Posts Tagged ‘sauvignon’

Sancerre La Moussiere 2018 Alphonse Mellot

8 giugno 2020

Un grande Sancerre questo di Alphonse Mellot, di quelli che ti rimangono dentro come una grande esperienza, guai a lasciarla andare via senza dedicargli almeno due righe, soprattutto quando si tratta di raccontare di una terra dove, si racconta, si nasconde ancora l’anima più arcaica e selvaggia del Blanc fumé Loirenne.

La Moussière duemiladiciotto prende vita da un assemblaggio delle uve raccolte tra i filari più o meno giovani degli oltre 30 ettari piantati a Sauvignon del Domaine, perlopiù su terreni caratterizzati da calcare e marne e vigne condotte in ossequio dei più rigidi protocolli di agricoltura biologica e biodinamica; rappresenta forse l’anima più autentica dei fratelli Alphonse Jr ed Emmanuelle Mellot e continua ad essere uno dei miei bianchi preferiti in assoluto di questo territorio, nonostante sia solo il terzo vino dopo “Génération XIX” e la “Cuvée Edmond¤” prodotto qui.

E’ un vino luminoso, con un bel colore paglia intenso, con un naso subito verticale, dal sorso tremendamente asciutto eppure tanto invitante quanto complesso e ricco. Ha spessore, agilità, pienezza; per un cinquanta per cento della massa che fa fermentazione in legno grande vi è l’altro cinquanta che passa solo in acciaio. Poi, una volta deciso il blend, finisce una manciata di mesi in bottiglia, il tempo necessario per ritrovare equilibrio, ricomporsi e consolidare quella verve che ne caratterizza in maniera incisiva, dal primo all’ultimo sorso l’esperienza gustativa.

Ci trovi dentro un corredo aromatico dei più classici (agrumi, litchi, frutto della passione, timo) ma anche note più intense, vibranti e quasi pungenti, di polvere di gesso e pietra bagnata. A piccoli sorsi ci ritrovi anche tanta sapidità, con quel sapore deciso, forse un po’ concentrico sul varietale ma con quelle increspature agrumate e minerali che man mano ne alleggeriscono la profonda tipicità del frutto senza però sovrastarlo, come solo certe grandi bottiglie sono in grado di fare!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Capriva del Friuli, il Sauvignon de la Tour 2008

31 agosto 2011

Pensare a un vino e dire che non ha pari è più che innamorarsene, è perderci la testa. Personalmente ho sempre avuto un gran debole per i vini di Villa Russiz, una realtà decisamente incredibile che fa vini al di sopra di ogni aspettativa, qualsiasi ne bevi, i bianchi in primis.

Più del Grafin de La Tour, lo chardonnay capace di attraversare decenni senza alcun cedimento, tra i pochissimi italiani a potersi permettere passerelle oltralpe e oltreoceano, è il Sauvignon de la Tour ha catalizzare da sempre ogni mia particolare attenzione verso i vini di Gianni Menotti e la sua band. Un vino ogni anno straordinario, infinito, ma questo duemilaotto appare decisamente enorme, assolutamente oltre ogni aspettativa. Tre assaggi in un anno, ognuno più dell’altro, mi fanno pensare, offrono conferma – nonostante sia la mia una passione piuttosto nutrita sino ad oggi -, di non aver mai bevuto prima un sauvignon così entusiasmante. Da manuale.

Di un bellissimo giallo paglierino luminoso si offre ad un approccio olfattivo strabiliante; il naso è portentoso, strepitoso per eleganza e finezza, direi superlativo: inizialmente delicato, si apre ad un corollario di sentori e riconoscimenti incredibili, note erbacee e speziate che fanno da trampolino a sottili nuances vegetali e di frutti esotici e agrumi; sensazioni balsamiche di salvia e maggiorana che rincorrono peperone giallo, pesca e pompelmo. E l’immancabile passion fruit. In bocca l’attacco è disincantato, senza freni, fitto, tanto ampio quanto profondo, acidità a tutto spiano addolcita da una struttura importante, stratificata, non indifferente. Unico appunto, non ce n’è più in giro. A meno che in Fondazione non decidano di dar fondo alla cantina di Capriva dove riposano – si dice – ancora un paio di migliaia di bottiglie di duemilaotto in attesa di una possibile reimmissione sul mercato nel 2014. Mai attesa sarà più gradita!

