumi e balocchi oppure, mestiere in forte espansione, ‘il sommelier a chiamata esclusivamente in seno al gruppo servizi’. Magari mi sbaglio ma la realtà mi pare questa.

Ecco, chissà che altrove possa cogliere qualcosa di nuovo. Mi sono iscritto alle prove d’ammissione al Concorso Miglior Sommelier d’Italia 2006, si tiene a Reggio Calabria. Non ho la più pallida idea da dove cominciare, cosa studiare, a chi riferirmi. Non ci sono riferimenti. Però ci provo lo stesso, vediamo che succede.

Più in là: caro diario, chiamami capatosta ma ci riprovo ancora quest’anno. Anzi, sai che ti dico? Raddoppio. Mi iscrivo anche a quello regionale, dicono che quest’anno si farà il concorso ‘Primo Sommelier Campania 2007, si terrà alla Mostra d’Oltremare durante Vitigno Italia. Ah, quasi dimenticavo: a fine Luglio mi sposo!

P.s.: il titolo poi l’ho vinto¤, a Giugno 2008¤, l’anno dopo: ‘Primo Sommelier della Campania’. E a Settembre dello stesso anno, a Roma¤, al Cavalieri Hilton, davanti a più di 500 persone sono stato premiato da una giuria speciale con la ‘Spilla d’Argento Charme Sommelier¤‘, unico a rapresentare il Sud là sul palco su oltre 30 sommelier provenienti da tutta Italia. So’ soddisfazioni o no?!

La prima volta al ristorante (certo non è che l’abbia sognata proprio così, ma tant’è…)

1 ottobre 2013

Luglio 1990, i primi passi. Caro diario, così questo fine settimana è andato via. Sono distrutto. Non pensavo fosse così dura fare il lavapiatti. Che poi ieri quel matrimonio non finiva più, alle due di notte ‘pasta e fagioli con le cozze’: questi sono matti!

A fine serata sono salito in sala, i ragazzi stavano sistemando i tavoli per la comunione di domani, gli ho portato i bicchieri da passare. Non so, ho avuto una strana sensazione. E poi – cavolo! mi sono detto – tra loro ho riconosciuto Alfonsino, gioca i tornei di calcetto nel Rione, lo chiamano El Buitre, è fortissimo!

Ludovico, il capo chef, è una brava persona, almeno così mi sembra; ieri mattina, mentre pulivo le cozze mi ha avvicinato chiamandomi Pino Daniele (dice che gli rassomiglio, boh…) attaccando bottone con me. Ha saputo da uno dei proprietari che papà fa il pescatore, dice di conoscerlo e con lui i miei tre fratelli. Mi ha detto che sono ancora in tempo a lasciar perdere, che questo è un mestiere duro e pieno di sacrifici. Gli ho risposto che per quello che vedo fare a mio padre, Nicola, Vincenzo e Nunzio non c’è da preoccuparsi, loro sì che si fanno il mazzo.

Mamma però ieri s’è rammaricata parecchio, mi ha visto le mani tutte piene di piaghe e mi ha intimato di non tornare al lavoro. Gli ho spiegato che mi si erano rotti i guanti e che la lavastoviglie non funzionava (non ci sono soldi al momento, hanno detto). Tutto però tornerà a posto settimana prossima. E poi vuoi mettere che finalmente non dovrò più chiedergli soldi? Anzi domani gli passo 20.000 lire da quello che ho guadagnato. No, indietro non si torna, non si torna no.

Professione Sommelier|Il servizio? Quello che i libri non dicono: è appena il 30% del tuo lavoro!

14 luglio 2013

Lo ripeto spesso ai miei più stretti collaboratori. E’ un insegnamento prezioso che mi tengo molto caro: se hai fatto tutto quanto necessario per metterti in linea con le ‘duties’, che tu lavori in un ristorante tradizionale o in un posto gurmé tutto ti viene più facile.

