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Gaiole in Chianti, La Casuccia ’97 Castello di Ama

28 Maggio 2012

Lorenza Sebasti e Marco Pallanti, Castello di Ama. L’Arte, la cultura, il vino, la tradizione del Chianti e quella del Chianti ad Ama, il sangiovese, il merlot, il pinot nero ed altre storie…

Invero non ho nessuna intenzione di perdermi in convenevoli tra conservatori e riformisti, tradizionalisti e innovatori, c’è n’è già tanto in giro; in fin dei conti poi ogni giorno può regalare uno stato d’animo adatto e diverso per un sorso dell’uno o dell’altro. A me, sia chiaro, il sangiovese fa impazzire – quello tirato su come Dio comanda però -, a Gaiole come a Montalcino. Eppure, dinanzi a una bottiglia di L’Apparita 2001 come si fa a chiudere gli occhi? Come non ci si può fermare anche solo un attimo a riflettere…

E La Casuccia 1997? Bene, non saprei se lo è un grande vino ($!), però tradizione o no è un gran bel bere e, dopo 15 anni, assolutamente ancora sugli scudi. Si dice che una immagine, per quanto chiara, possa trarre in inganno; beh, qui il particolare pare non ammettere repliche: la vigna conta poco più di 12 ettari, impiantati tra il ‘64 ed il ’75 su terreni abbastanza uniformi di natura argilloso-calcarea. Sin da subito furono scelte forme di allevamento “innovative” per l’epoca, tra le quali la Spalliera verticale con taglio a Guyot semplice e la Lira Aperta, un sistema, quest’ultimo, mai visto in Italia prima di quegli anni ed importato direttamente dalla Francia, da Bordeaux. Il vigneto è suddiviso in 17 piccole parcelle impiantate per lo più con le varietà tradizionali chiantigiane, su 2 parcelle invece c’è la presenza del merlot che concorre – in questo come in quasi tutti i vini di Ama – a caratterizzarne profondamente lo stile, per qualcuno magari discutibile eppure inequivocabilmente di spessore.

Il colore, nonostante i tre lustri è assolutamente integro, rubino/granato vivace e ancora abbastanza carico. Il naso è subito molto elegante, il frutto non ha perso smalto, anzi, offre una maturità ineccepibile, irreprensibile, con note di confettura di prugna e amarene estremamente invitanti. Ma c’è dell’altro: prima un sottofondo speziato e tabaccoso, e di cuoio, ma anche note balsamiche, liquirizia, china e di finissimo sottobosco. Il sorso è asciutto, copioso, ha materia da vendere e giusta tensione acida, più del tannino che, lentamente, appare avviato a sopirsi. Dal 1985, quando la prima bottiglia ha varcato per la prima volta la cantina di Ama, sono state prodotte meno di dieci annate. E questo la dice abbastanza lunga. 

Giro di vite a Montalcino, Podere Sanlorenzo

2 marzo 2011

Quando arriviamo a Podere Sanlorenzo è più o meno ora di pranzo, la mattinata spesa in cantina dalla famiglia Martini ci ha fatto per un attimo perdere la bussola oltre che la cognizione del tempo; gli assaggi, tanti, forse troppi contando che alla fine erano praticamente tutte le scorse vendemmie, sin dalla 2004, han fatto il resto.