Viaggio in Nuova Zelanda, cose dell’altro mondo

25 giugno 2011

di Enone Oneno.

Esistono dei luoghi al Mondo in cui i doni di Dio hanno un sapore diverso. Dove la natura fertile e rigogliosa sembra aver trovato un compromesso con l’uomo, dei luoghi in cui le piante appaiono in grado di udire le preghiere di chi le coltiva. Uno di quei luoghi è senz’alcun dubbio la Nuova Zelanda. Isola dimenticata al confine tra l’Oceano Pacifico ed il Mare di Tasman in grado di trasmettere ai suoi frutti il fascino della sua latitudine.

Non è certo che il Creatore adoperasse un pennello per le sue opere, ma se un indizio esiste, beh, questo è la terra dei Maori. bella come nessuna landa al mondo, piena della sua solitudine, perfettamente abbandonata a sé stessa.. ineguagliabile connubio di coste, pendii e spazi piani. In questi scenari, giovani e arditi coltivatori hanno iniziato da poco più di un trentennio a dedicarsi seriamente alla vite.

L’inizio non fu semplice, in quanto caratterizzato da un decennio speso ad esitare sull’opportunità di vinificare una Sǘssreserve di Muller-Thurgau; ma poi le cose iniziarono a cambiare a partire dagli anni ’90.

Così, sebbene gappati dalla giovane età in termini di storia enologica, nonché dall’interesse volto per troppo tempo esclusivamente ai vitigni più quotati (chardonnay, riesling, cabernet, pinot nero), i neozelandesi hanno mostrato, da alcuni anni, di aver maturato l’esperienza sufficiente per puntare, finalmente, su di un vitigno estremamente indicato per loro terra, il sauvignon blanc, marginalizzando al contempo gli altri uvaggi internazionali, ed accantonando definitivamente l’idea di riprodurre in patria una piccola Francia d’oltreoceano.  

Due strade distinte, due filosofie di vigna, tanti vini. Se si parla di Nuova Zelanda, occorre distinguere tra i produttori che si dedicano ancora ai “vini col passaporto” da quelli che, invece, hanno deciso di concentrarsi sul sauvignon blanc. Ma tale distinguo, oramai, non conduce a risultati di assoluta incomparabilità, in quanto l’incremento qualitativo dei vini degli ultimi 15 anni ha interessato la quasi totalità delle produzioni.

E’ stato grazie alla zelante opera di promettenti aziende, capitanate spesso da enologi giovanissimi, che la qualità media dei vini neozelandesi ha conosciuto uno scatto verso l’alto degno di nota. Oggi i rossi non sono più estremamente erbacei ed i bianchi non sembrano più fatti seguendo una ricetta. Una seria opera di personalizzazione, accompagnata da un più accurato studio sulla vigna, ha iniziato a partorire bottiglie di tutto rispetto. E’ il caso del riesling di Palliser Estate a Martinborough, o della gamma di Craggy Range e del suo enologo Doug Wisor a Hawke’s Bay, ma anche del pinot noir di Akarua nel Central Otago.

Coloro i quali, poi, intendessero spingersi oltre le degustazioni (tutte squisitamente semplici e accompagnate da una spensieratezza oramai sparita nel nostro emisfero) di chardonnay e pinot nero, potrebbero rimanere esterrefatti. Imbattersi in un saggio di un Sauvignon Blanc neozelandese, infatti, equivale letteralmente a cadere dalle nuvole. Non è un caso, dunque, che ben 5500 ettari di vigneti di questa terra siano destinati a tale uva. Dal clone UCD1 dell’università di Davis, California, con l’aiuto di una terra generosa (argilla, sabbia, sottosuolo vulcanico) e di un clima perfetto per tale uvaggio (fresco, ventilato, soleggiato), alcuni produttori riescono a tirar via un vino ultrafresco, equilibrato e straordinariamente intenso al frutto, da bere (salvo che non si sia disposti a perdere le note di maracuja e pompelmo) entro due anni dall’imbottigliamento. Il massimo dell’espressività si ottiene nel regioni vinicole di Marlbourough e Martinbourough, due lembi di terra appartenenti rispettivamente all’isola del sud e del nord, divise da un’unghia di oceano (lo stretto di Cook) e meravigliosamente poste l’una di fronte all’altra, in cui aziende come Hunter’s, NGA Waka Vineyard, Saint Clair e Cloudy Bay sembrano, per ora, farla da padrone.