L'OLivo, Cantina del Giorno

Dico: se la carta dei vini è in ordine, con le bollicine, i bianchi e i vini dolci tutti a disposizione in frigo, la cantina del giorno a posto, i bicchieri in mis en place perfettamente puliti e tutto quanto necessario per il servizio pronto per l’uso, non hai da temere impasse.

Certo, c’è l’imprevisto. Una richiesta particolare, un momento durante il servizio che diviene concitato, magari perché un vecchio sughero ti si spezza o una bottiglia che apri non ti convince del tutto. Cosa fai? Niente panico, con la calma si risolve tutto. L’errore ci sta, quando si sta in sala capita di commetterne, ma è come lo si gestisce che fa la differenza. Per dirla con un vecchio adagio pubblicitario ‘la sicurezza è nulla senza il controllo’.

Fare il sommelier significa lavorare duramente da mediano. Quelle due/tre ore in sala non sono altro che l’atto conclusivo di tutto un giorno di lavoro. Quanto si fa in sala, il servizio in senso stretto dico, è appena il 30% del lavoro. Poi vabbé, c’è chi preferisce pensare ad altro, ai lustrini, a sgomitare, sculettare e dipingere iperboli per farsi bello e bravo. Ci sta, a qualcuno piace più stare sul palco che nella realtà…

Oggi me ne vado al mare, se trovo i doposci…

16 giugno 2013

Entrando dal fruttivendolo noto subito delle bellissime pesche bianche. Chiedo quanto vengono al chilo e, se possibile, la loro provenienza. ‘Guardi, non saprei dirle, io tra l’altro sono Geometra, di frutta non ci capisco granché, ma vanno via a ‘due lire’ e col vino, come aperitivo – mi creda -, c’ho preso il diploma, ci stanno alla grande!’.

Frutta e Verdura

Avevo male a un dente. Un molare per la precisione. Un po’ di carie, ma soprattutto mancavo di fare una pulizia decente da qualche anno, insomma la solita abitudine a sottovalutare la prevenzione. Chiedo a un amico, Gerardo – un caro amico -, se conosce qualcuno che mi possa aiutare. Mi porta dall’avvocato: ‘scusa, ma che ci facciamo dall’Avvocato?’. ‘Non ti preoccupare: chillo è avvocato? E sta bene. Sa il fatto suo…, poi ci diamo una cassa di vino – quello ci capisce – e tutto si aggiusta!’

L'Avvocato

La mia macchina viaggia per i 204.000 chilometri. Peugeot 206, del ’99. Consuma un po’- olio soprattutto -, gli ho appena rinfrescato il motore con due litri, ieri l’altro. Da qualche settimana però mi fa le bizze, anzi, mi fischia. Saranno i freni, mi son detto. Sono i freni. ‘Uno di questi giorni sarai costretto a frenare coi piedi per terra, mi sfotte Nando (un amico). E portala a vedere da un Veterinario; quello che ci mette, dieci minuti, ci fa un check-up e via! Mo’ se preso pure il diploma…’.

Il Veterinaio

Vabbè dai. Fermiamoci qui. Potrei continuare all’infinito. Si, sono tutti sommelier. E sono tutti i nuovi clienti del tuo ristorante e di questo dove lavoro io. Clienti, quelli di oggi, con la ‘C’ maiuscola: che conoscono, che bevono, che fanno i ‘laboratori’, i ‘seminari’, che sanno. Però, ogni tanto mi viene lo stesso da domandarmelo: ma che c’entra il Geometra, l’Avvocato, il Veterinaio, l’Assicuratore, l’Otorinolaringoiatra, il Segretario (comunale, amministrativo, con varie attitudini) col mio mestiere? E dire che hanno studiato, talvolta sono finissimi intellettuali, si sono dannati l’anima per non finire a fare, come me, il cameriere; e poi…

Angelo Di Costanzo, Sommelier

Eh già, quello che s’atteggia sarei io. Troppo serio. Anzi, ‘quello che si prende sul serio’. Ebbene si, è vero, io faccio il Sommelier. Solo quello so fare. Il Sommelier, solo quello mi va di fare. Seriamente!

