Posts Tagged ‘pasquale torrente’

Rutino, quel Vignolella che ogni male stuta

1 agosto 2020

L’azienda conta già tre lustri di storia alle spalle, resta una giovane e promettente realtà, nata dalla ristrutturazione della Cantina Sociale del Cilento di Rutino e che anno dopo anno, vendemmia dopo vendemmia ha saputo tracciare un percorso di tutto rispetto, armati di gioia e passione per questa terra cosi piena di storia e di tradizione.

L’abbiamo ritrovata in carta al ristorante Al Convento¤ di Cetara, a casa di Pasquale Torrente¤, non potevamo farci scappare l’assaggio. L’azienda è a Rutino, lavora circa 12 ettari di vigna tutti in conversione biologica, piantati perlopiù con Aglianico e Fiano e alcune varietà locali minori. Del Vignolella conserviamo un piacevole ricordo, è passato un po’ di tempo dall’ultimo assaggio ma la memoria di un bianco così fine, elegante e tanto espressivo e piacevole da bere non ci ha fatto battere ciglio.

Che buono! Ritroviamo nel bicchiere un Vignolella duemiladiciotto in grande equilibrio, davvero un gran bel Fiano del Cilento, dal colore paglia luminoso, capace di stillare tante suggestioni al naso, con sentori floreali di ginestra, erbette di campo e macchia mediterranea, frutta a polpa bianca e gialla, anzitutto con note di agrumi e di pesca. Il sorso è scorrevole, è secco, morbido, piacevolissimo con quel finale di bocca sapido e minerale, perfettamente disteso.

Ne abbiamo molto apprezzato l’accostamento al pescato del giorno, un Merluzzo in umido servito con tante fresche verdure di stagione, talune alla griglia altre ripassate in padella con un meraviglioso olio extravergine di oliva. Il lusso, il più delle volte, risiede nella semplicità!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Cetara, il profumo del mare, le alici, la Colatura di Nettuno e Al Convento con Pasquale Torrente

30 luglio 2020

Cetara è sempre stato un piccolo paese di pescatori, non a caso tra le origini del suo nome vi è certamente il termine latino ”Cetaria”, ovvero tonnara, per gli abitanti ”Cetari”, venditori di pesci grossi. Anni di ricerche hanno ipotizzato anche che il suo nome derivi dal termine ”Caeditaria”, cioè “pertinenza della Caedita”, luogo disboscato. Ancora, lo si avvicina al termine ”Citrus”, ossia limone, da diversi secoli coltura importantissima qui come altrove in tutta la Costiera Amalfitana.

Cetara però è conosciuta nel mondo per le sue alici, vieppiù per la Colatura, come quella prodotta qui in questo piccolo laboratorio di C.so Umberto I. Nettuno è stata fondata nel 1950 da Raffaele Giordano, l’attività principale a quel tempo era la trasformazione dei prodotti ittici e ortofrutticoli, questi ultimi abbandonati agli inizi del 2000 per dedicarsi completamente ai prodotti offerti dal mare di Cetara, lavorati fin dagli anni ’50.

A metà degli anni ’90 infatti c’è stata una forte riscoperta dell’antico condimento principe delle tavole di Cetara, la Colatura di alici, che con il passare degli anni torna alla notorietà persino nazionale. Così buona parte degli sforzi dei Giordano si concentrano su questo prodotto, senza mettere in secondo piano, però, tutti gli altri prodotti ittici che ne caratterizzano la filiera interamente lavorata a mano e con materie prime esclusivamente del posto.

La Colatura, dicevamo. Un condimento dalle origini orientali che prende il nome dal misterioso pesce “Garos” (forse si trattava proprio delle comunissime alici), da qui, probabilmente, si è arrivata a quella che gli antichi greci chiamavano “Garon”, che i romani ribattezzarono “Garum”. Invero da qui alla “Colatura di alici di Cetara” come la intendiamo oggi c’è tanta strada fatta, sino a quando, intorno alla seconda metà del XIII secolo, furono i monaci Cistercensi della canonica di San Pietro a Tuczolo, colle nei pressi di Amalfi, ne cominciarono a fare un prodotto da commerciare¤.