Un’ultima parola merita d’esser spesa per segnalare il crescente interesse sviluppatosi intorno ai vini botritizzati. La presenza di vitigni come il riesling, lo chardonnay ed il semillon, ha reso possibile lo sviluppo di tale vino, che lungi dall’essere inteso da meditazione da una popolazione di spensierati, è invece il segno più evidente del peccato originale di ogni essere umano di origine britannica, ovvero la passione, per nulla celata, per le bevande dolci.

In principio fu il sidro potremmo dire, i più maliziosi potrebbero invece rivedere, nella nuova tendenza verso questi sweet-wines, il riemergere dei peccati giovanili degli anni ’80 (vedi Sǘssreserve di Muller-Thurgau), ma la realtà è differente. Il tempo del miele è finito, i Kiwi ora fanno sul serio, ne passerà ancora un po’ di tempo, ma dall’altra parte del mondo vanno veramente veloci. Prepariamoci tutti dunque, l’alternativa alla Francia c’è, un altro mondo è possibile!

Con questo pezzo diamo il benvenuto su queste pagine a Mauro Illiano; non c’è granchè da aggiungere, se non che chi non lo conosce presto imparerà a coglierne la semplicità e al tempo stesso la finezza dei suoi scritti. Mauro non è un tecnico, e non fa il sommelier (nemmeno perditempo), ma è un grandissimo appassionato e cultore del bere e mangiare bene; per questo, come ho già scritto nella sua scheda di presentazione della sua rubrica, reputo la sua firma quella che ancora mancava su questo blog. Benvenuto a bordo. (A. D.)

L’utile sottovalutato, il tappo a vite per esempio

16 agosto 2010

Lo ammetto, inizio ad accettare di buon grado l’idea delle bottiglie di vino con la chiusura tappo a vite. Credo siano stati fatti buoni passi avanti, innanzitutto sull’utilizzo dei materiali, soprattutto in riferimento alle plastiche utilizzate internamente al tappo come sigillante, da qualcuno, in passato, additate come nocive se non addirittura cancerogene e poi anche, sebbene ancora poco, da un punto di vista comunicativo e divulgativo. Per la verità, per quanto ci riguarda, in Italia il dibattito sulla utilità o efficacia di questa soluzione, nata perlopiù per sopperire alle difficoltà causate dal prezzo dei sugheri in costante ascesa, non si è mai acceso del tutto, dovuto soprattutto al fattore culturale, più che altro così filo mittel-europeo quanto vera e propria sincope del nuovo mondo, distante quasi anni luce dal romanticismo latino, italiano e francese in primis, che vuole, aggiungo forse giustamente, le bottiglie di vino bollate e consegnate al tempo esclusivamente con il tappo di prezioso sughero.

Ecco, pur essendo io un romantico, me ne sono fatto una ragione, professionale innanzitutto e nel tempo ho imparato a rivalutare il tappo a vite sino a pensare che prima o poi ne diverrò un convinto sostenitore, quasi un fan; A ciò aggiungo che rilancio molto volentieri l’invito, a chiunque ne fosse strenuo ostruzionista, a rivedere sin da subito la propria posizione e poichè non sarebbe così male di pensare di utilizzarlo con maggiore frequenza, e mi riferisco in particolar modo a quelle aziende che dedicano stabilmente una “linea di prodotti” per esempio alla banchettistica o più semplicemente propongono sul mercato vini dal consumo più o meno veloce (bianchi e rossi d’annata, rosati). Tra i pro, tra i tanti, uno lampante proprio per gli addetti ai lavori, quello cioè di non dover aprire (metti un evento di gala) cento-centocinquanta bottiglie e – come mi auguro capiti di sovente – provarne l’integrità da tricloroanisolo una ad una. Qualcuno ha pensato bene di attenuare lo stress per il sommelier di turno con i tappi sintetici, bene, bravo, ma rimangono pur sempre da aprire, cavatappi alla mano, cento-centocinquanta bottiglie di cui sopra. Vuoi mettere con uno Stelvin,  svita e… vai!