Intervallo| Vorrei bere per cent’anni

6 giugno 2013

Copertina Libro

L’acidità, il pH e quel maledetto gusto personale: che ne dite, è il caso di fare un po’ di chiarezza?

12 febbraio 2013

I sapori dolci sono popolani mentre quelli acidi conservano un non so ché di quasi intellettuale. Più di qualcuno la pensa così, non sempre a ragione. Tant’è che l’argomento mi appassiona, così ho chiesto all’amico Gerardo Vernazzaro¤ un suo piccolo contributo sulla questione della “deriva acidistica” ripresa qualche post in là¤. Quanto segue non è certamente del tutto esaustivo sulla faccenda, mi pare però chiarire alcuni aspetti e quindi di larga utilità per chi ci legge. [A.D.]

Gli acidi organici contribuiscono in modo determinante alla composizione, alla stabilità microbiologica e chimico fisica ed alle qualità sensoriali di tutti i vini; l’altro parametro fondamentale in relazione all’acidità è il pH, che esprime la “forza acida” di un alimento, nel nostro caso, del vino. E’ fondamentale definire dei valori medi di acidità totale e di pH nei vini prima di introdurre termini quali “basso”, “elevato”, “sostenuto” ecc.

Possiamo affermare che l’acidità media di un vino può essere compresa tra 4,5 – 8 grammi per litro ed il pH può essere compreso tra 3 e 4. Qui va chiarito un punto: mentre l’acidità è espressa in grammi litro (g/l), quindi più comprensibile, il pH è adimensionale ed appare spesso come astratta e teorica in quanto definita matematicamente come logaritmo negativo a base 10 della concentrazione di ioni d’idrogeno associati a molecole di acqua: pH=-log 10 [H3O+]; ai fini pratici dunque, per una maggiore comprensione del ph, diremo più semplicemente che esso esprime la “forza acida” di un vino, tenendo conto che la scala del pH va da 0 a 14, con la neutralità a 7, definendo quindi le sostanze acide in un intervallo compreso tra 0 e 6,99 e le sostanze basiche nell’intervallo da 7,1 a 14.

Il vino ha mediamente un ph compreso tra 3 e 4 e fa parte quindi della famiglia delle sostanze acide. Più alto è il valore di acidità, più basso è il pH (più si avvicina a 3), più l’acidità è bassa più il pH è alto (più si avvicina a 4). Si aggiunga che un vino bianco con acidità totale 6,5 – 7,5 g/l e pH 3,10 – 3,30 ha maggiore potenziale di conservazione e quindi maggiore longevità; un vino bianco invece con acidità totale pari a 4,5 – 5,50 g/l e pH 3,40 – 3,70 avrà minore potenziale di conservazione, meno longevità quindi, ma sicuramente una maggiore godibilità nell’immediato.

Il pH gioca un ruolo fondamentale in enologia anche ai fini della selezione microbica durante la fermentazione alcolica in quanto intorno al valore 3 si adattano e lavorano meglio i lieviti, mentre intorno al 4 sono anzitutto i batteri che trovano un ambiente favorevole al proprio sviluppo; così in un mosto con una acidità elevata ed un pH basso prossimo a 3 come valore, durante il processo fermentativo saranno favoriti i lieviti, mentre a pH alti, prossimi  a 4 ad esempio, saranno favoriti batteri lattici, quelli acetici ed altre famiglie che vanno confondendosi ai lieviti; la fermentazione così non risulterà “pulita” col primo rischio di trovarci in presenza di fermentazioni miste di lieviti e batteri ottenendo quindi vini sommariamente “sporchi”, con effetti chiaramente negativi sulla qualità e sulla finezza espressiva; rischio questo che in annate particolarmente calde, col pH che tende a valori alti, conduce inevitabilmente ad un abbassamento della qualità dei profumi varietali a favore di quelli post-fermentativi; in definitiva mosti con ph bassi e acidità totali elevate danno garanzia di pulizia fermentativa conservando un’accentuata naturale capacità di sfidare il tempo.

