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La rivincita del Greco di Tufo passa anche dal Giallo d’Arles 2018 di Quintodecimo

10 aprile 2020

Ad Arles van Gogh aveva scoperto la luce, la potenza del sole, l’importanza del giallo capace di esprimere nei suoi dipinti tutta la profondità della sua arte. Ad Arles, nella sua ”La camera di Arles¤” dell’ottobre 1888, Vincent van Gogh allenta finalmente le briglie della sua abilità tecnica lasciando vibrare tutto il suo straordinario talento: niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo colori in armonia. Ed è proprio qui che il suo giallo diviene davvero particolare, un giallo unico, preludio del rosso, il Giallo d’Arles…

Il Greco di Tufo è forse il vino bianco più rappresentativo della Campania, tra i primi, già negli anni ’70 a fregiarsi della doc e a varcare la soglia regionale e sbarcare così in tutto il mondo. Tutto nasce in un territorio abbastanza circoscritto in provincia di Avellino, siamo in Irpinia, dove sono infatti solo 8 i comuni ammessi alla produzione del Greco di Tufo: oltre a Tufo, che dà anche il nome alla denominazione, oggi docg, vi rientrano Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni.

Il protagonista è quindi il Greco, un vitigno abbastanza complicato da coltivare ma soprattutto di difficile gestione in cantina: ha generalmente un grappolo compatto, buccia sottile, un ciclo vegetativo piuttosto lungo, nulla di più complesso da gestire in vigna soprattutto con le attuali condizioni climatiche estremamente variabili che sembrano promuovere attacchi parassitari, muffe e deficit di maturazione dell’uva. Che poi da molti tecnici viene considerato un rosso vestito di bianco, per la cura e le attenzioni che richiede anche in vinificazione, con mosti sempre molto ricchi, contraddistinti da spiccata acidità, generalmente caratterizzati da un colore cupo che varia tra il bruno e il marrone, peraltro particolarmente sensibili all’ossigeno e alle filtrazioni che già di loro incidono considerevolmente nella piena salvaguardia del patrimonio organolettico di un vino.

Anche per questo molti vini vengono generalmente vinificati e affinati esclusivamente in acciaio, così da limitare le movimentazioni delle masse in cantina e preservarne così, il più a lungo possibile, soprattutto l’integrità aromatica e la freschezza gustativa a discapito forse di operazioni che ne favoriscano la struttura e magari un più ampio potenziale espressivo. Una visione questa che non ci sentiamo certo di condannare, che ha però indubbiamente tenuto a freno per molti anni il reale potenziale di questo vitigno e questo straordinario territorio lasciando nel tempo emergere altre varietà e altri vini bianchi campani che si sono poi velocemente imposti sul mercato.

Pensiamo al successo, a tratti abbagliante, del Fiano di Avellino, vino che ha vissuto con grande slancio due decenni pieni di successi, tra gli anni novanta/duemila e poi, ancora, in quelli successivi il duemiladieci, allargando di parecchio la sua ombra proprio sul Greco, non fosse altro per la contigua provenienza territoriale irpina; più recentemente, per citarne ancora uno di esempio, anche la Falanghina ha saputo ben affermarsi, con i numeri del Sannio e la tipicità dei Campi Flegrei, sottraendo anche in questo caso fette di mercato un po’ a tutti gli altri vini bianchi campani sulla scena.

Ma il Greco sa essere molto altro, se appare infatti timido e dimesso nei suoi primi anni, con buone velleità evolutive per 4/5 anni, diviene praticamente immortale quando viene interpretato al meglio, a partire certo dalla vigna, non senza passare però da una fase di lavorazione che richiede accortezza, conoscenza e mezzi tecnici in cantina affinché a finire in bottiglia ci arrivi solo il meglio, tirando fuori così vini con profumi ampi e suggestivi e un sapore intenso e sempre coinvolgente, dal respiro originale, profondamente gratificante nella beva, proprio come ci ha abituato, tra gli altri, anche Luigi Moio nelle sue raffinate ”letture”, ogni anno sempre più affascinanti e stimolanti.