© L’Arcante – riproduzione riservata

La torrida estate e 6 buoni vini da non perdere (ma se ve li perdete non succede mica qualcosa!)

5 agosto 2010

Agosto, è piena estate! A parte l’intenso ma breve schiaffo temporalesco della settimana scorsa possiamo affermare di essere già da un pezzo nel bel mezzo della bella stagione, e fra tre-quattro giorni, dicono gli esperti, le temperature potranno salire ancora fino a 38 gradi, in particolare, come sempre, al sud. Sempre gli esperti ci dicono che ormai è uno schema risaputo e che tutti gli anni ci tocca, è diventato quasi regolare infatti l’assenza di una primavera degna di questo nome, e neppure l’inizio dell’estate, quella tiepida di fine maggio, per intenderci, risulta più riconoscibile: in pratica “non esisterebbe più la mezza stagione”.

Qualcuno ha gridato: e l’anticiclone delle Azzorre, che fine ha fatto? Beh, pare abbia pure lui i suoi problemi, in verità si vocifera che il nostro bene amato se ne stia per conto suo visto i tempi che corrono dalle nostre parti. Pertanto, cari Amici di Bevute , tenetevi la calura, e se accettate un consiglio, beveteci su; Cose semplici s’intende, fresche, di quelle che “nippano” le papille gustative e rivitalizzano il gargarozzo: ma si, per una volta che vadano pure al mare sti’ sommelier, della serie “faciteme sta’ quijete”!!

L’ordine è più o meno sparso, gli assaggi abbastanza recenti e sostenuti da ampio confronto e gradimento con i miei avventori, pertanto potete fidarvi :-).

Coda di Volpe del Taburno 2009 Fattoria La Rivolta, sempre in crescendo i vini di Paolo Cotroneo, la sua coda di volpe, abbandonata la veste muscolosa che l’ha accompagnata egregiamente agli esordi di qualche anno fa, spunta ad ogni nuovo millesimo un risultato migliore del precedente. Dal colore paglierino tenue con sfumature dorate esprime un ventaglio olfattivo molto pulito, piuttosto invitante. In bocca è decisamente asciutto, con una beva di sostanza ma sorretta da una acidità importante. Avete presente una tranquilla cena a pochi centimetri sopra il mare, con il vento che lentamente ti gira intorno e ti tiene lieve mentre due occhi neri ti stampano la felicità nel cuore?

Vdt bianco Joaquin dall’Isola 2009 JoaquinRaffaele Pagano ci ha ormai abituati a vini per niente banali, con la sua cantina ha messo su in realtà, in quel di Montefalcione, un piccolo “laboratorio” enologico a disposizione di chi, come enologo, voglia cimentarsi con i vitigni autoctoni campani ed esprimere attraverso questi la propria arte di fare vino. Non poteva mancare nella “collezione 2009” un vino di una suggestione unica, che nasce dalle vigne capresi che guardano il mare del golfo di Napoli dall’alto della solenne tranquillità della piccola Anacapri. Greco, Biancolella e Falanghina selezionati acino per acino da Sergio Romano per un vino sinceramente sorprendente: dal colore paglierino tenue, intriso di sentori floreali molto invitanti e di sfumature agrumate assai gradevoli. In bocca è asciutto, possiede un ottimo slancio gustativo che avvolge di sana freschezza il palato e chiude su un finale lievemente iodato. Ecco la novità dell’anno, solo 820 magnum, per un vino ben fatto, che va molto oltre la semplice intuizione di dare nuovo slancio alla viticultura caprese. Bravo Raffaele!!