Per quanto riguarda i vini rossi va aggiunto che ben sopportano acidità più basse e pH più alti in quanto i composti fenolici in essi contenuti ne accentuano il gusto acido e contribuiscono ancor più alla loro tenuta nel tempo. Ovviamente, per il loro reale potenziale evolutivo contribuiscono alla causa anche l’alcol ed i polifenoli totali.

Ma quali sono questi acidi? I principali acidi organici dell’uva sono l’acido tartarico, l’acido malico e l’acido citrico. L’acido tartarico è il più rappresentativo dei mosti e dei vini ed è poco diffuso in natura al di fuori dell’uva; diluendolo in acqua e degustandolo siffatto presenta una sensazione strenuamente amara, nei mosti e nei vini il suo quantitativo varia da circa 3 a 6 g/l in base alla zona di produzione (nord o sud), l’annata (calda o fresca) e la tipologia di suolo. L’acido malico si riscontra in tutti gli organismi viventi ed è abbondante sopratutto nelle mele verdi da cui il suo nome, quindi il suo gusto è da associare alla sensazione della mela acerba, quindi  un acido “tagliente”; la sua concentrazione è variabile da 1 a 5 g/l e la sua presenza viene compromessa soprattutto nelle annata particolarmente calde.

Per i vini bianchi la tendenza attuale è quella di preservare l’acido malico per garantire al vino una maggiore freschezza e giovinezza, mentre per i vini rossi nella maggior parte dei casi viene fatta svolgere ad opera dei batteri lattici la cosiddetta fermentazione malolattica, che altro non è che la trasformazione dell’acido malico in acido lattico: per ogni grammo di malico si generano 0,67 circa di lattico, quindi assistiamo ad un calo del contenuto di acidità e sopratutto al cambiamento della qualità sensoriale, in quanto l’acido lattico è un acido che potremmo definire più “dolce” o “morbido”. L’acido citrico è molto diffuso in natura, ad esempio negli agrumi, sopratutto nel limone, tant’è che il suo gusto è da associare proprio a quello del limone acerbo; è il meno rappresentativo e il suo quantitativo medio è compreso tra 0,5 – 1 g/l.

Per meglio completare il quadro acidico di un vino dobbiamo fare un breve accenno anche agli altri acidi organici che si generano in fermentazione, primo tra questi è l’acido acetico prodotto soprattutto per l’attività dei batteri acetici dopo la fermentazione ed il suo quantitativo nei vini sani può variare tra 0,2 a 0,6 g/l, con casi particolari dove può raggiungere anche 1 g/l, soprattutto nei vini rossi di lungo invecchiamento dove l’acido acetico può giocare un ruolo sensoriale positivo e complessante. Vi è quindi l‘acido lattico nelle forme D e L: il primo di origine batterica, il secondo prodotto dal metabolismo dei lieviti, l’acido succinico il cui tenore nei vini si aggira intorno a 1 g/l, l’acido butirrico, l’acido propionico ed altri.

In enologia si parla di acidità totale sommando la gran parte degli acidi presenti in un vino, l’ acidità volatile espressa in g/l di acido acetico e l’acidità fissa che si ottiene sottraendo il valore dell’acidità volatile dall’acidità totale. Queste “tre forme dell’acidità”  unitamente al pH hanno una grande  influenza sensoriale e giocano un ruolo importante nella formazione degli equilibri gustativi con le sensazioni dolci (zuccheri e alcoli, glicerolo, mannoproteine) e con le sensazioni amare (composti fenolici); quindi non dovremmo parlare di bella acidità ma più precisamente di “equilibrio acidico” in quanto una acidità elevata con un pH basso, non bilanciata da un buon contenuto di glicerolo o di polisaccaridi da lievito o da legno, potrebbe avere un effetto poco piacevole sul piano sensoriale o quantomeno sbilanciato. L’acidità dunque va sempre valutata in rapporto ad altre numerose sostanze presenti nel vino e dal suo bilanciamento ed equilibrio con queste.

