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La torrida estate e 6 buoni vini da non perdere (ma se ve li perdete non succede mica qualcosa!)

5 agosto 2010

Agosto, è piena estate! A parte l’intenso ma breve schiaffo temporalesco della settimana scorsa possiamo affermare di essere già da un pezzo nel bel mezzo della bella stagione, e fra tre-quattro giorni, dicono gli esperti, le temperature potranno salire ancora fino a 38 gradi, in particolare, come sempre, al sud. Sempre gli esperti ci dicono che ormai è uno schema risaputo e che tutti gli anni ci tocca, è diventato quasi regolare infatti l’assenza di una primavera degna di questo nome, e neppure l’inizio dell’estate, quella tiepida di fine maggio, per intenderci, risulta più riconoscibile: in pratica “non esisterebbe più la mezza stagione”.

Qualcuno ha gridato: e l’anticiclone delle Azzorre, che fine ha fatto? Beh, pare abbia pure lui i suoi problemi, in verità si vocifera che il nostro bene amato se ne stia per conto suo visto i tempi che corrono dalle nostre parti. Pertanto, cari Amici di Bevute , tenetevi la calura, e se accettate un consiglio, beveteci su; Cose semplici s’intende, fresche, di quelle che “nippano” le papille gustative e rivitalizzano il gargarozzo: ma si, per una volta che vadano pure al mare sti’ sommelier, della serie “faciteme sta’ quijete”!!

L’ordine è più o meno sparso, gli assaggi abbastanza recenti e sostenuti da ampio confronto e gradimento con i miei avventori, pertanto potete fidarvi :-).

Coda di Volpe del Taburno 2009 Fattoria La Rivolta, sempre in crescendo i vini di Paolo Cotroneo, la sua coda di volpe, abbandonata la veste muscolosa che l’ha accompagnata egregiamente agli esordi di qualche anno fa, spunta ad ogni nuovo millesimo un risultato migliore del precedente. Dal colore paglierino tenue con sfumature dorate esprime un ventaglio olfattivo molto pulito, piuttosto invitante. In bocca è decisamente asciutto, con una beva di sostanza ma sorretta da una acidità importante. Avete presente una tranquilla cena a pochi centimetri sopra il mare, con il vento che lentamente ti gira intorno e ti tiene lieve mentre due occhi neri ti stampano la felicità nel cuore?

Vdt bianco Joaquin dall’Isola 2009 JoaquinRaffaele Pagano ci ha ormai abituati a vini per niente banali, con la sua cantina ha messo su in realtà, in quel di Montefalcione, un piccolo “laboratorio” enologico a disposizione di chi, come enologo, voglia cimentarsi con i vitigni autoctoni campani ed esprimere attraverso questi la propria arte di fare vino. Non poteva mancare nella “collezione 2009” un vino di una suggestione unica, che nasce dalle vigne capresi che guardano il mare del golfo di Napoli dall’alto della solenne tranquillità della piccola Anacapri. Greco, Biancolella e Falanghina selezionati acino per acino da Sergio Romano per un vino sinceramente sorprendente: dal colore paglierino tenue, intriso di sentori floreali molto invitanti e di sfumature agrumate assai gradevoli. In bocca è asciutto, possiede un ottimo slancio gustativo che avvolge di sana freschezza il palato e chiude su un finale lievemente iodato. Ecco la novità dell’anno, solo 820 magnum, per un vino ben fatto, che va molto oltre la semplice intuizione di dare nuovo slancio alla viticultura caprese. Bravo Raffaele!!

Langhe Arneis Blangè 2009 Ceretto, è un vino che non riesco ad amare, e sinceramente nemmeno ci provo, sarà un mio limite? Idiosincrasia a parte però, mi trovo costretto a prendere atto di un fenomeno di mercato tanto comune quanto apprezzato, a tratti ricercato. C’ho buttato dentro, così per caso ( 😦 ) il naso, pulito, interessante, di fiori e frutta esotica; Me ne sono appena bagnato le labbra, poi un sorso, e ancora uno per essere certo di aver ben compreso: è un buon vino, sinuoso ma senza particolare profondità, appena godibile, leggero.

Asprinio d’Aversa brut Grotta del Sole. “Vorrei poter bere un vino bello freddo, fregandomene per una volta, dei precetti. Lo vorrei secco, anche un tantino acido, magari con delle belle bollicine che mi tengano sveglio il palato. Desidero un vino di questo tipo, che posso trovare con una certa facilità e ad un prezzo conveniente, che sia però prodotto da una azienda di cui mi possa fidare, che magari mi possa raccontare di se e della sua terra, dei suoi vini autentici”. Devo aggiungere altro?

Rheingau Riesling Sauvage 2008 George Breuer, seppur la gente continua a storcere il naso quando gli proponi una bottiglia con il tappo a vite, sono sempre più convinto che il sughero, quello buono, dovremmo pensare seriamente di preservarlo solo per le bottiglie migliori e destinate ad un lungo invecchiamento.  E’ indubbio che si tratti di una questione innazitutto culturale – soprattutto mittel europea – che dovremo prima o poi fare anche nostra. Venendo a questo riesling, tedesco per elezione, è un vino decisamente affascinate, uno di quei vini dalla pulizia olfattiva disarmante, quasi inebriante. All’approccio gustativo è tagliente, infonde notevole freschezza al palato richiamandone subito un nuovo sorso, non ha, al momento, le suadenti note di idrocarburi che a taluni piacciono tanto, ma tanto è finemente minerale quanto particolarmente saporito. Da ricordare di bere.