Langhe Arneis Blangè 2009 Ceretto, è un vino che non riesco ad amare, e sinceramente nemmeno ci provo, sarà un mio limite? Idiosincrasia a parte però, mi trovo costretto a prendere atto di un fenomeno di mercato tanto comune quanto apprezzato, a tratti ricercato. C’ho buttato dentro, così per caso ( 😦 ) il naso, pulito, interessante, di fiori e frutta esotica; Me ne sono appena bagnato le labbra, poi un sorso, e ancora uno per essere certo di aver ben compreso: è un buon vino, sinuoso ma senza particolare profondità, appena godibile, leggero.

Asprinio d’Aversa brut Grotta del Sole. “Vorrei poter bere un vino bello freddo, fregandomene per una volta, dei precetti. Lo vorrei secco, anche un tantino acido, magari con delle belle bollicine che mi tengano sveglio il palato. Desidero un vino di questo tipo, che posso trovare con una certa facilità e ad un prezzo conveniente, che sia però prodotto da una azienda di cui mi possa fidare, che magari mi possa raccontare di se e della sua terra, dei suoi vini autentici”. Devo aggiungere altro?

Rheingau Riesling Sauvage 2008 George Breuer, seppur la gente continua a storcere il naso quando gli proponi una bottiglia con il tappo a vite, sono sempre più convinto che il sughero, quello buono, dovremmo pensare seriamente di preservarlo solo per le bottiglie migliori e destinate ad un lungo invecchiamento.  E’ indubbio che si tratti di una questione innazitutto culturale – soprattutto mittel europea – che dovremo prima o poi fare anche nostra. Venendo a questo riesling, tedesco per elezione, è un vino decisamente affascinate, uno di quei vini dalla pulizia olfattiva disarmante, quasi inebriante. All’approccio gustativo è tagliente, infonde notevole freschezza al palato richiamandone subito un nuovo sorso, non ha, al momento, le suadenti note di idrocarburi che a taluni piacciono tanto, ma tanto è finemente minerale quanto particolarmente saporito. Da ricordare di bere.

Collio Sauvignon Ronco delle Mele 2009 Venica&Venica. E’ – con il de la Tour 2008 di Villa Russiz e il Picol 2008 di Lis Neris – tra i migliori assaggi di quest’anno del varietale; Un vino che non posso fare a meno di annoverare tra i miei preferiti italiani nel gioco di rincorsa al più austero e selvaggio dei vitigni internazionali. Sempre sugli scudi, proprio da un recente assaggio – 25 campioni da tutto il mondo, alla cieca – il Ronco è emerso a mani basse e senza smentita alcuna come il più appassionate dei blanc in batteria: dal colore paglierino viene fuori un bouquet olfattivo sempre in grande spolvero, fiori di sambuco e note vegetali su tutti, balsamico. Al palato non fa mancare una certa vivacità gustativa, quasi intransigente prima di offrirsi in un finale di bocca ricco e oltremodo piacevole. Da tenere sempre a portata di mano!

Magari poi mi ringrazierete pure, forse.

Pozzuoli, metti una sera di luglio a cena…

8 luglio 2010

E’ accaduto ieri sera, e qualche tempo prima, un saluto accorato ci ha legati ad una promessa, di ripeterlo tra qualche giorno, e poi ancora dopo l’estate, ma non vi nascondo che c’è un altissima probabilità che ciò continui all’infinito, non un appuntamento fisso – le agende servono a poco quando a scriverle è chi ha solo l’interesse a riempirle quanto più gli è possibile – ma cadenzato dalle opportunità del momento, dal piacere di stare assieme.

E’ accaduto ieri sera, dicevo: c’era l’aria giusta, leggera, a dirla tutta anche un po frescolina, il buon umore si respirava a grasse boccate tanto che il nostro ritardo è passato (quasi) inosservato; le facce, belle seppur per niente abbronzate (!) non avevano fretta di sorridere, ma ne avrebbero colto l’occasione appena arrivato il momento del saluto. Le strette di mano? Solo il primo approccio a baci e abbracci appiccicosi: come si sa può sempre capitare di ritrovarsi a cena senza conoscersi tutti, e pur consapevole che ciò non sempre è una scelta vincente, il piacere di stare assieme, quello puro, per rimanere indelebile, pare rafforzarsi nella lieve attesa, con l’inaspettato incontro ravvicinato con “l’altro tipo”.