Questo di Quintodecimo è un vero e proprio Cru prodotto con le uve provenienti dalla tenuta del Giallo d’Arles di Tufo, 12 ettari piantati tutti a Greco, allevati a Guyot, da dove ci sembra venire fuori, con questo duemiladiciotto, una delle più autentiche loro versioni di Greco di Tufo degli ultimi anni; un vino dal colore luminoso e invitante, che sa di pesca gialla e pompelmo, di caprifoglio e citronella, dove emergono perentorie il frutto e il territorio, proprio grazie alle abilità tecniche¤, la profonda conoscenza del territorio e del varietale, l’uso intelligente e misurato del legno, che consentono a Moio di portare in bottiglia tutta l’anima e l’energia di questo pezzo d’Irpinia, intessuti, potremmo dire, senza più puntini, niente più tratteggi, nessuna sovrastruttura ma solo grande armonia, come fossero un lungo e prezioso filo ritorto del bisso!

Leggi anche Quintodecimo, a causa di Laura e Luigi Moio Qui.

Leggi anche Quintodecimo, il 2007 secondo Luigi Moio Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Una vigna al sole

2 Maggio 2014

Non è facile distrarsi dai tramonti e dai colori che soprattutto all’imbrunire, in ogni stagione dell’anno, qui creano uno scenario spettacolare prima che romantico.

SP 508 Anacapri

Questo pezzo di Anacapri però merita maggiore attenzione e passione. Ho già scritto qualche tempo fa del sentiero dei Fortini¤, una camminata tra le rocce e la macchia mediterranea che qui si chiude al Faro di Punta Carena. Puro spettacolo!

Ma è la Migliera¤ che continua a suscitarmi ogni volta che la cammino una certa emozione. Penso a cosa sarebbe potuto diventare questo pezzo di terra sospeso tra cielo e mare se quelle splendide terrazze vitate a falanghina, biancolella e greco fossero state curate per dare buona uva da vino e non solo come un giardino qualsiasi. Ci penso e non mi rassegno.

Greco di Tufo Giallo d’Arles 2012 Quintodecimo

4 marzo 2014

Ad Arles van Gogh aveva scoperto la luce, la potenza del sole, l’importanza del giallo capace di esprimere nei suoi dipinti tutta la profondità della sua arte.

Greco di Tufo Giallo d'Arles 2012 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Al di là delle innumerevoli opere dipinte in quel periodo ‘La camera di Arles’¤ dell’ottobre 1888 viene considerata dal pittore stesso ‘uno dei suoi più riusciti’ dove ‘l’abilità tecnica è assai più semplice e al contempo energica: niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo colori in armonia’.

Il greco di Tufo si sa viene considerato un vitigno complicato da coltivare ma soprattutto di difficile gestione in cantina: ha generalmente un grappolo compatto, buccia sottile, un ciclo vegetativo piuttosto lungo. Che poi da molti viene considerato un rosso vestito di bianco, per la cura che richiede anche in vinificazione, con mosti molto ricchi, generalmente dal colore che varia tra il bruno e il marrone, peraltro particolarmente sensibili all’ossigeno.

Forse anche per questo molti greco di Tufo vengono vinificati e affinati esclusivamente in acciaio, così da preservarne il più a lungo possibile soprattutto l’integrità aromatica. Ma il greco sa essere molto altro, timido e dimesso nei suoi primi anni, con buone velleità nei suoi successivi 4/5 anni, dacché diviene praticamente immortale.

In fondo Luigi Moio col Giallo d’Arles¤ oltre alla fissa della ‘Casina Gialla’ che finalmente potrà realizzare nella sua vigna a Tufo, sapeva benissimo, sin dall’inizio, che lentamente l’abilità tecnica¤, soprattutto saperci fare con il legno, negli anni, avrebbe naturalmente lasciato il posto all’energia varietale: niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo grande armonia! E il primo assaggio è solo l’inizio, il meglio deve ancora venire.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Giungano, Greco Calpazio 2011 San Salvatore

20 febbraio 2013

Peppino Pagano lo racconta come fosse un piccolo gioiello di famiglia, anzitutto per averlo letteralmente strappato dalle grinfie di chi non vedeva tanto di buon occhio piantare greco da quelle parti.

Paestum Greco Calpazio 2011 San Salvatore.docx

In effetti quando nacque il progetto di San Salvatore¤ e si decise dove e cosa piantare, il greco era stato sì preso in considerazione ma solo in maniera puramente sperimentale; si pensava di mettere a dimora giusto un paio di filari per vedere cosa riuscissero a dare: “all’ultimo invece, preso dall’entusiasmo, ne piantai quasi un ettaro e mezzo – dice Peppino –, che oggi continua a regalarmi grandi soddisfazioni!”.

Il bicchiere conferma a pieno merito la bontà delle scelte; quella di farne un bianco fuori dal comune da queste parti, dove i più ricorderanno essenzialmente tanti buoni fiano¤ ma soprattutto quella di farne un vino bianco dall’approccio immediato, assai varietale e, quando l’annata lo permette, di grande freschezza gustativa. Così è paglierino luminoso il colore, naso di pera ed erbette, con un sorso coerente e giustamente sapido.

