Posts Tagged ‘eataly’

Intervallo|Siamo tutti fritti!

7 agosto 2013

E’ uno dei ricordi più vivi della mia adolescenza il fritto di mare. Mia madre, al sabato e alla domenica ci passava ore intere davanti a quella cucina a friggere merluzzi, triglie, suace, alici, sogliole per papà e miei fratelli di ritorno dalla pesca.

La frittura del Golfo di Pasquale Torrente

Che poi sino a qualche anno fa lungi dall’essere tra i miei piatti preferiti a tavola. Magari i calamari si, tondini a frotte, ma il pesce proprio no, mi scocciava sporcarmi le mani (e non dite che voi la frittura di pesce la mangiate con coltello e forchetta, vi prego, è abominevole!). Questo qui è il fritto di Pasquale Torrente¤, ‘Al Convento’ di Cetara.

Verticale storica Barolo Borgogno, le degustazioni

23 giugno 2012

A fine serata ci siamo seduti in terrazza, saranno state le una o giù di lì. Con me e Andrea Farinetti ancora un manipolo di colleghi, una dozzina di calici “belli alti” per l’Alta Langa pas dosé di Fontanafredda e una piccola “sciabola” di fortuna. E ancora, quei calici di Barolo messi là in cantina a prendere aria per tutta la sera, che avevano da dirci ancora tanto. Mamma che vini! Perché le cose più affascinanti e avvincenti vengono fuori davanti a un bicchiere di vino, e più ce ne sono (di bicchieri) e più se ne raccontano (di storie).

La storia di Borgogno è (quasi) tutta qua, mentre qui ci trovate i miei appunti di viaggio della passeggiata in langa dello scorso ottobre; oggi invece provo a raccontarvi l’emozione di questi quattro meravigliosi vini. Imperdibili!

Barolo Riserva 1978 Fu quella un’annata molto particolare, caratterizzata da un andamento climatico piuttosto irregolare. Nel dettaglio, il protrarsi delle piogge nel periodo della fioritura ne hanno drasticamente ridotto la produzione. L’avvento di condizioni climatiche ottimali a fine estate ed inizio autunno e soprattutto alla limitatissima quantità, hanno però consentito una buona maturazione delle uve, nonostante il clima non proprio favorevole. Ne è venuto fuori un Barolo di altissima levatura, strutturato e piuttosto concentrato. I dati registrati dicono che fu vendemmiato tra il 23 e il 26 ottobre (!), svinato a fine novembre e per almeno 1 anno lasciato in vasche di cemento; poi 4 anni e mezzo in botti di capacità medio/grande.

Ha un bellissimo colore granato, con l’unghia chiaramente aranciata ma luminosissima. Il naso appare infinito, nelle cinque ore tenuto nel bicchiere ad ogni passaggio ha saputo regalare nuove e piacevoli sensazioni: un tocco di cipria, foglie secche, sottobosco, gruè di cacao, mallo di noce, cannella e cera d’api. Il sorso invece è semplicemente stupefacente, secco e incalzante, lungo e di sostanza, ancora nerboruto, di spessore. Un piacere senza fine.

Barolo Riserva 1985 Annata estremamente regolare quella dell’85, con uve di grande qualità. Così ci si è potuti spingere “oltre”: in cantina la fermentazione è durata circa 15 giorni con temperature comprese tra i 26/28° C. Seguì macerazione a cappello sommerso di almeno tre settimane con svinature effettuate a partire dal 20 novembre. La fermentazione malolattica è terminata nel febbraio 1986 (!). Un secondo travaso all’aria verso fine febbraio ‘86 e quindi un terzo a Giugno. Poi solo legno in botte grande, sin da settembre ‘86.

Qui il granato è da manuale, perfettamente integro, più ricco addirittura del più giovane ‘96. Al naso subito nuances di fiori passiti e cassis, poi sentori di grafite, nocciola tostata e ancora sottobosco. Il sorso è copioso, di sostanza, teso e giustamente tannico. Finale di bocca lievemente caldo. Impeccabile!

Barolo Riserva 1996 Annata un poco complicata, come il vino nel bicchiere. I registri un po’ sgualciti riportano di un 1996 caratterizzato da un buon numero di precipitazioni piovose e da un inizio estate molto caldo, in particolare nella prima decade di giugno. Poi di un andamento altalenante, con forti escursioni termiche durante tutta la bella stagione sino alla regolare maturazione delle uve.