E’ bastato un sms, di poche righe, inviato quasi per gioco: “oh, ci vediamo mercoledì, alle nove. Porta una paio di bottiglie di Pinot Nero, celate, mi raccomando”.

Così nasce tutto, così è stato, è accaduto che ci siamo riuniti intorno ad un tavolo, nella casa di Nando e Wanna, come stare a casa propria: abbiamo mangiato purezza e semplicità, chiacchierato a lungo, (s)parlato quel poco che basta, sorriso moltissimo. Ah, quasi dimenticavo, abbiamo bevuto molto bene!

P.S.: giammai accettare ancora Sauvignon da Gerardo Vernazzaro 😉

Consigli per gli acquisti? Solo buoni suggerimenti!

17 dicembre 2009

Una piacevole conversazione con l’ostetrica, stamattina, mi ha lasciato riflettere su alcune questioni che spero di avere tempo di tracciare su questo blog.Nel frattempo però, così come ho fatto con lei, vorrei regalare alcuni consigli utili per scegliere bene il regalo da fare all’enoappassionato di turno. Spendere bene i pochi denari che si è deciso di investire per un regalo, soprattutto se materialmente “effimero” come una bevuta, non è mai male.

In tempo di Natale vanno a ruba i “marchi storici”, tanto velocemente quanto il loro riciclaggio; pertanto, se la persona a cui dovete fare un regalo non ha, secondo le vostre conoscenze, una particolare educazione a bere vini ricercati, avete scelto il giusto. Il “marchio storico” ha sempre il suo fascino, è immediatamente apprezzato, gradito e garantisce spesso anche una qualità media dei suoi vini abbastanza alta; pensate poi al fatto, da non trascurare mai, che per l’occasione, qualora risulti un regalo, per così dire, in eccesso, potrà essere anche facilmente riciclato; non avreste, quindi, potuto scegliere di meglio.

L’azienda famosa, quella presente in tutti i buchi e pertugi della distribuzione ha sempre gran mercato, ma anche il nome del vino: Barolo, Brunello, un po’ meno ma in grande recupero l’Amarone, il Taurasi sono vini da non mancare di prendere in considerazione se siete a secco di idee. E di questi, potete starne certi, in questi giorni troverete anche succulente offerte commerciali: fate attenzione però a che non siano svendite, perchè va bene che le aziende hanno bisogno di svuotare le cantine, ma anche i commercianti non scherzano, per l’occasione, nel rifilare il peggio delle denominazioni su citate.

Altra questione è quella legata al dove comprare i regali. E’ importante scegliere bene dove cercare le vostre preziose bottiglie che non necessariamente, sia ben inteso, deve avvenire esclusivamente nelle enoteche. Negli ultimi anni è cresciuta molto la sensibilità della grande distribuzione verso i vini di qualità, fattostà che si possono trovare tante diverse etichette disponibili anche nei più piccoli dei supermercati; state però attenti a che le bottiglie vengano conservate bene, spesso le luci forti utilizzate per illuminare i reparti possono causare in qualche modo surriscaldamento delle bottiglie (soprattutto quelle poste più in alto), ma questo è forse il male minore. Peggio avviene per quelle stoccate in depositi non giustamente condizionati, muffe e sbalzi di temperatura non fanno certo bene alla sanità di un vino. Attenti a quelle che vengono spesso utilizzate per fare esposizioni nei banchi salumeria (etichette opache, a volte ingiallite) e a quelle bottiglie, da bandire assolutamente, messe in bella mostra in vetrina. Quando comprate qui, sarebbe anche opportuno informarvi se in caso di difetti evidenti del vino o “sentore di tappo” vi sarà data l’opportunità di avere una nuova bottiglia o rimborsato l’importo pagato, questa è anche una delle ragioni che vi deve indirizzare a quei luoghi che sapete tra i vostri abituali.

Nelle enoteche, è prassi, ma non tutti la applicano, “cambiare” le bottiglie: che è cosa buona e giusta. Qui è importante precisare che oltre alle banali osservanze di cui sopra, ci si deve aspettare altri accorgimenti e servizi assolutamente indispensabili. Chi gestisce l’enoteca deve avere forte propensione alla professionalità, meglio se certificata (ma non è certo indispensabile) e deve essere  una persona con la quale ci si può confrontare apertamente sul vino, sul suo mondo, sul proprio gusto senza per questo essere tediati da termini tecnici o poetiche evasioni.