Così, profittando della disponibilità di Luciano Ciolfi gli chiediamo di fare quattro passi in vigna per respirare un poco e rinsavire. Luciano è una persona deliziosa, l’ho conosciuto più o meno tre anni fa attraverso il web – lui è uno che con la comunicazione on line ci sa fare e come – e dopo l’incontro “de visu” allo scorso Vinitaly ho avuto modo anche di testare l’alto gradimento del suo Brunello da parte di molti miei clienti a cui l’ho proposto, non senza particolare entusiasmo. Se date un’occhiata al suo sito¤ troverete, tra le tante informazioni offerte, una frase, che a me ha colpito molto tanto da spingermi subito a conoscere lui ed i suoi vini, convinto, non so dirvi nemmeno perché, che non fosse solo l’ennesima trovata pubblicitaria; dice: “arrivò in punta di piedi, osservando il lavoro del nonno e del padre, acquisendo i loro valori, il loro bagaglio di esperienza e tutta la tradizione che portavano con sé. Ma a Luciano fare un buon vino non bastava: cercava l’eccellenza”. Ecco, se vai affermando cose del genere e non sei un tipo in gamba, e non fai le cose per bene, sei finito; per questo Luciano val la pena conoscerlo, i suoi vini di essere bevuti almeno una volta appena possibile.

Vignaiolo giovane – è tra gli ultimi arrivati sul panorama ilcinese – ha saputo però immediatamente cogliere quale fosse la strada da seguire per affermare la sua idea di sangiovese; l’azienda conta una proprietà di circa 60 ettari, appena quattro e mezzo a vite, a regime dal duemilatre; pochi esercizi di stile, sul Rosso di Montalcino¤ dove il rischio è sempre grosso – a mia recente memoria, tutte le annate tirate fuori a Sanlorenzo godono costantemente di buona e nobile nerbatura -, giocato su un frutto integro e ben ammantato di una mineralità pregnante ma sempre in discreta evidenza; nessuna nota boisè, anzi, il legno è ben dosato e tutt’altro che scontato; il Brunello poi ogni anno che passa matura in finezza ed eleganza senza mai ostentare grassezze inutili e, alla lunga, stancanti.

Il Bramante 2006 per esempio, conferma, oltre un annata qui certamente di ottima levatura, tant’è che anche Luciano uscirà l’anno prossimo – per la prima volta – con un Brunello Riserva, una impostazione di base dell’idea vino a Podere Sanlorenzo che trova modelli cui ispirarsi nel lontano, lontanissimo passato pur mantenendo una pulizia (soprattutto olfattiva) certamente figlia della moderna dotazione tecnologica in cantina, dove c’è acciaio prima che legno. “l’uva portata in cantina quell’anno era perfetta e sin dai primi assaggi effettuati ci siamo convinti di poterci mettere alla prova, e  pensa te, che il 2006 è appena il nostro terzo anno di raccolta…”. L’assaggiamo, la Riserva, dopo un’attenta ossigenazione, e al netto delle spigolature del legno ancora in evidenza parrebbe proprio un gran bel bere, soprattutto per l’eleganza e la finezza che ne caratterizza la trama gusto-olfattiva; non ci resta quindi che aspettarlo un anno ancora!

Ecco, si conclude, ma solo per ora, questo breve ma intenso viaggio per le terre montalcinesi. Un percorso che a noi ci è apparso affascinante, suggestivo, che ci ha condotto a toccare con mano realtà che a torto o a ragione rappresentano la storia, non solo vitivinicola, di Montalcino e della Toscana tutta e che nel tempo, il loro tempo, hanno segnato o segneranno indiscutibilmente quella del Brunello. Luoghi, vini, tante memorie che siamo felici di aver incrociato sulla nostra strada e persone che possiamo solo ringraziare per l’estrema cordialità e sensibilità mostrata nell’accoglierci; ognuno, a suo modo, ci ha raccontato una storia, il suo Brunello, ci ha indicato una direzione da seguire, la loro; a noi adesso, a ragion veduta, la capacità di scegliere quale di queste strade seguire, quale Brunello proporre e mettere nel bicchiere, quale consacrare alla storia e quale invece lasciare consegnata alle algide pagine degli almanacchi o dell’accesa critica enologica, che spesso, ancora in questi giorni, continua a dire di amare Montalcino ed il Brunello ma non smette, inesorabilmente, di picchiare duro!