Così, come in musica le note devono essere ben bilanciate per comporre una buona armonia, anche nel vino non dovrebbero esserci note stonate, anche se ultimamente più di qualche addetto ai lavori sembra lodare ad oltranza “l’acidità” di un vino senza precisarne i canoni, creando così tanta confusione tra le varie legioni di appassionati chiaramente non sempre, o non tutti bevitori esperti, lasciandoli così in balìa di tutta una serie di considerazioni che poco aiutano a fare chiarezza, anzi, confondono oltremodo.

Gerardo Vernazzaro, enologo e viticoltore a Cantine Astroni¤.

F.F.S.S.| Fatti Forte Super Sommelier

28 gennaio 2013

Non ho tanto da aggiungere alle solite tante raccomandazioni¤ che vale la pena ripetere a chi voglia avvicinarsi alla professione di sommelier, un ruolo sempre più al centro dell’attenzione nella ristorazione di qualità come in altri ambiti, anche diversi, ma ad essa magari correlata, come ad esempio la comunicazione o la consulenza. Studiare è la parola d’ordine, conoscere la chiave di volta.

Resistenza - fonte web

Questi invece alcuni aspetti – certi anche nuovi ed insoliti, altri un po’ meno -, che mi sento però di sottolineare in funzione di una figura professionale all’avanguardia, moderna e sempre più votata alla qualificazione di un sommelier-comunicatore per eccellenza. O giù di lì.

1- La chimica, non solo quella più chiara e comprensibile: atomi, molecole, ossido-riduzioni, reazioni acido-base, decomposizioni, reazioni organiche, cose del genere insomma; appaiono argomenti sempre più utili da trattare con padronanza, per stare in scioltezza dinanzi ai clienti. 

2- Lo slogan può apparire nuovo ma è estremamente contemporaneo: Dire, Fare, Potare. 

3- Scriverci articoli sobri dei vini che piacciono di più, incuriosiscono o si vendono. Pochi possono oggi permettersi una carta dei vini senza Minutolo, Verdicchio o Pignoletto. 

4- Sui cosiddetti Vini Naturali, puzzette e sfighe varie a parte, lascia dire, fare agli altri, per il momento. C’è in atto una guerra¤ e il fronte non è ancora cosa tua, almeno sino a che non decidono quali armi di distrazione di massa sono ammesse! Mettici su un bel cartello “Lavori in corso”¤. 

5- Archeologia della vite, la vecchia nuova frontiera sempre di moda di tanto in tanto; non ancora del tutto sondata vanta però almeno un centinaio di trattati inediti ed inesplorati che non possono mancare nella biblioteca di un sommelier moderno esperto ed attento. Che prima o poi sarà utile rispolverare. 

6- O sei “con” oppure “contro”. Un poco per i caxxi tuoi nemmeno a pensarci! Non suona bene, anzi, mi sa tanto di una trama già letta. Ma quel sangue lì sulle maniche della camicia sembra dire qualcos’altro. 

7- Quanti vini hai bevuto nell’anno? Quanti ne hai capiti? Quanti ti hanno parlato al cuore? E che cavolo! Un po’ di francese però ti tocca, se continui a scrivere cru con l’accento perché lui ti si presenta così, con la r un po’ moscia e col naso all’insù non va bene, non va mica bene. 

8- Dieci aziende, ne dovresti aver visitate durante l’anno almeno dieci. Solo un paio di prescrizioni: attenzione alle quota rosa, molta attenzione alle quote rosa; e buttaci dentro quantomeno uno o due di quelle proprio piccole, tipo scantinato e, mi raccomando, col torchio ben in vista nelle foto. Non serve a nulla sciorinare immagini d’ordinanza con alle spalle l’opera ultima del Mago di Oz se poi t’ha sbancato la collina e l’ha trafitta con tubi e cemento a go go: è roba vecchia! 