Sembrerebbe riportare a tavola quel piacere un po’ anni settanta ma sempre più contemporaneo di bere greco leggiadri e fragranti, senza tante sovrastrutture aromatiche o gustative che talvolta caratterizzano soprattutto quelli di provenienza Irpina, notoriamente terra d’elezione per il vitigno cui però rifarsi letteralmente suonerebbe arduo per non dire banale, poco efficace vista la statura di quelli più rappresentativi. Pure il 2012 provato dalle vasche – che arriverà verso primavera -, conferma di stare camminando la strada giusta.

Frasso Telesino, Greco 2010 e Piedirosso 2010 Cautiero: naturali, biologici ma… anche buoni!

22 marzo 2012

Di qui a qualche giorno ne racconterò più diffusamente, frattanto mi preme cominciare a segnalarvi due ottimi assaggi, questi due vini di Fulvio Cautiero, giovane produttore con la moglie Imma in quel di Frasso Telesino, piccolo comune nel cuore del Sannio doc.

L’azienda Cautiero conta nel complesso poco più di 4 ettari di vigna, tutti a regime biologico certificato, con impianti moderni di diverse varietà tra le quali non mancano l’aglianico (cloni “taurasi” e “vulture”) e il piedirosso, ma anche fiano, greco e falanghina. I grandi classici insomma. La cantina è minuta ma ben attrezzata: v’è una piccola pressa, qua e là dei fermentini termo-condizionati in acciaio e legni di vario genere e grandezza stipati in un ambiente a misura d’uomo, pulito, funzionale.

Conosco Fulvio da qualche tempo, 3 forse 4 anni. Mi venne a trovare un tardo pomeriggio con in mano un paio delle sue bottiglie (leggi qui) , frutto del suo primo raccolto, la sua prima vinificazione per conto proprio. Tralasciando l’indimenticabile siparietto sulle etichette di allora, diciamo un tantino kitsch, fu però subito una piacevole scoperta; lo incoraggiai, sentivo che andava fatto, quei vini avevano tanto di buono: mi parvero subito netti e, a tratti soprattutto l’aglianico, ruvidi come non ne sentivo da tempo, eppure estremamente originali, profondi; subivano però inevitabilmente il pregiudizio della provenienza, quel mare magnum del Sannio Beneventano quasi mai considerato come si deve, incompreso e, ahimè a torto, sempre troppo poco attenzionato.

Così ritrovo anche questi due vini. Il primo, un greco duemiladieci, di vibrante complessità gustativa, da far invidia se vogliamo anche a taluni di provenienza irpina; il colore è paglierino scarico, il naso è sottile e sfuggente eppure ricco di sfumature floreali e fruttate: di tiglio, camomilla, pera. Il sorso è asciutto e nervoso, ha carattere da vendere ed è un gran piacere cercarlo mentre il vino ti scivola via, imprevedibile, sulle papille. Sapido ma non risoluto.

E molto buono ho trovato anche il piedirosso, dello stesso anno e come il greco messo in bottiglia senza filtrazioni e solfiti aggiunti. Paga dazio forse in limpidezza ma il colore è di un bel rubino netto e vivido. Il naso è delizioso, varietale nel senso più espressivo del termine, con toni fruttati e floreali e si arricchisce di finissime sfumature boisé grazie al misurato passaggio in legno (tre mesi in carati piccoli e di terzo passaggio). Il sorso è asciutto e di buona consistenza, incentrato sul frutto e sorretto da una ragionevole trama acida. Lungo e rinfrancante. Dei prezzi non ne parliamo nemmeno…

Benvenuta (generosa) vendemmia 2010, ma…

14 settembre 2010

Benvenuta (generosa) vendemmia 2010! Nelle scorse settimane, in previsione della vendemmia che andava già iniziando in alcune regioni d’Italia, si sono subito levate voci gaudenti di piena soddisfazione in virtù dell’imminente sorpasso, numeri alla mano, nei confronti dei cugini francesi, che avrebbe confermato la produzione vitivinicola italiana come primo riferimento assoluto in Europa, grazie ad una vendemmia abbondante, talmente ricca che porterà nelle cantine italiane (già stracolme, ndr) uve sane ed in quantità più che soddisfacente. Giusto il tempo però di lanciare alcune riflessioni e tutto l’entusiasmo iniziale è andato subito a farsi benedire, lasciando spazio ad accesi dibattiti, speculazioni mediatiche nonchè polemiche sterili e quintalate di buoni auspici per riordinare un sistema che a quanto pare non riesce proprio a vedere ad un palmo dal naso il buco nero che si è aperto all’orizzonte, continuando ad annaspare, ed in maniera pedissequa, a sovrastimare un mercato in continua svalutazione, perchè in Italia di uva e di vino se ne producono fin troppo! 