Collio Sauvignon Ronco delle Mele 2009 Venica&Venica. E’ – con il de la Tour 2008 di Villa Russiz e il Picol 2008 di Lis Neris – tra i migliori assaggi di quest’anno del varietale; Un vino che non posso fare a meno di annoverare tra i miei preferiti italiani nel gioco di rincorsa al più austero e selvaggio dei vitigni internazionali. Sempre sugli scudi, proprio da un recente assaggio – 25 campioni da tutto il mondo, alla cieca – il Ronco è emerso a mani basse e senza smentita alcuna come il più appassionate dei blanc in batteria: dal colore paglierino viene fuori un bouquet olfattivo sempre in grande spolvero, fiori di sambuco e note vegetali su tutti, balsamico. Al palato non fa mancare una certa vivacità gustativa, quasi intransigente prima di offrirsi in un finale di bocca ricco e oltremodo piacevole. Da tenere sempre a portata di mano!

Magari poi mi ringrazierete pure, forse.

Osimo, Pelago 1998 Umani Ronchi

23 gennaio 2010

Fine estate 2001, varcavo la soglia  dell’autodeterminazione, decidevo del mio futuro lasciandomi alle spalle anni di duro lavoro ed importanti soddisfazioni personali, iniziavo però ad intuire che era nella crescita corale di una intera brigata di sala il successo più importante, mancato negli ultimi tempi, non certo per mia volontà.

Era il tempo delle vacanze e come molte in quegli anni era tempo di andar per cantine a scoprire e capire il vino e le sue origini; la Toscana nel cuore ma divenuta già pane quotidiano per non parlare dell’amato sud, ecco che gli occhi ricaddero sul Conero, nelle Marche, con l’idea poi di fare una capatina di lì a qualche decina di chilometri in Umbria, a Torgiano e Montefalco in particolare. Così fu.

Arrivammo ad Osimo alle porte di Umani Ronchi una domenica mattina di fine agosto, io, Lilly e la mia Peugeot rosso lucifero fiammante: ne ha macinati di chilometri, ne ha presi di moscerini in faccia il vecchio leone francese irto sulla mascherina davanti al radiatore. Ci accolgono, inattesi, con cordialità ed estrema disponibilità, facendoci visitare il bellissimo vigneto da poco reimpiantato che sovrasta la cantina interrata, l’area di vinificazione ipermoderna, la suggestiva barriccaia e la sala degustazione dove, con il dott. Bernetti ci fermiamo a bere alcuni vini cult dell’azienda: il verdicchio Villa Bianchi, il mio sempiterno amato Casal di Serra ed il Lacrima di Morro d’Alba subito prima del fuoriclasse di casa, il Pelago.

Nel tempo a venire, non avrei mai dimenticato quella mattinata e l’assaggio di ieri sera dell’ultima bottiglia di ‘98 in cantina, condivisa con l’amico Massimo Andreozzi, ha riaperto, in maniera vigorosa, importanti riflessioni personali sulla necessità di un profondo rinnovamento, di rispolverare, se necessario, quella soglia di autodeterminazione, ferma lì a qualche metro, apparentemente distante ma facile da raggiungere e nuovamente superabile con appena uno scatto in avanti, inevitabile, imprescindibile per rinvigorire stimoli ed obiettivi.

Il Pelago di per sé è un vino decisamente fuori dall’ordinario e questo piacevole e suggestivo riassaggio del ’98 non ha potuto che confermare questa mia convinzione. Nasce da un uvaggio rimasto perlopiù invariato nel tempo di cabernet sauvignon al 50%, montepulciano al 40% e Merlot col restante 10%.Il colore è vivace su di una  tonalità rosso rubino con riflessi nitidamente granato; il primo naso è variamente caratterizzato da note varietali tipiche del cabernet come l’erbaceo, il vegetale, con sentori che vanno via via facendosi più o meno intensi su riconoscimenti di pepe nero, liquirizia, lignite, sensazioni sottili, eleganti, invitanti.

Lo spettro olfattivo man mano si apre su fronti più ammiccanti, si distinguono pregevoli toni floreali di viola passita ed un fruttato maturo di prugna e ribes nero in confettura. In bocca è secco, abbastanza caldo, di buona profondità gustativa, il tannino è risoluto e lascia ampio spazio all’equilibrio ed alla piacevolezza di beva confortata soprattutto da una discreta sapidità. Noi l’abbiamo bevuto per puro piacere, probabilmente all’apice della sua parabola evolutiva, l’abbiamo trattato da compagno di conversazione, e non ci è certo rimasto indifferente. In genere, è bene abbinare il Pelago a piatti importanti, strutturati, succulenti, anche aromatici, non mancherà di sorprendere con la sua costante intensità gustativa.

© L’Arcante – riproduzione riservata


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