9- I.C.R.F.. Cos’è? Beh, se pensavi di saper tutto di quell’azienda sappi che ti sbagli di grosso; è questa la vera carta d’identità del vino italiano, quella tracciabilità che tutti vomitano come un valore ma che in molti preferiscono nascondere dietro un codice. Impara a riconoscerlo ed avrai il 30% delle risposte di cui hai bisogno. 

10- Alla fine, se ci riesci, migliora il tuo servizio, a stare in sala, in una brigata magari, ad avere a che fare con gli ospiti. A fare il tuo lavoro insomma. E’ vero, le associazioni che dovrebbero sostenere e far crescere queste qualità di un sommelier hanno altro per la testa soprattutto in questo momento di magra: nuovi iscritti, corsi, diplomi, guide; più ne fai e più sei ricco, pensano. Come se fosse quello l’unico scopo di tutto: una tessera, una bevuta, un pezzo di carta, l’ennesimo catalogo. I soldi.

L’Arcante – riproduzione riservata ©

Un sommelier ha 10 certezze assolute in testa, tutto il resto sono solo sogni che scalpitano…

13 agosto 2012

Da domani ritorno a raccontare di vini – domani o più in là vediamo, incalza Ferragosto -, ho saggiato infatti diverse cose parecchio interessanti in quest’ultima settimana che varrebbe la pena segnalarvi. Stamattina però mi sono svegliato con un grillo per la testa…

Eh sì, anch’io avevo le mie aspettative una volta finita la scuola, ancor più dopo i primi passi al ristorante. Poi le prime incertezze – ma chi me lo fa fare?, ti chiedi mentre gli amici vanno al mare -, salvato da certi sogni da inseguire, progetti da realizzare, con al centro il lavoro che diventa ogni giorno più tuo, fare il sommelier. Con tutti gli annessi e connessi del caso. Possibilmente senza rimpianti (o quasi).

Così mi sono venuti alla mente una decina di punti, chiamateli pure “passaggi obbligati” se volete, l’ordine temporale decidetelo voi, se ne può certamente discutere ma non passarci sopra. Eccoli…

1. Trovare un lavoro capace di dare soddisfazioni.

2. Lavorare in un posto dove con altri si possano condividere esperienze e crescita professionale.

3. Stappare finalmente “la bottiglia”, una di quelle che fa sospirare ed esclamare: “cazzo, allora esistono per davvero sti’ vini!”.

4. Lasciare quel lavoro dopo un giusto tempo di maturazione per trovarne un altro ancor più soddisfacente in termini professionali ma anche economici. O aprire una propria attività, che non è proprio lo stesso ma va bene comunque.

5. Concorsi, riconoscimenti, cotillons: eppure ripartire sempre con grande slancio con la convinzione che il traguardo raggiunto sia solo una linea di partenza e non un punto di arrivo.

6. Fare del proprio meglio – sempre! – per dare piena soddisfazione al cliente e accontentarsi di riceverne poco meno della metà. Quando accade.

7. Stappare un La Tache del ’90 di Romanée Conti e un Mouton Rothschild dell’82 e coglierne al volo le primarie differenze (fazzoletto alla mano). Parliamo di fenomeni!

8. Come qualsiasi vino, senza la propria terra, una storia di valore, soprattutto credibile, non si va da nessuna parte. Quindi non sarà mai una cattiva idea studiare per diventarne l’ambasciatore.

9. Mettersi in discussione, sempre. Anche quando si pensa di essere il numero 1 (!).

10. Sorridere, che è la cosa più saporita della vita.

Professione Sommelier, ci sono capsule e capsule

28 luglio 2012

Eh sì, l’argomento torna perentorio ogni qualvolta la sera prima si corre il rischio di rimanerci fregato. Un paio di settimane fa, dopo aver scritto questo post (leggi qui) ho avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con alcuni “tecnici del settore” ma anche e soprattutto con alcuni produttori di vino evidentemente sollecitati dall’argomento. Loro mi hanno detto la loro, che più o meno provo a sintetizzare, poi io ci metto ancora del mio…

La capsula in PVC = competitività. La parola d’ordine per chi sceglie questo tipo di chiusura è la competitività; difficile infatti trovare equilibrio fra estetica e controllo dei costi, soprattutto quando ci si deve confrontare con i canali della GDO dove il giusto rapporto qualità-prezzo è di fondamentale importanza.

Le capsule termoretraibili vengono realizzate a partire dalla materia prima acquistata in bobine, vengono poi verniciate sulle linee rotocalco dove si effettua la verniciatura del fondo e una prima personalizzazione che si ottiene attraverso cilindri di stampa disposti su tutta la larghezza della rotocalco. Il semilavorato, una volta verniciato e tagliato viene avviato nelle linee di formatura, dove le capsule vengono modellate attraverso un processo di termoretrazione su appositi mandrini conici. Anche in questo caso, nelle macchine di formatura, le capsule possono essere ulteriormente personalizzate con stampe a caldo e punzonature, sia sulla testa che sulla parete.

Tecnicamente facili da approcciare possono creare una qualche difficoltà quando il pvc non è di altissima rifinitura, strappandosi letterelmante sotto il coltellino del cavatappi. Con mano ferma però ed un po’ di esperienza l’apertura è regolare ed abbastanza veloce. (A.D.)

La capsula in Polilaminato, viva la modernità e l’eleganza. Le capsule in polilaminato sono essenzialmente costituite da un sandwich di Alluminio – Polietilene – Alluminio. Sia l’alluminio che il polietilene, vengono acquistati in bobine che vengono lavorate all’accoppiatrice, capace di produrre fino a 250 metri/min di materiale. Il semilavorato viene poi verniciato con dei colori di fondo ed eventualmente personalizzato con le grafiche richieste nelle linee rotocalco. Grazie al connubio fra la forza dell’alluminio e l’elasticità del polietilene, si ottiene una gamma di prodotti particolarmente adatti per tutti quei vini che devono, comunque, distinguersi anche a livello di packaging.

Se ti capita tra le mani una brochure promozionale di una qualche azienda non è raro trovare descrizioni del genere: “durante la fase di apertura, la sua eccezionale duttilità esalta al massimo questo importantissimo momento”. Bene, ma è davvero così? Non sempre, e di sicuro c’è da starci seriamente attenti; perché anche qui c’è Polilaminato e Polilaminato. Il più delle volte ti capitano capsule pessime, sottilissime, che hanno lo stesso potenziale letale di un Boker Magnum 02RB3 (qui); diciamola tutta, ne faremmo davvero a meno!

L’impressione è che sono sì facili da approcciare ma proprio qui rimani fregato. Il coltellino del cavatappi gli scivola intorno velocemente ma la dentatura spesso ne trattiene qualche briciola rendendo la capsula praticamente un’arma letale anche solo sfiorandola con le dita. Bisogna metterci molta attenzione, e 1 a 10 un paio di dita rischi sempre di rimettercele. (A.D.)

La capsula in stagno, un po’ amarcord e un po’ tradizione. Con i moderni impianti e materiali selezionati si ottiene di sovente un prodotto capace di adattarsi perfettamente al collo di ogni bottiglia. Nelle fasi di verniciatura, serigrafia e timbratura, vengono poi eseguiti i più svariati lavori di decoro e personalizzazione indispensabili per completare l’abbigliamento delle bottiglie destinate a contenere vini di grande pregio riservate alla clientela più attenta ed esigente.

Risultano un po’ “pesanti” da aprire e non sempre il taglio è lineare e scorrevole tant’è che spesso capita di doverci ritornare ancora una volta su per effettuare un taglio più decisivo e funzionale. Meglio procurarsi un cavatappi veramente dei migliori o una levacapsule piuttosto efficace. (A.D.)

Pillole di vita da sommelier, “Odi et Amo” #1

8 giugno 2012

E’ da un po’ che mi girava per la testa, invero è da un po’ che dovevo – a domanda – delle risposte: a Claudio, Piero, ma anche ad Alessandro che più di una volta si sono chiesti e mi hanno detto “quanta fortuna fare il sommelier lì a Capri...”.

Ore 8,30/9.00 del mattino, poco dopo il caffé.

Amo. Ci sono giornate che comincio a rincorrere bottiglie dalle otto e mezzo/nove del mattino: quelle che la sera prima hanno consumato e vanno rimandate al Riccio – con, eventualmente, carta aggiornata e stampata -, quelle che deve ritirare il Bar degli Artisti, quelle da rimpiazzare nei frigo a L’Olivo uscite il giorno prima. E quelle che vanno al Bistrot Ragù, meno impegnative ma pur sempre da tenere sotto costante controllo. Almeno un centinaio, nelle giornate più “cool” talvolta anche più, da rincorrere su e giù per la Cantina del Giorno, in La Dolce Vite o nel deposito. Un lavoraccio? Più o meno, ma che mi piace ed amo perché dà valore alle scelte, e valore – ancor più prezioso! – al lavoro dei ragazzi che con me le propongono, presentano, servono al meglio, al loro meglio.

Odio. Un po’ mi scoccia, è vero, ma come si fa? E’ pesante mettere ogni giorno tutto a posto quando gli spazi sono quelli che sono, i tempi poi, manco a dirlo; 8/9.000 bottiglie l’anno da far fuori in 4/5 mesi di stagione buona. Tante, anche questo un lavoraccio, duro, per tutti: per Gennaro che talvolta è immerso nelle carte, per Dario, Sabatino – bontà loro – che non mancano mai di offrire la spalla, per Claudietta che, poveretta, morde il freno a fare su e giù per le scale ma ohh!, non si risparmia mai. Non v’è rimedio, è quanto necessario per garantire quello che proviamo a fare, offrire il meglio, alquanto più ci è possibile!

Ore 10,00/11,30: carta canta.

Amo. Nomi, etichette, annate, varietali, annotazioni. Talvolta c’è da perderci la testa: nuovi arrivi, passaggi di annata, revisioni, ma quanto mi piace metterci l’anima nel preparare una carta quanto più completa, affascinante, convincente, viva possibile!

Odio. Lo so, capita nei migliori ristoranti del mondo, ma quanto è banale bere ovunque nel mondo sempre lo stesso vino del cuore: “i would like any chardonnay, smooth, buttery, Napa style!”. Per fortuna sono sempre meno (di clienti che lo chiedono, il vino del cuore e di chardonnay Napa Style), ma aprila quella carta, sei a Capri mica in culo al mondo, guarda almeno cosa ha raccontarti…

Ore 19,30: quasi sempre sino a tardi.

Amo. I clienti attenti, anche severi, esigenti, pure quelli che si attaccano al taglio della zucchina nel Cotto&Crudo o alla goccia d’acqua trasudata della bottiglia appena alzata dal seau à glace. Sono di grande stimolo, ti fanno stare in allerta, correre e concentrare, ti fanno dare il meglio di te e quasi sempre riuscire nell’ardua impresa di sbagliare il meno possibile.

Odio. I fighetti, presuntuosi, altezzosi e soprattutto quelli incazzatissimi che ti arrivano al ristorante per aprirti in faccia tutte le valvole di sfogo possibili: “fa caldo”, “ma fa freschetto?”, “c’è poca luce” o “troppa, si può abbassare?”, “c’è rumore… e un posto più appartato?” o “troppo silenzio, mica saremo soli?”. Almeno passala la soglia, guardami, ho le braccia aperte, ti sto dando il benvenuto, prova a fidarti! Continua…

© L’Arcante – riproduzione riservata


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