Il colore è di un bel granato vivace, integro, molto vicino, per trasparenza, al ‘78. Il naso rimane a lungo chiuso, ritratto, indefinito; poi, almeno tre ore dopo averlo messo nel bicchiere di colpo è una esplosione di varietale e terziari incredibili: viola passita e tabacco, terra bagnata, sottobosco, foglie secche, china e rabarbaro. Il sorso è spiazzante, ha tannino puntuto, sferzante, indomito, di tutta la batteria è certamente il meno armonico, ma forse, quello con più carattere e con un naso incredibilmente avvincente. Scontroso.

Barolo 2005 Due appunti tecnici: vinificazione di tipo tradizionale, con macerazione a cappello emerso di circa due settimane a temperatura controllata (primi gg. a 23°/25° C e fine fermentazione a 29/30° C) e successiva macerazione e post-fermentativa a cappello sommerso di durata variabile fra i 15 e i 25gg. Invecchiamento in botti di rovere di Slavonia di oltre 3 anni e mezzo con affinamento in bottiglia di circa 6 mesi.

Nel bicchiere è giovane e pimpante, ha colore rubino granato, concentrato ed è poco trasparente: il primo naso è molto invitante, sa di viole passite e amarena, quella nera e croccante; poi sentori speziati comunque dolci e avvenenti. Il sorso è secco, ha buon corpo e vanta buonissima bevibilità. Il tannino è importante ma non invadente, l’alcol ne compensa – in perfetto equilibrio – le spigolature, regalandogli beva sostenuta e profonda. Da bere a sorsi copiosi.

Serralunga d’Alba, Nebbiolo 2008 Casa E. di Mirafiore: rinasce così una storia d’amore in langa

5 novembre 2011

La storia di Casa E. di Mirafiore (E. sta per Emanuele, ndr) è piuttosto lunga, un tantino travagliata, e complessa. Una storia però affascinante, che non manca di raccontare di personaggi di primissimo piano, addirittura Re e Regine, di “preferite” e titoli nobiliari riparatori; e poi principi – tali e presunti – e fratellastri in arme; e ancora di vigne, vino, spartizioni, odio, vizi capitali e virtù smarrite.

Per farla breve, quanto all’azienda, c’è un vecchio listino del lontano 1897 che ne certifica l’antica e preziosa origine; poi il passato si fa grande, prestigioso, quasi ingombrante, culminando in anni di massimo splendore commerciale sino al 1918. Da qui però un lento ed inesorabile declino, fino al totale smarrimento, più o meno sul finire degli anni trenta. Poi, per settantasette anni filati niente più, nemmeno un sussulto, sino a quando Oscar Farinetti, Mr. Eataly, non s’è messo in testa di riprendersi il marchio dai Gancia che nel frattempo ne avevano acquisito la proprietà.

La storia dei Mirafiore è da sempre legata a Fontanafredda, e proprio qui finalmente rinasce. Il progetto è ambizioso, destinare al marchio Casa E. di Mirafiore i vini che nascono dalle sole vigne di proprietà dei Tenimenti. Magari quelle più vecchie e meglio esposte. L’intenzione è di fare vini dal profilo austero, territoriale come si dice, e quanto più figli dell’annata e del terroir, senza quindi particolari interventi in cantina se non quelli strettamente necessari per la produzione: niente lieviti selezionati, solo fermentazioni spontanee, lunghe macerazioni e affinamenti mirati alla salvaguardia dell’integrità del frutto piuttosto che alla definizione di un gusto omologato. E solo legni grandi, come si faceva un tempo, per vini che vanno a ricercare proprio nel passato il loro futuro possimo.

Ciò che mi è piaciuto di più di questo nebbiolo, di questo Barolino, è proprio la viva espressività, con tutti i suoi pro e i suoi contro. Non posso definirmi un finissimo connosseurs dei nebbiolo di langa, ma in questo vino mi è sembrato di leggere buonissime impressioni di un vitigno mai semplice da maneggiare, interpretare; e mai banale, non di facile lettura insomma. Il 2008 è la sua prima uscita assoluta, e offre di se un bel colore granato con nitidi riflessi rubini. Il naso è ricco, dapprima con un salto fruttato e poi subito spezie dolci e note tostate. Si colgono nitide la prugna e la noce moscata, poi sentori di tabacco, polvere di caffè e una piacevole nota cioccolatosa che accompagna il primo sorso. In bocca è secco, l’impressione è notevole, un po’ scomposto ma l’attacco tannico è importante e nobile, pulito, avvolgente, con un retrogusto balsamico avvincente e assai persistente. Non è un vino per tutti i palati, ma di certo un ottimo biglietto da visita per chi vuole scoprire cosa bolle di nuovo in pentola da queste parti. Bentornato a casa blasone! 