Così, in attesa del lungo inverno alle porte che ci accompagnerà in in giro per l’Italia e ancora in Francia a scoprire e capire cosa poi è arrivato nelle bottiglie (promettiamo che ne leggerete delle belle!) abbiamo chiesto ad alcuni enologi, stimatissimi amici, di darci delle dritte o più semplicemente illustrarci il loro punto di vista sul campo, in primo luogo in terra campana, certamente primario interesse di questo blog e qua e là in giro per l’Italia. Ecco le prime testimonianze che ci sono arrivate. 

Fortunato Sebastiano, enologo, con Vigna Viva segue diverse aziende sparse nelle cinque province campane; La sua è una testimonianza molto utile che ci da il polso di diverse microaree regionali; Questo il suo racconto: “è importante premettere che tutte le vigne di cui scrivo sono condotte in regime biologico. In provincia di Salerno (Picentini e Cilento) si prefigura una grande annata, con uve Fiano straordinarie, raccolte a fine agosto, di grande equilibrio acidico; L’aglianico promette benissimo, le escursioni termiche e gli abbassamenti di temperatura di fine primavera hanno rallentato le maturazioni ma qui questo non è un problema. In provincia di Benevento, areale di Sant’Agata dei Goti, dove opero, è stata per l’aglianico un’annata difficile, la peronospora è stata particolarmente invadente; La Falanghina invece molto buona, il Greco ed il Piedirosso idem, ci attendiamo vini molto interessanti. Qui alcune zone umide hanno risentito delle temperature medie troppo basse, inchiodandosi e trovando un pò di difficoltà di allegagione, la cosiddetta maturità eterogenea. Ad Avellino, negli areali di Montefusco, Santa Paolina, Castelfranci, Lapio, Montefredane, San Michele di Serino, il Greco è risultato molto equilibrato e dalle acidità perfette che mi fa pensare ad un’annata “tipica e varietale”, peccato per la grandine di fine luglio a Santa Paolina che ha un po ridimensionato le prospettive. L’Aglianico è in grande forma, ci aspettiamo grandi cose anche perchè per le zone più alte si arriverà presumibilmente sino a metà novembre per la raccolta; il Fiano risulta di grande spessore a Lapio, e anche nelle esposizioni più calde si avranno uve di buona spalla acida, a Montefredane si prevede una vendemmia nella media ma proprio qui si è registrata peronospora larvata diffusa, con le problematiche che ne conseguono. Infine a San Michele di Serino non ho dubbi sul fatto che si otterranno uve di grande qualità come base spumante”.

Massimo Di Renzo, enologo in Mastroberardino, senza dubbio tra le aziende di riferimento per tutta la regione; Ecco le indicazioni di Massimo: “Le mie riflessioni sulla vendemmia sono basate soprattutto su dati rilevati e costatazioni nelle province di Avellino e Benevento. L’inverno freddo e piovoso ha ritardato un po’ l’inizio della fase vegetativa, riportandola ai tempi classici delle suddette zone, sfatando gli anticipi a cui si è stati costretti negli anni precedenti. La primavera e l’estate sono state caratterizzate da precipitazioni superiori alle medie stagionali. In linea generale oltretutto non è stata un’estate molto calda e le escursioni termiche sono cominciate già forti nel mese di agosto, e ciò si traduce in un rallentamento nella progressione della maturazione, esaltando ricchezza aromatica e freschezza nelle uve. Siamo in ritardo sull’epoca di raccolta di circa 15 giorni, possiamo dunque confermare quanto accennato in precedenza e cioè che si ha un ritorno alle vendemmie tradizionali di ottobre avanzato e novembre, il che, ove possibile, esalterà fortemente il valore del territorio sulla qualità delle uve che arriveranno in cantina. Più degli altri anni la conduzione del vigneto è stata difficile ma prevedo ottimi risultati per chi ha lavorato bene in vigna, chi ha saputo guardare con lungimiranza ad una materia prima di qualità e non necessariamente di quantità. Detto questo però, con un mese circa ancora avanti, è naturale che saranno decisive le condizioni meteo dei prossimi giorni per definire il profilo definito dell’annata, pertanto incrociamo le dita e buona vendemmia a tutti!”