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la spassosa ed indimenticabile visita a Diego e Nora Molinari a Cerbaiona;

Qui la visita del pomeriggio da Gianfranco Soldera a Case Basse;

Qui la visita a Pian dell’Orino di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach;

Qui la straordinaria visita in Biondi Santi e l’incursione da Casanova di Neri;

Giro di vite a Montalcino, Il Paradiso di Manfredi

28 febbraio 2011

L’indomani, è mattino presto quando arriviamo a Il Paradiso di Manfredi, in via Canalicchio; la mattinata è decisamente grigia, la luce fatica non poco a trapassare la spessa coltre di nubi e la nebbia, fitta, stenta nel diradarsi stagliando all’orizzonte un panorama sì fosco ma di affascinante suggestione.

Ci viene incontro Florio Guerrini, che assieme alla moglie Rosella e le due giovani figlie animano oggi questa splendida piccola realtà ilcinese, nata, poco più di cinquant’anni fa, per opera di Manfredi Martini, prematuramente scomparso e viticoltore a Montalcino della prima ora; tanto era l’entusiasmo che l’aveva coinvolto in questa grande avventura dall’essere proprio lui tra i primi, nel 1967, a credere e lavorare per la fondazione del Consorzio di Tutela del vino Brunello. E’ il 1950 quando con la moglie Fortunata, anche lei impegnata sin da piccola in campagna, acquistano il podere “Il Paradiso” in via Canalicchio avviandolo lentamente alla produzione di uve di qualità da conferire dapprima alla locale cantina sociale e pian piano, per dirla alla dolce maniera della sig.ra Fortunata, “da farne vino ‘bono ‘dda vendersi a’ signori”; così Manfredi, dopo anni tra le vigne della già famosa Tenuta Greppo della famiglia Biondi Santi, realizza il suo sogno. Oggi l’azienda conta una superficie vitata di poco più di due ettari e mezzo, perlopiù votati al sangiovese grosso. Le piante sono allevate a cordone doppio speronato con un sesto d’impianto di 90 cm per 2,7 m con circa 3.300 ceppi per ettaro esposti tutti a nord/est. L’età media della piantagione è di circa 30 anni.

Facciamo così un giro in vigna, per quello che ci è concesso visto il frescolino che pervade la collina in queste ore. Florio ci accompagna raccontandoci, devo dire con maniere estremamente gentili ed animo appassionato, il ciclo del lavoro che accompagna ogni anno la nascita di ognuna delle bottiglie di Rosso (poche) e Brunello di Montalcino che vengono fuori da questo piccolo angolo di paradiso. “Sulla vite si comincia a lavorare sin da gennaio con la potatura secca, durante la giusta fase lunare”. “Poi più o meno ai primi di maggio, poco prima dell’allegagione, facciamo una prima potatura verde: dalle viti togliamo le gemme superflue, i germogli e alcuni piccoli grappoli in modo da agevolare tra i filari ventilazione e quindi un’allegagione ottimale”. “Così nel corso dei mesi continuiamo, dove necessario, ad intervenire in vigna, sino all’invaiatura, contando così di portare a maturazione solo pochi grappoli per pianta che prima della raccolta vengono passati ulteriormente a selezione prima di raggiungere la cantina e quindi la vinificazione”.

Ci spostiamo a questo punto nella piccola cantina, dove – ci racconta sempre Florio, raggiunto frattanto da una delle due figlie – appena dopo una soffice pigiatura il mosto passa, per caduta, in vasche di cemento vetrificato di piccola e media dimensione. La fermentazione è generalmente prolungata a seconda delle caratteristiche dell’annata, avviene comunque lentamente e a basse temperature e con soli lieviti indigeni. Dopo la svinatura e con il passare dei giorni il vino illimpidisce decantando naturalmente, di qui le masse passano in botti di rovere dove vi rimangono per tutto il tempo necessario prima dall’esser pronti per l’immissione sul mercato. Dopo gli assaggi dalle botti – proviamo praticamente tutte le ultime annate dalla scorsa 2010 alla 2008 – raggiungiamo il caldo focolare di casa Martini dove ci attendono le bottiglie di Brunello di Montalcino 2004, 2005 e 2006; assaggi che ancora una volta confermano, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto i cosiddetti vini da agricoltura biodinamica, e qui siamo – in maniera evidente – su posizioni abbastanza integraliste, siano profondamente ed inesorabilmente segnati dall’annata ed in quanto tale tanto vicino all’eccellenza in quelle per così dire “baciate dalla natura” quanto poco emozionali in caso di problematiche causate da millesimi meno lineari o quando condizionate da accadimenti imprevisti.

Così, in sintesi, siamo passati da un più che sufficiente duemilasei, ricco di frutto e di sfumature minerali, estremamente godibile nonostante i tannini un po’ disgiunti, ad un duemilacinque decisamente più diluito, qui dal tannino sopito e di estrema bevibilità mentre, infine, il duemilaquattro si è rivelato estremamente complicato, indecifrabile per buona parte del tempo, tanto che nonostante l’avessimo aspettato a lungo, ci ha fatto a lungo dibattere – sulla sua naturalità, sulla digeribilità, tipicità nonché sulla sua capacità di attraversare il tempo – ma in definitiva, sinceramente, ci ha lasciato discutere senza riuscirne a trovare, a coglierci, quel piacere di bere indubbiamente tanto espressivo nei primi due.

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui l’imprevista e l’imprevedibile visita a Cerbaiona;

Qui la visita da Gianfranco Soldera a Case Basse;

Qui la visita a Pian dell’Orino di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach;

Qui la deliziosa mattinata in compagnia di Franco Biondi Santi e la visita a Casanova di Neri;

Giro di vite a Montalcino, due ore a Cerbaiona

25 febbraio 2011

Quando sull’uscio di Case Basse salutiamo Gianfranco Soldera il sole è già calato all’orizzonte, lui – quasi se lo fosse conservato come ultimo dire – ci invita a buttare un occhio al polso e l’altro lì, all’orizzonte, poi sorridendo di gusto ci fa: “andate a dirglielo voi… che io ho smesso più o meno una dozzina d’anni fa: quale altra vigna a Montalcino gode di luce quanto la mia?”.

Con chi ce l’avesse non l’abbiamo mica capito, ma è certo che un personaggio come Gianfranco Soldera e vini come il suo Brunello ti entrano dentro così prepotentemente che se non hai spalle belle larghe e sani principi rischi di perderti, e con te tutto quello che pensavi di sapere, conquistato sul campo al netto di tutte le fandonie che ti hanno raccontato e che ti sei fatto scivolare addosso, pur passate per buone da qualcun altro di cui ti fidavi o magari sul quale contavi. Una vita da sommelier insomma, mica altro!

Mentre mi accingo a pescare il telefono finito da qualche parte nel camper, chiedo a Nando e Dino se non sia disdicevole chiamare a quest’ora – sono da poco passate le cinque del pomeriggio – per una visita in azienda; ma quando, non ricordo nemmeno chi dei due, si ricorda di rispondermi, farfugliando qualcosa, ho già avvisato il sig. Molinari del nostro arrivo lì a Cerbaiona, più o meno in una decina di minuti. Di Diego Molinari non si può dire certo che sia, tra i produttori di Montalcino, il più disponibile; a detta di molti è invero tutt’altro che accomodante; dicono che è più facile scovare una bottiglia delle sue nel New Mexico piuttosto che ti apra le porte della sua cantina.

Chissà, sarà stata la serata giusta, che gli girava bene, forse la gran vena della splendida moglie Nora, tant’è che il maestro (tal è per molti) o altrimenti detto, il comandante – per i suoi trascorsi di pilota d’aereo di linea – quella sera non solo ci ha aperto le porte di casa sua e della splendida suggestiva cantina, ma ci ha intrattenuto a lungo regalandoci momenti di vita vissuta incredibili, dalle prime faticate vendemmie alle “prime folli uscite di testa”- come le chiama lui – di guide e “contractors”; nel mezzo la passione più che l’amicizia dello stimato Cernilli per il Brunello Cerbaiona“ci ha sempre seguito e spronato a fare meglio” – e l’insaziabile ma sempre turbolento mercato americano; “perchè nella convinzione di accontentare tutti va sempre a finire che scontenti qualcuno, così noi non ci siamo mai fatti strane idee, abbiamo sempre tirato dritto, anche quando – durante i giorni dello scandalo, ndr – qualche sprovveduto è andato in giro a dire che avevamo venduto Cerbaiona a chissà chi; ma tu guarda cosa s’inventano pur di cavalcare l’onda!”.

Nei giorni precedenti per la verità gli avevo a lungo chiesto di accoglierci nella sua graziosa cantina, e girando per il paese, conoscendolo, in molti ci davano per spacciati: “E’ un tipo particolare il Molinari, riottoso, poco socievole, provateci pure ma non credo che vi offrirà più d’un saluto telefonico”. E come spesso accade, è stata proprio questa particolare chiusura che ci ha ispirati di più, un po’ come la ricerca di quel forziere dimenticato chissà dove di cui tutti ne parlano e ne vanno alla ricerca ma nessuno sa veramente cosa c’è dentro. E della Cerbaiona, l’azienda di Molinari, se ne parla e come da sempre, sin dalla sua fondazione, alla fine degli anni settanta; il suo Brunello è indiscutibilmente tra i più acclamati ed apprezzati del comprensorio, la stoffa dei suoi vini, forse la più pregiata di questo versante montalcinese, in certe annate quasi inarrivabile, per questo irripetibile.

Dicevo della splendida moglie Nora, donna dinamica e risoluta come poche altre incontrate sino ad ora, è lei, oggi, il vero motore della piccola azienda agricola; basta osservare con quale cordiale osservanza ruba lentamente la scena al marito – giunto frattanto alla decima sigaretta, e siamo qui da poco meno di un ora – sino a coinvolgerci rapiti: intuitiva, solare, affabile, anche quando ha dovuto giustificare al marito che avevamo ritrovato in cantina una bottiglia di Brunello 2004, che lui – precedentemente al suo arrivo nella stanza – ci aveva categoricamente escluso che potesse ancora avere. Assaggiamo con loro, il Rosso 2007, davvero sorprendente, e, in anteprima, il Brunello Cerbaiona 2006, da sgranare gli occhi e… praticamente da masticare a lungo; Ci sottopone poi all’assaggio, senza in verità crederci più di tanto – che sagoma! -, anche il Cerbaiona rosso igt: “beh, c’è stato un momento che m’hanno rotto le balle, loro e ste’uve internazionali, gliel’ho fatto, et voilà; oggi però non lo vuole più nessuno, va in malora!”.

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la visita da Gianfranco Soldera a Case Basse;

Qui la visita a Pian dell’Orino di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach;

Qui la deliziosa mattinata in compagnia di Franco Biondi Santi e la visita a Casanova di Neri;

Greve in Chianti&Montalcino, Tenimenti Folonari

22 novembre 2009

Montalcino, Tenuta La Fuga. La bottaia nel sottoscala della Villa padronale. Piccola e accogliente, qui riposano innumerveoli vecchie annate di Brunello. 

Il Nobile Tor Calvano è uno dei migliore Nobile in circolazione; il Chianti Classico Riserva La Forra, manco a dirlo, superlativo (il 2005 eccezionale. Poi Cabreo il Borgo, un fuoriclasse assoluto: anime e corpo in evidenza. 

Sangiovese prima dell’invaiatura a Villa Nozzole, Greve in Chianti. Dalle vigne più vecchie della tenuta nasce il La Forra, il Riserva di punta dei Tenimenti Ambrogio e Giovanni Folonari.  

Greve in Chianti, Tenimenti Folonari, il bellissimo borgo che domina la collina. Qui nasce il Cabreo. 


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