Disponibilità, affabilità vi potranno aiutare a scegliere meglio il vostro regalo ideale, la sua professionalità sarà quel valore aggiunto spesso disatteso in altri luoghi che vi potrà indirizzare oltre che a scegliere il giusto vino magari anche a capirci qualcosa in più: l’enoteca non è un luogo dove entrare avendo fretta di uscire, è anzi il posto giusto dove lasciare scorrere via le lancette dell’orologio seguendo, affascinati, il percorso fantastico tracciato dalle etichette e dai suoi protagonisti. Chi saprà accompagnarvi con racconti e storie di vini e persone incontrate vi avrà offerto un servizio impagabile. Oltre ai “marchi storici” è proprio qui che si possono scoprire realtà nuove e piccoli gioielli, piccole rappresentazioni liquide di una ruralità fondamentale, con poca “faccia” e tanta sostanza non senza piacevoli sorprese. Diffidate però dagli anarchici, quelli che spendono il piccolo per il bello ed il solo buono, questi, credetemi, non sono buoni nemmeno per il brodo della minestra maritata! 

In sintesi, regalate vino per il prossimo Natale, compratelo pure dove vi pare, ma che abbia una storia da raccontare, un’ideale a cui dare voce, e che soprattutto vi sia consegnato nelle mani da chi il vino lo vive con amore e professionalità e non solo come una qualunque altra battuta di cassa!

Sancerre, Cuvée Edmond 2002 Alphonse Mellot

11 dicembre 2009

Difficile pensare ai grandi vini bianchi e non menzionare Sancerre, difficile pensare di aver bevuto grandi sauvignon senza prima aver “passato per le armi” i vini di questa denominazione, difficile, quasi impossibile non amare i vini di Alphonse Mellot ed in particolare questo straordinario Cuvée Edmond 2002, ricco, di carattere, ancora impulsivo nella sua profonda mineralità gustativa.

Siamo in Francia, naturalmente. Nella Loira più caratteristica per alcuni, meno conosciuta per altri, siamo nella città di Sancerre che ancora divide la sua origine etimologica tra Giulio Cesare ed i Sassoni che proprio sulla collina dove oggi si erge il centrocittà si insediarono durante in regno di Carlo Magno. Ci troviamo di fronte ad un bellissimo vino che ha tanto da raccontare di se e della sua terra, un vino austero e brillante, fragrante ed invitante, complesso e sorprendente. Duemiladue, dicevamo, ma potrebbe essere un vino di uno o due anni al massimo, l’equilibrio e la continua profusione di aromi varietali ed eterei tengono attaccati il naso al bicchiere e costantemente il palato assetato.

L’aspetto nel bicchiere è limpido, cristallino, luminoso, giallo oro netto, di buona consistenza. Il primo naso è un effluvio di sentori erbacei secchi, fiori e frutti dolci, note balsamiche. Camomilla e menta piperita, poi miele,  mango ed albicocca, ancora sentori di grafite e pietra focaia. In bocca è secco, caldo, decisamente fresco, vira continuamente la sensazione calorica di un struttura importante verso una spiccata mineralità che apporta freschezza di beva e continua sapidità.

Un vino perfettamente armonico, di estrema piacevolezza ed equilibrio gustativo. Nasce da sole vecchie vigne di oltre cinquant’anni del Domaine de La Moussière, nel cuore dell’appellation Sancerre; alcuni dati ricevuti dall’azienda indicano che le masse di sauvignon blanc delle varie parcelle della vigna percorrono strade diverse prima di incrociarsi per l’affinamento in barriques. Circa un 60% del mosto viene lasciato fermentare in legni nuovi, il restante in legni di primo e secondo passaggio, succede un percorso di affinamento che di millesimo in millesimo può variare tra i 10 ed i 14 mesi. Stupendo se abbinato a pesci salsati, ma non vedo come non potrei cedere di fronte ad un più tradizionale Baccalà fritto.


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