Pollenzo, Ristorante da Guido

17 ottobre 2011

Quindici anni fa, più o meno, ne seguivo le fortunate vicende dalle pagine del Gambero Rosso. Talvolta anche sul “channel”, soprattutto la rincorsa alle ricette tradizionali piemontesi che la Signora Lidia non ha mai fatto mancare ai suoi avventori.

E’ Guido da Costigliole, nome da dipolamatico per un ristorante che da Santo Stefano Belbo è entrato a pieno titolo nella storia dell’ enogastronomia italiana. Sobrio ed essenziale, oggi il ristorante “Guido” è a Pollenzo, presso l’Agenzia voluta da Slow Food che ospita, tra le altre cose, l’Università del Gusto e la Banca del Vino. Nasce dalla riuscita unione di due storiche prestigiose realtà della costumanza gastronomica piemontese, Guido da Costigliole d’Asti appunto e La Noce di Volpiano della famiglia Mongelli.

Padrone di casa stasera è Piero Alciati che, con il fratello Ugo ai fornelli – e qua e la una comparsa della mammissima Lidia -, continuano a proporre piatti tradizionali e tipici della cucina piemontese, accompagnati come detto in questa nuova, suggestiva avventura, dalla famiglia Mongelli. Ma veniamo alla cruda cronaca di una serata piacevole e rilassata a poco più di due passi dalle Langhe.

E’, con il gelato, forse il piatto più riuscito della serata, il benvenuto dello chef, uno gnocco di zucca con ragù di salsiccia e tartufo bianco d’Alba: un trionfo di profumi, netti, distinti avvolgenti ma al tempo stesso calibratissimi, e che non mancano di fondersi in tutt’uno e regalare un’esplosione di sapore unico.

Sono da poco passate le otto e mezza e il locale è già bello pieno. La grande sala, un tempo scuderie del comprensorio “albertino” che ospita l’Agenzia di Pollenzo, ha una dozzina di tavoli distribuiti in un ambiente piuttosto ampio, che in senso verticale – a dirla tutta -, risulta un tantino enorme per decretare quell’atmosfera intima e misurata che appare suggerita ad ogni passaggio in tavola, ma che invero si fa fatica a cogliere nell’aria di uno spazio così dilatato.

Non poteva mancare la Fassona, qui in carpaccio su una fresca insalatina e ancora un passaggio di tartufo bianco (per acclamazione). L’animale si sa è tra le razze più apprezzate, la fibra è tonica e muscolosa: pelle fine ed elastica, ossatura leggera e scarse quantità di grasso sottocutaneo tra l’altro ben amalgamato con la polpa senza mai stravolgerne particolarmente il sapore; la carne infatti è tenerissima, anche perché non è fibrosa, infatti, a dispetto dei muscoli, numerosi e sviluppati, non ha grande quantità di fibre e, come detto, di grasso. Conserva piuttosto un’altissima qualità nutrizionale grazie al ricco contenuto di amminoacidi, vitamina B e minerali di varia natura come il potassio, il selenio, magnesio, calcio, ferro e zinco. Conta molto invece la frollatura, che trasforma il muscolo in carne e, come in questo caso, è quanto mai importante saper offrire un taglio pronto e una preparazione appropriata.

Quindi gli Agnolotti al Plin di mamma Lidia, un piatto di tale disarmante semplicità quanto infinita è la bontà e il sapore che sprigiona; vengono serviti appena saltati in padella con un sugo ristretto di arrosto. E non mancano quelli “al tovagliolo”, semplicemente fritti, e se vogliamo ancora più buoni, che ci vengono portati in centro tavola appena un attimo dopo!

Si chiude con un gustoso Agnello al forno cotto a bassa temperatura: fragrante di aromi dolcissimi, sugoso, pura scioglievolezza in netto contrasto con i carciofi crudi e cotti che svolgono al meglio la loro funzione di contorno e di sgrassatura del palato, infondendo piacevole equilibrio gustativo.