I monaci si muovevano abitualmente in costiera con le loro barche che utilizzavano per il trasporto del frumento e che nei mesi estivi adattavano per la pesca del pesce azzurro, in particolare delle alici. Le abbondanti quantità del pescato andavano in qualche maniera stipate e conservate nel tempo, riponevano perciò le alici in botti private della testa e delle interiora, alternate a strati di sale. Sulla copertura della botte riponevano un pesante masso che permetteva al liquido in eccesso di depositarsi sul fondo del barile e attraverso le doghe scollate di versarsi sul pavimento. Il profumo e la limpidezza di questo liquido che colava sul pavimento indussero i monaci a raccoglierlo in recipienti e a portarlo all’attenzione del fratello che si occupava della cucina, il quale immediatamente ne provò l’utilizzo come condimento per le verdure, aggiungendovi all’occorrenza spezie, aromi e olio.

Questo nuovo condimento cominciò a circolare nei dintorni della Costiera, come dono ai conventi e a molti cittadini della zona, vi fu chi tentò di replicare la preparazione per conto proprio in casa sino a quando qualcuno ebbe l’intuizione di usare il cappuccio comunemente adoperato per stillare il mosto d’uva, per filtrare anche i liquidi e le alici spappolate residuati nei fondi dei vasi di terracotta, dando così il via alla nascita della Colatura di alici, più o meno come quella prodotta attualmente.

Il processo si può dire sia rimasto invariato, assolutamente ancestrale: le alici fresche appena pescate vengono “scapezzate” cioè decapitate ed eviscerate e sistemate in un contenitore di legno detto “terzigno” (un terzo di una botte) a strati alterni con il sale. Sull’ultimo strato viene appoggiato un coperchio di legno detto “tompagno” sul quale viene posata una pietra massiccia, in genere di origine marina. L’odore acre, fortissimo, che si sprigiona dalle camere di maturazione sono un segno distintivo di una cultura radicata straordinaria, che ha segnato la storia di questa comunità e che promette di rimanerti dentro anziché addosso! 

Pasquale Torrente, l'uomo che sussurra alle alici - foto A. Di Costanzo

Si lasciano così maturare le alici per almeno 12-18 mesi, si può arrivare anche ben oltre, in qualche caso. Giunte a maturazione, il liquido affiora in superficie grazie alla pressione esercitata dalla pietra. Con un attrezzo appuntito detto “vriale” viene praticato un foro sotto il ”terzigno” dal quale comincia ad uscire, goccia dopo goccia, il nettare ambrato. Attraversando lentamente i vari strati, il liquido raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche delle alici e fuoriesce, già filtrato dagli stessi strati di alici e sale, dal foro praticato. La colatura viene raccolta in un recipiente di vetro e quindi imbottigliata, generalmente in piccole ampolle di 100 e 200 ml, sino al litro.

Un un prodotto così prezioso, unico e straordinario non poteva che beneficiarsi di grandi ambasciatori che hanno fatto sì che la Colatura di alici di Cetara arrivasse ovunque in Italia e nel mondo grazie al suo corretto utilizzo in cucina. Tra questi, vi è senza dubbio lui, Pasquale Torrente, ”l’uomo che sussurra alle alici”, così definito per la sua completa devozione per la riscoperta e valorizzazione di quest’antica tradizione cetarese e questo prodotto così particolare, avviato finalmente al riconoscimento della Dop.

La famiglia di Pasquale occupa questo luogo, Al Convento a Cetara, sin dagli anni 60, quando i nonni Gilda e Gaetano lo hanno prima allestito come sala da gioco, per poi  farne un bar, gelateria e poi una Trattoria e Pizzeria, sin da subito apprezzatissima. Un percorso che ha seguito e segnato la storia famigliare fino a quando proprio Pasquale ne ha fatto un avamposto di cucina tradizionale e rampa di lancio per la Colatura, con i suoi piatti e i progetti che l’hanno portato, con la fortunata collaborazione di Eataly, a girare luoghi e paesi e raccontare di Cetara, del profumo del suo mare, le alici, la colatura e la sua idea di cucina in tutto il mondo, mantenendo però l’ombelico qui, a Piazza S. Francesco a Cetara, oggi con al fianco il figlio Gaetano.

Al Convento ci si viene per nutrire soprattutto l’anima, questo basti per raccontare l’atmosfera d’altri tempi che ne caratterizza l’accoglienza gioiosa di Pasquale e della sua famiglia, la buona cucina di mare che scorre in tavola, vivace, piatto dopo piatto. Le alici anzitutto, quelle locali, al massimo del Golfo di Salerno: marinate, sott’olio, impanate e fritte, imbottite, poi lo spaghetto alla Colatura, gli Ziti alla Genovese di Tonno, infine il pescato del giorno, tra Gallinelle, Triglie, Merluzzi serviti all’acqua pazza, fritti o lessati, al vassoio, con le verdure di stagione ripassate o alla griglia. Sono questi i sussurri che conducono alla piena felicità!

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Informazioni ed indirizzi utili:

Ditta Giordano Vincenzo, marca Nettuno

Corso Umberto I, 64 84010 Cetara (SA)

http://www.nettunocetara.it

Tel. +39 089 261147

Ristorante Al Convento

Piazza S. Francesco, 16, 84010 Cetara (SA)

http://www.alconvento.netinfo@alconvento.net

Tel. +39 089 261039

© L’Arcante – riproduzione riservata

 

Intervallo|Siamo tutti fritti!

7 agosto 2013

E’ uno dei ricordi più vivi della mia adolescenza il fritto di mare. Mia madre, al sabato e alla domenica ci passava ore intere davanti a quella cucina a friggere merluzzi, triglie, suace, alici, sogliole per papà e miei fratelli di ritorno dalla pesca.

La frittura del Golfo di Pasquale Torrente

Che poi sino a qualche anno fa lungi dall’essere tra i miei piatti preferiti a tavola. Magari i calamari si, tondini a frotte, ma il pesce proprio no, mi scocciava sporcarmi le mani (e non dite che voi la frittura di pesce la mangiate con coltello e forchetta, vi prego, è abominevole!). Questo qui è il fritto di Pasquale Torrente¤, ‘Al Convento’ di Cetara.

Cetara, lo scammaro* di Pasquale Torrente

9 gennaio 2011

Una ricetta che si rifà all’antica tradizione napoletana dello “Scammaro” ripresa e “tradotta” in cetarese dall’istrionico chef Pasquale Torrente del Convento di Cetara. Un piatto che abbiamo mangiato, e apprezzato non poco, nella splendida serata dello scorso 15 Dicembre che ha visto riunirsi in casa Torrente tutte (o quasi) le stelle e le stelline della Campania gastrofanatica accompagnate dalle sonore bollicine Ferrari: si festeggiava il quarantennale del Convento, ma iniziava qualcosa di molto di più… (A. D.)

Ingredienti per 4 monoporzioni

  • 200 gr. di spaghetti
  • 30 g di capperi
  • 12 filetti di alici sotto sale della Dispensa del Convento di Cetara (già diliscate)
  • 50 gr di parmigiano reggiano
  • 1 spicchio d’ aglio
  • una manciata di olive nere
  • olio extravergine di oliva
  • colatura di alici della Dispensa del Convento di Cetara q.b.
  • 4 peperoni cruschi
  • 4 stampini in alluminio

Preparazione: in una pentola capiente portare in ebollizione dell’acqua salata e cuocervi la pasta. A parte, versate in una padella l’olio extravergine di oliva e l’aglio – quest’ultimo andrà tirato via appena dorato e comunque prima di aggiungervi i filetti di alici di Cetara – unirvi quindi il prezzemolo, le olive denocciolate, i capperi ed un po di acqua di cottura della pasta che vi aiuterà ad ottenere una cremina densa durante la mantecatura successiva.

A questo punto, preparate gli stampini spennellandoli con olio extravergine d’oliva e lasciandovi scorrere dentro del pan grattato; Una volta cotta la pasta – si raccomanda che sia ben al dente visto che terminerà la cottura in forno – saltatela in padella con il sugo preparato mantecatendo il tutto con abbondante Parmigiano Reggiano aggiustando con poche gocce di colatura di alici di Cetara. Versate quindi gli spaghetti nei stampini e lasciateli riposare. Prima del servizio, basterà passare le monoporzioni in forno a 180 gradi per circa 5 minuti.

Per il servizio: Un piatto piano bianco è l’ideale. Questo primo potrà essere completato con una decorazione semplice e colorata utilizzando per esempio gli stessi ingredienti adoperati nella preparazione: una emulsione di olio e colatura e, immancabili, una sbriciolata di peperoni cruschi che renderanno il piatto ancor più croccante e appetibile.

Nota a margine: nella versione qui fotografata è stato utilizzato un sottile fondo di gradevolissimo purè di patate, scelta ottimale quando si pensa di preparare la ricetta per tante persone, scansando quindi il rischio di servire un piatto troppo “asciutto”. Le quantità indicate in questa ricetta, opportunamente lavorate, vi permetterà invece una giusta dimensione per tutte e quattro le porzioni indicate.

(*) Lo Scammaroe’ un condimento a base di acciughe o alici sott’olio, olive e capperi che trova ampio respiro nella cucina napoletana decantata già di Ippolito Cavalcanti a cavallo tra il ‘700 e l’800. Tradizionale il suo impiego nella frittata di vermicelli.

Ricetta di Pasquale Torrente de “Al Convento” preparata lo scorso dicembre in occasione del quarantennale del loro storico locale a due passi dal mare di Cetara.

Dieci anime (più o meno) intorno a me da portare volentieri sull’Arca nel 2011

1 gennaio 2011

Rieccoci! Si riparte alla grande in questo 2011 con subito tanti appuntamenti a cui dedicare particolare attenzione, ma prima di tutto, senza voler essere troppo pallosi, eccovi un piccolo classico con il quale desideriamo sottolineare alcuni riferimenti che ci fanno pensare in positivo per quest’anno appena arrivato. Non è una classifica, solo il piacere – sincero – di ringraziare alcune persone per quello che fanno e sono capaci di trasmettere e dunque una sottolineatura a persone, cose, eventi, fatti che non ci sono risultati indifferenti. Così è se vi pare. Buon anno a tutti!

Rosanna Petrozziello. Moglie, mamma, sommelier, vignaiola di finissime intuizioni sotto l’egida di suo marito Piersabino Favati nonchè – da qualche tempo sempre più ferrata – abile tecnico di cantina grazie agli insegnamenti del suo consulente Vincenzo Mercurio. Potrei anche fermarmi qui, perchè di certe persone basta dire anche meno, per lasciarne carpire il valore umano e morale, ed il suo brillante futuro in questo più o meno meraviglioso mondo del vino. Ci tengo però ad aggiungere solo un ulteriore considerazione, rifacendomi ad una delle più leggere ma al tempo stesso efficaci battute di Totò: in un mondo costellato di mille e più primedonne “tutte pittate*” che sgomitano per ottenere un primo piano, ebbene, come chiosava il più nobile dei comici napoletani ne Il Turco Napoletano, “in questo negozio, fra tanti fichi secchi, un po di poesia non guasta mai”, e Rosanna, con il suo solare splendore, forgiato da sani e saldi principi di un tempo che fu, non guasta davvero no, e guai a chi se ne dimentica! (*) pittate, truccate

Gerardo Vernazzaro, mai senza Emanuela Russo però. E sì, perchè Gerardo è un tipo giusto, che sa il fatto suo, cresciuto come me nella cruda periferia napoletana ma che ha saputo leggere e vivere il presente senza mai rinunciare al suo futuro, ai suoi sogni, pur nella loro reale dimensione, senza cioè voli pindarici. Gerardo fa vino, e seguirlo nel suo lavoro, correre cioè tra le vigne, camminare con lui tra le vasche e rincorrere i suoi ideali nelle bottiglie è, credetemi, uno spasso; Perchè più del valore della fatica, del sacrificio della costruzione, condividere una bevuta con lui significa riuscire a cogliere di un vino”l’essenza” che vuole manifestare, più del territorio che si arroga la presunzione di rappresentare, il suo ideale. E mai compagno di bevute mi fu più gradito!

Teletubbies, sono off topic, lo so, ma aspetto da sei mesi di inserirli in qualche modo in un mio post; Senza di loro non so proprio come farei. Dei quattro, chi mi fa scompisciare è Dipsy, con il suo cappello sempre alla moda ed i suoi balli originalissimi, anche se, per amor del vero, sono quasi costretto a tifare sempre per Po e Laa-Laa, Letizia poi di quest’ultima è follemente invaghita. E che dire poi di Tinky Winky, il più grande (e grosso) della ciurma che se ne va in giro sempre con una borsa rossa (della serie ci fa o ci è?). Tutti protagonisti di storie incredibili alla luce di un sempre splendente Sole-bambina, un po come le mie giornate da quando sono diventato padre, altro che sommelier…

Carmine Mazza. In un tempo in cui Napoli e la sua provincia esprime tutto quello di cui mai ci si potrebbe innamorare ogni tanto salta fuori qualcosa di buono. Il Poeta Vesuviano non è solo un ristorante, prendiamolo come un avamposto di modernariato culinario nella popolosa e popolata provincia napoletana. Torre del Greco non è poi così lontana e andare da Carmine, nella foto con la deliziosa compagna Amalia, val bene il viaggio; Perchè Carmine ha voglia di fare e lo si vede in ognuno dei suoi piatti, ha talento da coltivare e motivazioni da preservare, insomma, il poeta va ascoltato!

La Francia. Credo di aver letto tutto il possibile sulla vitienologia francese e di non essermi mai fatto mancare il tempo per approfondire e cercare di capire: un mondo infinito, altro che bordò e burgogn! La cosa più curiosa è che più ci entri nei dettagli del vigneto Francia e più ne ami, ti appassionano, le mille sfumature più che le poche, solide architetture di un paese del vino straordinariamente ricco di cultura enoica. Così l’approccio dello scorso giugno al sogno borgognone diviene solo l’appetizer di una sì forte motivazione di cominciare quel viaggio fantastico che non si pone mete bensì obiettivi: vivere le terre di Francia.

Pasquale Torrente. Mi dicono che una volta capitato a Cetara si rischia di rimanerci secco, di cetarite o giù di lì. Aggiungono però che trattasi di un male buono, che si insinua dapprima nella mente ma che non perde tempo di rapirti l’anima. Cetara è un borgo marinaro tra i più suggestivi della costiera, vissuto da gente che praticamente si conosce tutta, tra questi c’è Pasquale. Di lui ho incontrato prima la sua fama, di persona per bene appassionata del buono e lento della vita nonchè gran cultore di amicizia. Poi il suo lavoro, di chef e patron dello storico ristorante “Al Convento” e quindi la sua persona: schietta, sincera, onesta, disponibile, trasparente. Un signore, si direbbe. Quanti come lui? Ne conosco solo alcuni altri, e comunque meno bravi con la sciabola!  

Angelo Gaja gira che ti rigira te lo trovi sempre davanti, ma anche no. E’ indubbio che sia un personaggio tra i più ambìti della nomenclatura enologica italiana, tra i pochi, pochissimi a cui va indiscutibilmente concesso il merito di aver creato un aspettativa sempre crescente sui suoi vini. Vuoi per passione, vuoi per critica, i vini di messer Barbaresco – checchè se ne dica – sono sempre un riferimento certo della vitienologia italiana, un caposaldo che sai di avere e di potertelo giocare – con tutti – a tuo piacimento. A lui, come forse a nessun altro, è concesso di apparire e sparire dalla scena a suo piacimento, lui come nessun altro ha maturato, soprattutto negli ultimi anni, quella sottile capacità di essere massmediologo senza esserlo, a volte senza nemmeno proferire parola, lasciando semplicemente parlare i fatti. Altre volte, quando proprio gli girano, ci ha abituato invece a sonore prese di posizioni, più o meno condivisibili, proprio come i suoi vini. Un riferimento Angelo Gaja, meno male che c’è!

Annalisa Barbagli. Il suo vecchio profilo sul sito del Gambero Rosso, per il quale ha collaborato sino a poco meno di un paio d’anni fa, la descriveva come “una persona pratica che vive l’impegno della casa (la spesa, il bucato, le pulizie, il cucinare ecc.) come un tutt’uno da fare all’insegna della massima professionalità”. Ed in verità dalle sue pubblicazioni si è sempre respirato quel non so che di vero che molti tentano – invano – di replicare costantemente nelle ultime uscite culinarie. Negli ultimi tempi non si riesce nemmeno più a contarli i vani tentativi di imitazione, ma chi come noi è cresciuto con La cucina di casa e si è ritrovato in quelle mille e più ricette che ha quasi tutte “vissute”, non v’è tubo catodico che tenga: che se le cuociano e mangino pure tra loro, il mio manuale di cucina è differente!

In ultimo, i miei primi dieci anni di Ais. E sì, son passati dieci anni; Era il 2001 quando mi sono avvicinato all’associazione italiana sommelier, per vocazione e non ripiego; Per molti dei miei amici/colleghi del tempo, quella rimane una “classe di ferro”, per altri addirittura mai più ripetuta. A me basta pensare di aver percorso, anche con alcuni di questi, un bel pezzo di strada professionale, appassionati e mai piegati all’arroganza di chi, nel tempo, ha preferito mettere avanti la scadenza mensile della sua prossima rata del mutuo alle ragioni, umane e morali, di un associazione che fortunatamente rimane un riferimento assoluto per la qualificazione e l’affermazione professionale dei comunicatori del vino, in Italia come nel resto del mondo. L’anno appena messo alle spalle ci ha consegnato una bella ventata di rinnovamento e tanti, tantissimi buoni propositi, a livello nazionale ma anche regionale qui in Campania: staremo a vedere cosa succederà, anche perchè, di cose da cambiare pare che ce ne fossero, chi vivrà vedrà!

Così la mia Arca l’anno scorso. (A. D.)


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