Grazie mille a Fortunato e Massimo, come sempre precisi e di facile lettura, a breve ci occuperemo anche dell’areale vesuviano (Lacryma Christi, ndr) e dei Campi Flegrei; Continuiamo, imperterriti, a scoprire e capire il vino e le sue origini, e così ci pare più facile, non trovate?

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.

Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.

La torrida estate e 6 buoni vini da non perdere (ma se ve li perdete non succede mica qualcosa!)

5 agosto 2010

Agosto, è piena estate! A parte l’intenso ma breve schiaffo temporalesco della settimana scorsa possiamo affermare di essere già da un pezzo nel bel mezzo della bella stagione, e fra tre-quattro giorni, dicono gli esperti, le temperature potranno salire ancora fino a 38 gradi, in particolare, come sempre, al sud. Sempre gli esperti ci dicono che ormai è uno schema risaputo e che tutti gli anni ci tocca, è diventato quasi regolare infatti l’assenza di una primavera degna di questo nome, e neppure l’inizio dell’estate, quella tiepida di fine maggio, per intenderci, risulta più riconoscibile: in pratica “non esisterebbe più la mezza stagione”.

Qualcuno ha gridato: e l’anticiclone delle Azzorre, che fine ha fatto? Beh, pare abbia pure lui i suoi problemi, in verità si vocifera che il nostro bene amato se ne stia per conto suo visto i tempi che corrono dalle nostre parti. Pertanto, cari Amici di Bevute , tenetevi la calura, e se accettate un consiglio, beveteci su; Cose semplici s’intende, fresche, di quelle che “nippano” le papille gustative e rivitalizzano il gargarozzo: ma si, per una volta che vadano pure al mare sti’ sommelier, della serie “faciteme sta’ quijete”!!

L’ordine è più o meno sparso, gli assaggi abbastanza recenti e sostenuti da ampio confronto e gradimento con i miei avventori, pertanto potete fidarvi :-).

Coda di Volpe del Taburno 2009 Fattoria La Rivolta, sempre in crescendo i vini di Paolo Cotroneo, la sua coda di volpe, abbandonata la veste muscolosa che l’ha accompagnata egregiamente agli esordi di qualche anno fa, spunta ad ogni nuovo millesimo un risultato migliore del precedente. Dal colore paglierino tenue con sfumature dorate esprime un ventaglio olfattivo molto pulito, piuttosto invitante. In bocca è decisamente asciutto, con una beva di sostanza ma sorretta da una acidità importante. Avete presente una tranquilla cena a pochi centimetri sopra il mare, con il vento che lentamente ti gira intorno e ti tiene lieve mentre due occhi neri ti stampano la felicità nel cuore?

Vdt bianco Joaquin dall’Isola 2009 JoaquinRaffaele Pagano ci ha ormai abituati a vini per niente banali, con la sua cantina ha messo su in realtà, in quel di Montefalcione, un piccolo “laboratorio” enologico a disposizione di chi, come enologo, voglia cimentarsi con i vitigni autoctoni campani ed esprimere attraverso questi la propria arte di fare vino. Non poteva mancare nella “collezione 2009” un vino di una suggestione unica, che nasce dalle vigne capresi che guardano il mare del golfo di Napoli dall’alto della solenne tranquillità della piccola Anacapri. Greco, Biancolella e Falanghina selezionati acino per acino da Sergio Romano per un vino sinceramente sorprendente: dal colore paglierino tenue, intriso di sentori floreali molto invitanti e di sfumature agrumate assai gradevoli. In bocca è asciutto, possiede un ottimo slancio gustativo che avvolge di sana freschezza il palato e chiude su un finale lievemente iodato. Ecco la novità dell’anno, solo 820 magnum, per un vino ben fatto, che va molto oltre la semplice intuizione di dare nuovo slancio alla viticultura caprese. Bravo Raffaele!!

Langhe Arneis Blangè 2009 Ceretto, è un vino che non riesco ad amare, e sinceramente nemmeno ci provo, sarà un mio limite? Idiosincrasia a parte però, mi trovo costretto a prendere atto di un fenomeno di mercato tanto comune quanto apprezzato, a tratti ricercato. C’ho buttato dentro, così per caso ( 😦 ) il naso, pulito, interessante, di fiori e frutta esotica; Me ne sono appena bagnato le labbra, poi un sorso, e ancora uno per essere certo di aver ben compreso: è un buon vino, sinuoso ma senza particolare profondità, appena godibile, leggero.

Asprinio d’Aversa brut Grotta del Sole. “Vorrei poter bere un vino bello freddo, fregandomene per una volta, dei precetti. Lo vorrei secco, anche un tantino acido, magari con delle belle bollicine che mi tengano sveglio il palato. Desidero un vino di questo tipo, che posso trovare con una certa facilità e ad un prezzo conveniente, che sia però prodotto da una azienda di cui mi possa fidare, che magari mi possa raccontare di se e della sua terra, dei suoi vini autentici”. Devo aggiungere altro?

Rheingau Riesling Sauvage 2008 George Breuer, seppur la gente continua a storcere il naso quando gli proponi una bottiglia con il tappo a vite, sono sempre più convinto che il sughero, quello buono, dovremmo pensare seriamente di preservarlo solo per le bottiglie migliori e destinate ad un lungo invecchiamento.  E’ indubbio che si tratti di una questione innazitutto culturale – soprattutto mittel europea – che dovremo prima o poi fare anche nostra. Venendo a questo riesling, tedesco per elezione, è un vino decisamente affascinate, uno di quei vini dalla pulizia olfattiva disarmante, quasi inebriante. All’approccio gustativo è tagliente, infonde notevole freschezza al palato richiamandone subito un nuovo sorso, non ha, al momento, le suadenti note di idrocarburi che a taluni piacciono tanto, ma tanto è finemente minerale quanto particolarmente saporito. Da ricordare di bere.

Collio Sauvignon Ronco delle Mele 2009 Venica&Venica. E’ – con il de la Tour 2008 di Villa Russiz e il Picol 2008 di Lis Neris – tra i migliori assaggi di quest’anno del varietale; Un vino che non posso fare a meno di annoverare tra i miei preferiti italiani nel gioco di rincorsa al più austero e selvaggio dei vitigni internazionali. Sempre sugli scudi, proprio da un recente assaggio – 25 campioni da tutto il mondo, alla cieca – il Ronco è emerso a mani basse e senza smentita alcuna come il più appassionate dei blanc in batteria: dal colore paglierino viene fuori un bouquet olfattivo sempre in grande spolvero, fiori di sambuco e note vegetali su tutti, balsamico. Al palato non fa mancare una certa vivacità gustativa, quasi intransigente prima di offrirsi in un finale di bocca ricco e oltremodo piacevole. Da tenere sempre a portata di mano!

Magari poi mi ringrazierete pure, forse.

Questa è la mia terra, vivila con il cuore in mano

12 dicembre 2009

Si possono sprecare parole di elogi, rivangare una storia millenaria che comunque ritorna da se ogni qualvolta si mette mano alla ricerca delle origini, citare persone, luoghi, nomi che vanno ad incarnare una storia, un paesaggio, una identità che pur nelle mille diversità conducono sempre ad un unico concetto ormai chiaro a tutti: Campania Felix!

Terra mitica per i greci, giardino imperiale per i Romani, per i regnanti delle due Sicilie poi, ci hanno trapassato il cuore in tanti e feriti i peggiori, ma l’anima, la vocazione rimangono pure ed originali. Io, noi amiamo i vini della Campania, questo è tutto. Ma è solo l’inizio…

Il fuoco, vedo il Vesuvio¤ con la sua forza immensa, con la falanghina e la coda di volpe (qui caprettone) che hanno innaffiato terre atlantiche quanto a levante, ridato vita ed humus a portafogli aridi come le anime che ci marciavano sotto, profumi di una terra del fuoco che ha finalmente ritrovato la sua dignità e che corre, entusiasta, verso il suo riscatto. Olivella, sciascinoso, catalanesca, discendono il Monte Somma come lava e lacrime¤ sino ai bicchieri di ognuno.

Pietra lavica e fuoco che nei Campi Flegrei nutrono per ‘e palummo¤ e falanghina¤, iodate dal mare del golfo, inasprite dalle terre di tufo, dalle sabbie degli Astroni¤, le acque dell’Averno come discesa agli inferi per poveri diavoli che giammai ebbero di che nutrirsi; Ischia, Capri, mete verdi ed azzurre sempre prostrate ai palati più fini e leggeri, biancolella, ventrosa ed uva rassa a inebriare ricchi e viziosi di un gioco infinito, magari piantati in asso da sirene senza più voce ne canti da regalare, a Sorrento come a Furore¤, a Ravello o a Tramonti¤: tintore, pepella, ginestra, san nicola, fresche bevute e sapidi rospi, ebbri da panorami mozzafiato e da tinte rosse, fosche di primo mattina.

Il mare, azzurro, cristallino, brillante come diamanti, il Cilento ed i sassi, la pietra liscia di spiagge incantate, incontaminate proprio ai piedi di montagne irte ed adombrate, frescure che esaltano vini di eccellente spiccata aromaticità, il fiano su tutti, e rossi corpulenti, polposi, minerali, rei di accecare il palato e conquistare lo stomaco; piccoli vigneti, agricoltori che cercano se stessi e colgono in flagranza di reato la propria anima¤, la propria origine, scappati via nella città e rifuggiti da questa per ritrovarsi ambiziosi di riscoprirsi appartenenti alla campagna. L’aglianico rifugio di destini controversi.

La terra, aspra e generosa, ferita in maniera indelebile e capace di ricostruirsi un futuro più solido, più forte della malasorte, più ambiziosa di generazioni semplici e conservatrici. Ecco l’Irpinia, la terra di mezzo, spartiacque di culture ed esaltazione di colture, l’aglianico¤, il fiano di Avellino¤ ed il greco di Tufo¤ come massima espressione enologica della nostra regione. Una convulsa evoluzione che ha stravolto le menti e gli equilibri italici, vini prestati al desìo altrui divenuti finalmente protagonisti di se stessi, della propria origine, testimoni¤ della propria terra¤ che pian piano stanno ritrovando e marcando come unicità e rarità: è Taurasi la porta del successo!

La creta che diviene fango, prende forma tra le mani, diventa specchio della propria anima, finalmente il Sannio-Beneventano balla da solo. Polmone inesauribile a rimpolpare vinacci da niente, vinodotto inesauribile che ha scosso le coscienze e motivato princìpi di autenticità¤. Sant’Agata de’Goti, Castelvenere, Guardia Sanframondi, terre spogliate come le loro vigne dalle foglie in autunno, coraggiosamente oggi rivendicano una identità superiore: il piedirosso, l’aglianico, ma anche la falanghina ed il greco, la barbera e l’agostinella, un circolo vizioso che circuisce e vizia chi non si ferma al palo, chi riesce a vedere oltre e a toccare con mano. Piaceri ineluttabili al caldo di un camino accesso a fescine.

Il vecchio e il nuovo, il passato che avanza nel futuro che è già prossimo, che è già oggi. Il Falerno¤ come vocazione antica, primitivo rosso campano tanto amato dai romani che incapaci di reggerne la possenza lo sventravano con nefandezze delle più dolci pur di mentire a se stessi. L’Ager Falernus¤ come terra eletta che riscopre oggi una vocazione per troppo tempo assopita e banalizzata, il Massico¤ che vive una nouvelle vogue entusiata di esserci e di scomettere su se stesso.

Da qui a Roccamonfina¤, vigneti sperimentali e gran cru campani, ricerca ed innovazione che regalano grandi vini e simpatiche interpretazioni, l’aglianico maritato al piedirosso, la falanghina vestita con il sauvignon, uno strappo, quest’ultimo, alla tradizione da non confondere con la tradizione stessa, una fiche buttata lì sul tavolo verde che vale la giocata ma non deve essere la partita, non abbiamo bisogno di mezzucci per abbreviare il tragitto, solo un po’ più di palle per guadare il fiume. Attributi che non sono mancati a chi¤ ha reinventato poco più in là una viticultura scomparsa, a chi, per esempio riscoprendo il pallagrello¤ bianco e nero ed il casavecchia¤ non ha abbassato le braghe agli storpi e biechi burocrati del no e ci continua a regalare emozioni liquide pure attraverso vini esemplari e ricchi di fascino.

A costoro e a tutti quelli che amano la vigna, piccola¤ o grande¤ che sia, io dico grazie. A tutti quelli che di fronte a questi vini si troveranno ribadisco: “questa è la mia e la vostra terra, vivetela con il cuore in mano!”

© L’Arcante – riproduzione riservata

Campania, piccole bollicine crescono

18 novembre 2009

Nell’epoca in cui viviamo la comunicazione è divenuto un fattore fondante del successo di un prodotto, di un marchio, di una azienda; no, non scopriamo certo l’acqua calda, in effetti “la pubblicità – si è sempre detto – è l’anima del commercio” ed in ogni stagione negli ultimi cento anni si è fatta prima pudica, poi elegante persuasione sino a divenire insidiosa al punto di vestire troppo spesso l’arroganza dell’invadenza. Oggi più che di pubblicità, termine ormai relegato al linguaggio popolano si è sempre propensi a parlare di comunicazione, “perché con la comunicazione s’intende lanciare un messaggio che è molto più complesso, spesso originale, della banale pubblicità”. Non solo quindi manifestare la bontà di un prodotto, l’intuizione di una idea,  l’identità di un marchio da lanciare o consolidare e invitare al suo acquisto, ma rendere tutti questi, attraverso un linguaggio minuzioso, magari supportato da una proposizione anche visiva, una parte integrante di una esperienza unica del destinatario di turno, insomma un momento culminate del proprio vivere quotidiano, magari di una passione, di un piacere che potrà essere a lungo condizionato tanto da modificarne le abitudini.

Ecco come si può arrivare a pensare di stravolgere le abitudini di operatori professionali ed appassionati consumatori, come si possa pensare di proporre in alternativa al Prosecco di turno la Falanghina o l’Asprinio d’Aversa spumanti, come avviare una lenta conversione alla valorizzazione di progetti interessanti sul primo, diffusissimo vitigno che sembra trovare con la spumantizzazione un’anima intrigante, deliziosamente appagante, una espressione per niente banale e sul secondo che grazie all’impegno di pochi viene costantemente reso salvo dall’estinzione. Un lento progredire che possa condurre all’idea che sia il Prosecco a divenire una valida alternativa di Asprinio e Falanghina, non fosse altro per la soddisfazione di chi ama rallegrarsi con le bollicine autoctone campane e per la buona pace dei redattori delle varie guide ai ristoranti che proprio non ne possono più di ritrovarsi a Sorrento come a Pozzuoli, a Paestum come a Caserta o Ischia sempre costantemente serviti come “calice di benvenuto” il Prosecco (spesso uno dei più mesti) o magari un Oltrepò Pavese Pinot Nero vinificato in bianco e quando gli va bene una flute di Franciacorta: nessuno, o quasi (poiché le eccezioni vi sono sempre) che pensi che uno spumante di Falanghina (quindi Asprinio d’Aversa o Greco di Tufo) possa essere un buon viatico di accoglienza quantomeno in tono alla propria tavola spesso proposta come tradizione della enogastronomia campana.

Un percorso sicuramente non facile, che passa innanzitutto dalla qualità dei prodotti proposti dalle aziende, che non si può negare, ce la stanno mettendo tutta per migliorare i propri vini, raccogliendo e vinificando le uve con le caratteristiche più adatte alla tipologia e qualificando sempre di più la propria esperienza investendo in risorse umane avvalendosi di consulenti specialisti (quasi sempre proprio provenienti dalla scuola enologica di Conegliano, nda) ed in tecnologia di cantina, con gli spumanti quanto mai essenziali per proporre un vino di qualità e rispettoso delle caratteristiche organolettiche della tipologia. Investimenti onerosi che servono necessariamente per fare il salto di qualità e garantire una filiera inattaccabile.

Una buona dose di entusiasmo in questa direzione non guasterebbe, soprattutto da parte di chi come gli operatori del settore, sommeliers, enotecari, ristoratori, distributori spesso decidono le sorti di un vino piuttosto che di un altro; non senza le dovute osservanze: i parametri della qualità devono essere integerrimi, quelli dei costi discussi seriamente e serenamente al fine di trovare un giusto equilibrio (spesso ricarichi assurdi sino al 300% sulle bollicine allontanano da certe scelte) ma soprattutto l’intelligenza di non prendere per partito preso posizioni assolutistiche, i vini spumanti da vitigni autoctoni campani non vanno contrapposti ostinatamente ai vari modelli italiani e soprattutto d’oltralpe, Champagne in testa. Sono questi, vini la cui storia è inattaccabile, la cui origine di valore straordinario e di qualità certamente superiore da prendere per modello per valorizzazione dei terroirs espressi e non da scimmiottare con interpretazioni storpiate che hanno portato negli anni a vinificare di tutto purchè frizzante.

Il valore aggiunto per le nostre bollicine autoctone campane oltre al prezzo quasi sempre alla portata di tutti, risiede nella capacità di comunicare il nostro territorio con schiettezza e semplicità non senza rimanere affascinati dalla storia di una viticoltura eroica (penso ai vigneti di Asprinio ad alberata dell’aversano, ai terrazzamenti di Falanghina di Monte di Procida ecc…) capace solo qui, attraverso questi vini di imprimere un marchio indelebile di una terra unica e straordinaria. Valori, schiettezza e sincerità che non dovrebbero mai mancare anche nei comunicatori del vino. Prosit!


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