In cantina ci sarebbe da perdersi, non a caso le carte dei vini che ci arrivano in tavola sono addirittura tre: una incentrata sui “vini bianchi”, quel poco che serve a stimolare la curiosità, una “extraregionale e internazionale” e  una “territoriale”, dove mi appare quasi inutile soffermarmi sulla profondità e la complessità dell’offerta, molto più che esaustiva (e a tratti emozionante), lasciando quindi scegliere ai commensali dove andare a parare; in verità alla fine sceglierà Piero, rendendo omaggio alla nostra splendia giornata in langa e proponendoci un immortale e infinito Barolo Riserva 1988 di Borgogno.

Davvero una bella esperienza questa cena da Guido, senza dubbio uno dei luoghi che continuerà a segnare e scandire al meglio il tempo dell’alta ospitalità piemontese; cos’altro aggiungere… ah sì, il gelato al Fiordilatte: beh, che dire… semplicemente commovente!

 
Ristorante da Guido
Via Fossano, 19 12060 Pollenzo (CN)
Tel. +39 0172.458422
www.guidoristorante.it
info@guidoristorante.it
Apertura a cena dal martedi al sabato
 

Barolo, Barbera d’Alba Superiore ’09 Borgogno

15 ottobre 2011

Ci sono vini come questo che non smetterò mai di amare, bere, raccontare. E’ quel vino di cui molti amano descrivere tutto il suo corredo organolettico sintetizzandone l’esperienza con una sola parola: “franco”. Come a dire “è inesorabilmente lui, punto e basta!”.

Borgogno in Barolo è storia, vera, un tantino travagliata se vogliamo, per troppo tempo rimasta lì impolverata, messa in un angolo, in attesa di chissà che, chissa chi se ne ricordasse. E’ curioso pensare come un’azienda tra le più antiche di Langa, anno di fondazione 1761, potesse pagare un dazio così salato tanto da passare quasi inosservata agli occhi dei più che cercavano sul territorio un richiamo tangibile dell’origine di tutto; è vero, i riferimenti sono tanti, molti altri, ma l’inizio di tutto è anche qui, tra le mura antiche di questo piccolo gioiello nel pieno centro della “capitale” delle Langhe.

E l’avrà pensato anche Oscar Farinetti quando ha deciso, nel duemilaotto, di farne il fiore all’occhiello del suo regno enoico langarolo rilevandola, in chiaro affanno, dagli ultimi eredi Cesare e Giorgio Boschis per consegnarla nelle mani del figlio poco più che ventenne Andrea. Una bella sfida, accidenti! mi sono detto, “Una gran figata!”, mi ha risposto il giovane Farinetti. Ma di questo però ce ne occuperemo in un prossimo post raccontando di una straordinaria verticale di Barolo e di molto altro ancora.

Frattanto, il duemilanove è stato l’ultimo raccolto portato in cantina dai Boschis, con le mani ancora in pasta di Cesare; da li in poi sarebbe toccato ad Andrea Farinetti – studi in enologia appena terminati e tanta, tanta grinta -, guardarsi intorno e capire che direzione prendere per rilanciare un marchio e i suoi vini che godono sì di tanto blasone ma pure di enormi difficoltà sul mercato che, incredibilmente, stenta a credere talvolta anche all’evidenza più chiara: la storia qui di langa non può non tenere in giusta considerazione questa azienda.

Le uve, tutte di proprietà, sono coltivate in località Liste e Crosia, nel territorio del comune di Barolo. In cantina niente più lieviti selezionati e vinificazione tradizionale in acciaio, con una permanenza sulle bucce di circa una decina di giorni prima di passare per non meno di dodici mesi in botti di rovere di diversa grandezza (ma non barriques). Il colore è splendido, di un rosso rubino particolarmente intenso e vivace. Il primo naso è vinoso, l’imprinting voluminoso e persistente, viene fuori un frutto rosso fresco e invitante che ad ogni passaggio, dopo un po’, s’accompagna a sbuffate di viola passita e note ferrose, che richiamano in maniera ineludibile il terroir. In bocca è secco, pochi gli angoli acuti ma il sorso è ricco, succoso e di buon corpo, conserva nerbo senza affaticare la beva che rimane costantemente fluida e piacevole. Davvero buono! Con il “generale inverno” alle porte e con una tavola sempre più ricca, ecco un buon “soldato” da non far mai mancare in cantina.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: